LA CONTINENZA, OPERA DI SANT’AGOSTINO: “Questa lotta interiore contro la carne l’avverte soltanto chi combatte per l’acquisto della virtù e la repressione dei vizi. Non c’è infatti mezzo per abbattere il male della concupiscenza all’infuori del bene della continenza” “San Paolo: Quelli che appartengono a Gesù Cristo crocifiggono la loro carne con le sue passioni e concupiscenze”

LA CONTINENZA

OPERA DI SANT’AGOSTINO, DOTTORE DELLA CHIESA

“Quelli che appartengono a Gesù Cristo crocifiggono la loro carne con le sue passioni e concupiscenze” (San Paolo Gal 5, 24.)

 

Ripasso: Dal Catechismo della Chiesa cattolica

490. Quali sono i mezzi che aiutano a vivere la castità?

 Sono numerosi i mezzi a disposizione: la grazia di Dio, l’aiuto dei sacramenti, la preghiera, la conoscenza di sé, la pratica di un’ascesi adatta alle varie situazioni, l’esercizio delle virtù morali, in particolare della virtù della temperanza, che mira a far guidare le passioni dalla ragione.

491.In quale modo tutti sono chiamati a vivere la castità? Tutti, seguendo Cristo modello di castità, sono chiamati a condurre una vita casta secondo il proprio stato: gli uni vivendo nella verginità o nel celibato consacrato, un modo eminente di dedicarsi più facilmente a Dio con cuore indiviso; gli altri, se sposati, attuando la castità coniugale; se non sposati, vivendo la castità nella continenza.

492. Quali sono i principali peccati contro la castità? Sono peccati gravemente contrari alla castità, ognuno secondo la natura del proprio oggetto: l’adulterio, la masturbazione, la fornicazione, la pornografia, la prostituzione, lo stupro, gli atti omosessuali. Questi peccati sono espressione del vizio della lussuria. Commessi su minori, tali atti sono un attentato ancora più grave contro la loro integrità fisica e morale.

2351 La lussuria è un desiderio disordinato o una fruizione sregolata del piacere venereo. Il piacere sessuale è moralmente disordinato quando è ricercato per se stesso, al di fuori delle finalità di procreazione e di unione.

2352 Per masturbazione si deve intendere l’eccitazione volontaria degli organi genitali, al fine di trarne un piacere venereo. « Sia il Magistero della Chiesa – nella linea di una tradizione costante – sia il senso morale dei fedeli hanno affermato senza esitazione che la masturbazione è un atto intrinsecamente e gravemente disordinato ». « Qualunque ne sia il motivo, l’uso deliberato della facoltà sessuale al di fuori dei rapporti coniugali normali contraddice essenzialmente la sua finalità ». Il godimento sessuale vi è ricercato al di fuori della « relazione sessuale richiesta dall’ordine morale, quella che realizza, in un contesto di vero amore, l’integro senso della mutua donazione e della procreazione umana ».

1856 Il peccato mortale, in quanto colpisce in noi il principio vitale che è la carità, richiede una nuova iniziativa della misericordia di Dio e una conversione del cuore, che normalmente si realizza nel sacramento della Riconciliazione-confessione.

1857 Perché un peccato sia mortale si richiede che concorrano tre condizioni: « È peccato mortale quello che ha per oggetto una materia grave e che, inoltre, viene commesso con piena consapevolezza e deliberato consenso ».

1858 La materia grave è precisata dai dieci comandamenti, secondo la risposta di Gesù al giovane ricco: « Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre » (Mc 10,19). La gravità dei peccati è più o meno grande: un omicidio è più grave di un furto. Si deve tenere conto anche della qualità delle persone lese: la violenza esercitata contro i genitori è di per sé più grave di quella fatta ad un estraneo.

1859 Perché il peccato sia mortale deve anche essere commesso con piena consapevolezza e pieno consenso. Presuppone la conoscenza del carattere peccaminoso dell’atto, della sua opposizione alla Legge di Dio. Implica inoltre un consenso sufficientemente libero perché sia una scelta personale. L’ignoranza simulata e la durezza del cuore non diminuiscono il carattere volontario del peccato ma, anzi, lo accrescono.

1860 L’ignoranza involontaria può attenuare se non annullare l’imputabilità di una colpa grave. Si presume però che nessuno ignori i principi della legge morale che sono iscritti nella coscienza di ogni uomo. Gli impulsi della sensibilità, le passioni possono ugualmente attenuare il carattere volontario e libero della colpa; come pure le pressioni esterne o le turbe patologiche. Il peccato commesso con malizia, per una scelta deliberata del male, è il più grave.

1861 Il peccato mortale è una possibilità radicale della libertà umana, come lo stesso amore. Ha come conseguenza la perdita della carità e la privazione della grazia santificante, cioè dello stato di grazia. Se non è riscattato dal pentimento e dal perdono di Dio, provoca l’esclusione dal regno di Cristo e la morte eterna dell’inferno; infatti la nostra libertà ha il potere di fare scelte definitive, irreversibili. Tuttavia, anche se possiamo giudicare che un atto è in sé una colpa grave, dobbiamo però lasciare il giudizio sulle persone alla giustizia e alla misericordia di Dio.

(Catechismo della Chiesa cattolica)

Sant’Agostino:

“Frutto dello Spirito sono la carità, la gioia, la pace, la pazienza, la benignità, la bontà, la fedeltà, la dolcezza, la continenza. Contro virtù di questo genere non c’è legge [che tenga]” (San Paolo Gal 5, 22-23) …. Nella serie dei beni che ha ricordato, la continenza – di cui ci occupiamo nel presente trattato e di cui già abbiamo detto parecchie cose – viene posta per ultima. È perché vuole che essa resti, fra tutte, la più impressa nella nostra mente. Difatti, nella guerra che lo spirito combatte contro la carne, essa è d’importanza capitale, poiché è essa che, in certo qual modo, affigge alla croce le concupiscenze carnali. Soggiungeva infatti l’Apostolo, dopo le precedenti affermazioni: Quelli che appartengono a Gesù Cristo crocifiggono la loro carne con le sue passioni e concupiscenze (Gal 5, 24.). Ecco l’azione della continenza: mortificare le opere della carne. Le quali opere carnali, viceversa, sono esse a infliggere la morte a quanti, credendosi dispensati dalla continenza, si lasciano indurre dalla concupiscenza a consentire e a tradurre in atto le opere del male.” (dall’opera sottostante di Sant’Agostino)

LA CONTINENZA

OPERA DI SANT’AGOSTINO, DOTTORE DELLA CHIESA

Introduzione.

1. 1. È difficile trattare in modo adeguato ed esauriente della virtù dell’anima che chiamiamo continenza, virtù che è un insigne dono del Signore. Speriamo che colui che ce la elargisce aiuti la nostra pochezza perché non venga meno sotto il peso d’un compito così grave. Difatti chi dona la continenza ai fedeli che ne fanno pratica è lo stesso che dona la parola adatta a quanti, fra i suoi ministri, osano tentarne una esposizione. Volendo, dunque, trattare un argomento così elevato per dirne quello che Dio ci concederà, prima di tutto affermeremo e dimostreremo che la continenza è un dono di Dio. Lo troviamo scritto nel libro della Sapienza: Nessuno può essere continente se Dio non gliene fa dono 1. E anche il Signore, a proposito di quella continenza più rigorosa per cui ci si astiene dal matrimonio, diceva: Non tutti capiscono questa parola, ma soltanto coloro cui è stato donato 2. Né solo questa, ma anche la castità coniugale non la si può osservare senza la continenza da ogni forma illecita di rapporto carnale. E di tutt’e due le forme di vita, tanto degli sposati come dei non sposati, affermava l’Apostolo che sono doni di Dio. Io vorrei – diceva – che tutti fossero come me stesso; tuttavia ciascuno ha da Dio il suo dono: uno così, e un altro differentemente 3.

La bocca interiore del cuore.

1. 2. La continenza che ci attendiamo dal Signore non è necessaria soltanto per frenare le passioni carnali propriamente dette. Lo dimostra il salmo, là dove cantiamo: Poni, o Signore, una custodia alla mia bocca, una porta – quella della continenza – sulle mie labbra 4. Da questa testimonianza del libro divino, se prendiamo la parola bocca nel senso esatto in cui occorre intenderla, ci convinceremo qual grande dono di Dio sia la continenza della bocca. Tuttavia sarebbe cosa da poco tenere a freno la bocca, in senso materiale, perché non ne escano parole sconvenienti. C’è nel nostro interno un’altra bocca, quella del cuore; ed è qui che desiderava fosse posta dal Signore una guardia e un uscio, quello della continenza, colui che pronunziò le parole del salmo e le scrisse perché le ripetessimo. Ci sono infatti molte parole che non pronunziamo con la bocca ma gridiamo con il cuore. E viceversa non ci sono parole che noi pronunziamo con la voce attraverso la bocca, se il cuore non ce le detta. Se dal cuore non esce nulla, al di fuori non si pronunciano parole. Se dal cuore escono cose cattive, anche se la lingua non vibra, l’anima rimane macchiata. È al cuore, dunque, che bisogna imporre la continenza: là dove parla la coscienza anche di coloro che stanno zitti con la bocca. E questa continenza, a guisa di porta, farà sì che dal cuore non esca niente di ciò che, anche a labbra chiuse, contaminerebbe la vita dell’uomo mediante il pensiero.

Continenza interiore.

2. 3. Con le parole: Poni, Signore, una custodia sulla mia bocca e una porta, la continenza, sulle mie labbra voleva intendere la bocca interiore del cuore. Lo indica assai chiaramente quel che soggiunge subito appresso: Non permettere che il mio cuore pieghi verso parole maligne 5. Cos’è la piega del cuore, se non il consenso? Non pronuncia alcuna parola colui che, sebbene attraverso i sensi gli si presentino gli stimoli delle cose più disparate, tuttavia non vi consente né volge il cuore ad esse. Se invece vi consente, già dice la sua parola nel cuore, anche se con la voce non proferisce alcun suono. Anche se con la mano o con le altre membra del corpo non compie alcun atto, egli l’ha già eseguito se col pensiero ha deciso di farlo. È già colpevole di fronte alle leggi divine, anche se occulto ad ogni occhio umano: colpevole per la parola detta nel cuore, non per il gesto compiuto col corpo. Non potrebbe infatti mettere in azione un membro del corpo per l’esecuzione dell’opera, se questa non fosse stata preceduta da una parola interiore che costituisce il principio. Come sta scritto con verità: Principio di ogni azione è la parola 6. Sono infatti numerose le opere che gli uomini compiono senza aprire la bocca, né muovere la lingua o levare la voce; tuttavia nulla eseguono col corpo, nel campo dell’azione, se prima non si siano pronunciati col cuore. Ci sono pertanto molti peccati nelle scelte interiori dello spirito che non sono seguiti da opere esterne; mentre non ci sono peccati esterni, di opere, che non siano preceduti da decisioni interne del cuore. Si sarà esenti dall’una e dall’altra specie di colpa se sulle labbra interiori dello spirito si saprà porre la porta della continenza.

La continenza interiore nell’insegnamento evangelico.

2. 4. Per questo motivo il Signore di sua propria bocca ebbe a dire: Ripulite ciò che sta dentro; così sarà puro anche ciò che sta fuori 7. E in altra circostanza, quando si mise a confutare la scempiaggine dei giudei che rimproveravano ai discepoli d’andare a mensa senza lavarsi le mani: Non sono le cose che entrano nella bocca a sporcare l’uomo; sono piuttosto quelle che escono dalla bocca che lo rendono impuro 8. La quale asserzione, se dovesse riferirsi esclusivamente alla bocca in senso proprio, finirebbe col diventare un assurdo: difatti come non ci si sporca per il cibo così non ci si sporca per il vomito, il cibo che entra per la bocca, il vomito che ne esce. Ma, evidentemente, le parole iniziali della frase, cioè: Ciò che entra nella bocca non sporca l’uomo, si riferiscono alla bocca in senso proprio; mentre il seguito, e cioè: Quanto esce dalla bocca sporca l’uomo, si riferisce alla bocca del cuore. Lo precisò il Signore quando, alla richiesta dell’apostolo Pietro che gli venisse spiegata la parabola, rispose: Siete anche voi ancora senza cervello? Non capite come tutto ciò che entra nella bocca va nell’intestino e lo si scarica nel gabinetto? 9. Riconosciamo da qui senza esitazione che la bocca in cui entra il cibo è la bocca, organo del nostro corpo. Quanto alle parole successive, dobbiamo invece intenderle della bocca del cuore: interpretazione alla quale non sarebbe giunta l’ottusità del nostro cuore se la Verità non si fosse degnata di camminare al fianco di noi ottusi. Diceva infatti: Le cose che escono dalla bocca procedono dal cuore 10. Come se volesse dire: Quando senti dalla bocca, intendi dal cuore. Dico tutt’e due le cose, ma con la seconda spiego la prima. L’uomo interiore ha una bocca interiore, e delle sue parole ha percezione l’orecchio interiore. Le cose che escono da questa bocca provengono dal cuore e rendono impuro l’uomo. In ultimo, lasciando da parte la parola “bocca”, che si sarebbe potuta intendere anche della bocca che sta nel corpo, il Signore mostrò con ogni chiarezza ciò che voleva dire. Dal cuore – diceva – escono i pensieri cattivi, gli omicidi, gli adultèri, le disonestà, i furti, le false testimonianze, le bestemmie; e queste sono le cose che macchiano l’uomo 11. Di questi mali, che si possono compiere anche con le membra del corpo, nessuno ce n’è che non sia preceduto dal pensiero cattivo; ed è questo pensiero che macchia l’uomo, anche se sopravvengono ostacoli ad impedire che si eseguano con le membra le opere esterne, delittuose o criminali. Ecco uno che non è riuscito ad uccidere una persona perché la cosa gli si è resa impossibile. La sua mano non ha commesso il delitto, ma può forse dirsi che ne sia immune il suo cuore? Ancora: uno non ce la fa ad appropriarsi, come avrebbe voluto, della roba altrui. Può forse dirsi che egli nella sua volontà non sia un ladro? Ancora: un libertino si mette in testa un adulterio, però si imbatte in una donna casta che lo respinge. Forse che non è già adultero nel suo cuore? O un altro che cerchi d’incontrare una prostituta: se non riesce a trovarne alcuna per la strada, forse che non si è reso già colpevole nella mente? Come quando uno si sia deciso a rovinare il prossimo con la menzogna. Anche se poi non lo fa per mancanza di tempo o di occasione, forse che non ha detto già con la bocca del cuore una falsa testimonianza? Un altro per un certo senso di riguardo verso la gente si trattiene dal proferire bestemmie. Se costui in cuor suo negasse l’esistenza di Dio 12, lo si potrebbe forse scusare da colpa? E così di tante altre malefatte. Esse non si compiono con gesti del corpo, anzi, vengono ignorate dai sensi esterni; eppure rendono colpevole l’uomo nell’intimo [della coscienza]. Egli viene reso impuro mediante il consenso a peccati di pensiero, quel consenso che noi chiamiamo parola colpevole della bocca interiore. Verso questa parola temeva il salmista che il suo cuore deviasse, e pertanto chiedeva al Signore che gli ponesse un uscio, quello della continenza, attorno alle labbra perché il suo cuore fosse tenuto a bada e non deviasse verso parole maligne. Voleva cioè quella continenza che impedisse al suo pensiero di consentire al male. In tal modo il peccato, secondo il precetto dell’Apostolo, non regna nel nostro corpo mortale, e le nostre membra non vengono offerte al peccato come armi per perpetrare azioni inique 13. Ma una tale prescrizione non l’adempiono certo coloro che, sebbene non si lascino andare a colpe esterne per il fatto che non ne hanno la possibilità, tuttavia quando l’occasione si presenta, attraverso l’uso che fanno delle membra, come di armi, mettono bene in mostra chi sia il padrone del loro cuore. Pertanto questi tali, per quanto è in loro, tengono le membra a servizio del peccato, come armi per gesta inique. Essi infatti vogliono il peccato, e, se non lo commettono all’esterno, è solo perché non lo possono.

Continenza interiore e condotta esterna.

2. 5. Non sarà mai possibile che si violi od offenda la continenza in senso stretto, cioè il dominio che per la castità si esercita sugli organi della generazione, finché si conserva nel cuore quella superiore continenza di cui stiamo trattando. Per questo motivo il Signore, detto che dal cuore escono i cattivi pensieri, per mostrare cosa rientri nel concetto di cattivo pensiero, soggiunse: Gli omicidi, gli adultèri ecc. 14. Non elencò tutte le colpe, ma, nominatene alcune a mo’ d’esempio, lasciò intendere anche le altre. Orbene, fra tutte queste colpe, non ce n’è alcuna che possa eseguirsi con atti [esterni] se prima non sia stata preceduta dal pensiero cattivo, col quale si architetta dentro ciò che poi viene effettuato al di fuori. E questo pensiero, uscendo dalla bocca del cuore, rende impuro l’uomo, anche se nessuna azione cattiva viene compiuta all’esterno, con le membra del corpo, per mancanza di occasione. Si ha dunque da porre l’uscio della continenza sulla bocca del cuore, da cui promanano tutte le cose che macchiano l’uomo: così, nulla di sconveniente potrà uscirne, ché anzi ne seguirà uno stato di purezza di cui la coscienza non potrà non rallegrarsi, per quanto non si sia ancora raggiunta quella perfezione dove la continenza non ha da lottare col vizio. Attualmente però, finché la carne avanza pretese contrarie a quelle dello spirito – così come lo spirito è contro la carne 15 -, è per noi sufficiente non consentire al male che avvertiamo in noi. Che se invece si presta questo consenso, allora esce dalla bocca del cuore ciò che macula l’uomo. Viceversa, se in virtù della continenza questo consenso non viene prestato, in nessun modo potrà nuocere quel male che è la concupiscenza della carne, contro la quale lotta lo spirito con le sue aspirazioni.

La lotta interiore.

3. 6. Condurre una buona battaglia – come si fa adesso, mentre si resiste alla invadenza della morte – è tutt’altra cosa dall’essere senza avversari: cosa che attendiamo per quando sarà stato annientato l’ultimo nemico che è la morte 16. Peraltro la continenza, mentre tiene a freno e modera gli appetiti sregolati, aspira anche al bene immortale a cui tendiamo, e respinge il male col quale lottiamo nella nostra condizione di esseri mortali. Del bene futuro è amante e ad esso è orientata; del male presente è avversaria e [solo] testimone. Ambisce ciò che nobilita, fugge ciò che degrada. Non si affaticherebbe, la continenza, a frenare le voglie della passione, se in noi non vi fossero tendenze per ciò che non conviene né moti della concupiscenza disordinata contrastanti con la nostra buona volontà. Lo grida l’Apostolo: So che in me, cioè nella mia carne, non risiede il bene; difatti, se mi riesce a volere il bene, quanto al praticarlo non ci riesco 17. Attualmente quindi può praticarsi il bene, nel senso di non consentire alle passioni disordinate; la perfezione del bene però si conseguirà soltanto quando la stessa cattiva concupiscenza verrà eliminata. Per cui lo stesso Dottore delle genti grida: Secondo l’uomo interiore mi compiaccio della legge di Dio; ma scorgo nelle mie membra un’altra legge, che lotta contro la legge della mia mente 18.

Legge e grazia.

3. 7. Questa lotta interiore l’avverte soltanto chi combatte per l’acquisto della virtù e la repressione dei vizi. Non c’è infatti mezzo per abbattere il male della concupiscenza all’infuori del bene della continenza. Quanto poi agli altri che non avvertono affatto le esigenze della legge di Dio e non collocano fra i nemici le brame della concupiscenza ma con lagrimevole cecità si pongono al loro servizio, costoro si stimano beati quando possono, non dico domarle, ma piuttosto soddisfarle. Altri, invece, ce ne sono che ad opera della legge hanno conosciuto le voglie della carnalità: è infatti dalla legge che viene la conoscenza del peccato; come è detto ancora: Io non avrei conosciuto la concupiscenza se nella legge non ci fosse la proibizione di desiderare [l’illecito] 19. Costoro le hanno conosciute, ma vengono superati dal loro prolungato assedio, perché vivono sotto la legge, che prescrive di fare il bene senza fornire i mezzi per attuarlo, e non sotto la grazia che mediante l’azione dello Spirito Santo dà facoltà di attuare ciò che la legge prescrive. La legge, quando sopraggiunse, fece sì che in loro traboccasse il numero delle trasgressioni 20. La proibizione accrebbe la forza delle passioni e le rese insuperabili; e si giunse così alla prevaricazione, che, se non ci fosse stata la legge, non sarebbe esistita, nonostante l’esistenza del peccato. Difatti, dove non c’è legge, non c’è nemmeno prevaricazione 21. In tal modo, la legge, senza l’aiuto della grazia, col suo proibire il peccato divenne una potenza del peccato; per cui l’Apostolo poté dire: La forza del peccato è la legge 22. Né ci deve sorprendere che l’infermità umana, mentre presume di adempiere la legge confidando nelle sue sole forze, proprio mediante la legge, che di per sé è buona, abbia accresciuto la forza al male. Misconoscendo infatti la giustizia che Dio accorda al debole e pretendendo di istaurare una sua giustizia personale – di cui egli, infermo, è sprovvisto -, viene a sottrarsi alla giustizia di Dio 23, e, nella sua superbia, rimane riprovato. Se però la legge rende l’uomo prevaricatore, lo fa perché, ferito più gravemente, egli desideri il medico, e in tal modo, come un pedagogo, conduce l’uomo alla grazia 24. In contrasto con quell’attrattiva perniciosa per la quale riportava le sue vittorie la concupiscenza, il Signore accorda allora una dolcezza salutare che fa prevalere le attrattive della continenza. In tal modo la nostra terra produce i suoi frutti 25: quei frutti di cui si ciba il soldato di Cristo che, con l’aiuto di Dio, debella il peccato.

Reagire alla concupiscenza.

3. 8. Per tali soldati squillò la tromba apostolica, ed essi, al suono di queste parole, furono infervorati a battaglia. Che il peccato – diceva – non abbia a regnare nel vostro corpo mortale in modo che obbediate ai suoi desideri. Non offrite le vostre membra, come armi d’ingiustizia, al peccato; ma offrite voi stessi a Dio, come viventi, da morti che eravate. E le vostre membra offritele a Dio come armi di giustizia. Il peccato allora non vi dominerà; poiché voi non siete più sotto la legge ma sotto la grazia 26. E altrove: Fratelli, noi siamo debitori, ma non verso la carne, sì da dover vivere secondo la carne. Difatti, se vivrete secondo la carne, morrete; mentre se, in forza dello Spirito, farete morire le opere della carne, vivrete. Tutti coloro infatti che sono guidati dallo Spirito di Dio sono figli di Dio 27. Attualmente dunque, cioè mentre rinati alla grazia abbiamo a durare nella nostra vita mortale, il nostro compito consiste nell’impedire che il peccato, cioè la concupiscenza peccaminosa (qui appunto chiamata peccato), domini da tiranno nel nostro corpo mortale. La quale tirannia è in noi manifesta quando ci si assoggetta alle sue voglie disordinate. Concludendo: esiste in noi una concupiscenza peccaminosa, a cui non si deve dar modo di regnare; ci sono delle voglie, nate da lei, a cui non si deve dar retta, perché non succeda che, assecondandole, la concupiscenza diventi nostra padrona. Che delle nostre membra non abbia, quindi, a servirsi la concupiscenza, ma le diriga la continenza; e così siano armi di giustizia in mano a Dio e non armi di iniquità al servizio del peccato. In questa maniera il peccato non spadroneggerà in noi. Noi infatti non siamo sotto la legge, che prescrive il bene ma non lo dona, ma siamo in regime di grazia: la quale, facendoci amare ciò che la legge prescrive, può comandarcelo come a dei figli.

Le opere della carne e i frutti dello Spirito.

3. 9. Nelle altre parole ci esorta a vivere non secondo la carne, per non morire, ma piuttosto a mortificare le opere della carne, in modo da ottenere la vita. È una tromba che squilla. Essa addita la guerra che infuria attorno a noi e ci infervora a combattere da forti e a debellare i nostri nemici, perché non succeda che veniamo messi a morte da loro. Quali poi siano questi nemici, lo indica assai chiaramente, ordinandoci ancora di ucciderli. Essi sono le opere della carne. Dice infatti: Mediante lo Spirito uccidete le opere della carne, e conseguirete la vita 28. E se vogliamo sapere quali siano queste opere, ascoltiamo lo stesso Apostolo nella lettera ai Galati: È chiaro quali siano le opere della carne. Sono: la fornicazione, l’impurità, la dissolutezza, l’idolatria, la magia, le inimicizie, le contese, le gelosie, le ire, le discordie, le eresie, le invidie, le ubriachezze, le gozzoviglie, ed altre cose simili. Riguardo a tali cose vi avverto, come già vi ho avvertiti, che chi si dedica a tali opere non possederà il regno di Dio 29. Ciò dicendo, mostra ancora come lì sia la guerra, e con tromba celeste e spirituale incita i soldati di Cristo a dare la morte a questi nemici. Poco prima aveva detto: Io però vi dico così: Vivete secondo lo Spirito e non vogliate soddisfare i desideri della carne. La carne infatti ha desideri opposti a quelli dello Spirito, come anche lo Spirito ha desideri contrari a quelli della carne. Essi sono in contrasto tra loro; sicché voi non potete fare ciò che vorreste. Se però siete guidati dallo Spirito, non siete sotto la legge 30. Vuole pertanto che quanti sono rinati alla grazia sostengano questo conflitto contro le opere della carne; e per indicare quali siano queste opere della carne, aggiunge la serie sopra riferita: Le opere della carne – è facile scoprirle – sono la fornicazione 31 e tutto il resto, tanto le altre che elenca subito appresso quanto quelle che lascia sottintendere, specialmente nelle parole: e altre cose simili. Volendo poi presentare in detta battaglia un’altra armata, di ordine, per così dire, spirituale, in lotta contro quella specie di esercito carnale, soggiungeva: Frutto dello Spirito sono la carità, la gioia, la pace, la pazienza, la benignità, la bontà, la fedeltà, la dolcezza, la continenza. Contro virtù di questo genere non c’è legge [che tenga] 32. Non dice “contro queste”, perché non si pensasse che siano esse sole (per quanto anche se avesse detto così, avremmo potuto intendere tutti i valori che rientrano in tali categorie); ma dice: Contro virtù di questo genere, cioè contro queste e contro tutte le altre simili a queste. Nella serie dei beni che ha ricordato, la continenza – di cui ci occupiamo nel presente trattato e di cui già abbiamo detto parecchie cose – viene posta per ultima. È perché vuole che essa resti, fra tutte, la più impressa nella nostra mente. Difatti, nella guerra che lo spirito combatte contro la carne, essa è d’importanza capitale, poiché è essa che, in certo qual modo, affigge alla croce le concupiscenze carnali. Soggiungeva infatti l’Apostolo, dopo le precedenti affermazioni: Quelli che appartengono a Gesù Cristo crocifiggono la loro carne con le sue passioni e concupiscenze 33. Ecco l’azione della continenza: mortificare le opere della carne. Le quali opere carnali, viceversa, sono esse a infliggere la morte a quanti, credendosi dispensati dalla continenza, si lasciano indurre dalla concupiscenza a consentire e a tradurre in atto le opere del male.

Guardarsi dalla presunzione.

4. 10. Per evitare cedimenti in fatto di continenza, dobbiamo stare in guardia contro le insidie e le suggestioni del diavolo, evitando soprattutto di presumere delle nostre forze. Poiché maledetto l’uomo che ripone nell’uomo la sua speranza 34. E chi è ciascuno se non un uomo? Non si può quindi riporre la propria fiducia in se stessi e dire che non la si pone in un uomo. Orbene, se il vivere in conformità alla propria natura umana è vivere secondo la carne, chiunque venga allettato a seguire le lusinghe della passione, ascolti e, se gli è rimasto un po’ di senso cristiano, si spaventi. Ascolti, ripeto: Se vivrete secondo la carne, morrete 35.

Non camminare secondo la carne.

4. 11. Qualcuno potrebbe obiettarmi che una cosa è vivere secondo l’uomo, e un’altra secondo la carne. L’uomo infatti è una creatura razionale e in lui c’è un’anima razionale per la quale si differenzia dal bruto, mentre la carne è la sua parte inferiore e terrena. Per cui vivere secondo la carne è, sì, vizioso; ma colui che vive secondo l’uomo non vivrebbe secondo la carne, ma piuttosto secondo quella parte della sua umanità per la quale è un uomo, cioè secondo lo spirito e la ragione, che lo fanno superiore ai bruti. Un tal modo d’argomentare vale, forse, qualcosa nell’ambito delle scuole filosofiche; ma noi, per comprendere l’Apostolo di Cristo, dobbiamo investigare quale sia il modo di esprimersi dei nostri libri cristiani. È certamente articolo di fede, per tutti noi che in Cristo abbiamo la vita, che il Verbo di Dio assunse l’umanità non priva dell’anima razionale (come pretendono certi eretici); eppure leggiamo: Il Verbo si fece carne ed abitò tra noi 36, in un passo come questo, cosa bisognerà intendere per carne se non l’uomo? E vedrà ogni carne la salvezza di Dio 37, cosa intendere anche qui se non ogni uomo? Verrà a te ogni carne 38, che cosa significa se non ogni uomo? Hai dato a lui il potere su ogni carne 39 su che cosa se non su tutti gli uomini? Mediante le opere della legge non sarà resa giusta alcuna carne 40, cosa vuol dire se non che nessun uomo verrà giustificato? Idea che lo stesso Apostolo esprime più chiaramente in un altro passo dove dice: Dalle opere della legge l’uomo non viene giustificato 41. Parimenti, quando rimprovera i Corinzi dice loro: Ma non siete voi delle persone carnali e vi comportate da uomini? 42. Li chiama persone carnali, e nel precisare, non ripete: “Voi vi regolate secondo la carne” ma come uomini. Vuol dire che la frase da uomini equivale a secondo la carne. Che se, al contrario, comportarsi o vivere secondo la carne fosse colpa, e vivere secondo l’uomo fosse un pregio, non direbbe in tono di rimprovero: vi comportate da uomini. Si riconosca, quindi, il rimprovero; si muti il proposito; si eviti la rovina. Ascolta, o uomo: non comportarti secondo l’uomo, ma conforme ai voleri di colui che fece l’uomo. Non allontanarti da chi ti ha creato, fosse anche per ripiegarti su di te. Ci fu infatti un uomo, che non viveva a livello di uomo, il quale diceva: Non siamo in grado di pensare alcunché da noi stessi, in base alle nostre risorse, ma ogni nostra riuscita è da Dio 43. Vedi un po’ se vive da uomo [decaduto] colui che, con tanta verità, afferma queste cose. Avvertendo, dunque, l’uomo a non vivere da [semplice] uomo, l’Apostolo restituisce l’uomo a Dio. Che se uno non vive secondo l’uomo, ma secondo Dio, certo non vive più per se stesso, perché anche egli è un uomo. Tuttavia anche di uno che così vive si dice che vive secondo la carne, perché, anche se viene menzionata solo la carne, si intende tutto l’uomo, come abbiamo dimostrato. Proprio come quando si menziona solo l’anima, e si intende tutto l’uomo. Per cui sia scritto: Ogni anima sia soggetta ai poteri più elevati 44, e questo vuol dire: Ogni uomo sia soggetto. E ancora: Settantacinque anime discesero in Egitto insieme a Giacobbe 45: significa settantacinque persone. Non voler, dunque, o uomo, vivere secondo la tua natura. Ciò facendo ti eri rovinato, ma sei stato recuperato. Non vivere – ripeto – secondo quell’essere che sei tu: così facendo ti eri smarrito, ma sei stato ritrovato. Non prendertela contro la tua umanità, quando senti le parole: Se vivrete secondo la carne, morrete 46. Avrebbe potuto dire, e dirlo con la massima esattezza: Se condurrete una vita secondo la vostra natura di uomini, morrete. Il diavolo infatti non ha carne, eppure, avendo voluto vivere secondo la sua natura, non rimase nella verità 47. Che sorpresa, allora, se egli vivendo in conformità della sua natura, quando suggerisce menzogne, parla di quello che ha di proprio 48? È una verità asserita nei suoi riguardi da colui che è la Verità.

Diffidenza di sé.

5. 12. Ascolta le parole: Il peccato non domini in voi 49, e non fidarti di te stesso. Così il peccato non verrà a dominarti. Fidati piuttosto di colui al quale un santo rivolgeva la preghiera: Indirizza il mio camminare in conformità alle tue parole; e non venga a soggiogarmi alcuna iniquità 50. Difatti, per evitare che, inorgogliti dalle parole: Il peccato non vi tiranneggi, attribuissimo a noi stessi questo risultato, l’Apostolo, proprio in vista di ciò, soggiunse: Voi non siete sotto la legge ma sotto la grazia 51. È dunque la grazia che impedisce al peccato di dominare su di te. Non poggiare la tua fiducia su te stesso, perché non si consolidi maggiormente su di te il dominio del peccato. Ugualmente, quando sentiamo dirci: Se mediante lo Spirito mortificherete le opere carnali, avrete la vita 52, non dobbiamo attribuire un bene così grande alle forze del nostro spirito, quasi che esso, da solo, abbia tali risorse. Non accettiamo questo senso carnale, che ci darebbe uno spirito morto esso stesso e non in grado di dare la morte alla carne. Ce lo dice subito appresso: Quanti sono mossi dallo Spirito di Dio, sono figli di Dio 53. È, dunque, lo Spirito di Dio quello che ci muove a mortificare col nostro spirito le opere della carne. Egli dà la continenza, mediante la quale riusciamo a frenare, a domare e a vincere la concupiscenza.

Le ferite del peccato.

5. 13. È una grande lotta quella in cui vive l’uomo rinato alla grazia, e, quando con l’aiuto divino riesce a combattere bene, esperimenta nel Signore una trepida esultanza. Tuttavia, anche ai combattenti più gagliardi e a quanti con animo indomito mortificano le opere della carne, non mancano ferite, loro inferte dal peccato. Sono le ferite per la cui guarigione ogni giorno supplichiamo con verità: Rimetti a noi i nostri debiti 54. Contro questi vizi e contro il diavolo, principe e sovrano dei vizi, si ha da ingaggiare, mediante l’orazione, una lotta molto accorta e accanita, affinché certe sue perniciose suggestioni non abbiano a spuntarla. Dico delle tentazioni che, oltre tutto, inclinano il peccatore a scusare, non ad accusare, le proprie colpe: per cui le ferite non solo non guariscono ma, anche se prima non erano mortali, divengono più gravi e danno la morte. È questo un campo in cui occorre una continenza veramente rigorosa. Essa deve essere in grado di frenare la smania boriosa per la quale l’uomo vuol piacere a se stesso e non riconoscersi colpevole, e, anche se è in peccato, rifiuta di ammettere che è stato lui a peccare. Non si decide ad accusare se stesso con quell’umiltà che lo salverebbe; ma mosso dall’orgoglio cerca piuttosto di scusarsi, e così va in rovina. Per arginare quest’orgoglio, chiedeva quel tale al Signore il dono della continenza: quel tale di cui sopra ho riferito le parole, commentandole come ho potuto. Aveva infatti esclamato: Poni, o Signore, una custodia alla mia bocca, una porta – la continenza – sulle mie labbra. Non permettere che il mio cuore pieghi verso parole maligne; ma, per farci meglio comprendere a che cosa si riferiva, soggiunse: che non avanzi scuse di fronte ai peccati 55. Cosa, infatti, può esserci di più perverso delle parole con le quali il colpevole, convinto dell’azione cattiva che non può negare, rifiuta di riconoscersi colpevole? E, siccome non può nascondere il fatto né può chiamarlo azione onesta, e d’altra parte si rende conto che a tutti è noto chi ne sia l’autore, si ingegna di riversare su un altro la responsabilità dell’accaduto: quasi che, ciò facendo, possa evitarne la responsabilità. Col non riconoscersi reo, aumenta piuttosto la sua colpa; e non comprende che, scusando i propri peccati, invece di accusarli, non si scrolla di dosso la pena ma ne ostacola il perdono. Presso i giudici umani, soggetti come sono a sbagliare, se uno anche con menzogne riesce a scolparsi del male commesso, può conseguirne un qualche momentaneo vantaggio. Ma Dio non può essere tratto in inganno, e quindi non è il caso di ricorrere a false difese ma piuttosto alla sincera confessione dei peccati.

Cause esterne di peccato e responsabilità personale.

5. 14. C’è della gente che, per scusarsi dei peccati, se la prendono col destino, quasi che sia stato lui a spingerli al male, o con le stelle, dove il male sarebbe stato determinato. Il primo a peccare sarebbe stato, quindi, il cielo, perché ha stabilito un ordine per il quale, in un secondo momento, l’uomo pecca traducendo in atto quei decreti. Altri preferiscono ascrivere alla sorte i loro peccati: credono che ogni cosa sia mossa dal cieco fato, ma, quanto alla loro scienza e alle loro asserzioni, lì sono duri a sostenere che non è questione di caso o di sorte ma di motivi controllati. Ma quale balordaggine non è mai quella di attribuire alla ragione le proprie argomentazioni, e voler attribuire le proprie azioni ai capricci della sorte? Altri riversano sul diavolo la responsabilità di tutto ciò che fanno di male, né vogliono ammettere che, insieme con lui, anche loro hanno almeno una parte di colpa. Invece, anche quando si può sospettare che lui abbia spinto al male con suggestioni occulte, non si può mettere in dubbio che il consenso a tali suggestioni, da qualunque parte provenienti, sono stati loro a darlo. Ce ne sono anche di quelli che, pur di scusarsi, giungono ad accusare Dio. Miseri, in riferimento al giudizio divino che li attende; blasfemi, in riferimento al furore che li anima. In opposizione a lui, essi suppongono nell’uomo una sostanza del male, originata da un principio contrario e in continuo stato di ribellione. A questo principio ribelle, Dio non avrebbe potuto resistere, se non gli avesse abbandonato una porzione della sua propria sostanza e natura, affinché, mescolandosi con esso, venisse contaminata e corrotta. Il peccato – dicono essi – avviene quando in essi la natura del male prende il sopravvento sulla natura di Dio. È, questa, la turpissima follia dei manichei, i cui artifizi diabolici vengono molto facilmente infranti dalla verità, da tutti ammessa, che ritiene essere la natura di Dio esente da ogni contaminazione e corruzione. Ma quale scellerata contaminazione e corruzione non si ha diritto di supporre in questa gente, che si immagina corruttibile e soggetto a contaminazione Dio stesso che è l’essere sommamente e incomparabilmente buono?

Dio abomina il peccato, anche se lo permette.

6. 15. Ci sono di quelli che, volendo scusare i loro peccati, ne accusano Dio, dicendo persino che egli trova gusto nel peccato. Se gli dispiacesse – dicono -, onnipotente com’è, non permetterebbe in alcun modo il peccato. Quasi che Dio lasci impunite le colpe. E questo, in quegli stessi che, avendoli perdonati, libera dal castigo eterno. Non c’è infatti alcuno cui venga condonata una pena grave che gli era dovuta, e che non abbia a scontare un’altra pena, per quanto assai più leggera di quella che s’era meritata. E se Dio dispensa con larghezza la sua misericordia, lo fa a patto che non vengano trascurate le esigenze della sua giustizia. Anche il peccato che sembra rimanere impunito è accompagnato, come da un’ancella, dalla pena: di modo che tutti ci si debba dispiacere amaramente delle colpe commesse o, se non ci si dispiace, è questione di cecità. E allora, se tu mi dici: “Perché permette certe cose, se gli dispiacciono?”, io ti replico: “Come fa a punirle, se gli piacciono?”. Ne segue che, come io ammetto che nessun peccato accadrebbe se Dio nella sua onnipotenza non lo permettesse, così anche tu devi ammettere che i peccati non si debbono fare, se Dio nella sua giustizia li punisce. Evitando di fare ciò che egli punisce, potremo meritarci di conoscere perché egli permetta ciò che poi punisce. Il cibo solido è – dice la Scrittura – degli uomini perfetti 56. E coloro che hanno fatto progressi in questa via, già comprendono come rientri nello stile dell’onnipotenza divina il permettere che ci siano dei mali, derivanti dal libero arbitrio della volontà. È infatti così grande la sua onnipotenza e bontà che può trarre il bene anche dal male : o perdonandolo, o guarendolo, ovvero ordinandolo e volgendolo in bene per le persone fedeli, o anche castigandolo con somma giustizia. Tutti questi interventi sono buoni e degnissimi di un Dio buono e onnipotente; eppure non ci sarebbero se non ci fosse il male. Cosa dunque c’è di più buono, cosa di più onnipotente di colui che, mentre non compie alcun male, ricava il bene anche dal male? Coloro che hanno commesso il male gridano a lui: Rimetti a noi i nostri debiti 57. Egli li ascolta e li perdona. Peccando, s’erano fatti del male; Dio li soccorre e porta rimedio al loro male. I nemici infieriscono sugli amici di Dio. Dio, attraverso la loro crudeltà, forma i martiri. Alla fine poi condanna quelli che giudica degni di castigo: essi gemono nel proprio male, Dio tuttavia fa una cosa buona. Ogni cosa giusta è, infatti, anche buona; e certamente, com’è ingiustizia il peccato, così è cosa giusta la punizione del peccato.

L’uomo attende l’impeccabilità.

6. 16. Non mancava a Dio il potere di creare l’uomo con la prerogativa di non poter peccare, ma egli preferì crearlo tale che, se avesse voluto, gli fosse permesso di peccare e, se non avesse voluto, fosse potuto restare senza peccato. Gli proibì pertanto il peccato e gli prescrisse di non peccare, affinché conseguisse, in un primo tempo, il merito di non aver peccato, e poi, come giusto premio, gli fosse accordato di non poter peccare. Egli infatti alla fine renderà i suoi santi tali che non possano assolutamente peccare, come sono adesso gli angeli di Dio. E noi, questi angeli, li amiamo nel Signore, e siamo certi che nessuno di loro col peccato diventerà diavolo. Quanto agli uomini, invece, per quanto giusti, noi di nessuno presumiamo una tal cosa finché resta in questa vita mortale, ma ce l’attendiamo tutti per la vita immortale. Dio onnipotente, che sa ricavare il bene anche mediante i nostri mali, quali beni non saprà darci, quando ci avrà liberati da tutti i mali? Si potrebbero sviluppare trattazioni più ampie e più sottili sul valore e le finalità del male; ma non è questo il tema del presente opuscolo; e poi bisogna stare attenti che non divenga troppo prolisso.

Continenza e giustizia.

7. 17. Ritorniamo al tema che ci ha spinti alla presente digressione. Noi abbiamo bisogno della continenza e riconosciamo che essa è un dono di Dio, mediante il quale il nostro cuore non si lascia andare a parole maliziose volendo scusare i peccati. Della continenza abbiamo bisogno per trattenerci da ogni sorta di peccati e non commetterli. Per suo mezzo ugualmente, qualora il peccato sia stato commesso, ci asteniamo dal difenderlo con micidiale superbia. In ogni maniera, dunque, è necessaria la continenza se vogliamo evitare il male. Fare il bene, invece, sembra esser compito di un’altra virtù, la giustizia, come ci inculca il santo salmo dove leggiamo: Allontànati dal male e fa’ il bene. E soggiunge anche il fine per cui lo dobbiamo fare: Ricerca la pace e mettiti sulle sue orme 58. Ma la pace perfetta la conquisteremo solo quando la nostra natura sarà unita inseparabilmente al suo Creatore e in noi non ci sarà niente che si ribelli contro di noi. È – per quanto mi è dato capire – quanto volle inculcare il nostro Salvatore allorché disse: I vostri fianchi siano cinti e le vostre lampade accese 59. Cosa vuol dire cingere i fianchi? Tenere a freno le passioni sregolate: e questo è compito della continenza. Avere le lampade accese vuol dire invece splendere ed essere fervorosi nelle opere buone: e questo è compito della giustizia. Né volle passare sotto silenzio il fine per cui dobbiamo agire così, ma soggiunse: Siate simili a quelle persone che stanno in attesa del padrone, finché non ritorni dalle nozze 60. Quando egli verrà, ci ricompenserà per esserci frenati in quello che la passione suggeriva e per aver compiuto quel che la carità ordinava. Regneremo allora nella sua pace perfetta ed eterna, né avremo più da lottare col male ma godremo sommamente nella gioia del bene.

Buona la natura, per quanto inferma.

7. 18. Noi crediamo in Dio vivo e vero, la cui natura è sommamente buona e immutabile, incapace di fare il male e di riceverne. Da lui deriva ogni bene, anche quello che è soggetto a diminuzioni, mentre in quel bene che è la sua stessa essenza diminuzioni non possono esserci. Convinti di questo, ascoltiamo rettamente le parole dell’Apostolo: Regolatevi secondo lo spirito e non vogliate soddisfare i desideri della carne. La carne infatti ha desideri opposti a quelli dello spirito e lo spirito desideri opposti a quelli della carne. Essi sono in contrasto fra loro, di modo che voi non non potete fare quello che vorreste 61. Non crediamo assolutamente a quello che sostengono pazzescamente i manichei, che cioè in questo passo si presentino due nature, una del bene e l’altra del male, in lotta fra loro per via dei loro principi opposti. Sono – queste due realtà – assolutamente buone, l’una e l’altra: buono lo spirito, buona la carne. E buono è anche l’uomo, che risulta delle due sostanze, l’una che comanda, l’altra che sta soggetta, anche se egli è mutevole nella sua bontà. Autore del tutto, poi, non potrebbe essere se non quell’Uno che è immutabile nella bontà. È lui che ha creato buona ogni cosa tanto se piccola come se grande. Se essa è piccola, chi l’ha tratta all’esistenza è grande. Se è grande, non è certo da paragonarsi in alcun modo con la grandezza del Creatore. Tuttavia in questa natura dell’uomo, sebbene buona e creata rettamente e convenientemente strutturata da quell’Uno che è buono, attualmente esiste una guerra, poiché non ha ancora conseguito la salute. Guarita l’infermità, ci sarà la pace; e mi riferisco all’infermità causata dalla colpa, non affermo che essa sia congenita nella natura. Questa colpa è stata, sì, rimessa ai fedeli quando per grazia di Dio sono stati lavati a rigenerazione; ma, sebbene in mano al medico, la natura ha ancora da combattere con le proprie malattie. In tale combattimento la salute verrà con la vittoria completa: non una salute temporanea ma eterna. Là avrà fine il presente languore, né alcun altro ne sorgerà. Da ciò si spiega l’apostrofe che il giusto rivolge alla sua anima: Benedici, anima mia, il Signore, e non scordarti dei tanti suoi benefici. Egli perdona tutte le tue colpe, risana tutte le tue infermità 62. È propizio alle iniquità, quando rimette i peccati; sana le malattie, quando raffrena i cattivi desideri. È propizio alle iniquità, quando accorda il perdono; risana le malattie, quando concede la continenza. Il primo dono ci venne accordato nel battesimo, quando confessammo il suo Nome; l’altro ci si concede mentre combattiamo nell’arena, quando, sorretti dal suo aiuto, ci impegniamo a vincere la nostra malattia. Ogni giorno, anzi, ci si concedono i due doni: il primo quando viene esaudita l’invocazione: Rimetti a noi i nostri debiti; il secondo quando Dio ascolta le altre parole: Non ci esporre alla tentazione 63. Difatti, ognuno è tentato – secondo quel che dice l’apostolo san Giacomo – perché fuorviato e sedotto dalla sua concupiscenza 64: vizio per il quale si implora l’aiuto e la medicina da colui che è in grado di guarire tutti i languori spirituali. Egli non strappa da noi la nostra natura, quasi che sia estranea a noi, ma la rimette in ordine. Ragion per cui il citato apostolo non dice: Ognuno è tentato dalla concupiscenza, ma precisa: dalla sua. E allora, ascoltando queste parole, impariamo a supplicare: Io esclamo: Signore, abbi pietà di me; risana l’anima mia, perché ho peccato contro di te 65. Non avrebbe infatti – l’anima – avuto bisogno d’essere guarita, se peccando non si fosse viziata. E il vizio sta in questo: che la carnalità avanza desideri contrastanti con quelli dello spirito. Cioè: l’anima, per la parte che è diventata inferma e asservita alla carnalità, sta in guerra con se stessa.

Amare la carne combattendone i vizi.

8. 19. La carne non avanza desideri se non attraverso l’anima; e se si dice della carne che è in contrasto con lo spirito, lo si dice in quanto l’anima, dietro la spinta della concupiscenza carnale, si ribella allo spirito. Tutto questo siamo noi; e di noi la parte inferiore è la carne, quella carne che muore quando l’anima se ne separa: non nel senso che la abbandona come cosa da fuggirsi, ma solamente la lascia da parte per un certo tempo per poi riassumerla e, una volta ripresala, non abbandonarla mai più. Si semina un corpo animale; risorgerà un corpo spirituale 66. Allora la carne non nutrirà voglie contrarie a quelle dello spirito, ma meriterà anche lei il nome di sostanza spirituale. Sarà sottomessa allo spirito senza ribellarglisi, e sarà dotata d’una vita eterna, esente da ogni bisogno di alimento materiale. Attualmente, però, questi due elementi, che poi siamo noi stessi, sono in contrasto fra loro; e bisogna pregare e lavorare perché si mettano d’accordo. Non dobbiamo pensare che uno dei due sia nostro nemico, ma, se la carne avanza desideri contro lo spirito, dipende dal vizio. Quando questo vizio sarà guarito, cesserà anche di esistere, e le due sostanze saranno salve e ogni contrasto verrà abolito. Prestiamo ascolto all’Apostolo: So – dice – che non abita in me, cioè nella mia carne, il bene 67. Questo, senza dubbio, perché la viziosità della carne, anche se subiettata in una realtà buona, non è un bene. Quando poi cesserà il vizio, resterà ugualmente la carne, ma non sarà più né viziata né viziosa. Essa comunque fa sempre parte della nostra natura: come dice san Paolo: So che non abita in me il bene, aggiungendo, a scopo di precisazione: In me, vale a dire: Nella mia carne. Se stesso e carne sua significano la stessa cosa. In se stessa, dunque, la carne non è nostra nemica; e quando opponiamo resistenza ai suoi vizi, dimostriamo amore per lei, poiché la vogliamo curare. Nessuno, infatti – dice ancora l’Apostolo –, ha mai avuto in odio la sua propria carne 68. Come in un altro passo dice ancora: Pertanto io stesso con la mente servo alla legge di Dio, ma con la carne alla legge del peccato 69. Lo ascoltino quanti hanno orecchi: io stesso. Io per la mente, io per la carne. Solo che nella mente servo alla legge di Dio, mentre nella carne servo alla legge del peccato. In che modo, con la carne servo alla legge del peccato? Forse consentendo alla concupiscenza carnale? Certo no. Si dice servo, in quanto nella carne ha da sostenere certi moti e appetiti che non avrebbe voluto avere, eppure aveva. Negando ad essi il consenso, serviva con la mente alla legge di Dio, e teneva in suo dominio le membra perché non divenissero armi di peccato.

La lotta avrà fine.

8. 20. Ci sono dunque in noi dei desideri cattivi, ai quali, se non consentiamo, non viviamo malamente. Ci sono delle voglie peccaminose, alle quali, finché non diamo retta, non commettiamo il male; ma pure, per il solo fatto d’averle non raggiungiamo la perfezione del bene. L’Apostolo precisa le due cose: che non si è perfetti nel bene finché esistono in noi desideri di male; che non si commette il male finché si resiste a tali desideri. La prima cosa, la sottolinea là dove dice: Mi riesce di volere il bene, ma non di realizzarlo in pieno 70; la seconda, in quell’altro passo: Camminate secondo lo spirito, e non traducete in atto le voglie della carne 71. Non dice, in quel primo passo, che non gli riesce di fare il bene ma di realizzarlo in pieno. Né in quell’altro proibisce di avere le passioni carnali, ma di attuarle con opere. Le passioni cattive agiscono in noi tutte le volte che esperimentiamo un piacere per cose illecite, ma non si traducono in atto se la mente, al servizio della legge di Dio, riesce a frenare questi appetiti disordinati. E così anche il bene: lo si compie, in qualche modo, tutte le volte che, docili all’attrattiva del bene, neghiamo il consenso al piacere sregolato. La perfezione del bene, tuttavia, non la si raggiunge finché la carne rimane al servizio del peccato, si lascia lusingare dal piacere disordinato, e, sebbene tenuta a freno, tuttavia si muove verso l’illecito. Non ci sarebbe infatti bisogno di frenarla se non si muovesse. Verrà una buona volta questa perfezione del bene, e allora sarà abolito ogni male. Quello sarà sommo; questo totalmente scomparso. Ma queste cose, se ce le aspettiamo per la vita presente e mortale, ci inganniamo: saranno per quando non ci sarà più la morte e, quanto al luogo, saranno là dove la vita sarà eterna. Difatti in quell’eternità e in quel regno il bene sarà assoluto e il male non esisterà in alcun modo. E sarà, allora, sommo l’amore per la sapienza, e non ci sarà più il dovere penoso della continenza. Non è dunque cattiva la nostra carne; basta che sia sottratta al potere del male, cioè ai vizi che hanno deteriorato l’uomo: il quale non fu creato malamente ma si causò il proprio male. Per l’un elemento e per l’altro, cioè quanto all’anima e quanto al corpo, l’uomo fu creato buono e da un Dio buono; fu lui stesso a rendersi cattivo commettendo il male. E sebbene mediante il perdono sia stato già liberato dal reato della colpa originale, gli resta tuttavia da lottare mediante la continenza contro i suoi vizi, perché si convinca che non fu colpa leggera quella che commise. Quanto poi a coloro che regnano nella pace che ha da venire, impossibile pensare che abbiano a lottare coi vizi. Non potrebbe essere altrimenti, poiché, nella guerra che quaggiù si combatte dai proficienti, ogni giorno si riducono non solo i peccati ma anche le passioni sregolate. E la lotta sta proprio nel negare loro il consenso, mentre si commette peccato quando loro si consente……………

Ambito della continenza.

13. 28. Della continenza dice la Scrittura che è dono della Sapienza conoscere da chi proviene 110. Orbene, non sia mai detto che questo dono celeste lo posseggano quei tali che si contengono perché schiavi dell’errore, o coloro che riescono a domare qualcuna delle loro vogliuzze al fine di soddisfare poi le altre più grandi, di cui sono schiavi. La continenza vera, quella che viene dall’alto, non vuole che nuovi mali si sostituiscano ai mali precedenti, ma, mediante il bene, vuol guarire ogni sorta di mali. Eccone in brevi parole tutto il campo d’azione. La continenza ha il compito di vigilare perché siano dominate e risanate tutte, senza eccezione, quelle voglie di godere che, nate dalla concupiscenza, si oppongono alle gioie della sapienza. Ne restringono, pertanto, troppo l’ambito quei tali che sentenziano essere suo ufficio frenare soltanto i piaceri carnali. Un po’ meglio, certo, coloro che, senza aggiungere la delimitazione corpo, dicono che la sfera d’azione della continenza si estende, generalmente, a moderare ogni sorta di desideri o cupidigie sregolate. Tale cupidigia, la si ritiene vizio, e vizio non solo del corpo ma anche dell’anima. Se infatti la passione carnale agisce nelle fornicazioni e nelle ubriachezze, nessuna soddisfazione si procura al corpo con le inimicizie, le contese, le gelosie, le stizze: le quali si esercitano con l’anima e ne sono moti o passioni 111. Eppure l’Apostolo chiama opere della carne tutte queste passioni, tanto quelle che rientrano nell’ambito dello spirituale quanto quelle che propriamente sono della carne. Ciò dipende dal fatto che egli chiama carne l’uomo in quanto tale; e opere dell’uomo sono tutte quelle che non sono opere di Dio. Difatti l’uomo che le compie, e proprio perché le compie, vive secondo il suo proprio naturale e non secondo Dio. Mentre ci sono altre opere che, sebbene dell’uomo, tuttavia sono da chiamarsi opere di Dio. È Dio infatti – dice l’Apostolo – colui che opera in voi e il volere e il realizzare le opere, secondo la buona volontà 112. E ancora: Tutti quelli che sono mossi dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio 113.

La continenza nel rinato in Cristo.

13. 29. Lo spirito dell’uomo, dunque, se aderisce allo Spirito di Dio, nutre dei desideri contrari alla carne, cioè in ultima analisi, contrari a se stesso. Questo però torna a suo vantaggio, nel senso che si tratta di moti umani non conformi alla legge di Dio: moti che, nati dall’infermità contratta col peccato, seguitano tuttora ad insorgere tanto nel corpo quanto nell’anima. Essi vengono rintuzzati dalla continenza, per il conseguimento della salute. In tal modo, l’uomo, non vivendo più da uomo decaduto, potrà dire: Veramente non sono più io che vivo; è Cristo che vive in me 114. Dove infatti non c’è più il mio io, là ci sono io in una forma più sublime e fortunata. In tale situazione, quando si solleva un qualche moto naturale e riprovevole, siccome la persona, che con la mente è al servizio dello Spirito di Dio, non gli consente, può anche affermare che non è lei a compiere quel male 115. A tal sorta di persone vengono dette quelle parole che dobbiamo essere in grado d’intendere anche noi, in quanto anche noi siamo loro colleghi e compartecipi: Se siete risuscitati con Cristo, cercate le cose dell’alto, dov’è il Cristo, assiso alla destra di Dio; pensate alle cose dell’alto, e non a quelle che sono sulla terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio. Quando comparirà Cristo, vostra vita, allora anche voi apparirete con lui nella gloria 116. Cerchiamo di capire a chi siano indirizzate queste parole, anzi, ascoltiamolo con maggiore attenzione, poiché nulla è più chiaro e manifesto di questo. Egli si rivolge a coloro che sono risuscitati con Cristo: risuscitati spiritualmente, non ancora col corpo. Li dice morti, ma da questa morte usciti ancora più vivi; difatti afferma che la loro vita è nascosta con Cristo in Dio. Sono di tali morti le parole: Veramente non vivo più io; è Cristo che vive in me 117. Eppure a questa gente, la cui vita è nascosta con Cristo in Dio, rivolge il monito e l’esortazione di mortificare le loro membra finché sono sulla terra. Così infatti prosegue: Fate dunque morire le vostre membra che sono sulla terra 118. E affinché nessuno, magari perché tardo d’ingegno, pensasse che la loro mortificazione dovesse esercitarsi sulle membra visibili del corpo, subito precisando il senso delle sue parole, soggiunge: La fornicazione, l’impurità, la passione, il desiderio cattivo, l’avarizia, che è una specie d’idolatria 119. Ma allora, bisognerà forse credere che queste persone, che erano già morte e la cui vita era nascosta con Cristo in Dio, fossero ancora dedite alla fornicazione, o che menassero una vita scostumata, si dessero ad opere malvagie, al servizio delle voglie della concupiscenza o dell’avarizia, sì da esserne sconvolte? Nessuno, per quanto insipiente, potrebbe pensare una tal cosa nei loro riguardi. Se pertanto l’Apostolo vuole che pratichino la mortificazione, esercitando la virtù della continenza, lo dice per certi moti che ancora sussistono in noi e ci disturbano con i loro richiami al di là del consenso della nostra mente e senza esplicarsi in opere esterne attraverso le membra del corpo. Questi moti vengono mortificati dalla continenza tutte le volte che ad essi si rifiuta il consenso della mente e non si somministrano le armi, cioè le membra del corpo. E poi, c’è qualcosa di più importante, che occorre sottoporre a una vigilanza e continenza ancora più rigorose. È il nostro stesso pensiero, che, sebbene in certo qual modo sfiorato dal richiamo e, per così dire, dal bisbiglio di questi moti, deve resistere alle loro lusinghe e restarne immune, sì da potersi volgere meglio alle cose del cielo e gustarne la soavità. Di questi moti si occupa l’Apostolo nei suoi scritti, inculcando che non ci si soffermi in essi ma piuttosto che li si fugga. La qual cosa ci sarà consentita se ne ascolteremo con impegno le parole e, con l’aiuto di colui che per mezzo del suo Apostolo ci dà il precetto, le metteremo in pratica. Cercate – dice – le cose dell’alto, dove è Cristo, assiso alla destra di Dio. Pensate alle cose dell’alto, non a quelle della terra 120.

Le opere della continenza postulate dalla fede.

14. 30. Dopo aver elencato i mali di cui sopra, Paolo soggiunge: Fu per queste [aberrazioni] che venne l’ira di Dio sui figli dell’incredulità 121. È un salutare spavento che vuole incutere, perché, divenuti credenti, non pensassero che per la sola loro fede potessero salvarsi se avessero seguitato a vivere nei vizi di prima. Contro una tale interpretazione protesta l’apostolo Giacomo quando, con parole quanto mai chiare, afferma: Uno dice d’avere la fede. Se costui non ha le opere, potrà forse la fede portarlo a salvezza? 122. Ma anche il Dottore delle genti osservava che a causa di quei disordini era scesa l’ira di Dio sui figli infedeli; e, affermando che anche voi un tempo vi camminavate e conducevate una vita immersa negli stessi vizi 123, lascia sufficientemente intendere che adesso non ci vivevano più. Erano infatti morti ai vizi e la loro vita di adesso era nascosta con Cristo in Dio. Non vivevano più, dunque, nei vizi; eppure dà loro il comando di mortificarli. È segno che mentre essi, le persone, non vivevano nel vizio, i moti viziosi erano ancora in vita, come ho precisato or ora. Si menzionano le membra, ma in realtà si trattava dei vizi che albergano nelle membra, in forza di quella figura retorica che nomina il contenente per il contenuto. Come quando, ad esempio, si dice: “Ne parla tutta la piazza”, che vuol dire: “Ne parla tutta la gente che è in piazza”. E nel salmo, per la stessa locuzione figurata, si canta: Ti adori tutta la terra 124. Vale a dire: Tutti gli uomini che sono sulla terra.

Anche i santi obbligati alla continenza.

14. 31. Continua l’Apostolo: Spogliatevi dunque anche voi di tutte le cose 125, ed elenca una lunga serie di vizi. Perché non si contenta di dire: Spogliatevi di tutte le cose, ma vi aggiunge la congiunzione anche voi? Lo fa senza dubbio perché non pensassero che loro si potevano abbandonare a questi disordini e ci potevano vivere impunemente per il fatto che la fede li aveva sottratti all’ira divina, che invece si effondeva sugli increduli, dediti appunto a tali opere e, privi della fede, viventi nel vizio. Dice: Sbarazzatevi anche voi di quei mali, per causa dei quali scese l’ira di Dio sui figli dell’incredulità, né ripromettetevi l’impunità per il merito della fede. Parlando a gente che da tali vizi s’era liberata e non consentiva più ad essi né prestava loro le proprie membra come strumenti di peccato, non avrebbe detto: Sbarazzatevi, se la vita dei santi quaggiù – finché dura la nostra condizione di esseri mortali – non si trovasse davvero in tale situazione né avesse ad occuparsi di tale lavoro. Purtroppo però, finché lo spirito ha delle brame contrarie a quelle della carne, c’è proprio questo problema in cui ci si dibatte con grande tensione spirituale: resistere mediante l’attrattiva della santità, l’amore per la castità, la vigoria dello spirito e l’armonia interiore prodotta dalla continenza, ai piaceri sregolati, alle passioni disoneste, ai movimenti carnali e indecorosi. In questo modo si liberano definitivamente dalle tendenze cattive coloro che sono già morti ad esse e che, negando loro il consenso, non vivono più immersi in esse. Vengono eliminate – dico – se mediante una mai interrotta continenza le si reprime perché non rinascano. Che se uno, invece, sicuro di sé, volesse interrompere questo lavoro di repressione, subito gli balzerebbero sulla roccaforte della mente, e ne la spodesterebbero e la ridurrebbero in schiavitù, prigioniera in una condizione disonorevole e quanto mai brutta. Regnerebbe allora, nel corpo mortale dell’uomo, il peccato, e lo costringerebbe ad obbedire ai suoi desideri; ed egli, l’uomo, presterebbe le sue membra al peccato come armi di iniquità 126. E il punto d’arrivo, di questo tale, sarebbe peggiore che non quello di partenza 127. È infatti molto più tollerabile non aver mai intrapreso una lotta anziché averla intrapresa e abbandonarla, rassegnandosi a diventare prigioniero, da combattente valoroso e vittorioso che si era. Ragion per cui il Signore non dice: “Sarà salvo chi avrà cominciato”, ma: Chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvo 128.

Per concludere.

14. 32. Sia dunque che lottiamo con ardore per non essere sopraffatti, sia che vinciamo, come talora capita, con quella facilità che non avremmo osato né sperare né immaginarci, diamo gloria a colui che ci fa dono della continenza. Ricordiamoci di quel tal giusto che nella prosperità diceva: Io non sarò mai smosso dalla mia strada 129; e invece gli fu fatto constatare quanto fossero avventate le sue parole, mentre attribuiva alle sue proprie forze quello che gli veniva accordato dall’alto. Lo apprendiamo dalla confessione che ci fa lui stesso, quando, subito appresso, soggiunge: O Signore, nel tuo beneplacito mi avevi conferito la virtù e l’onorabilità. Quando invece mi voltasti la faccia, caddi nel turbamento 130. Il Signore nella sua Provvidenza lo abbandonò temporaneamente, e ciò fu una medicina, affinché egli stesso, nella sua micidiale superbia, non abbandonasse il Rettore. È certo, quindi che tutto in noi accade per la nostra salute, sia che combattiamo contro i nostri vizi al fine di domarli e ridurli – compito della vita presente -, sia che non abbiamo più nemici né mali da cui essere contagiati – cosa che ci sarà riservata alla fine dei tempi nel mondo avvenire -. Scopo ultimo di tutto questo è che chi si gloria, si glori nel Signore 131.

(Sant’Agostino)

FONTE: http://www.augustinus.it/italiano/continenza/index2.htm

1 – Sap 8, 21.

2 – Mt 19, 11.

3 – 1 Cor 7, 7.

4 – Sal 140, 3.

5 – Sal 140, 3-4.

6 – Sir 37, 16 (sec. LXX).

7 – Mt 23, 26.

8 – Mt 15, 11.

9 – Mt 15, 16-17.

10 – Mt 15, 18.

11 – Mt 15, 19-20.

12 – Sal 13, 1.

13 – Rm 6, 12-13.

14 – Mt 15, 19.

15 – Gal 5, 17.

16 – 1 Cor 15, 55. 26.

17 – Rm 7, 18.

18 – Rm 7, 22-23.

19 – Rm 3, 20; 7, 7.

20 – Rm 5, 20.

21 – Rm 4, 15.

22 – 1 Cor 15, 56.

23 – Rm 10, 3.

24 – Cf. Gal 3, 24.

25 – Sal 66, 7; 84, 13.

26 – Rm 6, 12-14.

27 – Rm 8, 12-14.

28 – Rm 8, 13.

29 – Gal 5, 19-21.

30 – Gal 5, 16-18.

31 – Gal 5, 19.

32 – Gal 5, 22-23.

33 – Gal 5, 24.

34 – Ger 17, 5.

35 – Rm 8, 13.

36 – Gv 1, 14.

37 – Lc 3, 6.

38 – Sal 64, 3.

39 – Gv 17, 2.

40 – Rm 3, 20.

41 – Gal 2, 16.

42 – 1 Cor 3, 3.

43 – 2 Cor 3, 5.

44 – Rm 13, 1.

45 – Gn 46, 27.

46 – Rm 8, 13.

47 – Gv 8, 44.

48Ibidem.

49 – Rm 6, 14.

50 – Sal 118, 133.

51 – Rm 6, 14.

52 – Rm 8, 13.

53 – Rm 8, 14.

54 – Mt 6, 12.

55 – Sal 140, 3-4.

56 – Eb 5, 14.

57 – Mt 6, 12.

58 – Sal 33, 15.

59 – Lc 12, 35.

60 – Lc 12, 36.

61 – Gal 5, 16-17.

62 – Sal 102, 2-3.

63 – Mt 6, 12-13

64 – Gc 1, 14.

65 – Sal 40, 5.

66 – 1 Cor 15, 44.

67 – Rm 7, 18.

68 – Ef 5, 29.

69 – Rm 7, 25.

70 – Rm 7, 18.

71 – Gal 5, 16.

72 – Sap 9, 15.

73 – Rm 8, 10.

74 – Ef 5, 29.

75 – Ef 5, 25-28.

76 – Ef 5, 29.

77 – Gal 5, 17.

78 – Rm 7, 18.

79 – Ef 5, 29.

80 – Rm 7, 23.

81 – Ef 5, 25. 28.

82 – Ef 5, 22-23.

83 – Ef 5, 25.

84 – Ef 5, 24.

85 – Ef 5, 25.

86 – Ef 5, 28.

87 – 2 Tm 2, 8.

88 – Lc 24, 39.

89Ibidem.

90 – 1 Cor 6, 15.

91 – 1 Cor 11, 12.

92 – 1 Cor 12, 12.

93 – 1 Cor 12, 18.

94 – 1 Cor 12, 24-26.

95 – Rm 12, 1.

96 – Ef 5, 24.

97 – Gal 5, 16-17.

98 – 1 Cor 1, 13.

99 – 1 Cor 3, 1-3.

100 – Mt 6, 12.

101 – Cf. Gv 13, 23.

102 – 1 Gv 1, 8.

103 – 1 Cor 1, 30.

104 – Sal 102, 3.

105 – Ef 5, 29.

106 – 1 Cor 11, 31.

107 – Sal 93, 19.

108 – Rm 14, 23.

109 – 1 Cor 7, 6.

110 – Sap 8, 21.

111 – Cf. Gal 5, 19-21.

112 – Fil 2, 13.

113 – Rm 8, 14.

114 – Gal 2, 20.

115 – Rm 7, 17.

116 – Col 3, 1-4.

117 – Gal 2, 20.

118 – Col 3, 4.

119 – Col 3, 5.

120 – Col 3, 1-2.

121 – Col 3, 6.

122 – Gc 2, 14.

123 – Col 3, 7.

124 – Sal 65, 4.

125 – Col 3, 8.

126 – Rm 6, 13.

127 – Mt 12, 45.

128 – Mt 10, 22.

129 – Sal 29, 7.

130 – Sal 29, 8.

131 – 1 Cor 1, 31.

Sant’Agostino, l’ascensione di Cristo: “Con lui salga pure il nostro cuore” “Come Egli è asceso e non si è allontanato da noi, così anche noi già siamo lassù con lui, benché nel nostro corpo non si sia ancora avverato ciò che ci è promesso”

 

“Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio. Pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra” (Col 3, 1-2).

 

Ascensione

 

“Oggi nostro Signore Gesù Cristo è asceso al cielo. Con lui salga pure il nostro cuore.
Ascoltiamo l’apostolo Paolo che proclama: “Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio. Pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra” (Col 3, 1-2). Come egli è asceso e non si è allontanato da noi, così anche noi già siamo lassù con lui, benché nel nostro corpo non si sia ancora avverato ciò che ci è promesso.
Cristo ormai esaltato al di sopra dei cieli, ma soffre qui in terra tutte le tribolazioni che noi sopportiamo come sue membra. Di questo diede assicurazione facendo sentire quel grido: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?” (At 9, 4). E così pure: “Io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare” (Mt 25, 35).

Perché allora anche noi non fatichiamo su questa terra, in maniera da riposare già con Cristo in cielo, noi che siamo uniti al nostro Salvatore attraverso la fede, la speranza e la carità? Cristo, infatti, pur trovandosi lassù, resta ancora con noi. E noi, similmente, pur dimorando quaggiù, siamo già con lui. E Cristo può assumere questo comportamento in forza della sua divinità e onnipotenza. A noi, invece, è possibile, non perché siamo esseri divini, ma per l’amore che nutriamo per lui. Egli non abbandonò il cielo, discendendo fino a noi; e nemmeno si è allontanato da noi, quando di nuovo è salito al cielo. Infatti egli stesso dà testimonianza di trovarsi lassù mentre era qui in terra: Nessuno è mai salito al cielo fuorché colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo, che è in cielo (cfr. Gv 3, 13).

Questa affermazione fu pronunciata per sottolineare l’unità tra lui nostro capo e noi suo corpo. Quindi nessuno può compiere un simile atto se non Cristo, perché anche noi siamo lui, per il fatto che egli è il Figlio dell’uomo per noi, e noi siamo figli di Dio per lui.
Così si esprime l’Apostolo parlando di questa realtà: “Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo” (1 Cor 12,12). L’Apostolo non dice: “Così Cristo”, ma sottolinea: “Così anche Cristo”. Cristo dunque ha molte membra, ma un solo corpo.
Perciò egli è disceso dal cielo per la sua misericordia e non è salito se non lui, mentre noi unicamente per grazia siamo saliti in lui. E così non discese se non Cristo e non è salito se non Cristo. Questo non perché la dignità del capo sia confusa nel corpo, ma perché l’unità del corpo non sia separata dal capo.”

Dai Discorsi di Sant’Agostino, vescovo (Disc. sull’Ascensione del Signore, ed. A. Mai, 98, 1-2; PLS 2, 494-495).

Noi siamo crocifissi al mondo e Cristo è crocifisso in noi: “A Cristo crocifisso appartiene solo chi ha crocifisso nel suo corpo i piaceri carnali e vive santamente per il Vangelo”

La croce nell’anima

“Quando parlo della croce, non penso al legno, ma al dolore. In effetti questa croce si trova nella Britannia, in India e su tutta la terra. Cosa dice il Vangelo? Se non portate la mia croce e non mi seguite ogni giorno… (Lc. 14, 27). Notate cosa dice! Se un animo non è affezionato alla croce, come io alla mia per amor vostro, non può essere mio discepolo. Felice colui che porta nel suo intimo la croce, la risurrezione, il luogo della nascita e dell’ascensione di Cristo! Felice chi ha Betlemme nel suo cuore, nel cui cuore, Cristo nasce ogni giorno! Che significa del resto “Betlemme”? Casa del pane. Siamo anche noi una casa del pane, di quel pane che è disceso dal cielo. Ogni giorno Cristo vien per noi affisso alla croce.

Noi siamo crocifissi al mondo e Cristo è crocifisso in noi. Felice colui nel cui cuore Cristo risuscita ogni giorno, quando egli fa penitenza per i suoi peccati anche i più lievi. Felice chi ascende ogni giorno dal monte degli ulivi al regno dei cieli, ove crescono gli ulivi rigogliosi del Signore, ove si eleva la luce di Cristo, ove si trovano gli uliveti del Signore. Sono come un olivo fecondo nella casa di Dio (Sal. 51, 10). Accendiamo anche la nostra lampada con l’olio di quell’olivo e subito entreremo con Cristo nel regno dei cieli.”

(San Girolamo, Commento al Salmo 95)

“Anche l’apostolo Pietro, a proposito di questo mistero della croce, cioè dei dolori di Cristo, ricorda che coloro i quali a lui si consacrano devono cessar di peccare. Dice infatti: Poiché dunque Cristo patì nella carne, anche voi armatevi del medesimo pensiero, che chi ha patito nella carne l’ha finita col peccato, per vivere, nel tempo che gli rimane di vita corporale, non ai piaceri umani, ma alla volontà di Dio… (1 Pt. 4, 1 s.).

Con ciò mostra, rettamente, che a Cristo crocifisso, il quale ha patito nella carne, appartiene solo chi ha crocifisso nel suo corpo i piaceri carnali e vive santamente per il Vangelo.”

(Sant’Agostino, La fede e le opere, 9, 14-10, 15)

“Abbracciare la croce è uccidere le cupidigie, annientare i vizi, allontanarsi dalla vanità e rinunciare ad ogni errore. Nessun impudico infatti, nessun lussurioso, nessun superbo né avaro celebra la Pasqua del Signore.”

(San Leone Magno, Sermoni)

“Non devi quindi tracciare semplicemente il segno della croce con la punta delle dita, ma prima devi inciderlo nel tuo cuore con fede ardente. Se lo imprimerai in questo modo sulla tua fronte, nessuno dei demoni impuri potrà restare accanto a te, in quanto vedrà l’arma con cui è stato ferito, la spada da cui ha ricevuto il colpo mortale. Se la sola vista del luogo dove avviene l’esecuzione dei criminali fa fremere d’orrore, immagina che cosa proveranno il diavolo e i suoi demoni vedendo l’arma con cui Cristo sgominò completamente il loro potere e tagliò la testa del dragone (cf. Ap. 12, 1 ss.; 20, 1 ss.).”

(San Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di san Matteo)

Sant’Agostino: “Non uscire fuori, rientra in te stesso: nell’uomo interiore abita la verità”

Sant’Agostino  

 

Non uscire fuori, rientra in te stesso: nell’uomo interiore abita la verità. E se scoprirai mutevole la tua natura, trascendi anche te stesso. Tendi là dove si accende la stessa luce della ragione. (De vera rel. 39, 72)

Amiamo tutti in lui. Attira verso di lui con te tutti quelli che puoi e dì loro: amiamo lui, amiamo lui. (Confess. 4, 12, 18)

I fedeli riconoscono il corpo di Cristo se non trascurano di essere il corpo di Cristo. (In Io. Ev. tr. 26, 13)  

Tardi ti amai, Bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai! Sì, perché tu eri dentro di me e io fuori. Lì ti cercavo; deforme, mi gettavo sulle belle forme delle tue creature. (Confess. 10, 27, 38)   O amore, che sempre ardi senza mai estinguerti, carità, Dio mio, infiammami! (Confess. 10, 29, 40)

Ama ed egli si avvicinerà, ama ed egli abiterà in te. (Serm. 21, 2)

Tra tutte le tribolazioni umane non ve n’è una più grande della coscienza delle proprie colpe. (En. in ps. 45, 3)

Oh, se vedessero nel loro interno l’eterno, che io per averlo gustato, fremevo. (Confess. 9, 4, 10)

Invochi Dio quando chiami Dio dentro di te. (En. in ps. 30, II, d. 3. 4)

 

Dalle “Confessioni” di Sant’Agostino:

Stimolato a rientrare in me stesso, sotto la tua guida, entrai nell’intimità del mio cuore, e lo potei fare perché tu ti sei fatto mio aiuto. Entrai e vidi con l’occhio dell’anima mia, qualunque esso potesse essere, una luce inalterabile sopra il mio stesso sguardo e sopra la mia intelligenza. Non era una luce terrena e visibile che splende dinanzi allo sguardo di ogni uomo. Direi anzi poco se dicessi che era solo una luce più forte del comune, o anche tanto intensa da penetrare ogni cosa. Era un’altra luce, assai diverse da tutte le luci del mondo creato. Non stava al di sopra della mia intelligenza quasi come l’olio che galleggia sull’acqua, né come il cielo che si stende sopra la terra, ma era una luce superiore. Era la luce che mi ha creato. E se mi trovavo sotto di essa, era perché ero stato creato da  essa.
Chi conosce la verità conosce questa luce. O eterna verità e vera carità e cara eternità! Tu sei il mio Dio, a te sospiro giorno e notte. Cosi la tua Sapienza, per mezzo del quale hai creato ogni cosa, si rendeva alimento della nostra debolezza da bambini. Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato. Ed ecco che tu stavi dentro di me e io ero fuori e là ti cercavo. E io, brutto, mi avventavo sulle cose belle da te create. Eri con me ed io non ero con te. Mi tenevano lontano da te quelle creature, che, se non fossero in te, neppure esisterebbero. Mi hai chiamato, hai gridato, hai infranto la mia sordità. Mi hai abbagliato, mi hai folgorato, e hai finalmente guarito la mia cecità. Hai alitato su di me e ora anelo a te. Ti ho gustato e ora ho fame e sete di te. Mi hai toccato e ora ardo dal desiderio di conseguire la tua pace.

Sant’Agostino: “”Con quanta mia consolazione mi fu tolto a un tratto il senso dei vani piaceri! Infatti eri Tu che me li cacciavi via. Tu vera e somma dolcezza; me li cacciavi, e in cambio di essi entravi Tu, mia luce, mia ricchezza e mia salvezza, Signore mio Dio”

 

Sant’Agostino (Confessioni, IX,1)

 

 

“Con quanta mia consolazione mi fu tolto a un tratto il senso dei vani piaceri! Quei piaceri che tremavo di perdere e che adesso mi era gioia il lasciare! Infatti eri Tu che me li cacciavi via. Tu vera e somma dolcezza; me li cacciavi, e in cambio di essi entravi Tu, più soave di ogni piacere, ma non alla carne e al sangue; Tu più luminoso di ogni luce, ma più interiore di ogni segreto, Tu più sublime di ogni altezza, ma non per quelli che sono sublimi in se stessi. Già l’animo mio era libero dalle dolorose preoccupazioni dell’ambizione, del guadagno e della scabbia delle passioni, inquiete e pruriginose. Esclamavo di gioia verso di Te, mia luce, mia ricchezza e mia salvezza, Signore mio Dio”(Confessioni, IX,1).

 

Sant’Agostino: -Timore di Dio, coscienza del peccato e Carità- “Chi è senza timore, non potrà essere giustificato (Sir 1, 28). Il timore di Dio è inizio di sapienza (Sir 1, 16) prepara il posto alla carità” “Ma se non vi è alcun timore, manca alla carità la via per entrare nell’animo.”

 

Dal commento alla prima lettera di san Giovanni, Sant’Agostino:

 

 

OMELIA 9

 

In questo il nostro amore è perfetto…

La carità che ci fa rimanere in Dio, si estende ai nemici e, preparata dal timore servile, guidata da quello casto, ci rende belli agli occhi di Dio, perché la carità è Dio stesso. Con essa rimaniamo uniti a Cristo e nell’unità della Chiesa.

Non so come Giovanni avrebbe potuto farci l’elogio della carità con parole più sublimi di queste: Dio è carità (1 Gv 4, 8). C’è qui una lode tanto breve eppure tanto grande: breve nelle parole, grande nel significato. Si fa tanto presto a pronunciare la frase: Dio è amore! Una frase breve, di un solo periodo, ma quanto peso di significato essa contiene. Dio è amore; e Giovanni aggiunge: Chi resta nell’amore, resta in Dio e Dio resta in lui (1 Gv 4, 16). Dio sia la tua casa e tu sii la casa di Dio: resta in Dio e che Dio resti in te. Dio resta in te per contenerti; tu resti in Dio per non cadere. L’apostolo Paolo dice infatti della carità: La carità non cade mai (1 Cor 13, 8). Come è possibile che cada colui che Dio contiene?

[C’è chi sopporta la morte e chi la vita.]

2. In questo il nostro amore ha raggiunto la perfezione, che nel giorno del giudizio saremo pieni di fiducia, perché anche noi, in questo mondo, siamo così come è lui (1 Gv 4, 17). Ci dice qui in quale modo ciascuno può provare sin dove la carità è progredita in lui o meglio fin dove lui è progredito nella carità. Infatti, se è vero che Dio è carità, Dio né progredisce, né regredisce. Dicendo allora che in te progredisce la carità, si vuol intendere che tu progredisci in essa. Chiediti dunque quanto è il tuo progresso nella carità, ascolta che cosa può risponderti la coscienza, al fine di conoscere la misura dei tuoi progressi. Giovanni ci ha promesso di mostrarci il segno da cui possiamo avere la certezza di conoscere Dio, quando ci disse: In questo consiste la perfezione della carità. Chiedi pure: in che? Nel fatto di sentirci animati da fiducia nel giorno del giudizio. Chi appunto si sentirà animato da fiducia nel giorno del giudizio, ha raggiunto la perfezione della carità. Ma che significa avere fiducia nel giorno del giudizio? Significa non temerne l’arrivo.

Alcuni non credono nel giorno del giudizio; essi non possono certo avere fiducia in quel giorno in cui non credono. Ma costoro lasciamoli pure da parte; Dio un giorno li susciterà alla vita; ma ora a che pro interessarci di morti, quali essi sono? Essi non credono che ci sarà un giorno del giudizio, non lo temono e naturalmente neppure lo desiderano. Tutto questo perché non credono. Ma se uno incomincia a credere che verrà il giorno del giudizio, da quel momento incomincerà anche a temerlo. Se però lo teme soltanto, non è ancora fiducioso nel giorno del giudizio, né la carità in lui è ancora perfetta. Che fare allora? Disperarsi? Ma perché non sperare che ci sarà la fine, allorché vedi che c’è stato l’inizio? Quale inizio? mi chiederai. Quello del timore.

Senti cosa dice la Scrittura: Il timore di Dio è inizio di sapienza (Sir 1, 16). Quando si incomincia a temere il giorno del giudizio, ci si incomincia anche ad emendare ed a combattere i nemici che sono i propri peccati. Si incomincia a risuscitare interiormente e a mortificare le proprie membra terrene, secondo le parole dell’Apostolo: Mortificate le vostre membra terrene (Col 3, 5). Membra terrene sono – a detta dello stesso Apostolo – la malizia spirituale, che viene poi così specificata quando ricorda: l’avarizia, l’immondezza, ed altri vizi di cui ci dà l’enumerazione. Chi ha incominciato a temere il giorno del giudizio, quanto più mortifica le membra terrene tanto più risuscita ed irrobustisce quelle celesti. Membra celesti sono tutte le opere buone. Sviluppandosi le membra celesti, si incomincia anche a desiderare ciò che prima si temeva. Chi prima temeva il ritorno di Cristo, perché pauroso che Cristo avesse trovato in lui un empio da condannare, ora desidera che egli venga, poiché potrà trovare in lui una persona pia da premiare. Dal momento in cui un’anima casta desidera il ritorno di Cristo, desiderando l’abbraccio dello sposo, lascia gli amori adulteri; diventa, interiormente, una vergine ad opera della fede, della speranza e della carità. Essa allora si sente tutta fiduciosa nel giorno del giudizio. Quando prega e dice: Venga il tuo regno (Mt 6, 10), non ripete una frase che potrebbe volgersi a suo danno. Chi teme che venga il Regno di Dio, teme che questa preghiera venga esaudita. Come pregare, se si ha il timore di essere esauditi? Chi prega nella fiducia che nasce dalla carità, brama che il Regno di Dio venga già fin d’ora. Mosso da tale desiderio, così pregava il salmista: Tu, Signore, perché tardi? Volgiti, o Signore, e chiama a te l’anima mia (Sal 6, 4-5). Gemeva perché Dio tardava a mostrarsi. Certi uomini sopportano la morte; altri, che hanno raggiunto la perfezione, sopportano la vita. Mi spiego. Chi ama ancora questa vita mortale, quando giunge la morte, la sopporta con pazienza, lotta contro se stesso, rassegnandosi alla volontà di Dio; e così agisce più per fare la volontà di Dio che non la propria: e dal desiderio della vita presente sorge una lotta tra lui e la morte; ha bisogno di pazienza e fortezza per morire in serenità d’animo. Così chi muore con sopportazione. Ma chi è attratto dal desiderio della morte e brama, come dice l’Apostolo, di andarsene per essere insieme col Cristo, non muore con sopportazione; anzi, dopo aver sopportato la vita, muore con gioia. Ecco l’esempio dell’Apostolo, che ha vissuto sopportando la vita, non amando cioè la vita presente ma tollerandola. E’ molto meglio – afferma lui stesso – partire, per stare col Cristo: ma è pur necessario, a causa di voi, restare nella carne (Fil 1, 23-24). Orsù dunque, o miei fratelli, fate che sorga dentro di voi il desiderio del giorno del giudizio. Non si dà prova di perfetta carità, se non quando si incomincia a desiderare il giorno del giudizio. Ma lo desidera questo giorno chi si sente animato da fiducia al suo pensiero; e questo avviene in coloro la cui coscienza non è agitata da timore, perché confermata dalla perfetta e sincera carità.

[Il timore via alla carità.]

4. Di questa fiducia, che stiamo esaminando, vedete ora quel che ha da dirci Giovanni. Quale è il segno della carità perfetta? Ci risponde negativamente: La vera carità non consiste nel timore. Che cosa diremo di colui che incomincia a temere il giorno del giudizio? Se fosse in lui una carità perfetta, non avrebbe questo timore. La perfetta carità lo renderebbe perfetto nella giustizia e gli toglierebbe perciò ogni motivo di timore: anzi lo porterebbe a desiderare che passi l’ora dell’iniquità e venga il Regno di Dio. Nella carità dunque non c’è posto per il timore. In quale carità? Non certo in quella iniziale: in quale dunque? La perfetta carità – dice Giovanni – esclude il timore (1 Gv 4, 18). All’inizio ci sia pure il timore, perché il timore di Dio è inizio di sapienza. Il timore prepara il posto alla carità. Ma non appena la carità incomincia a prenderne possesso, ne scaccia il timore che le aveva preparato il posto. Quanto più cresce la carità, altrettanto diminuisce il timore; più la carità penetra dentro di noi, più il timore viene espulso fuori. Maggiore è la carità, minore il timore; minore è la carità, maggiore il timore. Ma se non vi è alcun timore, manca alla carità la via per entrare nell’animo.

Così vediamo che si introduce un filo di lino per mezzo di un filo di seta, quando si ha da cucire; si fa prima entrare la seta, ma se poi non la si fa uscire, non si può far entrare il lino: allo stesso modo dapprima il timore occupa la mente, ma non vi resta, perché vi è entrato per questo preciso scopo: far strada alla carità. Stabilita ormai nel nostro animo la sicurezza, quale sarà la gioia in questa e nella vita futura? Chi potrà nuocerci, in questo secolo, così ripieni come siamo di carità? Guardate l’esultanza dell’Apostolo, quando parla della carità: Chi ci separerà dalla carità di Cristo? la tribolazione? le angustie? la persecuzione? la fame? la nudità? il pericolo? la spada? (Rm 8, 35). E Pietro da parte sua afferma: Chi vi potrà nuocere, se sarete gli emulatori del bene? (1 Pt 3, 13). Nell’amore non esiste timore; ma l’amore perfetto esclude il timore; perché il timore procura tormento. Tormenta il cuore la coscienza dei peccati: la giustificazione non è ancora compiuta. C’è qualcosa che lo prude e lo punge. Che cosa si dice nel salmo circa la perfezione della giustizia? Tu hai cambiato in gaudio il mio lutto: hai stracciato il mio sacco di penitenza e mi hai riempito di letizia perché il mio canto ti dia lode e io non resti nell’amarezza (Sal 29, 12-13). Che significa questo “non restare nell’amarezza”? Che più nulla tormenta la mia coscienza. Il timore tormenta la coscienza; ma tu non temere; ecco la carità che subentra per risanare ciò che è ferito dal timore.

Il timore di Dio arreca ferite, come fa il ferro del chirurgo; toglie il marcio e sembra quasi che allarghi la ferita. Quando era nel corpo questo marcio, la ferita era meno larga ma più pericolosa; interviene il ferro del chirurgo e la ferita incomincia a dolorare più di prima. Essa duole di più quando viene curata che non quando la si lascia come è; ma appunto, quando si applica la medicina, duole di più, affinché, conseguita la salute, più non dolga. Il timore dunque entri nel tuo cuore per preparare il posto alla carità; dopo il ferro del chirurgo non resta altro che la cicatrice. Qui si tratta poi di un medico tanto bravo da far scomparire anche le cicatrici. Da parte tua non devi far altro che affidarti alla sua mano. Se non hai il timore, impossibile per te la giustificazione. C’è un testo delle Scritture ad affermarlo: Chi è senza timore, non potrà essere giustificato (Sir 1, 28). Bisogna dunque che il timore entri per primo ed attraverso il timore arrivi la carità. Il timore è medicina, la carità è salute. Ma chi teme non ha raggiunto la perfezione della carità (1 Gv 4, 18). Perché? Perché il timore tormenta così come la ferita aperta dal chirurgo.

[Il timore casto.]

5. C’è tuttavia un’altra affermazione che sembra contraria a questa, se non sarà convenientemente compresa. In un certo passo del salmo si dice: Il timore di Dio è casto, esso dura nei secoli dei secoli (Sal 18, 10). Il salmista ci mostra qui un timore eterno ma casto. Se il timore è eterno, tale affermazione non contraddice forse questa Epistola? Dice infatti l’Epistola: Nella carità non c’è timore, ma la perfetta carità scaccia il timore. Vediamo di penetrare a fondo queste due divine dichiarazioni. Si tratta del medesimo Spirito che parla, anche se la sua parola è riferita in due libri diversi, da due diverse bocche, da due diverse lingue. La prima affermazione è di Giovanni, la seconda di David; ma non bisogna credere che si tratti di ispirazione diversa dell’unico ed identico Spirito. Se avviene che un unico fiato vada a finire in due trombe, non potrà forse un unico Spirito riempire due cuori e muovere due lingue? Se due trombe ripiene di un unico identico fiato emettono insieme uno stesso suono, avverrà forse che due lingue, ripiene dello stesso Spirito, possano dissentire? Le due affermazioni che abbiamo ricordato hanno dunque una loro consonanza, una loro segreta concordanza che esige però un buon intenditore. Ecco dunque che lo Spirito ha soffiato e riempito due cuori, due bocche, ha mosso due lingue. Dalla prima lingua abbiamo udito queste parole: Nella carità non c’è timore, ma la perfetta carità espelle il timore. Dall’altra lingua abbiamo invece sentito queste parole: Casto è il timore di Dio; esso rimane per i secoli dei secoli. Sembra che le due affermazioni discordino tra loro. Ma non è così. Apri bene le tue orecchie, ascolta la melodia. Non è senza motivo che in una delle espressioni è definito casto il timore, perché evidentemente c’è anche un timore non casto. Vediamo di tener ben distinti questi due tipi di timore e capiremo che le due trombe suonano in perfetta armonia.

Come capire, come discernere? Faccia attenzione la vostra Carità. Certi uomini temono Dio, perché non vogliono cadere nell’inferno e bruciare col diavolo in un fuoco eterno. Questo appunto è il timore che prepara il posto alla carità; ma è un timore transeunte. Se tu temi il Signore ancora a causa dei suoi castighi, non lo ami ancora. Non desideri il bene ma ti astieni unicamente dal male. Ma per il fatto che ti astieni dal male, ti correggi ed incominci a desiderare il bene. E quando incominci a desiderare il bene, il tuo timore diventa un casto timore. Quale timore è casto? Il timore di perdere gli stessi beni. Comprendetemi: altra cosa è temere Dio perché non ti mandi all’inferno, altra cosa temerlo perché egli non si allontani da te. Il primo timore che ti porta a scongiurare di essere condannato all’inferno insieme col diavolo, non è ancora un timore casto; non deriva infatti dall’amore di Dio, ma dal timore del castigo. Ma quando tu temi il Signore perché la sua presenza non si sottragga a te, allora tu l’abbracci e desideri godere di lui.

[Due generi di spose.]

6. Non è possibile spiegare meglio la differenza tra questi due timori, quello che esclude la carità e quello casto che resta per sempre, se non ricorrendo all’esempio di due donne sposate di cui una è intenzionata a commettere adulterio e trovare gioia nell’iniquità, ma timorosa delle vendette del marito. Costei teme il marito, ma lo teme precisamente perché ama ciò che è disonesto. La presenza del marito le è tutt’altro che gradita e confortevole. Se per caso la sua condotta è cattiva, essa teme di essere sorpresa dal marito. Simili a questa donna sono quelli che temono la venuta del giorno del giudizio. L’altra donna, che abbiamo preso come esempio, ama il suo sposo, lo circonda di casti amplessi, non si macchia di nessun adulterio, brama la presenza del marito. Come si distinguono questi due tipi di timore? Soggetta al timore è la prima come la seconda donna.

Interrogale; ti daranno quasi la stessa risposta. Interroghiamo la prima: Temi il marito? Essa risponderà: sì, lo temo. Interroga la seconda: Temi tuo marito? Ti risponderà ugualmente: Lo temo. La risposta è identica, ma diverso lo spirito. Interroghiamole ancora, domandando loro perché temono il marito. La prima risponde: Temo che torni mio marito. La seconda invece: Temo che si allontani. La prima: temo di essere castigata; e la seconda: temo di essere abbandonata. Applica queste risposte nell’anima cristiana e scoprirai il timore che esclude la carità ed il casto timore che resta per sempre.

[L’una teme la condanna.]

7. Ci rivolgiamo dapprima a quelli che temono Dio alla maniera della donna disonesta: essa teme che il marito la condanni. Parliamo dunque a costoro. O anima, tu temi Iddio perché Dio non ti condanni, proprio come quella donna che agisce disonestamente e teme il marito per paura di essere castigata. Come a te dispiace quella donna, così dispiaciti di te stesso. Tu non vorresti una moglie che ti teme per paura del castigo e che sarebbe ben contenta di fare il male, ma se ne astiene per la grave paura che ha di te, non perché condanna il male. La vuoi casta, perché ti ami, non già perché ti tema. Anche tu offriti così a Dio, come vorresti che sia la tua sposa. Se ancora non hai moglie ma la vuoi avere, è così che la vuoi. Che cosa stiamo dicendo, o fratelli? Quella moglie che teme il marito solo per non essere ripudiata dal marito, probabilmente non commette adulterio, perché non venga scoperto dal marito e non le tolga questa luce temporale. Il marito potrebbe anche ingannarsi; è infatti una creatura umana come colei che può ingannarlo.

Orbene quella donna teme un marito, ai cui sguardi potrebbe sottrarsi, e tu non temi gli sguardi del tuo sposo sempre fissi sopra di te? La faccia del Signore è sempre rivolta sopra coloro che fanno il male (Sal 33, 17). La donna adultera approfitta dell’assenza del marito ed è sollecitata forse dal piacere dell’adulterio; essa tuttavia dice a se stessa: Non mi azzarderò: egli è assente, è vero, ma la cosa non potrà non essere risaputa da lui. Essa dunque si trattiene dal male per paura che le cose siano sapute da un uomo, soggetto all’ignoranza ed all’errore, che potrebbe giudicare buona anche la donna malvagia, ritenere casta la moglie adultera. Tu invece non temi gli occhi di Dio che nessuno può ingannare? Non temi la presenza del Signore che non può mai esserti tolta? Prega il Signore che rivolga il suo sguardo sopra di te e allontani il suo volto dai tuoi peccati. Allontana la tua faccia dai miei peccati (Sal 50, 11). Come puoi meritare che egli distolga la sua faccia dai tuoi peccati? Facendo in modo che tu non distolga l’attenzione dai tuoi peccati. Sono le parole stesse del salmo che dicono: Io riconosco la mia iniquità ed il mio peccato sta sempre davanti a me (Sal 50, 5). Tu, dunque, riconosci i tuoi peccati ed egli te li condonerà.

[L’altra teme l’abbandono.]

8. Ci siamo rivolti all’anima che ancora nutre un timore non duraturo per l’eternità, ma quel timore che viene scacciato e bandito dalla carità. Ci rivolgiamo anche all’anima che già possiede il timore casto, duraturo nei secoli eterni. Pensiamo forse di trovarla da poterle parlare? Ritieni che ci sia in questo popolo? In questa sala? Su questa terra? Impossibile che non ci sia e tuttavia resta nascosta. Siamo d’inverno ed il verde delle foglie sta ancora tutto dentro la radice. Può darsi però che le nostre parole giungano alle sue orecchie. Dovunque si trovi quell’anima, possa io giungere a scoprirla, e sentire io la sua voce, non lei la mia. Essa mi istruirebbe piuttosto che imparare da me. Un’anima santa, un’anima di fuoco che desidera il regno di Dio; non io le rivolgo la parola ma Dio stesso, e la consola, finché sopporta la presente vita terrena, con queste parole: Tu vuoi che io già venga a te ed io lo so bene: so che sei tale da poter aspettare con serenità la mia venuta. So della tua pena, ma attendi ancora un poco, sopporta: ecco vengo, vengo presto. Questa venuta sembra un ritardo all’anima che ama. Odila cantare come fosse un giglio tra le spine; odila sospirare e dire: Io canterò e comprenderò sulla via dell’innocenza; quando verrai da me? (Sal 100, 1-2).

A ragione essa non teme, stando sulla via dell’innocenza, perché la carità perfetta scaccia ogni timore. Quando quest’anima giungerà all’amplesso del Signore teme, ma nella sicurezza. Che cosa teme? Starà attenta a togliere da sé ogni macchia di peccato, per non peccare più: non per la paura di essere mandata al fuoco, ma per non essere abbandonata dal Signore. E che cosa ci sarà in lei se non il casto timore che resta per sempre? Abbiamo ascoltato dunque le due trombe suonare in perfetto accordo. La prima parla del timore come la seconda; ma la prima parla del timore che ha l’anima di essere condannata, l’altra del timore che ha l’anima di essere abbandonata. Il primo è quel timore che viene eliminato dalla carità, il secondo invece è quel timore che rimane per sempre.

[L’amore ci rende belli.]

9. Noi dunque amiamolo, perché egli per primo ci ha amati (1 Gv 4, 19). Quale fondamento avremmo per amare, se egli non ci avesse amati per primo? Amando, siamo diventati amici; ma egli ha amato noi, quando eravamo suoi nemici, per poterci rendere amici. Ci ha amati per primo e ci ha donato la capacità di amarlo. Ancora noi non lo amavamo; amandolo, diventiamo belli. Che cosa fa un uomo deforme, colla faccia sformata, quando ama una bella donna? Che cosa fa, a sua volta, una donna brutta, sciatta e nera, se amasse un uomo bello? Potrà diventare forse bella, amando quell’uomo? Potrà l’uomo a sua volta diventare bello, amando una donna bella? Ama costei e quando si guarda allo specchio, arrossisce di sollevare il suo volto verso di lei, la bella donna che ama. Che farà per essere bello? aspetta forse che sopraggiunga in lui la bellezza? Nell’attesa, al contrario, sopravviene la vecchiaia che lo rende più brutto. Non c’è dunque nulla da fare, non c’è possibilità di dargli altro consiglio che ritirarsi, perché, non essendo all’altezza, non osi amare una donna a lui superiore. Se per caso l’amasse veramente e desiderasse prenderla in moglie, dovrà amare la sua castità, non la forma del suo corpo. La nostra anima, o fratelli, è brutta per colpa del peccato: essa diviene bella amando Dio. Quale amore rende bella l’anima che ama? Dio sempre è bellezza, mai c’è in lui deformità o mutamento. Per primo ci ha amati lui che sempre è bello, e ci ha amati quando eravamo brutti e deformi. Non ci ha amati per congedarci brutti quali eravamo, ma per mutarci e renderci belli da brutti quali eravamo. In che modo saremo belli? Amando lui, che è sempre bello. Quanto cresce in te l’amore, tanto cresce la bellezza; la carità è appunto la bellezza dell’anima. Noi, dunque, amiamolo, perché lui per primo ci ha amati. Ascolta l’apostolo Paolo: Dio ha dimostrato il suo amore per noi, perché quando ancora eravamo peccatori, Cristo è morto per noi (Rm 5, 8-9), lui giusto per noi ingiusti, lui bello per noi brutti. Quale fonte ci afferma che Gesù è bello? Le parole del salmo: Egli è bello tra i figli degli uomini, sulle sue labbra ride la grazia (Sal 44, 3). Dove sta il fondamento di questa asserzione? Eccolo: Egli è bello tra i figli degli uomini perché in principio era il Verbo ed il Verbo era presso Dio ed il Verbo era Dio (Gv 1, 1). Assumendo un corpo, egli prese sopra di sé la tua bruttezza, cioè la tua mortalità, per adattare se stesso a te, per rendersi simile a te e spingerti ad amare la bellezza interiore. Ma quali fonti ci rivelano un Gesù brutto e deforme, come ce lo hanno rivelato bello e grazioso più dei figli degli uomini? Dove troviamo che è deforme? Interroga Isaia. Lo abbiamo visto: egli non aveva più bellezza né decoro (Is 53, 2). Queste affermazioni scritturistiche sono come due trombe che suonano in modo diverso ma uno stesso Spirito vi soffia dentro l’aria. La prima dice: Bello d’aspetto, più dei figli degli uomini; e la seconda, con Isaia, dice: Lo abbiamo visto: egli non aveva bellezza, non decoro. Le due trombe son suonate da un identico Spirito; esse dunque non discordano nel suono. Non devi rinunciare a sentirle, ma cercare di capirle. Interroghiamo l’apostolo Paolo per sentire come ci spiega la perfetta armonia delle due trombe. Suoni la prima: Bello più dei figli degli uomini: essendo nella forma di Dio, non credette che fosse una preda l’essere lui eguale a Dio. Ecco in che cosa egli sorpassa in bellezza i figli degli uomini. Suoni anche la seconda tromba: Lo abbiamo visto e non aveva bellezza, né decoro: questo perché egli annichilò se stesso, prendendo la forma di servo, divenendo simile agli uomini, riconosciuto per la sua maniera di essere, come uomo (Fil 2, 6-7). Egli non aveva né bellezza né decoro, per dare a te bellezza e decoro Quale bellezza? Quale decoro? L’amore della carità; affinché tu possa correre amando e possa amare correndo Già sei bello: ma non guardare te stesso, per non perdere ciò che hai preso; guarda a colui dal quale sei stato reso bello. Sii bello in modo tale che egli possa amarti. Da parte tua volgi tutto il tuo pensiero a lui, a lui corri, chiedi i suoi abbracci, temi di allontanarti da lui; affinché sia in te il timore casto che resta in eterno. Noi amiamolo, perché lui stesso ci ha amati per primo.

[Amare il prossimo è amare Dio.]

10. Se uno dirà: io amo Dio. Ma quale Dio? perché lo amiamo? Perché lui stesso per primo ci ha amati e ci ha fatto dono di amarlo. Egli ha amato noi che eravamo empi, per renderci pii; ingiusti, per renderci giusti; ammalati, per renderci sani. Dunque anche noi amiamolo perché per primo ci ha amati. Interroga ciascuno singolarmente e ti dica se ama Dio. Ciascuno grida, ciascuno confessa: io lo amo; lui lo sa. Ma c’è un’altra domanda da fare. Dice Giovanni: Se uno dirà: io amo Dio, ma poi odia suo fratello, è impostore. Quale prova si ha di ciò? Eccola: Chi non ama il suo fratello che vede, come potrà amare Dio, che non vede? (1 Gv 4, 20). Dunque, chi ama il fratello, ama anche Dio? Inevitabilmente ama Dio, inevitabilmente ama l’amore stesso. Si può forse amare il proprio fratello e non amare l’amore? E’ inevitabile che ami l’amore. Ma costui ama Dio appunto perché ama l’amore stesso? Proprio così. Amando l’amore, ama Dio. Hai forse dimenticato che poco prima Giovanni ha detto: Dio è amore? Se Dio è amore, chiunque ama l’amore ama Dio. Ama dunque tuo fratello e sta’ sicuro (cf. 1 Gv 4, 8-16). Tu non puoi dire: Amo il fratello ma non amo Dio. Allo stesso modo che menti quando dici: Amo Dio, se non ami il fratello; così ti inganni, quando dici: io amo il fratello, e poi ritieni di non amare Dio. Necessariamente, amando il fratello, ami l’amore stesso. L’amore infatti è Dio; e chi ama il proprio fratello, necessariamente ama Dio. Ma se non ami il fratello che vedi, come puoi amare Dio che non vedi? Perché questi non vede Dio? Perché non possiede l’amore stesso. Perciò non vede Dio, perché appunto non possiede l’amore; e non possiede l’amore perché non ama il fratello; quindi non vede Dio, proprio perché non possiede l’amore.

Ma se ha l’amore, vede Dio, perché Dio è amore; ed il suo occhio viene sempre più purificato dall’amore, per essere in grado di vedere quella sostanza incommutabile che è Dio, e per poter sempre godere della sua presenza e in eterno gioirne insieme con gli angeli. Ma ora corra in tal modo che possa poi rallegrarsi, quando sarà nella patria. Non ami il pellegrinaggio, non ami la via: tutto consideri amaro, ad eccezione di colui che lo chiama, fino al momento in cui non ci congiungeremo con lui e potremo dire ciò che fu detto nel salmo: Hai mandato in perdizione tutti quelli che si sono prostituiti lontano da te.

Chi sono questi fornicatori? Quelli che se ne vanno via da lui per amare il mondo. Tu in che posizione sei? Prosegue il salmo: Per me è buona cosa stare vicino al Signore (Sal 72, 27-28). Tutto il mio bene è questo: attaccarmi a Dio gratuitamente. Se tu interrogassi il salmista e gli dicessi: perché aderisci a Dio? e ti rispondesse: per avere dei doni da lui; e tu gli chiedessi: quali doni? Lui stesso ha fatto il cielo e la terra: che cosa deve ancora donarti? Già aderisci a lui: trova di meglio ed egli te lo dona.

[Rimaniamo con la carità uniti a Cristo e alla Chiesa.]

11. Chi pertanto non ama il fratello che vede, come può amare Dio che non vede? Da lui abbiamo ricevuto questo comandamento, che ami anche il fratello colui che ama Dio (1 Gv 4, 20-21). Tu hai detto molto bene: Amo Dio; ma odi il fratello! O omicida, in che modo puoi amare Dio? Non hai sentito le parole precedenti dell’Epistola? Chi odia il suo fratello, è omicida (1 Gv 3, 15). Ma io continuo ad amare Dio, pur odiando il fratello. Decisamente tu non ami Dio, se odi il fratello. Adesso ve lo dimostro con un altro passo. Giovanni ha detto: Cristo ci ha dato il precetto di amarci a vicenda (1 Gv 3, 23): come puoi amare quel Dio di cui tieni in odio il comandamento? Chi mai direbbe: io amo l’imperatore, ma ne odio le leggi? L’imperatore capisce che lo si ama da questo: se le sue leggi sono osservate nelle province.

Quale è la legge del nostro imperatore? Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate l’un l’altro (Gv 13, 34). Tu affermi di amare Cristo: osserva il suo comandamento ed ama il tuo fratello. Se non ami il fratello, come puoi amare uno di cui disprezzi il comandamento? O fratelli, non mi sazio di parlare della carità, nel nome di Cristo. Più voi siete avari di questo bene, più speriamo che esso cresca in voi, scacci il timore, perché rimanga quel casto timore che dura per sempre. Cerchiamo di tollerare il mondo, le tribolazioni, gli scandali delle tentazioni. Non abbandoniamo la giusta via, manteniamo l’unità della Chiesa, teniamoci uniti a Cristo, conserviamo la carità. Non separiamoci dalle membra della sua sposa, non strappiamoci dalla fede, perché possiamo gloriarci quando egli si farà presente; resteremo in lui senza turbamenti, ora con la fede, più tardi con la visione, di cui abbiamo come caparra certissima il dono dello Spirito Santo.

SANT’AGOSTINO: -Cristiani di nome, non di fatto- “Perché mai Gesù non fu riconosciuto? Perché rimproverava a ciascuno i suoi peccati. Gli uomini che amavano i piaceri del peccato, non potevano riconoscere Dio”

 

DAL COMMENTO ALLA LETTERA DI SAN GIOVANNI, SANT’AGOSTINO

 

[Confessare il peccato e lottare con la grazia di Dio.]

3. Se voi sapete che egli è giusto, sappiate che chiunque si diporta giustamente, è nato da lui (1 Gv 2, 29). Attualmente la nostra giustizia deriva dalla fede. La giustizia perfetta si trova solo negli angeli, ma se li mettiamo a confronto con Dio, dovremo dire che a mala pena essi sono nella giustizia. Ma se esiste una giustizia relativamente perfetta nelle anime e negli spiriti creati da Dio, questa si trova negli angeli buoni santi e giusti, che non hanno abbandonato Dio con nessun peccato, non sono caduti in atti di superbia, ma sono sempre rimasti fedeli nella contemplazione del Verbo di Dio, nulla avendo di più dolce se non la visione di colui dal quale sono stati creati. Orbene in questi angeli noi troviamo la perfetta giustizia, mentre in noi si trova quella giustizia che ha avuto inizio dalla fede secondo lo Spirito. Allorché leggevamo il salmo, avete sentito queste parole: Incominciate a lodare il Signore con la confessione (Sal 146, 7). Il salmista dunque ci dice di incominciare: ora l’inizio della nostra giustizia è la confessione dei nostri peccati. Se hai incominciato a non scusare il tuo peccato, già hai dato inizio alla tua giustificazione: essa diventerà poi perfetta, quando il tuo unico diletto sarà la giustizia, e la morte sarà assorbita nella vittoria (cf. 1 Cor 15, 54), né più ti attirerà la concupiscenza, non si avrà più in te la lotta contro la carne ed il sangue e tu avrai la corona della vittoria, il trionfo sul nemico: allora ci sarà anche in te la perfetta giustizia.

Per il momento dobbiamo ancora combattere e se combattiamo significa che ancora ci troviamo nello stadio; possiamo infliggere ferite ma anche essere feriti, ed aspettiamo di vedere chi sarà il vincitore. Ora vincitore sarà colui che riesce a ferire, non facendo affidamento sulle sue forze, ma sulla spinta di Dio. Il diavolo è solo nel combatterci. Noi vinciamo il diavolo se stiamo vicini a Dio. Se pretendi di opporti da solo al diavolo, sarai sconfitto. Egli è un avversario avveduto ed esperto. Quante vittorie ha al suo attivo! Guardate da quale altezza ci ha precipitato: per farci nascere mortali, riuscì a scacciare dal paradiso i nostri progenitori. Che cosa fare dunque, dal momento che egli è tanto esperto? Si invochi l’Onnipotente contro il diavolo che è un nemico agguerrito. Abiti dentro di te colui che non può essere vinto, ed allora certamente vincerai colui che è solito vincere. Chi però il diavolo riesce sempre a vincere? Colui nel quale non abita il Signore. Adamo, infatti, mentre era nel paradiso disprezzò, come sapete, il comando del Signore e divenne superbo, desiderando essere indipendente, non più soggetto alla volontà di Dio; e così cadde dalla sua condizione di immortalità e di beatitudine (cf. Gn 3, 6). Ci fu un tempo un uomo agguerrito anche se mortale, che, sedendo nello sterco tra putridi vermi, vinse il diavolo: fu Adamo stesso che lo vinse nella persona di Giobbe, essendo questi un suo discendente; Adamo, quando era nel paradiso, subì la sconfitta; quando invece si trovò nello sterco, conseguì la vittoria. Quando era nel paradiso diede ascolto alle parole suasive della donna, che le aveva sentite suggerire dal diavolo; ma quando si trovò in mezzo allo sterco, egli disse ad Eva: Hai parlato da donnetta stolta (Gb 2, 10). Là, nel paradiso, si lasciò suggestionare, ma qui sa rispondere a tono; quando era in condizioni di felicità, si lasciò convincere; ma quando si trovò in mezzo alla disgrazia, ottenne la vittoria. Fate perciò attenzione, o fratelli, alle parole successive di questa Epistola: ci viene raccomandato di vincere il diavolo, ma non da soli. Se sapete che egli è giusto – ci dice l’apostolo Giovanni – sappiate che chi agisce con giustizia è nato da lui, cioè da Dio, da Cristo. Parlando di chi è nato da lui è a noi che si rivolge. Dunque per il fatto di essere nati da lui già siamo perfetti.

[Cristiani di nome, non di fatto.]

4. Ascoltate: Ecco quale amore ci mostrò il Padre: che siamo chiamati figli di Dio e lo siamo in realtà (1 Gv 3, 1). Chi di figlio ha soltanto il nome, non è vero figlio, che vantaggio ha da tal nome, se nulla significa per lui? Quanti si dicono medici ma non sanno curare i malati! Quanti hanno il nome di guardia, ma dormono tutta la notte! Allo stesso modo molti si dicono cristiani, ma in definitiva non lo sono, non sono ciò che il loro nome significa, non lo sono nella vita, non nei costumi, nella fede, nella speranza, nella carità. Ricordate, o fratelli, quanto avete udito: Ecco quale amore ci ha dimostrato il Padre: che siamo chiamati figli di Dio e lo siamo in realtà. Per questo il mondo non ci conosce; dal momento che il mondo non ha conosciuto il Padre, non conosce neanche noi (1 Gv 3, 1). Il mondo è tutto cristiano e in pari tempo è tutto empio; gli empi infatti sono sparsi in tutto il mondo e lo stesso si verifica per le persone pie: gli uni non conoscono gli altri. Come sappiamo che non si conoscono a vicenda? Da questo: che gli empi lanciano insulti contro coloro che vivono bene. Fate bene attenzione perché costoro si trovano forse anche in mezzo a voi.

Ciascuno di voi già vive religiosamente, già disprezza le cose del secolo, non va agli spettacoli, non si ubriaca come si trattasse di un rito, non si rende impuro (e la cosa è molto importante) nelle feste dei santi, col pretesto di ottenere il loro patrocinio. Perché mai, dunque, chi non compie tali azioni viene insultato da chi le compie? Ma come potrebbe essere oggetto di insulto, se fosse conosciuto? Perché allora non sono conosciuti? Perché il mondo non conosce il Padre. Chi sono coloro che formano il mondo? Evidentemente quelli che abitano il mondo, così come, dicendo casa, si intende parlare dei suoi abitatori. Queste cose già le abbiamo dette e ripetute, né ci stanchiamo di ripeterle. Quando sentite parlare del mondo in senso cattivo, dovete intendere solo gli amatori del mondo. Essi abitano nel mondo in quanto lo amano; e poiché lo abitano, hanno anche meritato di assumerne il nome. Il mondo perciò non ci conosce, perché non conosce il Padre. Gesù stesso camminava per le strade del mondo ed era Dio in carne umana, Dio nascosto nella debolezza della carne. Perché mai non fu riconosciuto? Perché rimproverava a ciascuno i suoi peccati. Gli uomini che amavano i piaceri del peccato, non potevano riconoscere Dio: amando ciò che la febbre suggeriva loro, facevano ingiuria al medico.

[Cristo è venuto per essere giudicato, tornerà per giudicare.]

5. Ma noi che faremo? Già siamo nati da lui, ma poiché restiamo ancora nella speranza, l’Apostolo ha aggiunto: Dilettissimi, ora siamo figli di Dio. Lo siamo già fin d’ora? Che cosa allora dobbiamo aspettare, se già siamo figli di Dio? Non ancora ci è stato rivelato ciò che saremo. Saremo qualcosa di diverso da ciò che sono i figli di Dio? Ascoltate le parole che seguono: Sappiamo che quando apparirà, saremo simili a lui, poiché lo vedremo così come egli è (1 Gv 3, 2). Comprenda la vostra Carità questa grande cosa: sappiamo che quando apparirà, saremo simili a lui, poiché lo vedremo così come egli è. Fate attenzione e vedete chi è qui indicato con la parola: è. Già voi sapete chi viene così chiamato. Viene detto è non soltanto chi è di nome ma chi è anche di fatto; chi ha un essere immutabile, eterno, incorruttibile; un essere che non migliora, perché già perfetto, né diminuisce perché eterno. Che cosa significa questo? In principio era il Verbo ed il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio (Gv 1, 1). Che cosa significano queste altre parole? Egli pur sussistendo in forma divina non giudicò un’usurpazione essere uguale a Dio (Fil 2, 6).

I cattivi non possono vedere Cristo nella sua forma divina, come il Verbo di Dio, l’Unigenito del Padre, uguale al Padre. Anche i cattivi invece potevano vederlo come Verbo fatto carne: nel giorno del giudizio lo vedranno anche i cattivi; egli verrà a giudicare, così come era venuto per essere giudicato. Egli è, nella medesima forma, uomo e Dio. Dice la Scrittura: Sia maledetto l’uomo che mette la sua speranza nell’uomo (Ger 17, 5). Egli venne come uomo, per essere giudicato, e come uomo verrà a giudicare. Se fosse impossibile vederlo, perché mai è stato scritto: Guarderanno a colui che hanno trafitto (Gv 19, 37)? Degli empi infatti è detto che lo vedranno e saranno confusi. In che senso allora non potranno vederlo, quando il Signore metterà alcuni alla sua destra ed altri alla sua sinistra? A quelli che metterà alla destra dirà: Venite, benedetti del Padre mio, possedete il Regno (Mt 25, 34). A quelli di sinistra dirà invece: Andate al fuoco eterno (Mt 25,.41). Essi vedranno in Cristo solo l’aspetto di servo, non vedranno la sua forma di Dio. Perché? Perché sono empi ed il Signore stesso dice: Beati i puri di cuore perché vedranno Dio (Mt 5, 8). Godremo dunque di una visione, o fratelli, mai contemplata dagli occhi, mai udita dalle orecchie, mai immaginata dalla fantasia (cf. 1 Cor 2, 9): una visione che supererà tutte le bellezze terrene, quella dell’oro, dell’argento, dei boschi e dei campi, del mare e del cielo, del sole e della luna, delle stelle e degli angeli; la ragione è questa: che essa è la fonte di ogni altra bellezza.

[Il desiderio amplia le nostre capacità recettive.]

6. Che cosa saremo dunque, allorché potremo godere questa visione? Che cosa ci è stato promesso? Saremo simili a lui, perché lo vedremo come è. La lingua non è riuscita ad esprimersi meglio, ma il resto immaginatelo colla mente. Che cosa sono le rivelazioni di Giovanni messe a confronto con Colui che è? Che cosa possiamo esprimere noi che siamo creature assolutamente impari alla sua grandezza? Torniamo adesso a parlare della sua unzione, di quell’unzione che insegna interiormente ciò che a parole non possiamo esprimere. Non potendo voi ora vedere questa visione, vostro impegno sia desiderarla.

La vita di un buon cristiano è tutta un santo desiderio. Ma se una cosa è oggetto di desiderio, ancora non la si vede, e tuttavia tu, attraverso il desiderio, ti dilati, cosicché potrai essere riempito quando giungerai alla visione. Ammettiamo che tu debba riempire un grosso sacco e sai che è molto voluminoso quello che ti sarà dato; ti preoccupi di allargare il sacco o l’otre o qualsiasi altro tipo di recipiente, più che puoi; sai quanto hai da metterci dentro e vedi che è piccolo; allargandolo lo rendi più capace. Allo stesso modo Dio con l’attesa allarga il nostro desiderio, col desiderio allarga l’animo e dilatandolo lo rende più capace. Viviamo dunque, o fratelli, di desiderio, poiché dobbiamo essere riempiti. Ammirate l’apostolo Paolo che dilata le capacità della sua anima, per poter accogliere ciò che avverrà. Egli dice infatti: Non che io abbia già raggiunto il fine o che io sia perfetto; non penso di avere già raggiunto la perfezione, o fratelli (Fil 3, 12-13). Ma allora che cosa fai, o Paolo, in questa vita, se non hai raggiunto la soddisfazione del tuo desiderio? Una sola cosa, inseguire con tutta l’anima la palma della vocazione celeste, dimentico di ciò che mi sta dietro, proteso invece a ciò che mi sta davanti (Fil 3, 13-14). Ha dunque affermato di essere proteso in avanti e di tendere al fine con tutto se stesso. Comprendeva bene di essere ancora incapace di accogliere ciò che occhio umano non vide, né orecchio intese, né fantasia immaginò.

In questo consiste la nostra vita: esercitarci col desiderio. Saremo tanto più vivificati da questo desiderio santo, quanto più allontaneremo i nostri desideri dall’amore del mondo. Già l’abbiamo detto più volte: il recipiente da riempire deve essere svuotato. Tu devi essere riempito di bene: liberati dunque dal male. Supponi che Dio ti voglia riempire di miele: se sei pieno di aceto, dove metterai il miele? Bisogna gettar via il contenuto del vaso, anzi bisogna addirittura pulire il vaso, pulirlo faticosamente coi detersivi, perché si presenti atto ad accogliere questa realtà misteriosa. La chiameremo impropriamente oro, la chiameremo vino. Qualunque cosa diciamo intorno a questa realtà inesprimibile, qualunque cosa ci sforziamo di dire, è racchiuso in questo nome: Dio. Ma quando lo abbiamo pronunciato, che cosa abbiamo pronunciato, che cosa abbiamo detto? Sono forse queste due sillabe tutto quel che aspettiamo? Qualunque cosa dunque siamo capaci di dire, è al di sotto della realtà: dilatiamoci col desiderio di lui, cosicché ci possa riempire, quando verrà. Saremo infatti simili a lui, perché lo vedremo così com’è.

[L’attesa paziente rafforza il desiderio.]

7. Ed ognuno che ha questa speranza in lui (1 Gv 3, 3). Vedete dunque come egli ci ha posto nella speranza. Considerate la perfetta armonia tra il pensiero dell’apostolo Paolo e quello del suo confratello nell’apostolato. Nella speranza – afferma san Paolo – noi siamo salvati. La speranza che si vede, non è speranza. Se uno vede qualcosa, come può sperarla? Se dunque speriamo ciò che non vediamo, attendiamolo nella pazienza (Rm 8, 24-25). La pazienza da parte sua mette in esercizio il desiderio. Anche a te tocca mantenerti costante, dal momento che Dio sempre resta; persevera nel cammino verso di lui, e lo raggiungerai; egli infatti, verso cui sei indirizzato, non si allontanerà. Vedete: chiunque spera in lui, si rende puro così come egli è puro (1 Gv 3, 3).

Vedete come Dio non distrugge il libero arbitrio; dice infatti si rende puro. Chi ci rende puri se non Dio? Ma Dio non ti purifica, se tu non lo vuoi. Per il fatto che insieme alla volontà di Dio metti anche la tua, tu rendi puro te stesso. Questo non si verifica in forza delle tue capacità, ma per merito di Colui che viene ad abitare dentro di te. Siccome però in questi atti c’è la parte della tua volontà, anche a te ne è attribuito il merito. Ma in tal modo che tu debba dire col salmo: Sii tu il mio aiuto, non abbandonarmi (Sal 26, 9). Se dici: sii tu il mio aiuto, significa che qualche cosa stai facendo; perché se nulla fai, in che cosa Dio dovrebbe aiutarti?

[Giustificazione e fede.]

8. Chiunque fa peccato, commette anche una iniquità (1 Gv 3, 4). Nessuno dica: il peccato non è una iniquità; non si dica: io sono peccatore ma non una persona iniqua. Perché: chiunque fa peccato, commette anche una iniquità. Il peccato è una iniquità. Che faremo dunque dei nostri peccati e delle nostre iniquità? Ascolta che cosa aggiunge Giovanni: Voi sapete che Gesù si è rivelato per togliere via il peccato e che in lui non c’è peccato (1 Gv 3, 5). Proprio colui nel quale non c’è peccato, è venuto a togliere il peccato. Se il peccato si trovasse anche in lui, occorrerebbe toglierlo da lui; ed egli non sarebbe in grado di toglierlo agli altri. Chiunque rimane in lui non pecca. Nella misura in cui uno rimane in lui, non pecca. Chiunque pecca, né lo vede, né lo conosce (1 Gv 3, 6).

Qui sorge un grande problema. Nessuna meraviglia che Giovanni affermi: chiunque pecca, né lo vede, né lo conosce. Noi ora non lo vediamo ma lo vedremo un giorno; noi non lo conosciamo ma lo conosceremo; noi crediamo in uno che ancora non conosciamo. Forse vuol dire che lo conosciamo per fede ma non lo conosciamo ancora nella visione? No, perché nella fede noi lo vediamo e lo conosciamo. Se non lo vedessimo per mezzo della fede, perché mai siamo detti illuminati? C’è una illuminazione che si attua con la fede e c’è una illuminazione che si attua nella visione diretta. Finché dura il pellegrinaggio terreno, noi non camminiamo nella visione ma nella fede (cf. 2 Cor 5, 7). Anche la nostra giustizia si attua dunque nella fede, non già nella visione, e sarà perfetta quando raggiungeremo la visione. Non dobbiamo abbandonare la giustizia che proviene dalla fede, perché il giusto vive di fede (Rm 1, 17), ci dice l’Apostolo. Chiunque rimane in lui non pecca; infatti chi pecca, né lo vede, né lo conosce. Chi pecca è uno che non crede, perché se credesse, per quanto dipendesse dalla sua fede, egli non peccherebbe.

Sant’Agostino: Noli me Tangere “Questo contatto (con Cristo) si verifica quando il cuore è puro. Tocca con cuore mondo il Cristo colui che lo riconosce uguale al Padre” La Madonna da Medjugorje: “Ho bisogno di apostoli dal cuore puro”

 

 La Madonna da Medjugorje: Messaggio Straordinario del 2 Ottobre 2012 (Mirjana Dragičević)

 

Cari figli, vi chiamo e vengo in mezzo a voi perché ho bisogno di voi. Ho bisogno di apostoli dal cuore puro. Prego, ma pregate anche voi, che lo Spirito Santo vi renda capaci e vi guidi, che vi illumini e vi riempia di amore e di umiltà. Pregate che vi riempia di grazia e di misericordia. Solo allora mi capirete, figli miei. Solo allora capirete il mio dolore per coloro che non hanno conosciuto l’Amore di Dio. Allora potrete aiutarmi. Sarete i miei portatori della luce dell’Amore di Dio. Illuminerete la via a coloro a cui gli occhi sono donati, ma non vogliono vedere. Io desidero che tutti i miei figli vedano mio Figlio. Io desidero che tutti i miei figli vivano il Suo Regno. Vi invito nuovamente e vi prego di pregare per coloro che mio Figlio ha chiamato. Vi ringrazio.

 

Dal COMMENTO ALLA PRIMA LETTERA DI SAN
GIOVANNI di Sant’Agostino

Alcuni pezzi della terza omelia:

 

Nutrendoci della verità e della vita che è Cristo, tendiamo alla perfezione, generosi nelle opere, in unità di carità e respingendo le allettazioni del mondo. Cristo è il maestro interiore e la sua unzione dà incremento alla nostra vita spirituale.

 1). Cristo si è abbassato a divenire il nostro latte ed ancora lui stesso, che pure è uguale al Padre, diventa nostro cibo. Ti nutre col latte affinché giunga anche a saziarti del pane; toccare Cristo spiritualmente col cuore, significa credere che egli è uguale al Padre.

[Riconoscere la divinità di Cristo.]

2. Per questa ragione proibiva a Maria di toccarlo e le diceva: Non mi toccare, poiché ancora non sono salito al Padre (Gv 20, 17). Che significano queste parole? Come mai si fece palpare dai discepoli e volle poi evitare il contatto con Maria? Non si tratta della stessa persona che disse al discepolo dubbioso: Metti qui le tue dita e palpa le mie cicatrici (Gv 20, 27)? A quel tempo era forse già asceso al Padre? Perché dunque trattiene Maria e le dice: Non toccarmi, non sono ancora asceso al Padre? Dovremo forse dire che egli non ebbe timore alcuno di farsi toccare dagli uomini mentre temette di farsi toccare dalle donne? No! Il suo contatto rende puro ogni corpo. Perché avrebbe dovuto temere a farsi toccare da quelli ai quali volle manifestarsi per primo? La sua resurrezione non fu forse rivelata agli uomini da alcune donne, cosicché il serpente fosse sconfitto dalla sua stessa tattica ma in senso contrario? Egli aveva annunciato la morte al primo uomo servendosi di una donna, ed è appunto per mezzo delle donne che è stata annunciata agli uomini la vita. Perché dunque il Signore risorto non volle essere toccato?

Per quest’unica ragione: voleva far capire che occorreva ormai toccarlo attraverso un contatto spirituale. Questo contatto si verifica quando il cuore è puro. Tocca con cuore mondo il Cristo colui che lo riconosce uguale al Padre. Chi ancora non riconosce la divinità di Cristo si arresta alla sua carne e non raggiunge la sua divinità. Non è un gran che arrivare a toccarlo come lo toccarono i persecutori che lo crocifissero. E’ invece importante comprendere il Verbo, Dio presso Dio fin dal principio, per mezzo del quale tutte le cose sono state fatte; egli voleva così essere conosciuto, quando disse a Filippo: Da tanto tempo, o Filippo, sono con voi e non mi avete conosciuto? Colui che vede me, vede anche il Padre (Gv 14, 9).

[Affrettiamoci a progredire perché è l’ultima ora.]

3. Chiunque intende non abbandonare il progresso verso la perfezione, ascolti ancora: Questa, o fanciulli, è l’ultima ora. Orsù progredite, incominciate a correre, crescete: questa è l’ultima ora. E’ un’ora assai lunga ma è pur sempre l’ultima. Con queste parole l’Apostolo intendeva indicarci gli ultimi tempi, poiché negli ultimi tempi verrà il Signore nostro Gesù Cristo. Alcuni potrebbero osservare: Perché questi che viviamo sono gli ultimi tempi? Perché è questa l’ultima ora? Prima deve venire l’Anticristo, poi il giorno del giudizio. Giovanni previene queste obiezioni in modo che nessuno si adagi tranquillo nella persuasione che questa non è l’ultima ora, perché prima deve venire l’Anticristo. Dice dunque l’Apostolo: Avendo voi udito che verrà l’Anticristo, molti già fin d’ora sono divenuti anticristi (1 Gv 2, 18). Sarebbe mai possibile che ci siano molti anticristi senza che sia giunta anche l’ultima ora?

[Anticristo è chi non aderisce sinceramente al corpo di Cristo.]

4. Ma chi sono quelli che l’Apostolo chiama anticristi? Lo dice in seguito. Da questo noi conosciamo che è l’ultima ora. Da che cosa dunque? Dal fatto che molti sono diventati anticristi. Essi sono usciti dalle nostre file (1 Gv 2, 18-19). Eccoli gli anticristi; essi uscirono dalle nostre file. Perciò piangiamo questa perdita. Ma ascolta ciò che ci consola: Non erano dei nostri. Tutti gli eretici, tutti gli scismatici sono usciti dalle nostre file, sono usciti cioè dalla Chiesa. Non ne uscirebbero se fossero dei nostri. Non erano dunque dei nostri già prima di uscire. Ma se già prima di uscire non erano dei nostri, molti ce ne sono dentro, che pur non essendo ancora usciti, sono anticristi. Osiamo fare queste osservazioni perché ciascuno di voi, restando dentro la Chiesa, non sia un anticristo.

Giovanni, come ora vedremo, ci descrive e ci indica chi sono gli anticristi. Ciascuno deve interrogare la propria coscienza e chiedersi se anche lui non sia un anticristo. Vediamo appunto chi sono gli anticristi.

Anticristo in latino significa avversario di Cristo. Alcuni intendono questo termine nel senso di uno che verrà prima di Cristo e dopo del quale ci sarà il ritorno di Cristo. Ma non è questo il vero significato del termine, che non va spiegato in questo modo. Anticristo è colui che si rivela contrario a Cristo. Ma chi dobbiamo intendere come contrario di Cristo? Ammaestrati da Giovanni voi capite che soltanto gli anticristi possono uscire dalla Chiesa. Chi non è contrario a Cristo non può in nessun modo uscire dalla Chiesa. Chi non è contrario a Cristo, si trova unito al suo corpo e ne è ritenuto un membro. Le membra di un corpo non si mettono in opposizione tra di loro. Un corpo è integro quando vi si trovano tutte le membra. Che dice l’Apostolo circa la concordia delle membra? Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; se un membro è trattato con onore, tutte le membra gioiscono (1 Cor 12, 26). Se per l’onore reso ad un membro anche gli altri gioiscono, ne deriva che se un membro soffre, soffrono tutti gli altri.

Questa concordia delle membra non permette che esistano gli anticristi. Ma ci sono di quelli che si trovano nel corpo di Cristo come gli umori cattivi nei corpi mortali (anche il corpo di Cristo abbisogna di cure di quando in quando, poiché esso godrà perfetta salute soltanto nel giorno della resurrezione dei morti). Il corpo trova sollievo quando vengono espulsi gli umori cattivi. Quando i cattivi si allontanano dalla Chiesa, questa ne sente sollievo. Quando il corpo evacua e rigetta gli umori cattivi, pare che dica: questi umori sono usciti da me ma non facevano parte del mio essere. Che cosa significano queste parole? Significano che umori cattivi mi opprimevano, ma non già che essi sono stati tagliati via dal mio corpo.

Sant’ Agostino : “Te lo posso dire in poche parole: prega (per ottenere) la vita beata.”

Dalla Lettera a Proba di Sant’Agostino

 

La felicità è da chiedersi a Dio.

4. 9. Hai udito con quali disposizioni devi pregare: ascolta ora quale dev’esser l’oggetto delle tue preghiere, poiché per questo soprattutto hai voluto consultarmi, poiché ti fa impressione ciò che dice l’Apostolo: Noi non sappiamo che cosa dobbiamo dire nelle preghiere per pregare come si deve. Tu in realtà temi che più del non pregare possa nuocerti il non farlo come si dovrebbe. Te lo posso dire in poche parole: prega (per ottenere) la vita beata. La desiderano tutti; anche coloro che menano una vita sregolata e pessima, non vivrebbero affatto così, se non fossero convinti di essere o di poter divenire beati in quel modo. Che altro dunque conviene chiedere nelle preghiere se non quel bene che bramano tanto i cattivi che i buoni, ma al quale arrivano solo i buoni?

Cristo esorta: chiedete, cercate, bussate!

8. 16. A questo proposito troviamo anche scritto: Chiedete e otterrete, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto; poiché chi chiede riceve, chi cerca trova, a chi bussa sarà aperto. Qual è tra voi quel padre che, se il figlio gli chiede un pane, gli darà una pietra o se gli chiede un pesce gli darà un serpente o se gli chiede un uovo gli darà uno scorpione? Se voi dunque, pure essendo cattivi, sapete dare ai vostri figli doni buoni, quanto più il Padre vostro celeste li largirà a voi quando glieli chiedete?Delle tre note virtù raccomandate dall’Apostolo la fede è simboleggiata nel pesce, sia a causa dell’acqua del battesimo, sia perché rimane integra in mezzo ai flutti di questa vita: ad essa si oppone il serpente, il quale con velenoso inganno persuase i progenitori a non credere a Dio; la speranza è raffigurata nell’uovo, perché la vita del pulcino non c’è ancora ma ci sarà, non si vede ancora ma si spera, poiché una speranza che si vede non è più speranza; all’uovo si oppone lo scorpione, poiché colui che spera la vita eterna, dimentica le cose che gli stanno dietro e si protende verso quelle che gli stanno davanti, mentre gli nuoce rivolgersi a guardare indietro; dallo scorpione però bisogna guardarsi nella sua parte posteriore, velenosa e armata di aculeo; nel pane è raffigurata la carità, ch’è la più grande di queste virtù, a quel modo che il pane è superiore per utilità a tutti gli altri alimenti: al pane si oppone la pietra, giacché i cuori duri respingono la carità. Anche se queste cose ammettono un’altra interpretazione più conveniente, nondimeno Colui che sa concedere ai suoi figli i buoni doni, ci spinge a chiedere, a cercare, a bussare.

Pregare sempre per mantenere il fervore.

9. 18. Noi dunque preghiamo sempre con desiderio continuo sgorgato dalla fede, speranza e carità. Ma a intervalli fissi di ore e in date circostanze preghiamo Dio anche con parole, affinché mediante quei segni delle cose stimoliamo noi stessi e ci rendiamo conto di quanto abbiamo progredito in questo desiderio e ci sproniamo più vivamente ad accrescerlo in noi. Più degno sarà l’effetto che sarà preceduto da un affetto più fervoroso. Perciò anche quel che dice l’Apostolo: Pregate senza interruzione, che altro significa se non: ” Desiderate, senza stancarvi, di ricevere da Colui, che solo ve la può dare, la vita beata, che non è se non la vita eterna “? Se dunque sempre la desideriamo da Dio nostro Signore, non cesseremo nemmeno di pregare. Ecco perché in determinate ore noi distogliamo il nostro pensiero dalle preoccupazioni e dagli affari, che ci fanno intiepidire in qualche modo il desiderio, e lo rivolgiamo alla preghiera eccitandoci con le parole dell’orazione a concentrarci in ciò che desideriamo per evitare che il desiderio, cominciato a intiepidirsi, si raffreddi del tutto e si spenga completamente qualora non venisse ridestato con più fervore. Perciò il medesimo Apostolo disse: Le vostre domande siano manifeste presso Dio. Queste parole non vanno intese nel senso che debbano essere conosciute da Dio, il quale senz’altro le conosceva prima che fossero formulate, ma nel senso che siano note a noi presso Dio per incoraggiarci, non presso gli uomini per vantarci. Oppure vanno forse intese anche nel senso che siano note agli angeli che stanno alla presenza di Dio, affinché in qualche modo le offrano a lui e lo consultino in merito ad esse e ciò che hanno conosciuto di dover compiere per suo ordine lo apportino a noi in modo manifesto od occulto come hanno conosciuto da Dio essere a noi conveniente. Disse infatti l’angelo all’uomo: E dianzi, quando tu e Sara pregavate, io ho presentato la vostra preghiera al cospetto della luminosa grandezza di Dio.

Il vero bene da chiedere: il sommo Bene.

14. 27. Chiunque chiede al Signore e cerca d’ottenere l’unica cosa, senza la quale non giova nulla qualunque altra cosa abbia ricevuta pregando come si deve, la chiede con certezza e sicurezza, né teme ch’essa gli possa nuocere quando l’abbia ricevuta. Questa cosa infatti è l’unica vera vita e la sola beata: cioè il poter contemplare, immortali per l’eternità e incorruttibili nel corpo e nello spirito, le delizie di Dio. In vista di questa sola cosa si cercano e si desiderano onestamente tutte le altre. Chi l’otterrà, possederà tutto ciò che vuole né potrà allora chiedere cosa che non sarà conveniente. In essa è la sorgente della vita, di cui ora dobbiamo avere sete nella preghiera, fino a che viviamo nella speranza e non vediamo ancora ciò che speriamo, sotto la protezione delle ali di Colui, al cui cospetto è tutto intero il nostro desiderio, che è quello di saziarci dei ricchi beni della sua casa, di dissetarci al fiume delle sue delizie. In lui infatti è la fonte della vita e nella luce di Lui vedremo la luce, quando il nostro desiderio sarà saziato dai suoi beni e non vi sarà più da chiedere con gemiti, ma solo da possedere con godimento. Ma poiché essa è la pace che supera ogni intendimento, anche quando la chiediamo nella preghiera, non sappiamo che cosa chiedere per pregare come si conviene. Quando infatti una cosa non riusciamo a immaginarla com’è in realtà, certamente non la conosciamo; tutto ciò che s’affaccia al pensiero lo rigettiamo, lo rifiutiamo, lo disapproviamo, sappiamo che non è quello che cerchiamo, quantunque non sappiamo ancora che cosa sai specificamente.

Sant’ Agostino : “Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato. Ed ecco che tu stavi dentro di me e io ero fuori e là ti cercavo!” “Ci hai fatti per te, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te”

 

“Tu sei grande, Signore, e ben degno di lode; grande è la tua virtù, e la tua sapienza incalcolabile. E l’uomo vuole lodarti, una particella del tuo creato, che si porta attorno il suo destino mortale, che si porta attorno la prova del suo peccato e la prova che tu resisti ai superbi. Eppure l’uomo, una particella del tuo creato, vuole lodarti. Sei tu che lo stimoli a dilettarsi delle tue lodi, perché ci hai fatti per te, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te.”

 

“Così la tua Sapienza, per mezzo della quale hai creato ogni cosa, si rendeva alimento della nostra debolezza da bambini. Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato. Ed ecco che tu stavi dentro di me e io ero fuori e là ti cercavo. E io, brutto, mi avventavo sulle cose belle da te create. Eri con me ed io non ero con te. Mi tenevano lontano da te quelle creature, che, se non fossero in te, neppure esisterebbero. Mi hai chiamato, hai gridato, hai infranto la mia sordità. Mi hai abbagliato, mi hai folgorato e hai finalmente guarito la mia cecità. Hai alitato su di me il tuo profumo ed io l’ho respirato, e ora anelo a te. Ti ho gustato e ora ho fame e sete di te. Mi hai toccato e ora ardo dal desiderio di conseguire la tua pace”.

(Sant’ Agostino – Dal libro delle Confessioni)

 

 

“Amerai il Signore Dio e amerai il prossimo tuo come te stesso. Perché l’uomo sapesse amare se stesso, gli fu stabilito un fine al quale dirigere tutte le sue azioni per essere felice. E questo fine è unirsi a Dio. A chi sa amare se stesso, quando gli si comanda di amare il prossimo come se stesso, gli si comanda soltanto che, per quanto gli è possibile, lo sproni ad amare Dio. Questo è il culto di Dio, questa la vera religione, questa la retta pietà, questo il servizio dovuto soltanto a Dio”

 

(Sant’ Agostino, la città di Dio)

 

 

“Scuotici, Signore, infiammaci e rapiscici, sii fuoco e dolcezza: impareremo a correre nell’amore. Non sono forse molti a tornare a te da un abisso di cecità? si avvicinano a te e vengono illuminati da quella tua luce con la quale si riceve il potere di diventare tuoi figli”

 

(Sant’ Agostino, Preghiera)