GLI ERRORI DELLE ANIME CHE SI AFFIDANO ALLE PROFEZIE, RIVELAZIONI, VISIONI, E LOCUZIONI, SENZA LA GUIDA DELLA CHIESA: “Deve guidarci in tutto la legge di Cristo uomo, della sua Chiesa e dei suoi ministri, che ci parlano in maniera umana e visibile” SAN GIOVANNI DELLA CROCE

“Non dobbiamo quindi fidarci della nostra intelligenza circa le profezie, bensì della nostra fede”

“Deve guidarci in tutto la legge di Cristo uomo, della sua Chiesa e dei suoi ministri, che ci parlano in maniera umana e visibile.”

“Il demonio suggerisce molte cose vere e conformi alla ragione, che si avvereranno. Le anime, quindi, possono facilmente cadere nell’inganno, convinte che, essendo cose vere e che si realizzano, non possono venire che da Dio”

“Il demonio è abilissimo nell’insinuare menzogne, da cui è possibile liberarsi solo rifuggendo da tutte le rivelazioni, visioni e locuzioni soprannaturali”

SAN GIOVANNI DELLA CROCE, DOTTORE DELLA CHIESA:

Non dobbiamo quindi pensare che, sebbene le parole e le rivelazioni vengano da Dio, necessariamente debbano realizzarsi alla lettera, soprattutto quando sono legate a cause umane, che possono variare, mutare e scomparire.

Quando tali fatti dipendono da queste cause, Dio solo lo sa, ma non sempre lo rivela. Talvolta egli comunica le sue parole o le sue rivelazioni, tacendo sulle circostanze in cui si avvereranno, come fece con i niniviti, ai quali disse categoricamente che sarebbero stati distrutti al termine di quaranta giorni (Gio 3,4). Altre volte spiega le circostanze, come fece con Roboamo dicendogli: Se ascolterai quanto ti comanderò, se seguirai le mie vie e farai quanto è giusto ai miei occhi osservando i miei decreti e i miei comandi, come ha fatto Davide mio servo, io sarò con te e ti edificherò una casa stabile come l’ho edificata per Davide (1Re 11,38). Tuttavia, che manifesti o meno le condizioni delle profezie, non dobbiamo basarci sulla nostra intelligenza, perché non siamo in grado di comprendere le verità nascoste nella parola di Dio o nei significati molteplici che essa può assumere. Egli sta in cielo e parla in termini di eternità; noi, invece, ciechi, siamo su questa terra e comprendiamo solo le vie della carne e del tempo. Per questo motivo il Saggio ha detto: Non essere precipitoso con la bocca e il tuo cuore non si affretti a proferir parola davanti a Dio, perché Dio è in cielo e tu sei sulla terra (Qo 5,1).

Forse mi dirai: ma allora, se non dobbiamo comprendere queste rivelazioni né occuparci di esse, perché Dio ce le comunica? Ho detto che ogni rivelazione verrà compresa nel momento stabilito da colui che l’ha fatta e solo da chi vuole lui; si vedrà allora che era meglio così, perché Dio non fa nulla senza motivo e al di fuori della verità. Occorre, dunque, convincersi che è impossibile comprendere compiutamente il significato delle parole e delle rivelazioni di Dio, né basarsi sulle loro apparenze, senza cadere in gravi errori e in profonda confusione. (…)

Perché, dunque, stupirsi se alcune profezie o rivelazioni che Dio fa alle anime non si verificano nel senso in cui vengono intese? Nel caso infatti che Dio dica a un’anima o le riveli che essa o un’altra riceverà tale o tal altra cosa di bene o di male, qualora ci si basi su determinati atti attraverso cui questa o un’altra anima recano gloria od offesa a Dio, se tali anime perseverano in questo atteggiamento, la profezia si avvererà. Ma non è certo che questa si avvererà, perché non è certo che le anime perseverino. Non dobbiamo quindi fidarci della nostra intelligenza circa le profezie, bensì della nostra fede. (…)

Ritengo, tuttavia, molto pericoloso per un’anima desiderare conoscenze per via soprannaturale, peggio ancora che se cercasse tramite i sensi dolcezze spirituali. Non vedo, infatti, come l’anima che le pretende non pecchi almeno venialmente, sebbene abbia le migliori intenzioni e sia giunta alla perfezione. Lo stesso vale per il direttore che la guidasse in questo senso o consentisse a questo suo modo di fare. Non c’è, infatti, alcun bisogno di comportarsi così. Abbiamo la ragione naturale, la legge e la dottrina evangelica, secondo le quali ci si può sufficientemente regolare; non c’è difficoltà o necessità che non si possa risolvere e rimediare con questi mezzi graditi a Dio e vantaggiosi per le anime. Dobbiamo, anzi, ricorrere alla ragione e alla dottrina evangelica sempre e in modo tale che, se ci venissero comunicate alcune cose soprannaturali dietro nostra richiesta oppure indipendentemente dalla nostra volontà, dovremmo accogliere soltanto quelle che sono perfettamente conformi alla ragione e al dettato evangelico. In questo caso dovremmo accogliere tali cose non perché sono una rivelazione, ma perché conformi alla ragione, lasciando perdere ogni riferimento alla rivelazione. Ma anche in questi casi dovremmo considerare ed esaminare il fatto molto più attentamente che se non vi fosse stata rivelazione alcuna, perché il demonio insinua molte cose vere, cose che accadranno e del tutto conformi alla ragione, ma lo fa solo per ingannare.

In tutte le nostre necessità, sofferenze e difficoltà non ci resta, quindi, altro mezzo migliore e più sicuro che la preghiera e la speranza che Dio ci aiuterà nel modo che crederà opportuno. (…)

Questi e altri esempi mostrano come Dio accondiscenda malvolentieri ai desideri delle anime. Vi sono molte altre testimonianze nella sacra Scrittura che provano quanto detto, ma non c’è bisogno di riportarle perché la nostra asserzione è chiara di per sé. Dico solo che è pericoloso, molto più di quanto sappia esprimermi, voler trattare con Dio per tali vie. Chi si basa su questi mezzi certamente cadrà in gravi errori e spesso in una grande confusione. Chi ci farà attenzione, mi capirà per esperienza. Del resto, oltre alla facilità d’ingannarsi riguardo alle locuzioni e alle visioni provenienti da Dio, ordinariamente ve ne sono molte che vengono dal demonio. Questi, infatti, tiene generalmente nei confronti dell’anima un comportamento e un modo di fare simile a quello di Dio, per insinuarsi in essa indistintamente come il lupo penetra nell’ovile sotto le spoglie di pecora. Egli suggerisce molte cose vere e conformi alla ragione, che si avvereranno. Le anime, quindi, possono facilmente cadere nell’inganno, convinte che, essendo cose vere e che si realizzano, non possono venire che da Dio. In realtà ignorano che è facilissimo per chi, come il demonio, possiede un lume naturale così grande, conoscere gli avvenimenti o molti di essi, passati e futuri già nelle loro cause. Poiché il demonio possiede questa luce molto viva, con estrema facilità può predire che alla tal causa seguirà quel determinato effetto, anche se a volte si sbaglia perché tutte le cause dipendono dalla volontà di Dio.

Facciamo un esempio: il demonio sa che la disposizione della terra, dell’aria e del sole è tale che, necessariamente, in un determinato momento, proprio in virtù della loro disposizione, quegli elementi si deterioreranno e diffonderanno, con la peste, il contagio alle persone; sa anche dove questa colpirà di più e dove meno. Ecco prevista la peste nelle sue cause. Ci sarebbe allora da stupirsi se il demonio rivelasse ciò a un’anima, dicendo: “Tra un anno” o “tra sei mesi scoppierà la peste”, e poi la previsione si avverasse? Ma è una profezia del demonio. Allo stesso modo egli può conoscere i terremoti. Vede che le viscere della terra si vanno gonfiando di aria e potrebbe dire: “Nel tal giorno la terra tremerà”. Ma questa è una conoscenza naturale. (…)

Lo stesso si può dire di molti altri avvenimenti in tanti altri modi che non finirei di esporre. Non saprei neppure come cominciare a parlarne, perché molto intricati e sottili. Il demonio è abilissimo nell’insinuare menzogne, da cui è possibile liberarsi solo rifuggendo da tutte le rivelazioni, visioni e locuzioni soprannaturali. Per questo giustamente Dio si adira con chi le ammette, perché vede che la temerarietà di mettersi in simili pericoli è presunzione, curiosità, motivo di superbia e fonte di vanagloria, disprezzo delle cose di Dio e principio di molti mali in cui tanti sono caduti. Costoro irritano talmente Dio che egli li lascia volutamente cadere nell’errore, nell’inganno e nell’accecamento dello spirito. Permette, altresì, che abbandonino le regole ordinarie della vita, per consegnarsi ai loro capricci e alle loro fantasie, come dice Isaia: Domine miscuit in medio eius spiritum vertiginis: Il Signore ha mandato in mezzo a loro uno spirito di smarrimento (Is 19,14), che, in parole povere, significa lo spirito di capire alla rovescia. Le parole di Isaia fanno proprio al caso nostro, perché parlano di coloro che volevano conoscere il futuro per vie soprannaturali. Per questo dice che Dio ha diffuso in loro uno spirito che fa loro capire le cose a rovescio. Non perché Dio abbia voluto così o abbia appositamente dato questo spirito di errore, ma perché essi volevano intromettersi in misteri che non potevano raggiungere naturalmente. Sdegnato per questo motivo, lasciò che si smarrissero, non concedendo loro la luce per quelle cose in cui non voleva che s’intromettessero. Quando il profeta dice che Dio ha dato questo spirito di errore, vuol dire che ha agito in maniera privativa. In questo modo Dio è causa di quel danno, cioè causa privativa: egli toglie la sua luce e la sua assistenza; di conseguenza si cade inevitabilmente nell’errore.

In questo modo il Signore permette che il demonio accechi e inganni molte anime, a causa dei loro peccati e della loro presunzione. Il demonio può farlo e ottiene il suo scopo, perché esse gli credono e lo scambiano per uno spirito buono. Tanto è vero che, malgrado le insistenze per dissuaderle, non si riesce a strapparle dall’inganno. Dio permette che assimilino questo spirito, che consiste nel capire le cose a rovescio. Ciò è quanto accadde ai profeti del re Acab. Dio permise che fossero ingannati dallo spirito di menzogna, lasciando mano libera al demonio, in questi termini: Decipies, et praevalebis; egredere, et fac ita: Lo ingannerai senz’altro; ci riuscirai; va’ e fa’ così (1Re 22,22). E il demonio riuscì a ingannare il re e i profeti al punto che non vollero credere al profeta Michea, che annunciava loro la verità, del tutto contraria a quella che gli altri avevano profetizzato. Questo perché Dio permise che venissero accecati a motivo del loro attaccamento a ciò che volevano accadesse, cioè che Dio rispondesse secondo le loro voglie e i loro desideri. Ora, questo era un mezzo e una disposizione che avrebbe necessariamente indotto Dio a lasciarli di proposito nel loro accecamento e inganno.

Allo stesso modo profetizzò anche Ezechiele in nome di Dio. Parlando contro colui che, spinto dalla curiosità e dall’ambizione del suo spirito, vuole conoscere gli avvenimenti per via soprannaturale, afferma: Quando un tale uomo verrà dal profeta a consultarmi per mezzo di lui, io, il Signore, gli risponderò da me stesso e volgerò la mia faccia adirata contro di lui… e contro il profeta che ha errato circa quello che è stato domandato. Ego, Dominus, decepi prophetam illum (Ez 14,7-9 Volg.), cioè: Io, il Signore, ho ingannato quel profeta. Questo significa che Dio non interviene con la sua grazia per impedire che il profeta s’inganni, come risulta dall’altra espressione: Io, il Signore, risponderò da me nella mia ira. Dio allora ritira la sua grazia e il suo favore da quell’anima che, priva dell’assistenza divina, necessariamente cade nell’inganno. Subito il demonio provvede a rispondere ai desideri e alle voglie di quell’anima, che, soddisfatta delle risposte e delle comunicazioni conformi alla sua volontà, cade in una grave illusione. (…)

Ora, perciò, deve guidarci in tutto la legge di Cristo uomo, della sua Chiesa e dei suoi ministri, che ci parlano in maniera umana e visibile. Solo in questo modo troveremo un rimedio alla nostra ignoranza e debolezza spirituale; per questa via troveremo abbondante medicina per tutti i nostri bisogni. Cercando altrove, manifesteremmo non solo curiosità, ma anche impudenza. Non si deve credere a nulla di ciò che ci viene per via soprannaturale, ma solo all’insegnamento di Cristo uomo e, ripeto, a quello dei suoi ministri, uomini anch’essi. Tant’è vero che san Paolo si esprime in questi termini: Quod si angelus de caelo evangelizaverit, praeterquam quod evangelizavimus vobis, anathema sit: Se anche un angelo dal cielo predicasse un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anatema! (Gal 1,8).

Va notato che il Signore non ha detto: dove sarà uno ci sarò anch’io, ma: dove saranno almeno due. Con questa espressione Dio vuol farci capire che non vuole che nessuno dia credito da solo alle comunicazioni che ritiene provenienti dall’alto, né che vi si conformi o si appoggi senza il consiglio della Chiesa e dei suoi ministri. Chi è solo, non ha il Signore che gli chiarisca o gli confermi le verità nel cuore, e così rimarrà sempre debole e freddo nei confronti della verità.

(San Giovanni della Croce, Dottore della Chiesa, da “La salita al monte Carmelo, dal cap. 19 al 22”)

Per approfondire: https://www.monasterovirtuale.it/s-giovanni-della-croce/salita-del-monte-carmelo.html?start=2

Dio Padre rivela a Santa Caterina da Siena: “La gloria dei Beati e dei Santi in Paradiso!” “Oh, quanto diletto provano nel vedere me, che sono ogni bene!”

Tratto dal Dialogo della divina Provvidenza: le rivelazioni di Dio Padre a Santa Caterina da Siena

 

CAPITOLO 41

La gloria dei beati.

Parla Dio Padre:

“Anche l’anima giusta che finisce la vita in affetto di carità ed è legata a Dio nell’amore, non può crescere in virtù, poiché viene a mancare il tempo di quaggiù, ma può sempre amare con quella dilezione che la porta a Me, e con tale misura le viene misurato il premio. Sempre mi desidera e sempre mi ama, onde il suo desiderio non è vuoto; ma sebbene abbia fame, è saziato, e saziato ha fame; e tuttavia è lungi il fastidio della sazietà, come è lungi la pena della fame.

Nell’amore i beati godono dell’eterna mia visione, partecipando ognuno, secondo la sua misura, di quel bene, che io ho in me medesimo. Con quella misura d’amore con la quale sono venuti a me, con essa viene loro misurato. Essi sono rimasti nella mia carità ed in quella del prossimo; sono stati insieme uniti nella carità comune ed in quella particolare, che esce pure da una medesima carità.

Godono ed esultano, partecipando l’uno del bene dell’altro con l’affetto della carità, oltre al bene universale, che essi hanno tutti insieme. Godono ed esultano cogli angeli, coi quali sono collocati i santi, secondo le diverse e varie virtù, che principalmente ebbero nel mondo, essendo tutti legati nel legame della carità. Hanno poi una partecipazione singolare di bene con coloro coi quali si amavano strettamente d’amore speciale nel mondo, col quale amore crescevano in grazia, aumentando la virtù. L’uno era cagione all’altro di manifestare la gloria e lode del mio nome, in sé e nel prossimo. Nella vita eterna non hanno perduto questo affetto, ma l’hanno aggiunto al bene generale, partecipando più strettamente e con più abbondanza l’uno del bene dell’altro.

Non vorrei però che tu credessi che questo bene partico­lare, di cui ti ho parlato, l’avessero solo per sé: non è così, ma esso è partecipato da tutti quanti i gustatori, che sono i cittadini del cielo, i miei figli diletti, e da tutte le creature angeliche. Quando l’anima giunge a vita eterna, tutti parteci­pano del bene di quell’anima, e l’anima del bene loro. Non è che il vaso di ciascuno possa crescere, né che abbia bisogno di empirsi, poiché è pieno e quindi non può crescere; ma hanno un’esultanza, una giocondità, un giubilo, un’allegrezza, che si ravvivano in loro, per quanto sono venuti a conoscere di quell’anima. Vedono che per mia misericordia ella è tolta alla terra con la pienezza della grazia, e così esultano in me per il bene che quell’anima ha ricevuto dalla mia bontà.

E quell’anima gode pure in me, nelle altre anime, e negli spiriti beati, vedendo e gustando in loro la bellezza e dolcez­za della mia carità. I loro desideri gridano sempre dinanzi a me per la salvezza di tutto quanto il mondo. Poiché la loro vita finì nella carità dei prossimo, non hanno lasciata questa carità, ma sono passati con essa per la porta del mio Unige­nito Figliuolo, nel modo che ti dirò più sotto. Vedi dunque che essi restano con quel legame dell’amore, col quale finì la loro vita: esso resta e dura per tutta l’eternità.

Sono tanto conformi alla mia volontà, che non possono volere se non quello che io voglio; poiché il loro libero arbi­trio è legato per siffatto modo col legame della carità che, quando viene meno il tempo di questa vita alla creatura, che ha in sé ragione e che muore in stato di grazia, essa non può più peccare. Ed è tanto unita la sua volontà alla mia che, se il padre o la madre vedessero il figliolo nell’inferno, o il figlio ci vedesse la madre, non se ne curerebbero; anzi sono contenti di vederli puniti come miei nemici. In nessuna cosa si scordano di me; i loro desideri sono appagati. Desiderio dei beati è di vedere trionfare il mio onore in voi viandanti, che siete pellegrini in questa terra e sempre correte verso il termine della morte. Nel desiderio del mio onore bramano la vostra salute, e perciò sempre mi pregano per voi. Un tale desiderio è sempre adempiuto per parte mia, se voi ignoranti non recalcitraste contro la mia misericordia.

Hanno ancora il desiderio di riavere la dote della loro anima, che è il corpo; questo desiderio non li affligge al presente, ma godono per la certezza che hanno di vederlo appagato: non li affligge, perché, sebbene ancora non abbiano il corpo, tuttavia non manca loro la beatitudine, e perciò non risentono pena. Non pensare che la beatitudine del corpo, dopo la resurre­zione, dia maggiore beatitudine all’anima. Se fosse così, ne ver­rebbe che i beati avrebbero una beatitudine imperfetta, fino a che non riprendessero il corpo; cosa impossibile, perché in loro non manca perfezione alcuna. Non è il corpo che dia beatitudine all’anima, ma sarà l’anima a dare beatitudine al corpo; darà della sua abbondanza, rivestendo nel dì del giudizio la propria carne, che aveva lasciato in terra.

Come l’anima è resa immortale, ferma e stabilita in me, così il corpo in quella unione diventa immortale; perduta la gravezza della materia, diviene sottile e leggero. Sappi che il corpo glorificato passerebbe di mezzo a un muro. Né il fuoco né l’acqua potrebbero nuocergli, non per virtù sua ma per virtù dell’anima, la quale virtù è mia, ed è stata data a lei per grazia e per quell’amore ineffabile col quale la creai a mia immagine e somiglianza. L’occhio del tuo intelletto non è sufficiente a ve­dere, né l’orecchio a udire, né la lingua a narrare, né il cuore a pensare, il bene loro.

Oh, quanto diletto provano nel vedere me, che sono ogni bene! Oh, quanto diletto avranno, allorché il loro corpo sarà glorificato! E sebbene manchino di questo bene fino al giorno del giudizio universale, non hanno pena, perché l’anima è piena di felicità in se stessa. Una tale beatitudine sarà poi partecipata al corpo, come ti ho spiegato.

Ti parlavo del bene, che ritrarrebbe il corpo glorificato nell’Umanità glorificata del mio Figlio Unigenito, la quale dà a voi certezza della vostra resurrezione. Esultano i beati nelle sue piaghe, che sono rimaste fresche; sono conservate nel suo corpo le cicatrici, che continuamente gridano a me, sommo ed eterno Padre, misericordia. Tutti si conformano a lui in gaudio e giocondità, occhio con occhio, mano con mano, e con tutto il corpo del dolce Verbo, mio Figlio. Stando in me, starete in lui, poiché egli è una cosa sola con me; ma l’occhio del vostro corpo si diletterà nell’Umanità glorificata del Verbo Unigenito mio Figlio. Perché questo? Perché la loro vita finì nella dilezione della mia carità, e perciò dura loro eternamente.

Non possono guadagnare alcun nuovo bene, ma si godono quello che si sono portato, non potendo fare alcun atto meritorio, perché solo in vita si merita e si pecca, secondo che piace al libero arbitrio della vostra volontà. Essi non aspettano con timore, ma con allegrezza, il giudizio divino; e la faccia del mio Figlio non parrà loro terribile, né piena d’odio, perché sono morti nella carità, nella dilezione di me e nella benevolenza del prossimo. Così tu comprendi come la mutazione della faccia non sarà in lui, quando verrà a giudicare con la mia maestà, ma in coloro che saranno giudicati da lui. Ai dannati apparirà con odio e con giustizia; ai salvati, con amore e misericordia.”

(Dal Dialogo della divina provvidenza, Santa Caterina da Siena)

Rivelazione della Vergine Maria alla Venerabile Suor Maria: “Così Lucifero continuamente trascina all’Inferno un gran numero di uomini, sollevandosi sempre di più contro l’Altissimo nella sua superbia” “Facendo dimenticare agli uomini i ‘Novissimi’: Morte, Giudizio, Inferno e Gloria”

Dalla “Mistica città di Dio,Vita della Vergine Madre di Dio” rivelata alla Venerabile Suor Maria di Ágreda

 

Insegnamento della Regina del cielo, parla Maria Vergine:

773. Figlia mia, tutte le opere del mio Figlio santissimo e mie sono colme di insegnamenti e istruzioni per gli uomini che le considerano con attenta stima. Sua Maestà si allontanò da me affinché cercandolo con dolore e lacrime lo ritrovassi poi con gioia a mio vantaggio spirituale. Anche tu devi cercare il Signore con amaro dolore, affinché questo dolore ti procuri un’incessante sollecitudine, senza riposare su cosa alcuna per tutto il tempo della tua vita, sino a quando tu non arrivi a possederlo e non lo lasci più. Perché tu comprenda meglio il mistero del Signore, sappi che la sua sapienza infinita plasma le creature capaci della sua eterna felicità ponendole sì sul cammino che conduce ad essa, ma allo stesso tempo così lontane e non sicure di arrivarvi. Fintanto che non siano giunte a possedere l’eterna felicità, vivano sempre pronte e nel dolore, affinché la sollecitudine generi in esse un continuo timore e orrore per il peccato, il quale fa perdere la beatitudine. Anche nel tumulto della conversazione umana la creatura non si lasci legare né avviluppare dalle cose visibili e terrene. Il Creatore aiuta in questa sollecitudine, aggiungendo alla ragione naturale le virtù della fede e della speranza, le quali stimolano l’amore con cui cercare e trovare il fine ultimo. Oltre a queste virtù e ad altre infuse con il battesimo, manda ispirazioni e aiuti per ridestare e rimuovere l’anima lontana dallo stesso Signore, affinché non lo dimentichi né si scordi di se stessa mentre è priva della sua amabile presenza. Anzi continui la sua strada sino a giungere al bene desiderato, dove troverà la pienezza del suo amore e dei suoi desideri.

774. Potrai, dunque, capire quanto grande sia la cecità dei mortali e quanto scarso il numero di coloro che si concedono il tempo di considerare attentamente l’ordine meraviglioso della loro creazione e giustificazione e le opere che l’Altissimo ha compiuto per così alto fine. A questa dimenticanza fanno seguito tanti mali, quanti ne soffrono le creature attaccandosi al possesso dei beni terreni e dei piaceri ingannevoli, come se questi fossero la loro felicità e il fine ultimo: è cattiveria grande, rivolta contro la volontà del Signore. I mortali vogliono in questa breve e transitoria vita dilettarsi di ciò che è visibile, come se fosse il loro ultimo fine, mentre dovrebbero usare le creature come mezzo per raggiungere il sommo Bene e non per perderlo. Avverti, dunque, o carissima, questo rischio della stoltezza umana. Tutto ciò che è dilettevole, piacevole e poco serio giudicalo un errore; di’ all’appagamento dei sensi che si lascia ingannare invano e che è madre della stoltezza, rende il cuore ubriaco, impedisce e distrugge tutta la vera sapienza. Vivi sempre con il santo timore di perdere la vita eterna e sino a quando non l’avrai raggiunta non ti rallegrare in altre cose se non nel Signore. Fuggi dalle conversazioni umane e temine i pericoli. Se per obbedienza o a gloria sua Dio ti porrà in mezzo ad essi, devi confidare nella sua protezione, e tuttavia con la necessaria prudenza non devi essere né svogliata né negligente. Non ti affidare all’amicizia e alla relazione con le creature, perché vi è riposto il tuo pericolo più grande. Il Signore ti ha dato un animo grato e un’indole dolce, affinché tu sia incline a non resistergli nelle sue opere, usando per suo amore i benefici che ti ha concesso. Se permetterai che in te entri l’amore delle creature, queste sicuramente ti trasporteranno, allontanandoti dal sommo Bene. Altererai, così, l’ordine e le opere della sua sapienza infinita. È cosa molto indegna utilizzare il più grande beneficio della natura con un oggetto che non sia il più nobile di tutta la natura stessa. Sublima le azioni delle tue facoltà e rappresenta ad esse l’oggetto nobilissimo dell’essere di Dio e del suo Figlio diletto tuo sposo, il più bello tra i figli dell’uomo, e amalo con tutto il tuo cuore, la tua anima e la tua mente.

792. Figlia mia, l’Altissimo, buono e clemente, ha dato e continua a dare l’esistenza a tutti gli esseri viventi, non nega ad alcuno la sua provvidenza e illumina fedelmente ogni uomo, affinché possa intraprendere il cammino della conoscenza di Lui e poi entrare nel gaudio perenne, se non oscura questa luce con le sue colpe, abbandonando la conquista del regno dei cieli. Dio, con le anime che per i suoi segreti giudizi chiama a far parte della Chiesa, si dimostra più generoso. Nel battesimo, infatti, comunica loro con la grazia le virtù “infuse essenzialmente”, dette così perché nessuno può acquistarle da se stesso, e quelle “infuse accidentalmente”, che cioè potrebbero ottenere con le opere. Egli le anticipa loro perché siano più pronte e devote nell’osservare la sua santa legge. Ad alcune, oltre alla fede, la sua benevolenza aggiunge speciali doni soprannaturali di maggior intelligenza e forza per comprendere e attuare i comandamenti evangelici. In questo favore si è mostrato verso di te più liberale di quanto non lo sia stato con molte generazioni; perciò ti devi contraddistinguere nella carità e nella corrispondenza che gli spetta, stando sempre umiliata e abbracciata alla polvere.

793. Con la sollecitudine e l’affetto di una madre, ti voglio insegnare l’astuzia con la quale satana si sforza di distruggere questi benefici dell’Onnipotente. Da quando le creature cominciano a usare la ragione, molti demoni le seguono una per una con vigilanza e, proprio nel momento in cui esse dovrebbero innalzare la mente alla cognizione di Dio e iniziare ad esercitare le virtù ricevute, con incredibile furore e sagacia tentano di sradicare la semenza divina. Se non ci riescono, fanno in modo che questa non dia frutto, incitando gli uomini ad atti viziosi, inutili e infantili. Li distraggono con tale iniquità perché non si servano della fede, della speranza e di quanto ancora è stato loro elargito, non si ricordino che sono cristiani e non cerchino di conoscere il loro Dio, i misteri della redenzione e della vita eterna. Inoltre, questi nemici introducono nei genitori una stolta inavvertenza o un cieco amore carnale verso i propri figli e spingono i maestri ad altre negligenze, affinché non si preoccupino della maleducazione, permettano loro di corrompersi e di acquisire cattive consuetudini e di perdere le loro buone inclinazioni, avviandosi così alla rovina.

794. Il pietosissimo Signore, però, non tralascia di ovviare a questo rischio. Rinnova loro la luce interiore con altri aiuti e sante ispirazioni, con la dottrina della Chiesa attraverso i suoi predicatori e ministri, con l’uso e il rimedio efficace dei sacramenti, e con altri mezzi che servono a ricondurli sulla via della salvezza. Se nonostante questi numerosi provvedimenti sono pochi coloro che tornano alla salute spirituale, la causa di ciò sta nell’empia legge dei vizi e nelle abitudini depravate che si prendono durante la fanciullezza. Siccome è vera la sentenza: «Quali furono i giorni della gioventù, tale sarà anche la vecchiaia», i diavoli acquistano sempre più coraggio e potere sulle anime. Pensano, infatti, che, come le dominavano quando esse avevano commesso meno e minori colpe, così lo potranno fare con più facilità quando senza timore si saranno macchiate di molte altre e più gravi. Poi le muovono alla trasgressione e le colmano d’insensata audacia. Ciascun peccato compiuto da una persona toglie a questa forze interiori e la soggioga maggiormente a satana che, come tiranno, se ne impossessa e l’assoggetta a tale malvagità e meschinità da schiacciarla sotto i piedi della sua iniquità; quindi la conduce dove vuole, da un precipizio a un altro. Questo è il castigo che spetta a chi la prima volta si sottomette a lui. Così Lucifero continuamente trascina all’inferno un gran numero di uomini, sollevandosi sempre di più contro l’Altissimo nella sua superbia. Per tale via ha introdotto nel mondo la sua prepotenza, facendo dimenticare agli uomini i “novissimi”: morte, giudizio, inferno e gloria; ha gettato tante nazioni di abisso in abisso, sino a farle cadere in errori così ciechi e bestiali quanto quelli che contengono tutte le eresie e le false sette degli infedeli. Pensa, dunque, figlia mia, a un pericolo così grande e non scordarti mai dei precetti di Dio e delle verità cattoliche. Non ci sia giorno in cui tu non mediti su questo; consiglia alle tue religiose e a tutti coloro ai quali parlerai di fare lo stesso, perché il nemico, il diavolo, si affatica e veglia per oscurare il loro intelletto e deviarlo dalla legge divina, affinché l’intelligenza non indirizzi la volontà, potenza cieca, a compiere gli atti per la giustificazione, che si consegue tramite viva fede, speranza certa, amore fervente e cuore contrito e umiliato.

“Maria di Ágreda, nata María Fernández Coronel y Arana (Ágreda, 2 aprile 1602Ágreda, 24 maggio 1665), è stata  una mistica, cattolica, spagnola, appartenente all’ordine delle monache Concezioniste francescane con il nome “Maria di Gesù di Ágreda“.

È stata un’originalissima figura di donna, religiosa, mistica e scrittrice della Spagna del XVII secolo; è in corso il processo di beatificazione; la Chiesa cattolica le ha attribuito il titolo di venerabile.”

Rivelazione di Maria Vergine, Madre di Dio: -L’ISTANTE DELLA MORTE- “Da quel momento dipende tutto: Salvezza Eterna o Dannazione eterna” “Inferno o Paradiso”

Dalla “Mistica città di Dio,Vita della Vergine Madre di Dio” rivelata alla Venerabile Suor Maria di Ágreda

Insegnamento della Regina del cielo:

880. Figlia mia carissima, non è senza un motivo particolare che il tuo cuore si è mosso, con speciale compassione e pietà, verso quelli che si ritrovano in punto di morte, e che è sorto in te il desiderio di aiutarli in quell’ora. In verità, come hai potuto conoscere, le anime in quell’istante soffrono incredibili e pericolose angustie per le insidie del diavolo e della stessa natura che le circonda. Da quel momento dipende tutto: l’esilio terreno si conclude, perché cada sopra di esso l’ultima sentenza di morte o di vita eterna, di pena o di gloria senza fine. E poiché l’Altissimo si compiace che tu metta in pratica la carità di cui sei stata colmata verso tutti i morenti, io ti confermo nello stesso proposito e ti esorto a concorrere con tutte le forze ed a prestarci obbedienza con tutti i tuoi sforzi. Considera, dunque, o amica, che Lucifero e i suoi ministri riconoscono dagli eventi e dalle cause naturali quando gli uomini si trovano in una pericolosa e mortale infermità; e quindi in quell’istante stesso si preparano con astuzia e con tutta la loro malignità ad investire il povero ed ignorante malato e a farlo precipitare, se possono, con varie tentazioni. Inoltre, quando si avvicina il termine delle persecuzioni contro le anime, i principi delle tenebre cercano di rifarsi da questo danno assalendo i mortali con maggior malvagità nel poco tempo che manca alla fine della vita.

881. In questa situazione si aggregano come lupi sanguinari e si sforzano di riconoscere lo stato dell’infermo sia riguardo a ciò che ha di naturale sia riguardo a ciò che ha di acquisito, considerando le sue inclinazioni, gli usi, i costumi ed anche gli affetti in cui mostra particolare suscettibilità; e ciò al fine di poterlo assaltare e di invergli per quella via maggior guerra. A quelli che sregolatamente amano la vita i demoni suggeriscono che questa loro affezione non è poi così pericolosa, ed impediscono che qualcuno li disinganni. In quelli che sono stati negligenti nell’uso dei santi sacramenti suscitano una nuova tiepidezza e propongono loro maggiori difficoltà, affinché muoiano senza avvicinarsi ad essi o li ricevano senza frutto e con cattiva predisposizione. Ad alcuni creano stati di confusione, affinché non prendano coscienza dei loro peccati; ad altri frappongono indugi ed ostacoli, perché non dichiarino i loro debiti e non mettano pace nei loro cuori. In quelli che amano la vanità risvegliano il desiderio, anche in quell’ultima ora, di molte cose vane e superbe da eseguirsi dopo la morte. Con veemenza inclinano altri avari o lussuriosi verso tutto ciò che ciecamente amarono. E così i crudeli nemici si avvalgono di tutte le cattive abitudini dei mortali per spingerli dietro agli oggetti e per rendere ad essi difficoltoso o impossibile il rimedio.

E tutti gli atti peccaminosi che gli uomini operarono in vita, e con i quali acquistarono viziosi costumi, furono altrettanti pegni ed armi offensive che diedero al comune nemico, per far loro guerra nell’ora tremenda della morte. E così ogni appetito soddisfatto viene ad aprire la via, perché il demonio penetri nel castello dell’anima. Egli, nell’interno di questa, emette il suo pestifero fiato e solleva dense tenebre – che sono i suoi stessi effetti – affinché gli uomini non riconoscano le divine ispirazioni, né abbiano vero dolore dei loro peccati, né facciano penitenza alcuna per la loro cattiva condotta in vita.

882. Generalmente questi nemici fanno in quell’ultima ora grandi stragi, infondendo negli infermi la falsa speranza di vivere più a lungo e di eseguire con il tempo ciò che Dio ispira loro per mezzo dei suoi angeli: con questo inganno essi si ritrovano beffati e perduti. Soprattutto in quel momento è grande il pericolo per quelli che hanno disprezzato in vita il rimedio dei santi sacramenti. La giustizia divina è solita castigare questo rifiuto, molto offensivo per il Signore e per i santi, abbandonando le anime in preda al loro cattivo consiglio. Queste, poiché non vollero approfittare a suo tempo del rimedio opportuno, meritano, giustamente, di essere escluse nell’ultima ora dalla salvezza eterna, che temerariamente aspettavano. Pochissimi sono i giusti in pericolo di morte che non vengono assaltati con incredibile rabbia dall’antico serpente.

Se egli pretende di far cadere coloro che sono santi e virtuosi, che cosa sperano coloro che sono dediti ai vizi, che cosa attendono i negligenti ed i pieni di peccati che hanno impiegato tutta la loro vita a demeritare la grazia e il favore divino e a schivare le opere di cui potevano avvalersi contro il nemico? Il mio santo sposo Giuseppe fu tra quelli che ebbero il privilegio di non vedere né sentire il demonio in quell’ora estrema, perché, quando gli spiriti maligni tentarono di avvicinarsi, furono arrestati da una forza potente che li allontanò e i santi angeli li precipitarono nell’abisso. Ed essi sentendosi così oppressi e schiacciati – a nostro modo di intendere – rimasero turbati, confusi e come storditi. Ciò diede occasione a Lucifero di convocare nell’inferno un’assemblea o un conciliabolo al fine di consultarsi con tutti i principi delle tenebre su quanto era accaduto, e di investigare nel mondo sulla vera o presunta venuta del Messia.

883. Comprendi ora, carissima, quanto sia pericoloso il momento della morte e quante anime periscano in quell’ora in cui cominciano a svelarsi i meriti e i peccati. Non ti dichiaro quanti sono quelli che si perdono e si dannano, perché – se lo sapessi – ne moriresti per la pena e per il vero amore che porti al Signore. La regola generale dice che la buona vita aspetta la buona morte, tutto il resto è incerto, raro e contingente. Il rimedio sicuro deve consistere nell’intraprendere da lontano il cammino. Perciò ti avverto di pensare ogni giorno, allo spuntare della luce, se quello sarà l’ultimo della tua vita, e riguardandolo come se dovesse veramente esserlo – poiché non sai se in effetti lo sarà – cerca di mettere ordine nella tua anima in modo che con volto allegro e sereno tu possa ricevere la morte, qualora venga. Non rimandare nemmeno per un istante il dolore dei tuoi peccati e il proposito di confessarli, se ne avrai commessi. Cerca di emendare fin la più piccola imperfezione, in modo da non lasciare nella tua coscienza nessuna colpa, di cui senti rimorso, senza dolertene e senza lavarti con il sangue di Cristo mio santissimo figlio. Disponi tutta te stessa in uno stato tale da poter comparire dinanzi al giusto giudice che ti deve esaminare e che deve giudicare le tue facoltà a partire dal più piccolo pensiero e dalla minima azione.

884. Ma per aiutare, come desideri, coloro che si trovano in quell’estremo pericolo, in primo luogo raccomanda, se potrai, a tutti questi il consiglio che ti ho suggerito: vivano con l’anima sempre pronta per ottenere una felice morte. Inoltre per questo fine eleverai un’orazione ogni giorno senza mai tralasciarla. Con fervorosi affetti e gemiti prega l’Onnipotente, affinché dissipi gli inganni dei demoni e rompa i lacci e le insidie che essi tramano contro quelli che agonizzano o si ritrovano in quell’istante, ed impetra che tutti loro siano confusi dalla sua divina destra. Tu sai che io recitavo questa orazione per i mortali e quindi voglio che mi imiti. Similmente, ti ordino che, per aiutarli meglio, comandi ed intimi agli stessi demoni di allontanarsi da loro e di non opprimerli. Ben puoi usare questo potere, anche se non sei presente in quei frangenti poiché, essendovi il Signore, nel suo nome puoi comandare loro e costringerli a fuggire per sua maggior gloria ed onore.

885. Riguardo alle tue sorelle, illuminale senza turbarle su quello che devono fare. Ammoniscile ed assistile, affinché ricevano subito i santi sacramenti e vi si accostino frequentemente. Procura e sforzati di animarle e consolarle, discorrendo con loro sulle cose di Dio, sui suoi misteri e sulla sacra Scrittura, affinché si risveglino i loro sentimenti e i loro buoni propositi e si dispongano a ricevere dall’alto la luce e i divini consigli. Incoraggiale nella speranza, fortificale contro le tentazioni, ed insegna loro come devono resistervi e vincerle. Quando l’Altissimo non ti darà una particolare illuminazione per comprendere le loro prove, cerca tu stessa di conoscerle prima che te le manifestino, affinché applichi a ciascuna la medicina più conveniente; le infermità spirituali, infatti, sono difficili da diagnosticare e curare. Adoperati per eseguire quanto ti insegno ed io otterrò dal Signore privilegi per te e per quelli che desidererai aiutare. Non essere parca nella carità, perché in questa virtù non devi operare in proporzione a ciò che tu sei, ma nella misura di ciò che l’Altissimo vuole operare per mezzo di te.

Rivelazione della Vergine Maria, Madre di Dio: “Così Lucifero continuamente trascina all’Inferno un gran numero di uomini, sollevandosi sempre di più contro l’Altissimo nella sua superbia” “Facendo dimenticare agli uomini i ‘Novissimi’: Morte, Giudizio, Inferno e Gloria”

Dalla “Mistica città di Dio,Vita della Vergine Madre di Dio” rivelata alla Venerabile Suor Maria di Ágreda

Insegnamento della Regina del cielo

 

773. Figlia mia, tutte le opere del mio Figlio santissimo e mie sono colme di insegnamenti e istruzioni per gli uomini che le considerano con attenta stima. Sua Maestà si allontanò da me affinché cercandolo con dolore e lacrime lo ritrovassi poi con gioia a mio vantaggio spirituale. Anche tu devi cercare il Signore con amaro dolore, affinché questo dolore ti procuri un’incessante sollecitudine, senza riposare su cosa alcuna per tutto il tempo della tua vita, sino a quando tu non arrivi a possederlo e non lo lasci più. Perché tu comprenda meglio il mistero del Signore, sappi che la sua sapienza infinita plasma le creature capaci della sua eterna felicità ponendole sì sul cammino che conduce ad essa, ma allo stesso tempo così lontane e non sicure di arrivarvi. Fintanto che non siano giunte a possedere l’eterna felicità, vivano sempre pronte e nel dolore, affinché la sollecitudine generi in esse un continuo timore e orrore per il peccato, il quale fa perdere la beatitudine. Anche nel tumulto della conversazione umana la creatura non si lasci legare né avviluppare dalle cose visibili e terrene. Il Creatore aiuta in questa sollecitudine, aggiungendo alla ragione naturale le virtù della fede e della speranza, le quali stimolano l’amore con cui cercare e trovare il fine ultimo. Oltre a queste virtù e ad altre infuse con il battesimo, manda ispirazioni e aiuti per ridestare e rimuovere l’anima lontana dallo stesso Signore, affinché non lo dimentichi né si scordi di se stessa mentre è priva della sua amabile presenza. Anzi continui la sua strada sino a giungere al bene desiderato, dove troverà la pienezza del suo amore e dei suoi desideri.

774. Potrai, dunque, capire quanto grande sia la cecità dei mortali e quanto scarso il numero di coloro che si concedono il tempo di considerare attentamente l’ordine meraviglioso della loro creazione e giustificazione e le opere che l’Altissimo ha compiuto per così alto fine. A questa dimenticanza fanno seguito tanti mali, quanti ne soffrono le creature attaccandosi al possesso dei beni terreni e dei piaceri ingannevoli, come se questi fossero la loro felicità e il fine ultimo: è cattiveria grande, rivolta contro la volontà del Signore. I mortali vogliono in questa breve e transitoria vita dilettarsi di ciò che è visibile, come se fosse il loro ultimo fine, mentre dovrebbero usare le creature come mezzo per raggiungere il sommo Bene e non per perderlo. Avverti, dunque, o carissima, questo rischio della stoltezza umana. Tutto ciò che è dilettevole, piacevole e poco serio giudicalo un errore; di’ all’appagamento dei sensi che si lascia ingannare invano e che è madre della stoltezza, rende il cuore ubriaco, impedisce e distrugge tutta la vera sapienza. Vivi sempre con il santo timore di perdere la vita eterna e sino a quando non l’avrai raggiunta non ti rallegrare in altre cose se non nel Signore. Fuggi dalle conversazioni umane e temine i pericoli. Se per obbedienza o a gloria sua Dio ti porrà in mezzo ad essi, devi confidare nella sua protezione, e tuttavia con la necessaria prudenza non devi essere né svogliata né negligente. Non ti affidare all’amicizia e alla relazione con le creature, perché vi è riposto il tuo pericolo più grande. Il Signore ti ha dato un animo grato e un’indole dolce, affinché tu sia incline a non resistergli nelle sue opere, usando per suo amore i benefici che ti ha concesso. Se permetterai che in te entri l’amore delle creature, queste sicuramente ti trasporteranno, allontanandoti dal sommo Bene. Altererai, così, l’ordine e le opere della sua sapienza infinita. È cosa molto indegna utilizzare il più grande beneficio della natura con un oggetto che non sia il più nobile di tutta la natura stessa. Sublima le azioni delle tue facoltà e rappresenta ad esse l’oggetto nobilissimo dell’essere di Dio e del suo Figlio diletto tuo sposo, il più bello tra i figli dell’uomo, e amalo con tutto il tuo cuore, la tua anima e la tua mente.

792. Figlia mia, l’Altissimo, buono e clemente, ha dato e continua a dare l’esistenza a tutti gli esseri viventi, non nega ad alcuno la sua provvidenza e illumina fedelmente ogni uomo, affinché possa intraprendere il cammino della conoscenza di Lui e poi entrare nel gaudio perenne, se non oscura questa luce con le sue colpe, abbandonando la conquista del regno dei cieli. Dio, con le anime che per i suoi segreti giudizi chiama a far parte della Chiesa, si dimostra più generoso. Nel battesimo, infatti, comunica loro con la grazia le virtù “infuse essenzialmente”, dette così perché nessuno può acquistarle da se stesso, e quelle “infuse accidentalmente”, che cioè potrebbero ottenere con le opere. Egli le anticipa loro perché siano più pronte e devote nell’osservare la sua santa legge. Ad alcune, oltre alla fede, la sua benevolenza aggiunge speciali doni soprannaturali di maggior intelligenza e forza per comprendere e attuare i comandamenti evangelici. In questo favore si è mostrato verso di te più liberale di quanto non lo sia stato con molte generazioni; perciò ti devi contraddistinguere nella carità e nella corrispondenza che gli spetta, stando sempre umiliata e abbracciata alla polvere.

793. Con la sollecitudine e l’affetto di una madre, ti voglio insegnare l’astuzia con la quale satana si sforza di distruggere questi benefici dell’Onnipotente. Da quando le creature cominciano a usare la ragione, molti demoni le seguono una per una con vigilanza e, proprio nel momento in cui esse dovrebbero innalzare la mente alla cognizione di Dio e iniziare ad esercitare le virtù ricevute, con incredibile furore e sagacia tentano di sradicare la semenza divina. Se non ci riescono, fanno in modo che questa non dia frutto, incitando gli uomini ad atti viziosi, inutili e infantili. Li distraggono con tale iniquità perché non si servano della fede, della speranza e di quanto ancora è stato loro elargito, non si ricordino che sono cristiani e non cerchino di conoscere il loro Dio, i misteri della redenzione e della vita eterna. Inoltre, questi nemici introducono nei genitori una stolta inavvertenza o un cieco amore carnale verso i propri figli e spingono i maestri ad altre negligenze, affinché non si preoccupino della maleducazione, permettano loro di corrompersi e di acquisire cattive consuetudini e di perdere le loro buone inclinazioni, avviandosi così alla rovina.

794. Il pietosissimo Signore, però, non tralascia di ovviare a questo rischio. Rinnova loro la luce interiore con altri aiuti e sante ispirazioni, con la dottrina della Chiesa attraverso i suoi predicatori e ministri, con l’uso e il rimedio efficace dei sacramenti, e con altri mezzi che servono a ricondurli sulla via della salvezza. Se nonostante questi numerosi provvedimenti sono pochi coloro che tornano alla salute spirituale, la causa di ciò sta nell’empia legge dei vizi e nelle abitudini depravate che si prendono durante la fanciullezza. Siccome è vera la sentenza: «Quali furono i giorni della gioventù, tale sarà anche la vecchiaia», i diavoli acquistano sempre più coraggio e potere sulle anime. Pensano, infatti, che, come le dominavano quando esse avevano commesso meno e minori colpe, così lo potranno fare con più facilità quando senza timore si saranno macchiate di molte altre e più gravi. Poi le muovono alla trasgressione e le colmano d’insensata audacia. Ciascun peccato compiuto da una persona toglie a questa forze interiori e la soggioga maggiormente a satana che, come tiranno, se ne impossessa e l’assoggetta a tale malvagità e meschinità da schiacciarla sotto i piedi della sua iniquità; quindi la conduce dove vuole, da un precipizio a un altro. Questo è il castigo che spetta a chi la prima volta si sottomette a lui. Così Lucifero continuamente trascina all’inferno un gran numero di uomini, sollevandosi sempre di più contro l’Altissimo nella sua superbia. Per tale via ha introdotto nel mondo la sua prepotenza, facendo dimenticare agli uomini i “novissimi”: morte, giudizio, inferno e gloria; ha gettato tante nazioni di abisso in abisso, sino a farle cadere in errori così ciechi e bestiali quanto quelli che contengono tutte le eresie e le false sette degli infedeli. Pensa, dunque, figlia mia, a un pericolo così grande e non scordarti mai dei precetti di Dio e delle verità cattoliche. Non ci sia giorno in cui tu non mediti su questo; consiglia alle tue religiose e a tutti coloro ai quali parlerai di fare lo stesso, perché il nemico, il diavolo, si affatica e veglia per oscurare il loro intelletto e deviarlo dalla legge divina, affinché l’intelligenza non indirizzi la volontà, potenza cieca, a compiere gli atti per la giustificazione, che si consegue tramite viva fede, speranza certa, amore fervente e cuore contrito e umiliato.

Rivelazione di Maria Vergine, Madre di Dio: “I mortali devono affliggere la loro carne innanzitutto perché le passioni inclini al male e ostili allo spirito si sono ribellate alla ragione”

 

Un pezzo tratto da ” La città mistica di Dio, vita della Vergine Madre di Dio ” della Venerabile Suor Maria di Ágreda.

987. L ‘Unigenito, dopo aver preso commiato da Giovanni il Battista, accompagnato dagli angeli che lo servivano come re e sovrano e lo veneravano con canti di lode per ciò che stava realizzando in ordine alla salvezza, si diresse verso il luogo prestabilito dal volere superno. Così giunse in quel posto solitario tra rupi e rocce aride e sterili, in mezzo alle quali si trovava una caverna o grotta molto nascosta, che scelse come abitazione per i giorni del digiuno. Si prostrò al suolo con profondo abbassamento, come era solito fare insieme alla sua beatissima Madre prima di pregare, e magnificò l’Onnipotente per le meraviglie compiute e soprattutto per avergli concesso quella terra così adatta per il suo ritiro; ringraziò anche lo stesso deserto per averlo accolto, dandogli la possibilità di rimanere nascosto dal mondo per tutto il tempo necessario. Poi si mise a intercedere incessantemente con le braccia distese a forma di croce mentre elevava suppliche per il riscatto dell’umanità: questa risultò essere la sua occupazione più frequente durante la sua permanenza là. Qualche volta durante tali implorazioni sudava sangue, per le ragioni che esporrò quando parlerò dell’orazione nell’orto degli Ulivi.

988. Alcune volte, mentre camminava, molti animali selvatici gli correvano intorno e con ammirevole istinto lo riconoscevano come loro creatore, e in testimonianza di ciò emettevano guaiti e si esprimevano con ogni genere di movimento. Soprattutto gli uccelli volavano dinanzi a lui e gli manifestavano il loro giubilo con diversi soavi canti, facendogli festa e omaggiandolo. A loro modo volevano anche esprimere la loro gratitudine per poter essere a lui vicini, cosicché quell’eremo venisse santificato dalla sua divina presenza. Egli cominciò l’astinenza senza prendere alcun cibo per tutti i quaranta giorni, offrendolo all’Eterno per espiare gli eccessi disordinati che i mortali avrebbero commesso col vizio della gola che era frequentemente e apertamente onorato, sebbene fosse considerato vile e abietto. Nella maniera in cui vinse questo vizio, vinse anche tutti gli altri, dando così soddisfazione delle ingiurie che il legislatore supremo riceveva con essi. Secondo quanto mi sembra di capire, egli, prima di iniziare la predicazione e la missione di maestro, redentore e mediatore presso il Padre, volle trionfare su tutti i vizi e per riparare le offese fatte a Dio esercitò le virtù contrarie: col digiuno rimediò quindi la smoderatezza della gola. Fece lo stesso per tutto il tempo della sua vita, ma specialmente destinò a tale scopo le sue opere d’infinito valore mentre era nel deserto.

989. Come un padre affettuoso, i cui numerosi figli avessero commesso grandi delitti e per questo meritassero orrendi castighi, il nostro fratello Gesù elargì i suoi favori per la nostra salvezza e pagò i nostri debiti per preservarci dalla pena dovuta. Donò la sua umiltà per compensare la nostra superbia, la povertà scelta liberamente per la nostra avarizia, l’aspra penitenza per i turpi piaceri, la mansuetudine e la carità verso i nemici per l’ira e la vendetta, l’attenzione vigilante e la sollecitudine per la nostra pigrizia e trascuratezza, la sincerità più schietta e genuina, la verità e la dolcezza per la falsità e l’invidia. Così andava placando il giusto giudice e chiedendo il perdono per gli uomini degeneri e disobbedienti. In tal modo non ottenne solo questo, ma guadagnò per noi anche nuove grazie e nuovi aiuti, perché giungessimo a godere della sua compagnia, ad essere degni di contemplare il suo volto e quello dell’Altissimo e a prender parte alla loro gloria da sempre e per sempre. Anche se egli avrebbe potuto conseguire tutto questo con la minore delle sue opere, non agì come avremmo fatto noi e il suo amore sovrabbondò in incalcolabili dimostrazioni, affinché la nostra ingratitudine e durezza di cuore non avessero scuse.

990. Alla Principessa, per avere notizia degli atti di sua Maestà, sarebbero bastate la luce divina e le continue visioni e rivelazioni che aveva, ma ella nel suo zelo inviava al suo Unigenito frequenti messaggi per mezzo degli angeli. Lo stesso Signore disponeva che ciò avvenisse attraverso questi fedeli ambasciatori, perché i sensi di entrambi udissero reciprocamente i concetti che formavano i loro animi, e puntualmente essi li riferivano a Maria con le stesse parole uscite dalla bocca di Gesù e a Gesù con quelle di Maria, sebbene tutti e due ne fossero già informati per altra via. Non appena la Regina fu al corrente del fatto che egli si era incamminato verso il deserto e delle sue intenzioni, serrò le porte di casa senza che nessuno potesse accorgersi che dimorava all’interno. Si tenne talmente nascosta che gli stessi vicini pensarono che ella pure si fosse allontanata. Si raccolse nel suo oratorio e vi rimase quaranta giorni e quaranta notti senza uscire mai e senza prendere cibo, come sapeva che stava facendo il suo diletto: entrambi intendevano osservare la stessa forma di vita e lo stesso rigoroso digiuno. Lo imitò in tutto, con la preghiera, le prostrazioni a terra e le genuflessioni senza ometterne alcuna, e la cosa più stupefacente è che le compiva simultaneamente a lui e per questo motivo tralasciò ogni altra faccenda. Oltre ai messaggi che le erano recati, era in grado, a motivo di quel beneficio di cui ho più volte riferito, di vedere le operazioni dell’anima del Verbo incarnato, sia che questi fosse presente sia che fosse assente. Inoltre, per quanto riguarda le azioni corporali, che ella percepiva attraverso i sensi quando stavano insieme, ora, essendo egli lontano, riusciva a conoscerle attraverso la visione intellettuale, oppure le erano manifestate dagli stessi esseri celesti.

991. Il nostro Maestro, finché si trattenne in quel luogo, faceva ogni giorno trecento genuflessioni e prostrazioni ed altrettante ne faceva la Vergine ; il tempo che le restava, ella lo impiegava solitamente per comporre canti di lode. Ricalcando le sue orme cooperò con lui, riportò le medesime vittorie sui vizi e riparò gli stessi con le sue eroiche virtù. Se egli, come redentore, meritò tanti favori a nostro vantaggio e pagò i nostri debiti secondo la più severa giustizia, ella, come ausiliatrice e madre nostra, misericordiosamente intercedette per noi e divenne mediatrice nella misura in cui era possibile ad una semplice creatura.

Insegnamento della Regina del cielo
992. Figlia mia, le penitenze corporali sono indispensabili: molti si sono persi per sempre e molti altri corrono lo stesso pericolo, perché hanno ignorato questo dovere e hanno dimenticato o addirittura disprezzato l’obbligo di abbracciare la croce. I mortali devono affliggere la loro carne innanzitutto perché sono stati concepiti nella colpa e con essa tutta la natura umana è diventata corruttibile, e le passioni inclini al male e ostili allo spirito si sono ribellate alla ragione; infatti, se si permette che queste seguano le proprie inclinazioni, trascinano l’anima facendola precipitare da un vizio all’altro. Se però tale fiera viene soggiogata e domata col freno dell’astinenza, perde la sua forza e l’intelligenza ha il sopravvento con la luce della verità. Il secondo motivo per il quale ci si deve mortificare è che nessuno ha cessato di peccare contro Dio. Alla trasgressione deve corrispondere inevitabilmente il castigo, o in questa vita o nell’altra, e, poiché l’anima e il corpo hanno peccato insieme, devono essere puniti entrambi secondo equità; il dolore interiore non è sufficiente, se la carne per non dover patire tenta di schivare la pena adeguata. Il debito del reo è tanto grande quanto la sua capacità di rimediare è limitata e scarsa: egli non saprà mai, quantunque si sforzi ininterrottamente, se avrà potuto riparare e rendere soddisfazione al giudice, e quindi non deve smettere di impegnarsi fino alla fine dei suoi giorni.

993. La divina clemenza è a tal punto liberale con gli uomini che, se essi cercano come possono di espiare i loro peccati con la penitenza, sua Maestà non solo si mostra compensato delle offese subite, ma anche promette loro nuove grazie e il premio eterno. È necessario che i servi fedeli e prudenti, che amano veramente il loro Signore, procurino di aggiungere altre opere volontarie, perché al debitore che pensa solamente a pagare, senza fare più di quello che deve, benché paghi, nulla avanza ed egli resta povero, senza alcun capitale. Che cosa dunque devono fare o sperare coloro che non pagano, né compiono nulla a tal fine? Il terzo motivo per il quale ci si deve maggiormente mortificare è la sequela del nostro Maestro. Egli ed io, sebbene non avessimo né macchie né passioni disordinate, ci sacrificammo e tutta la nostra esistenza terrena trascorse nella continua afflizione dei sensi. Non bisognava che il Cristo sopportasse questi oltraggi per entrare nella gloria del suo corpo e del suo nome? Ed io lo seguii in tutto. Ordunque, se noi ci siamo comportati in questo modo perché conveniente, quale diritto hanno i discendenti di Adamo di cercare un altro cammino e di condurre una vita comoda, molle, dilettevole e avida di piaceri, aborrendo e disprezzando tutte le fatiche, le ignominie, i digiuni e gli atti di compunzione? Quale argomento adducono per cui il soffrire dovrebbe essere solo per il mio Unigenito e per me, mentre coloro che si procurano la condanna se ne stanno con le mani in mano, dediti alle lussuriose inclinazioni della carne, e usano le forze spirituali, che hanno ricevuto da lui per porsi al suo servizio e ricalcare le sue orme, per appagare i loro piaceri e per servire satana che li ha fin là trascinati? Questa mostruosità, che ormai regna dappertutto, ha provocato l’ira e l’indignazione dell’Onnipotente.

994. È vero, carissima, che i tormenti di mio Figlio hanno riparato le mancanze dei meriti umani. Egli ordinò anche a me di imitare precisamente i suoi supplizi e i suoi esercizi, affinché, sebbene fossi solo una semplice creatura, cooperassi con lui facendo le veci dei mortali. Ciò però non avvenne per esonerare questi ultimi dalla penitenza, ma per incitarli ad essa; infatti, non sarebbe stato necessario patire così tanto solo per rendere soddisfazione per essi. Gesù, come vero padre e fratello, volle anche dare valore alle azioni e alle mortificazioni di chi lo avrebbe seguito, poiché le stesse sarebbero state di poco conto agli occhi dell’Altissimo senza quelle che fece lui. E se questo vale per le opere virtuose e perfette, che sarà di quelle piene di difetti comunemente fatte dagli uomini, benché siano oggetto di virtù? Infatti, anche quelle di coloro che sono progrediti spiritualmente e giusti hanno bisogno di essere integrate e migliorate. Il nostro Salvatore ne colmò tutti i vuoti e le lacune affinché queste stesse, unite alle sue, fossero accette e gradite al sommo sovrano. Chi però non ne compie alcuna e se ne sta ozioso, non può avvalersi delle opere del suo Redentore: non si trova, infatti, in lui nulla da integrare o da ritoccare, ma al contrario molto da condannare. Ora, non mi riferisco all’esecrabile errore di quei credenti che perfino nelle pratiche di penitenza hanno introdotto la sensualità e la vanità del mondo. Per essi è opportuno un maggior castigo più per questo che per le altre colpe, dal momento che uniscono alla contrizione fini vani ed imperfetti dimenticando quelli soprannaturali che danno merito alla mortificazione e pongono in stato di grazia. Se sarà utile, ti parlerò di tale argomento in un’altra occasione. Per ora piangi su una simile cecità e tieniti pronta a sopportare ogni fatica e dolore, e, se anche tu soffrissi come gli apostoli, i martiri e i confessori, faresti solo il tuo dovere. Castiga sempre il tuo corpo e moltiplica lo zelo nel farlo; pensa che ti mancano ancora molte cose, che la vita è così breve e debole è la tua capacità di retribuzione.

Rivelazioni di Maria Vergine, Madre di Dio, a Suor Maria di Ágreda: “In questa dottrina consiste il punto principale da cui dipende la salvezza o la perdita delle anime”

Dalla “Mistica città di Dio,Vita della Vergine Madre di Dio” rivelata alla Venerabile Suor Maria di Ágreda

Insegnamento della Regina del cielo

409. Figlia mia, carissima, considera che tutti i viventi nascono destinati alla morte. Non conoscono il termine della loro vita, ma sanno con certezza che il loro tempo è breve e l’eternità è senza fine ed in essa l’uomo raccoglierà solamente ciò che avrà seminato di cattive o di buone opere; queste daranno allora il loro frutto, di morte o di vita eterna. In un viaggio così pericoloso non vuole perciò Dio che qualcuno conosca con certezza se sia degno del suo amore o del suo disprezzo, affinché, se dotato di ragione, questo dubbio gli serva da stimolo a cercare con tutte le sue forze l’amicizia del Signore. E Dio giustifica la sua causa dal momento in cui l’anima comincia a fare uso della ragione, perché da allora accende in essa una luce, che la stimola e la inizia alla virtù; la distoglie dal peccato, insegnandole a distinguere tra il fuoco e l’acqua approvando il bene e correggendo il male, scegliendo la virtù e riprovando il vizio. Egli inoltre risveglia l’anima e la chiama a sé con ispirazioni sante, con impulsi continui e per mezzo dei sacramenti, dei comma di fede, dei precetti, dei santi angeli, dei predicatori, dei confessori, dei superiori, dei maestri; di ciò che l’anima prova in sé nelle afflizioni e nei benefici che Dio le manda; di ciò che sente nelle tribolazioni altrui, nelle morti ed in altri avvenimenti e mezzi che la sua provvidenza dispone per attirare tutti a sé, perché vuole che tutti siano salvi. Di tutte queste cose Dio fa una catena di grandi aiuti e favori, di cui la creatura può e deve usare a suo vantaggio.

410. A tutto ciò si oppone la parte inferiore e sensitiva dell’uomo che, con il fomite del peccato, inclina verso le cose sensibili e muove la concupiscenza e l’irascibilità, affinché, confondendo la ragione, trascinino la volontà cieca ad abbracciare la libertà del piacere. Il demonio, da parte sua, con inganni e con false ed inique suggestioni oscura il senso interiore e nasconde il veleno mortale che si trova nei piaceri transeunti. L’Altissimo però non abbandona subito le sue creature, anzi rinnova la sua misericordia, gli aiuti e le grazie. E se esse rispondono alla sua chiamata ne aggiunge tante altre secondo la sua equità; dinanzi alla corrispondenza dell’anima le va aumentando e moltiplicando. Così come premio, perché l’anima ha dovuto vincersi, si vanno attenuando le inclinazioni alle sue passioni ed al fomite e lo spirito si alleggerisce sempre più, potendosi sollevare in alto, molto al di sopra delle tendenze negative e del cattivo nemico, il demonio.

411. L’uomo invece che si lascia trasportare dal diletto e dalla spensieratezza porge la mano al nemico di Dio e suo; e quanto più si allontana dalla divina bontà tanto più si rende indegno delle sue grazie e sente meno gli aiuti, benché siano grandi. Così il demonio e le passioni acquistando maggiore forza e dominio sulla ragione la rendono sempre più inetta ed incapace di accogliere la grazia dell’Altissimo. O figlia ed amica mia, in questa dottrina consiste il punto principale da cui dipende la salvezza o la perdita delle anime, cioè dal cominciare a fare resistenza agli aiuti del Signore o ad accettarli. Voglio perciò che non trascuri questo insegnamento affinché tu possa rispondere alle molte chiamate che l’Altissimo ti volge. Cerca allora di essere forte nel resistere ai tuoi nemici, puntuale e costante nell’eseguire i desideri del tuo Signore, così gli darai soddisfazione e sarai attenta nel fare il suo volere, che già conosci con la sua luce divina. Un grande amore portavo ai miei genitori e le parole e la tenerezza di mia madre mi ferivano il cuore, ma, sapendo che era ordine e compiacimento del Signore che io li lasciassi, mi dimenticai della mia casa e del mio popolo, non per altro fine se non per quello di seguire il mio sposo. La buona educazione ed il buon insegnamento della fanciullezza giovano molto per il resto della vita, affinché la creatura si ritrovi più libera e già abituata all’esercizio delle virtù, incominciando così dal porto della ragione a seguire questa stella, guida vera e sicura.

Gesù rivela a Santa Brigida l’esistenza e l’eternità dell’ INFERNO : “La via dell’inferno invece è aperta e larga e molti entrano per essa.” “Perciò la mia via s’è fatta stretta e quella del mondo larga”

Dalle rivelazioni di Gesù a Santa Brigida di Svezia

Parla Gesù Cristo:

La via dell’inferno invece è aperta e larga e molti entrano per essa. Ma perché non sia del tutto dimenticata e abbandonata la mia via, alcuni amici miei per il desiderio della patria celeste passano ancora per essa, come uccelli svolazzanti di pruno in pruno, e quasi di nascosto e servendo per timore, perché passare per la via del mondo sembra a tutti felicità e gioia. Perciò la mia via s’è fatta stretta e quella del mondo larga; ora grido nel deserto, cioè nel mondo, agli amici miei, che estirpino le spine e i triboli dalla via del Cielo e la propongano agli altri. Sta scritto infatti: Beati son quelli che non mi videro e mi credettero. Così son felici quelli che ora credono alle mie parole ed eseguono le mie opere. Io infatti son come una madre che va incontro al figlio errante, gli porge la lucerna sul sentiero, perché veda il cammino e gli va incontro per amore, accorciandogli il tratto, e s’avvicina e l’abbraccia e si congratula con lui. Così son io con tutti quelli che a me tornano, e andrò incontro con amore ai miei amici e illuminerò il cuore e l’anima loro di sapienza divina. Voglio abbracciarli con ogni gloria e con l’adunanza celeste, dove non c’è il Cielo di sotto e di sopra o la terra di sotto, ma la visione di Dio, in cui non c’è cibo né bevanda, ma il celeste diletto.

Ai cattivi invece s’apre la via dell’inferno, ove caduti non ne usciranno mai più: privati della gloria e della grazia, saranno pieni di miseria e di obbrobrio sempiterno. Perciò dico queste cose e metto in mostra la mia carità, affinché tornino a me, quelli che mi abbandonarono e riconoscano che sono io il Creatore, quello che hanno dimenticato. E perciò questi fossi son larghi e profondi: larghi, perché la volontà di tali uomini è da Dio lontana in lungo e in largo; e sono anche profondi, perché contengono molti nel profondo inferno. Perciò questi fossi bisogna oltrepassarli d’un salto. Cos’è infatti il salto spirituale, se non il distacco del cuore dalle vanità e l’ascesa dalle cose terrene al Regno dei cieli?

Ecco, io mi lamento che vi siete da me allontanati e dati al diavolo mio nemico, voi avete abbandonato i miei comandamenti e seguite la volontà del diavolo e obbedite alle sue suggestioni, non pensate ch’io sono l’immutabile ed eterno Dio, vostro Creatore. Venni dal Cielo alla Vergine, da Lei assumendo la carne e ho vissuto con voi. Io in me stesso vi ho aperto la via e vi ho dato i consigli, con i quali andare al cielo. Io fui denudato e flagellato e coronato di spine e tanto stirato sulla croce che quasi tutti i nervi e le giunture del mio corpo furono staccati. Io ho sopportato tutte le ingiurie e l’ignominiosissima morte e l’amarissima ferita al mio cuore per la vostra salvezza.

A tutto questo, o miei nemici, voi non fate attenzione, perché siete stati ingannati. Perciò portate il giogo e il peso del diavolo con falsa gioia e non sapete né sentite queste parole, prima che arrivi lo smisurato dolore. Né vi basta questo, ma è tanta la vostra superbia che, se poteste porvi sopra di me, lo fareste volentieri. E tanta è in voi la voluttà della carne, che volentieri preferireste far senza di me, piuttosto di lasciare il disordine della vostra voluttà. E poi la cupidigia vostra è insaziabile, come un sacco senza fondo, perché non v’è niente che possa soddisfarla.

Giuro perciò – per la Divinità mia – che se morirete nello stato in cui vi trovate, mai vedrete il mio volto. Ma, per la vostra superbia, sprofonderete giù nell’inferno, in modo che tutti i diavoli vi saranno addosso per tormentarvi desolatamente. Per la lussuria poi sarete ricolmi d’un diabolico veleno. E per la cupidigia vostra sarete saziati di dolori e angustie e soffrirete ogni male che è nell’inferno.

O nemici miei, abominevoli e ingrati e degeneri, io sembro a voi come un verme morto nell’inverno, perciò fate tutto ciò che volete e prosperate. Per questo sorgerò contro di voi nell’estate e allora piangerete e non scamperete alla mia mano. Tuttavia, o nemici, poiché vi ho redenti col sangue mio e non chiedo che le vostre anime, tornate umilmente ancora a me e di buon grado vi accoglierò come figliuoli. Scuotete da voi il pesante giogo del diavolo e ricordatevi dell’amor mio e nella coscienza vostra vedrete che io sono soave e mansueto.

Rivelazioni di Gesù Cristo a Santa Brigida: “Chi non vuole abbandonare il peccato, non è degno della grazia dello Spirito Santo”

Dalle rivelazioni di Gesù a Santa Brigida di Svezia

 

Risposte ad alcune domande

Il giudice rispose: «Amico mio, da molto tempo la superbia degli uomini è tollerata grazie alla mia pazienza, affinché l’umiltà sia esaltata e la mia virtù manifesta; e poiché la superbia non è una creazione mia bensì del diavolo, bisogna evitarla. Occorre mantenersi umili, perché l’umiltà conduce in cielo; è grazie a questa virtù che ho insegnato con la parola e l’esempio. Ho dato all’uomo i beni temporali perché ne faccia un uso ragionevole e le cose create siano tramutate in onore, ossia in me, loro Dio; l’uomo, perciò, deve lodarmi, ringraziarmi e onorarmi per tutti i beni di cui l’ho colmato, e non vivere e abusarne secondo i desideri della carne. Sono io che ho stabilito la giustizia e la legge, perché fossero compiute nella carità suprema e nella compassione mirabile, e affinché tra gli uomini si consolidassero l’unità divina e la concordia. Se ho dato all’uomo il riposo del corpo, l’ho fatto per rinvigorire la carne inferma e perché l’anima fosse più forte e più virtuosa. Ma, poiché la carne diventa spesso insolente, occorre sopportare le tribolazioni, le angosce e tutto quanto concorre alla correzione». Libro V, 1, Interrogazione 2

«Ho dato all’uomo il libero arbitrio, affinché abbandonasse la propria volontà per amore mio, che sono il suo Dio e per questo avesse più merito. Ho dato all’uomo il cuore, perché io, Dio, che sono ovunque e incomprensibile, possa essere contenuto per amore nel suo cuore e l’uomo, pensando di essere in me, ne ricavi piaceri indicibili». Libro V, 1, Interrogazione 3

«Chiunque goda del libero arbitrio, deve temere e capire veramente che nulla conduce più facilmente alla dannazione eterna di una volontà priva di guida. Per questo chi abbandona la propria volontà e l’affida a me, che sono il suo Dio, entrerà in cielo senza fatica». Libro V, 1, Interrogazione 4

«Tutte le cose che ho creato non sono semplicemente buone, ma buone in sommo grado e sono state fatte per essere impiegate dall’uomo, o per metterlo alla prova, o ancora per l’utilità degli animali e affinché l’uomo stesso serva ancora più umilmente il suo Dio, che eccelle in felicità. Ma, poiché l’uomo, peccando, si è rivoltato contro di me, suo Dio, tutte le cose si sono rivoltate contro di lui». Libro V, 1, Interrogazione 5

«Alla domanda perché le avversità assalgono il giusto, rispondo con le seguenti parole. La mia giustizia desidera che ogni uomo giusto ottenga ciò che desidera; ma non è un uomo giusto chi non è disposto a soffrire per l’amore dell’obbedienza e per la perfezione della giustizia, così come non è un giusto colui che non ha la carità di fare del bene al prossimo. Per questo motivo i miei amici – considerando che sono il loro Dio e Redentore, pensando a ciò che ho fatto e promesso loro e vedendo la perversità che anima il mondo -, chiedono con maggior decisione di sopportare le avversità temporali, per evitare i peccati, essere più avveduti ed avere la salvezza eterna. Per questa ragione permetto che le loro tribolazioni siano frequenti, sebbene alcuni non le tollerino con sufficiente pazienza; tuttavia ammetto le loro sofferenze a ragion veduta, e li aiuto a sopportarle. Infatti, io sono come la madre che, colma di carità, corregge il proprio figlio adolescente e questi non la ringrazia nemmeno perché non comprende le motivazioni materne e tuttavia raggiunta la maturità la ringrazia, cosciente che la guida della madre lo ha distolto dalle cattive abitudini educandolo ai buoni costumi; ebbene io mi comporto nello stesso modo con i miei eletti, poiché essi rimettono la loro volontà alla mia, e mi amano sopra ogni cosa. Perciò permetto che talvolta siano afflitti da tribolazioni e, sebbene al momento essi non capiscano completamente la grandezza di tale beneficio, compio cose di cui in futuro trarranno dei vantaggi». Libro V, 1, Interrogazione 6

 

Come non dimenticare i peccati veniali, affinché non ci inducano in peccati mortali

Il Figlio di Dio eterno parlò alla sua sposa, dicendole: «Perché sei inquieta e provi ansia?» Ella rispose: «Perché sono assalita da una moltitudine di pensieri vari e inutili che non riesco a scacciare; e sentir parlare dei tuoi terribili giudizi mi turba». Il Figlio di Dio rispose: «È questa la vera giustizia: così come prima godevi degli affetti del mondo contro la mia volontà, allo stesso modo ora permetto che svariati pensieri ti importunino contro la tua volontà. Tuttavia, temi con moderazione e abbi fiducia in me, tuo Dio, sapendo con certezza che quando la volontà non prova piacere nei pensieri del peccato ed anzi li scaccia perché li detesta, essi fungono da purificazione e da corona per l’anima. Se provi piacere nel commettere qualche piccolo peccato che sai essere tale e malgrado questo lo compi, nutrendo fiducia nell’astinenza e nella presunzione della grazia, senza pentirti né dare altra soddisfazione, ebbene sappi che ciò ti dispone al peccato mortale. Se, dunque, la tua volontà si diletta in un qualsiasi peccato, pensa subito alle conseguenze e pentitene, perché nel momento in cui la natura è debilitata dal peccato lo commette più di sovente; non c’è uomo, infatti, che non pecchi almeno venialmente.

Ma Dio, nella sua immensa misericordia, ha fornito all’uomo il rimedio della vera contrizione di tutte le colpe, anche quelle che abbiamo scontato, per paura che non siano state espiate a sufficienza; il Padre, infatti, non odia nulla quanto il peccato e quanto l’insensibilità di chi non si cura di abbandonarlo e crede di meritare più degli altri; tuttavia Dio ti permetterà di compiere il male, perché fai anche del bene; quand’anche tu stessa compissi mille buone azioni per ogni peccato, non potresti compensare uno dei mali minori commessi, né soddisfare Dio, l’amore che nutre nei tuoi confronti e la bontà che ti ha trasmesso. Se non riesci a scacciare i pensieri, sopportali dunque con pazienza e sforzati di opporti ad essi con la volontà, anche se si insinuano nella tua mente; sebbene tu non possa impedire loro di entrarvi, puoi comunque fare in modo di non trarne diletto. Evita con timore che la superbia, tuo malgrado, sia causa della tua rovina, perché chiunque resiste senza cadere, permane nella virtù dell’unico Dio.

Il timore, quindi, permette di accedere al cielo; molti, infatti, sono caduti nei precipizi e nella morte perché avevano abbandonato questa paura, e hanno avuto vergogna di confessare i loro peccati davanti agli uomini, mentre non si sono vergognati di commetterli davanti a Dio: essi, infatti, non si sono preoccupati di chiedere perdono per un piccolo peccato. Poiché non mi degnerò di rimettere e perdonare la loro colpa, i peccati si moltiplicheranno in ogni loro azione; quindi ciò che era veniale e remissibile con la contrizione, sarà aggravato dal disprezzo, come puoi vedere in quest’anima giudicata ora. Ella, infatti, dopo aver commesso un atto veniale e remissibile, lo ha acuito con la consuetudine, fidando in qualche buona azione compiuta, senza considerare che io giudico ogni minima cosa; così l’anima, lasciandosi andare ai piaceri sregolati che le erano consueti, non li ha corretti, né ha represso la volontà del peccato, finché non ha visto approssimarsi il Giudizio e la fine dell’esistenza. Per questo, al volgere della vita, d’un tratto la sua coscienza è caduta in uno stato di sciagurata confusione: da una parte le doleva essere prossima alla morte, non volendo separarsi dalle misere cose temporali che amava; dall’altra sapeva che Dio soffriva e che l’avrebbe attesa sino all’ultimo momento. Ella, infatti, avrebbe voluto abbandonare la volontà libertina che la spingeva a commettere il peccato, ma poiché tale volontà non si correggeva, l’anima era tormentata in modo incessante. Il diavolo, sapendo che ognuno viene giudicato secondo la propria coscienza e la propria volontà, cerca particolarmente di illudere l’anima, per farla deviare dalla retta via; e Dio lo permette perché l’anima non ha voluto vegliare su di sé quando invece avrebbe dovuto farlo». Libro III, 19

 

Chi non vuole abbandonare il peccato, non è degno della grazia dello Spirito Santo

La Santa Vergine Maria dice: «Sei abituata a dare qualcosa a chi viene a te con una borsa pura e pulita, e a giudicare indegno di ricevere qualcosa da te chi non vuole aprire né pulire la sua borsa piena di fango e di sporcizia. Lo stesso succede nella vita spirituale: quando la volontà non intende abbandonare le sue offese, la giustizia non vuole che goda dell’influenza dello Spirito Santo; e quando una persona è priva della volontà di correggere la propria vita, non merita il cibo dello Spirito Santo, che si tratti di un re, di un imperatore, di un sacerdote, di un povero o di un ricco».

 

Disposizione interiore dell’anima

Così come il corpo esternamente è composto da membra, allo stesso modo interiormente l’anima deve essere disposta in senso spirituale. Il corpo è provvisto di ossa, midollo e carne e nella carne scorre il sangue e il sangue è nella carne; similmente l’anima deve avere tre cose: la memoria, la coscienza e l’intelletto. Alcuni, infatti, comprendono cose sublimi sulle sacre Scritture, ma non hanno la ragione: manca loro una parte preziosa. Altri hanno una coscienza assennata, tuttavia sono privi dell’intelligenza. Altri ancora hanno l’intelletto ma non la memoria, e ciò li rende molto infermi. Invece sono fiorenti nell’anima coloro che hanno la ragione sana, la memoria e l’intelletto. Del resto, il corpo ha tre ricettacoli: il primo è il cuore, rivestito da una membrana fragile che lo protegge da qualsiasi cosa immonda, perché, se anche avesse la minima macchia, l’uomo morirebbe in men che non si dica. Il secondo ricettacolo è lo stomaco. Il terzo sono le viscere, tramite cui viene espulsa ogni cosa nociva.

Allo stesso modo l’anima deve avere tre ricettacoli di tipo spirituale: il primo è un desiderio divino e ardente come un cuore acceso, in modo che essa non desideri nulla al di fuori di me che sono il suo Dio; diversamente, se la colpisse una qualche affezione perniciosa, benché piccola di per sé, ne sarebbe subito macchiata. Il secondo ricettacolo è lo stomaco, ossia una segreta disposizione del tempo e delle opere, poiché ogni cibo viene digerito nello stomaco: similmente i pensieri e le opere devono sempre essere assimilati e disposti secondo l’ordine della divina Provvidenza, con saggezza e utilità. Il terzo ricettacolo sono le viscere, ossia la contrizione divina attraverso cui vengono purificate le cose immonde e il cibo della saggezza divina viene gustato meglio. D’altra parte, il corpo ha tre cose mediante cui progredisce: la testa, le mani e i piedi. La testa rappresenta la carità divina; infatti, così come la testa custodisce i cinque sensi, allo stesso modo l’anima assapora nella carità divina tutto ciò che è vista e udito e compie con grande costanza tutto ciò che viene ordinato. Di conseguenza, così come l’uomo privo della testa muore, allo stesso modo muore l’anima priva di carità nei confronti di Dio, che è la vita dell anima. Le mani dell’anima simboleggiano la fede: la mano è una ma composta da varie dita e allo stesso modo la fede, benché unica, custodisce diversi articoli; per questo motivo la fede perfetta permette il compimento della divina volontà, e deve partecipare a ogni opera di bene; infatti, così come esteriormente si compiono le opere con la mano, allo stesso modo, grazie alla fede perfetta, lo Spirito Santo opera a livello intimo nell’anima, essendo la fede il fondamento di ogni virtù; infatti, là dove non c’è fede, la carità e le opere di bene sono svilite. I piedi dell’anima sono la speranza, in quanto attraverso essa l’anima va verso Dio; il corpo cammina grazie ai piedi e similmente l’anima si avvicina a Dio con il passo dei desideri ardenti e della speranza. La pelle che copre tutte le membra rappresenta la consolazione divina, che placa l’anima turbata. E benché talvolta al diavolo sia permesso turbare la memoria, oppure altre volte le mani o i piedi, Dio difende sempre l’anima come un lottatore, la consola come un padre pio e la cura come un medico, perché non muoia». Libro IV, 115

 

Come nostro Signore sarebbe pronto a morire nuovamente per i peccatori

«Io sono Dio. I miei poteri sono infiniti. Ho creato tutte le cose perché fossero utili agli uomini e servissero tutte a istruire l’uomo; ma questi abusa di ognuna di esse a suo svantaggio. E del resto si preoccupa poco di Dio e l’ama meno degli altri uomini. Durante la Passione, gli ebrei adirati mi inflissero tre tipi di pena: una fu il legno sul quale venni inchiodato, flagellato e incoronato; l’altra fu il ferro con cui mi legarono i piedi e le mani; la terza fu il fiele che mi diedero da bere. Inoltre bestemmiarono contro di me dicendo che ero uno stolto, poiché in tutta libertà mi ero esposto alla morte, e mi accusarono di dire menzogne. Quante persone di questa fatta ci sono al giorno d’oggi, persone che mi danno ben poche consolazioni poiché mi legano al legno con la loro volontà di peccare; mi flagellano con la loro impazienza, perché non una di loro tollera una parola per amore mio; e mi incoronano con spine di superbia, in quanto desiderano essere più grandi di me. Mi trafiggono le mani e i piedi con il ferro della loro insensibilità, poiché si gloriano di aver peccato e diventano duri in modo da non temermi. Con il fiele mi offrono tribolazioni insopportabili; per la dolorosa Passione che avevo accettato con gioia, mi credono uno sciocco e dicono che sono un bugiardo. In realtà sono così potente da sommergerli, e l’intero mondo con loro, per via dei loro peccati, se solo lo volessi; e se li sommergessi, quelli che resterebbero mi servirebbero per timore; ma ciò non sarebbe giusto ed equo, poiché in realtà dovrebbero servirmi fedelmente per amore. Ora, se apparissi loro in modo visibile e di persona, i loro occhi non mi potrebbero guardare, né le loro orecchie sentirmi. Infatti, come può un mortale vedere un immortale? Certo che morirei senza tirarmi indietro, se fosse necessario e possibile, spinto dall’incomparabile amore che provo per l’uomo». Allora apparve la Beata Vergine Maria, e suo Figlio le disse: «Cosa desideri, amatissima Madre mia?» Ed ella rispose: «Ahimè! Figlio mio, abbi misericordia degli uomini per amore del tuo amore». E nostro Signore riprese: «Avrò misericordia di loro ancora una volta per amore tuo». Poi lo Sposo, nostro Signore, parlò alla sposa dicendo: «Sono Dio e Signore degli angeli. Sono Signore della morte e della vita. Io in persona desidero restare nel tuo cuore. Ecco quanto amore nutro per te: il cielo, la terra e tutto quello che contengono non può contenere me, eppure desidero rimanere nel tuo cuore, che è un semplice brandello di carne. E allora chi dovrai temere? Di chi potresti avere bisogno dopo aver ricevuto dentro di te il Dio onnipotente che custodisce in sé ogni bene?

Bisogna dunque che ci siano tre cose nel cuore che deve essere la mia dimora: il letto su cui riposarsi, la sedia su cui sedersi, la luce per essere illuminati. Quindi, che nel tuo cuore ci sia un letto per il riposo e la quiete, affinché tu possa abbandonare i pensieri perversi e i desideri del mondo, e pensare incessantemente alla gioia eterna. La sedia deve essere la volontà di abitare con me, sebbene a volte tu ne abbia in eccesso: infatti è contro l’ordine naturale delle cose essere sempre nella medesima condizione. Ora, rimane sempre nella stessa condizione chi desidera stare al mondo e non sedersi mai con me. La luce deve essere la fede, con la quale tu credi che io possa tutto e sia onnipotente al di sopra di ogni cosa». Libro 1, 30

(Dalle rivelazioni di Gesù a Santa Brigida di Svezia)

 

I NOVISSIMI : MORTE, GIUDIZIO, INFERNO, PARADISO. Secondo le rivelazioni del Cielo e dei Santi

«In tutte le tue opere, dice il Savio, proponiti sotto gli occhi i tuoi novissimi, e non peccherai mai » (Eccli. VII, 40).

“In tutte le tue opere ricordati dei tuoi Novissimi e non cadrai mai nel peccato” Siracide (7, 36).

 

I. –  MORTE.

Gli ultimi momenti dei peccatori, degl’imperfetti e dei perfetti. 

Parole di Dio a S. Caterina da Siena: «I demonii sono ministri incaricati di tormen­tare i dannati nell’inferno e di esercitare e provare la virtù delle anime in questa vita. La loro intenzione non è certamente di provare la virtù, perchè non hanno la ca­rità; essi vogliono distruggerla in voi, ma non lo potranno mai fare, se voi non volete consentirvi.

« Ora considera la pazzia dell’uomo che si rende debole per il mezzo appunto ch’io gli avevo dato per esser forte, e che si abban­dona da se stesso nelle mani del demonio. Perciò voglio che tu sappia ciò che accade nel momento della morte a quelli che, du­rante la loro vita, hanno volontariamente ac­cettato il giogo del demonio, il quale non poteva costringerveli.

« I peccatori che muoiono nel loro pec­cato, non hanno altri giudici che se stessi; il giudizio della loro coscienza basta, ed essi si precipitano con disperazione nell’eterna dannazione. Prima di passarne la soglia, essi l’accettano per odio della virtù, scelgono l’in­ferno coi demonii, loro signori.

« All’opposto i giusti, che  vissero nella carità, muoiono nell’amore. Quando viene il loro ultimo istante, se hanno praticata perfettamente la virtù, illuminati dal lume della fede e sostenuti dalla speranza del sangue dell’Agnello; veggono il bene che io ho loro apparecchiato, e colle braccia dell’amore lo abbracciano stringendo con strette d’amore me sommo ed eterno bene nell’ultima estre­mità della morte. E così gustano vita eterna prima che abbiano lasciato il corpo mortale, cioè prima che sia separata l’anima dal corpo.

« Per quelli che passarono la loro vita in una carità comune senza aver raggiunta quella gran perfezione, quando arrivano alla morte, essi si gettano nelle braccia della mia misericordia col medesimo lume della fede e colla medesima speranza ch’ebbero in un grado inferiore. Essendo stati imperfetti, essi abbracciano la mia misericordia, perchè la trovano più grande delle loro colpe. I pec­catori fanno il contrario: essi veggono con disperazione il posto che li attende e con odio l’accettano.

« Gli uni e gli altri non attendono di es­sere giudicati, ma partonsi di questa vita, e riceve ognuno il luogo suo. Lo gustano e lo posseggono prima che si partano dal corpo, nell’estremità della morte. I dannati seguono l’odio e la disperazione; i perfetti seguono l’amore, il lume della fede, la speranza del sangue dell’Agnello; gl’imperfetti si affidano alla mia misericordia e vanno in purgatorio » (Dialogo, c. XLII).

Pace delle anime sante nel momento della morte. 

« Quant’è felice l’anima dei giusti quando essi arrivano al momento della morte… A costoro non nuoce la visione dei demonii, perchè veggono me per la fede e mi posseg­gono per l’amore e perchè in loro non è ve­leno di peccato. La oscurità e terribilezza loro ad essi non dà noia nè alcun timore, perchè il loro timore non è servile, ma santo. Onde non temono i loro inganni; perchè col lume soprannaturale e col lume della Sacra Scrittura ne conoscono gl’inganni; sicchè non ricevono tenebre nè turbazione di mente. Essi muoiono gloriosamente bagnati nel sangue del mio Figliuolo, colla fame della salute delle anime e, tutti affocati nella carità del pros­simo, passano per la porta del Verbo divino, entrano in me e dalla mia bontà sono collo­cati ciascuno nello stato suo, e vien misurato loro secondo la misura che hanno recata a me dell’affetto della carità » (Dialogo, ca­plt. CXXXI).

Il demonio e il peccatore morente. 

« Quanto spaventosa e terribile è la morte dei peccatori! Nei loro ultimi momenti, il demonio li accusa e li spaventa apparendo loro. Tu sai che la sua figura è tanto orri­bile, che la creatura eleggerebbe ogni pena, che in questa vita si potesse sostenere, an­zichè vedere il demonio nella visione sua.

« E tanto si rinfresca al peccatore lo sti­molo della coscienza, che miserabilmente lo rode nella coscienza sua.- Le disordinate de­lizie e la propria sensualità, la quale si fece signora e la ragione fece serva, l’accusano miserabilmente, perchè egli allora conosce la verità di quello che prima non conosceva. Onde viene a gran confusione dell’errore suo; perchè nella vita sua visse come infedele e non fedele a me; perchè l’amor proprio gli velò la pupilla del lume della santissima fede. Onde il demonio lo molesta d’infedeltà, per  farlo venire a disperazione…. In questo gran combattimento egli si trova nudo e senza alcuna virtù; e da qualunque lato si volti, non ode altro che rimproveri con grande confusione » (Dialogo, csaxu) (1).

(1) Le anime dei dannati, all’uscire dal loro corpo, sono invase dalle tenebre, dall’orrore, dal fetore, dall’amarezza, da una pena intollerabile, da una tristezza indicibile, dalla disperazione e da un’angoscia infinita. Sono in se stesse così devastate e destituite di tutto che, quand’anche non cadessero nell’inferno e in potere dei demonii, i mali di cui sono ripiene sarebbero per loro una tortura sufficiente (S. Matilde, P. V, c. xxi).

Come si fa per gli amici di Gesù il viaggio dalla terra al cielo. 

Nella sua ultima malattia, Geltrude, pre­parandosi alla morte, disse al Signore: qual sarà il carro che mi porterà quando mi troverò in quella regia via che deve con­durmi a voi, mio unico Diletto? — « La forza potente del desiderio divino, che partirà dal mio amore intimo, verrà a prenderti e a condurti fino a me », le rispose il Signore. – Su che potrò io sedermi? – « Sulla piena fiducia, la quale, facendoti sperare ogni bene dalla mia liberale bontà, sarà il sedile su cui siederai in questo passaggio ».

Con quali redini dirigerò io la mia corsa ? – « L’amore ardente che ti fa sospirare dall’intimo delle viscere ai miei amplessi ti servirà di redini. » La Santa soggiunse: siccome ignoro quello che è più necessario per viaggiare così, io non m’informerò di quello che ancora mi occorre per compire questo viaggio desiderabile. Il Signore rispose: «Per quanto grandi siano i tuoi desideri, avrai la gioia di trovare infinitamente di più, e la mia delizia è vedere lo spirito umano impo­tente a immaginarsi tutto quello ch’io ordi­nariamente preparo a miei eletti» (Lib. V, c. YXIVV).

« Quando l’anima tua uscirà dal tuo corpo, io ti metterò come all’ombra della mia protezione paterna, così come una madre tiene stretto al suo petto e nascosto sotto le sue vesti l’amato frutto delle viscere sue, allorchè attraversa un mare burrascoso. E poi, quan­d’avrai pagato il tuo debito alla morte, io ti prenderò meco per farti gustare le delizie incantevoli dei celesti spazi verdeggianti, come una madre che vuole che anche il suo bambino abbia parte alla gioia che si prova allo sbarcar sicuramente in porto, dopo averlo preservato dalle noie e dai pericoli del mare. (lib. V, c. xxv).

II. – GIUDIZIO PARTICOLARE. GIUDIZIO UNIVERSALE.

Giudizio delle anime peccatrici. 

Istruzioni divine date a S. Caterina da Siena: « Il peccatore non ha scusa, peroc­chè è ripreso e gli è mostrata la verità con­tinuamente. Onde s’egli non si correggerà, quando è ancor tempo, sarà condannato nella seconda riprensione, la quale si farà nell’ul­tima estremità della morte, dove grida la mia giustizia: Surgite mortui, venite ad iu­dicium, cioè, tu che sei morto alla grazia, e morto giungi alla morte corporale, levati su, e vieni dinanzi al Sommo Giudice con la ingiustizia e falso giudizio tuo, e col lume spento della fede, il qual lume traesti acceso dal santo battesimo, e tu lo spegnesti al vento della superbia e vanità del cuore, del quale facevi vela ai venti, ch’erano contrari alla salute tua; il vento della propria ripu­tazione nutrivi colla vela dell’amor proprio. Onde correvi per lo fiume delle delizie e stati del mondo colla propria volontà, se­guitando la fragile carne e le molestie e le tentazioni del demonio. Il quale demonio con la vela della tua propria volontà t’ha me­nato per la via di sotto, la quale è un fiume corrente. Onde t’ha condotto con lui all’e­terna dannazione » (Dialogo, xxxvi).

Giudizio di colui che non volle sperare nella misericordia. 

« Quando compariste la morte e l’uomo vede che non può più sfuggirmi, il verme della coscienza, che era stato soffocato dal­l’amor proprio, comincia a risvegliarsi e a roder l’anima, giudicandola e mostrandole l’abisso dove per colpa sua sta per cadere. Se essa anima avesse lume che conoscesse e si dolesse della colpa sua, non per la pena dell’inferno, che ne la seguita, ma per me, che m’ha offeso, che sono somma ed eterna Bontà, ancora troverebbe miseri­cordia. Ma se passa il ponte della morte senza lume, e solo col verme della coscienza, e senza la speranza nel sangue del mio Figliuolo, o con propria passione dolendosi del danno suo, più che dell’offesa mia, egli giunge al­l’eterna dannazione.

E allora è ripreso crudelmente dalla mia giustizia, ed è ripreso dell’ingiustizia e del falso giudizio; e non tanto dell’ingiustizia e giudizio generale, perchè ha seguito i sen­tieri colpevoli del mondo, ma molto maggior­mente sarà ripreso dell’ingiustizia e giudizio particolare, perchè nell’ultimo suo momento avrà giudicato la sua miseria più grande della mia misericordia. Questo è quel peccato che non è perdonato nè di qua nè di là. Egli ha respinto, disprezzato la mia misericordia, e questo peccato è maggiore di tutti quelli che ha commessi. Onde la disperazione di Giuda mi spiacque più e fu più grave al mio Figliuolo, che non fu il tradimento ch’egli fece. Sicchè l’uomo è soprattutto condannato per aver falsamente giudicato il suo peccato maggiore che la mia misericordia; e perciò è punito coi demonii e crucciato eternamente con loro.

L’uomo è convinto d’ingiustizia, per­chè si duole più del danno suo, che dell’of­fesa mia. Allora commette ingiustizia, per­ché non rende a me quello che è mio, ed a lui quello che è suo. A me deve rendere amore e amaritudine con la contrizione del cuore, e afferirla dinanzi a me per l’offesa che m’ha fatta. Ed egli fa il contrario, per­chè piange solo per amore verso di se stesso, la pena che ha meritata. Tu vedi adunque ch’egli è colpevole d’ingiustizia e d’errore e che è punito dell’uno e dell’altro. Avendo egli dispregiata la misericordia mia, io con giustizia lo mando all’eterno supplizio, con la serva sua crudele della sensualità e col crudele tiranno del demonio di cui egli si è reso schiavo per mezzo de’ suoi sensi, che dovevano servirlo. Saranno insieme puniti e tormentati, come insieme m’hanno offeso: tormentati, dico, da’ miei ministri demonii che la mia giustizia ha messi a rendere tor­mento a chi ha fatto male » (Dialogo, ca­pit. XXXVII).

Giudizio di una persona mondana.

S. Brigida ebbe un giorno la visione di un’anima ch’era presentata al Giudice Su­premo dal suo angelo custode sotto la figura d’un soldato armato e dal demonio che aveva la forma d’un negro dell’Etiopia. L’anima era tutta nuda e dolentissima, non sapendo che sarebbe stato di lei. L’angelo custode parlò in questi termini: Non è giusto che si rimproverino a quest’anima i peccati che ha confessato. Chi parlava in tal modo, dice S. Brigida, sapeva tutto in Dio, ma parlava affinchè io l’intendessi. Il Giudice rispose « Quando quest’anima faceva penitenza – ­mediante la confessione – non aveva vera contrizione ». E parlando egli all’anima, le disse: « La tua coscienza dica e dichiari i pec­cati di cui non facesti degna penitenza ». Al­lora l’anima alzò talmente la voce da poter quasi essere udita dall’universo intero, di­cendo : Guai a me, perchè io non vissi secondo i comandamenti di Dio, che pure conoscevo. Io non temetti i giudizi di Dio. E la voce del Giudice le rispose: « Ed è perciò che ora tu devi temere i demonii ». – L’anima con­tinuò: Io non ebbi quasi nessun amore di Dio, ed è perciò che feci poco bene. Nulla v’ha in me, dalla pianta dei piedi fino al vertice del capo, ch’io non abbia rivestito di vanità. Inventai abiti vani e superbi; cercai di farmi lodar come bella. La mia bocca spesso era aperta alle paroline melate e alle leziosaggini. Godevo assai che molti imitas­sero le mie azioni e i miei costumi. La voce del Giudice allora rispose: « Giustizia vuole che chi sarà preso a commettere il peccato del quale tu sei punita, subisca le medesime pene. E quando qualcuno che avrà seguito le tue vane invenzioni, si troverà al punto in cui tu ti trovi, le tue pene aumenteranno ».

Allora, dice S. Brigida, mi parve che alla testa di quella persona fosse attaccata una fune, che la circondava e serrava così forte, che il davanti e il di dietro della testa si congiungevano insieme. I suoi occhi erano usciti dall’orbita e penzolavano per le loro radici lungo le gote; i capelli parevano essere stati bruciati dal fuoco. Il suo cervello colava per il naso e per le orecchie. Le usciva fuori la lingua e le si rompevano i denti; le ossa delle braccia le erano serrate con corde, le sue mani scorticate le venivano legate al collo. Il petto e il ventre erano così fortemente stretti che, spezzate le costole, il cuore e tutte le interiora schiattarono.

Allora il negro, ch’era il demonio, disse: O Giudice, i peccati di quest’anima sono con­dannati secondo giustizia; adunque congiun­gete insieme me e l’anima per modo che noi non ci separiamo mai più.

Il soldato armato, ch’era il buon angelo, rispose: Ascoltate, o Giudice. Nell’ultimo mo­mento della sua vita, questa persona ebbe questo pensiero: Se Dio volesse darmi qual­che tempo per vivere, io correggerei i miei peccati, lo servirei in tutto il corso della mia vita e non vorrei mai più offenderlo. Allora la voce del Giudice si fece sentire. « A chi ebbe tali pensieri alla fine della sua vita l’inferno non è dovuto. Per la mia passione il cielo sarà aperto a quest’anima, dopo che ella avrà data soddisfazione e si sarà puri­ficata per tanto tempo quanto avrà meritato, salvo che gli uomini non la soccorrano colle loro buone opere.

Quest’anima era quella d’una persona che aveva votata la sua verginità nelle mani d’un sacerdote e che, infedele alla sua pro­messa, s’era poi sposata (lib. IV, c. LI).

Dannazione d’un empio cavaliere. 

Nelle opere di S. Brigida si trova questa rivelazione di nostro Signore a proposito di un cavaliere ch’era stato infedele a Dio, aveva infranta la sua santa professione e violate le sue promesse: « Essendo uscito dal tempio dell’umiltà, disse nostro Signore, avendo gittato lo scudo della mia fede e ab­bandonata la spada del mio timore, egli in­superbì e si gonfiò d’orgoglio, si diede ad ogni sorta di voluttà, a tutti i capricci della sua volontà, ingolfandosi sempre più negli abissi del peccato e seppellendosi nei sozzi piaceri ».

Giunto all’estremo della sua vita, quando l’anima sua esalava dal suo corpo, i diavoli se ne impossessarono con gran violenza e tosto dall’inferno tre voci echeggiarono contro di lei. La prima diceva: Ecchè non è forse colui che, abbandonando l’umiltà, ci ha se­guiti in ogni sorta d’orgoglio? E se avesse potuto esser più orgoglioso di noi, lo sarebbe stato assai volentieri. L’anima rispose: Sì, son io. La giustizia gli rispose: « La ricom­pensa del tuo orgoglio sarà che tu precipiti da un demonio in un altro, finché tu sia piombato nel più profondo abisso dell’in­ferno… Non vi sarà alcun supplizio di cui tu non debba subire la violenza ».

La seconda voce gridò e disse: Questi non è forse colui che abbandonò la milizia di Dio che aveva professata e che si arruolò nella nostra milizia? L’anima rispose: Sì, sono io quel desco. E la Giustizia disse: « Tutti quelli che avranno seguita la tua perversità aumenteranno la tua pena e accresceranno il tuo dolore e, quando giungeranno al punto in cui tu sei, ti trafiggeranno come d’una piaga mortale. Come colui che ha una piaga cru­dele, se gli s’aggiungesse piaga sopra piaga, finchè il corpo ne fosse tutto coperto, soffri­rebbe dolori intollerabili, così una sventura attirerà sopra di te un mondo di sventure. La tua pena non cesserà mai e il tuo do­lore non scemerà punto ».

La terza voce diceva: Costui non è forse quello che vendette il suo Creatore per la creatura, l’amor del suo Dio per l’amor di se stesso? L’anima rispose: Sì, sono io quel cotale. – « Per questo appunto, riprese la voce della Giustizia, due porte gli saranno, aperte; per l’una entri ogni pena ed ogni dolore inflitto per tutti i peccati, piccoli e grandi, poichè egli vendette il suo Creatore per la sua voluttà. Per la seconda entri in lui ogni sorta di dolori e di vergogna, e mai non entreranno in lui nè consolazioni nè amore divino, perchè egli ha amato se stesso invece d’amar il suo Creatore. Perciò la sua pena durerà senza fine; egli vivrà senza mai morire e tutti i Santi rivolteranno da lui la loro faccia.

« Ecco, o mia sposa, quanto saranno mi­serabili coloro che mi disprezzano e quali dolori si procurano per una piccola e passeg­gera voluttà » (lib. II, c. ix).

È giusto che il corpo risusciti per partecipare alla pena o alla ricompensa. 

Nel Dialogo di S. Caterina da Siena si leggono questi insegnamenti dati dall’Eterno Padre: « Ogni operazione buona o cattiva è fatta col mezzo del corpo. E però giusta­mente, figliuola mia, è renduto ai miei eletti gloria e bene infinito col corpo loro glorifi­cato, perchè il corpo e l’anima siano ricom­pensati entrambi delle fatiche che per me sopportarono insieme. Così agli iniqui sarà renduta pena eternale col mezzo del corpo loro, perchè esso fu strumento del male; il loro supplizio si rinnoverà e aumenterà quando ripiglieranno il loro corpo in presenza del mio Figliuolo.

« La loro miserabile sensualità coll’im­mondizia sua riceverà riprensione in vedere la natura umana unita in Gesù Cristo alla purezza della divinità, scorgendo la carne d’Adamo sopra tutti i cori degli angeli, mentre essi per i loro difetti si veggono profondati nel baratro dell’inferno. E veg­gono la larghezza e la misericordia rilucere nei beati, ricevendo il frutto del sangue dell’Agnello, e veggono le pene ch’essi hanno portate, che tutte stanno per adornamento nei corpi loro, sì come la fregiatura sopra del panno, non per virtù del corpo, ma solo per la plenitudine dell’anima, la quale rap­presenta al corpo il frutto della fatica, per­chè fu compagno con lei ad operare la virtù. Questa ricompensa è visibile, e appariste sul corpo come la faccia dell’uomo si riflette in uno specchio » (Dialogo, c. XLII).

Giudizio universale. Maestà del Giudice. 

« A queste terribili parole: Alzatevi, o morti, e venite al giudizio! l’anima si riu­nirà al corpo per glorificarlo nei giusti e torturarlo eternamente nei cattivi. I dannati saranno coperti di onta e di confusione in presenza della mia Verità e di tutti i miei beati » (Dialogo, c. XLVIII).

« Sappi che nell’ultimo dì del giudizio, quando verrà il mio Figliuolo colla divina mia Maestà, a riprendere il mondo colla po­tenza divina, egli non verrà in qualità di poverello, come quando nacque dal seno della Vergine, in una stalla, fra due ani­mali, e morì fra due ladroni.

« Allora io nascosi la potenza mia in lui, lasciandolo sostenere pene e tormenti come uomo; non che la natura mia divina fosse però separata dalla natura umana, ma lo lasciai patire come uomo, per soddisfare alle colpe vostre. Non verrà così ora in questo ultimo punto, ma verrà con potenza a ri­prendere colla propria persona; e non sarà alcuna creatura, che non riceva tremore, e renderà a ognuno il debito suo.

« Ai dannati miserabili darà tanto tor­mento l’aspetto suo e tanto terrore, che la lingua non sarebbe sufficiente a narrarlo. A’ giusti darà timore di riverenza con grande giocondità; non ch’egli si muti la faccia sua, perocchè egli è immutabile, perchè è una cosa con me, secondo la natura divina; e secondo la natura umana ancora la faccia sua è immutabile, poichè prese la gloria della risurrezione. Ma il reprobo lo vedrà solo con quell’occhio terribile e oscuro che egli ha in se medesimo. L’occhio malato che guarda la luce del sole non ci vede che tenebre, mentre che l’occhio sano ne ammira lo splen­dore. Questo non è per difetto della luce, che si muti più al cieco che all’illuminato, ma è per difetto dell’occhio che è infermo. Così i dannati lo veggono in tenebre, in con­fusione e in odio, non per difetto della mia Maestà, colla quale egli verrà a giudicare il mondo, ma per difetto loro » (Dialogo, ca­plt. XXXIX).

Terribile sentenza. 

« Allo spettacolo della gloria e della fe­licità degli eletti di cui si sono privati, i dannati sentiranno crescere la loro pena e la loro confusione. Nel loro corpo appari­ranno i segni dei peccati commessi e i sup­plizi che avranno meritato. Onde in quella parola, ch’essi udranno terribile: Andate, ma­ledetti, nel fuoco eterno, l’anima e il corpo andranno a dimorare coi demonii senz’alcun rimedio di speranza, in quella sentina (lei mondo ove ognuno porterà la puzza delle sue iniquità.

« L’avaro vi arderà insieme colla sua pas­sione de’ tesori della terra, il crudele colla sua crudeltà, l’immondo coll’immondizia e miserabile concupiscenza, l’ingiusto colle sue ingiustizie, l’invidioso coll’invidia, colui che odia il suo prossimo col suo odio. Quelli che si saranno amati di quell’amore disordinato che cagiona tutti i mali, perché insieme col­l’orgoglio, esso è il principio di tutti i vizi, saranno divorati da un fuoco intollerabile. Sicchè tutti in diversi modi saranno puniti in­sieme nell’anima e nel corpo » (Dialogo, ca­plt. XLII).

III. – INFERNO. 

La pena misurata secondo il peccato. 

Dio Padre disse a S. Caterina da Siena: « La mia giustizia esige ch’io proporzioni la pena all’offesa. Perciò il cattivo cristiano è punito più assai che il pagano. Il fuoco ter­ribile della mia vendetta, che arde senza consumare, lo tortura maggiormente e il verme roditore della coscienza lo divora più profondamente. Quali si siano i loro tormenti, i dannati non possono perdere l’essere, chie­dono la morte senza poter ottenerla, il peccato loro non toglie che la vita della grazia. Sì, il peccato è più punito dopo la Redenzione che prima, perchè gli uomini hanno ricevuto di più. I peccatori disgraziati non ci pensano; essi mi sono fatti nemici, dopo essere stati riconciliati nel prezioso sangue del mio Fi­gliuolo » (Dialogo, c. xv).

« Allora il verme della coscienza roderà il midollo dell’albero, cioè l’anima, e la cor­teccia di fuori, cioè il corpo. Rimproverato loro sarà il sangue che per loro fu pagato, e l’opere della misericordia, spirituali e tem­porali, le quali io feci a loro, col mezzo del mio Figliuolo, e quello ch’essi dovevano fare nel prossimo loro, siccome si contiene nel santo Evangelo. Ripresi saranno della crudelta, che essi hanno avuta verso il prossimo, della superbia e dell’amor proprio, dell’im­mondizia e avarizia loro. La vista della mi­sericordia che da me hanno ricevuta, renderà più terribile la loro condanna. Nel punto della morte essa tocca solamente l’anima, ma al giudizio finale colpirà ad un tempo e l’anima e il corpo; perchè il corpo è stato compagno e strumento dell’anima a fare il bene e il male, secondo che è piaciuto alla propria volontà » (Dialogo, c. XLII).

I quattro principali supplizi dell’inferno. 

« Figlia mia, disse Iddio a S. Caterina da Siena, la lingua non è sufficiente a narrare la pena di queste anime tapinelle. Vi sono tre vizi principali: Amor proprio di sè, d’onde esce il secondo, cioè la propria riputazione, e dalla propria riputazione procede il terzo, cioè la superbia, con falsa ingiustizia e cru­deltà, e con altri immondi e iniqui peccati, che dopo questi seguitano. Così ti dico che nell’inferno vi sono quattro tormenti prin­cipali, ai quali seguitano tutti gli altri tor­menti. Il primo è che i dannati si veggono privati della mia visione, che per loro è pena così grande che, se loro fosse possibile, eleg­gerebbero piuttosto il fuoco e i crociati tor­menti e vedere me, anzichè stare fuori delle pene e non vedermi.

« Questa pena ne produce una seconda, che è il verme della coscienza che la rode incessantemente. Il dannato vede che, per colpa sua, si è privato della mia vista e della compagnia degli angeli e che si è reso degno della compagnia e della vista del demonio.

« Questa vista del demonio è la terza pena, e questa pena raddoppia la sua sventura. I Santi trovano la loro felicità eterna nella mia visione; vi gustano, nella gioia, la ri­compensa delle prove che sopportarono con tant’amore per me e con tanto disprezzo per se stessi. Quei disgraziati invece trovano in­cessantemente il loro supplizio nella visione del demonio, perchè vedendolo essi si cono­scono maggiormente e comprendono quello che meritarono colle loro colpe. Allora il verme della coscienza li rode più crudelmente e li divora come un fuoco insaziabile. Ciò che rende questa pena terribile si è ch’essi veg­gono il demonio nella sua realtà, e la sua figura è così spaventosa che l’immaginazione dell’uomo non potrebbe mai concepirlo.

« E se bene ti ricorda, io te lo mostrai un solo istante in mezzo alle fiamme e tale istante fu sì penoso che avresti preferito, poichè ritornasti in te, di andare per una strada di fuoco fino al giorno del giudizio piuttosto che rivederlo; eppure quello che vedesti non può farti comprendere quant’egli è orribile, perchè la giustizia divina lo mo­stra assai più orribile ancora all’anima che è separata, e l’orrore di quella visione è pro­porzionato alla grandezza della sua colpa. « Il quarto supplizio dell’inferno è il fuoco. Questo fuoco arde e non consuma, perocchè l’anima non si può consumare. L’essere suo non è cosa materiale, che possa essere con­sumata dal fuoco, poichè è incorporea; ma, giustizia vuole che questo fuoco la arda e la torturi senza distruggerla, e questo sup­plizio è in rapporto con la diversità e la gravità delle sue colpe.

« Questi quattro principali tormenti sono accompagnati da molti altri, come dal freddo, dal caldo e dallo stridore di denti. Ecco come saranno puniti quelli che, dopo essere stati convinti d’ingiustizia e di errore durante la loro vita, non si saranno convertiti e, nel­l’ora della morte, non avranno voluto sperare in me e piangere l’offesa che mi avevano fatta, più che la pena che avevano meritata » (Dialogo, xxxviiI).

L’odio eterno. 

« Egli è tanto l’odio ch’essi hanno, che non posson volere nè desiderare verun bene, ma sempre mi bestemmiano. E sai perchè essi non possono desiderare il bene? Perchè, fi­nita la vita dell’uomo, è legato il libero ar­bitrio; per la qual cosa non possono meri­tare, perduto che hanno il tempo. Se essi finiscono in odio colla colpa del peccato mortale, sempre per divina giustizia sta legata l’anima col legame dell’odio, e sempre sta ostinata, in quel male ch’ella ha, rodendosi in se medesima e aumentando la sua pena colle pene di quelli per cui ella fu causa di dannazione.

« Il ricco malvagio chiedeva di grazia che Lazzaro andasse a’ suoi fratelli i quali erano rimasti nel mondo ad annunziare le pene sue. Questo già non faceva per carità, nè per com­passione dei fratelli, perocchè egli era privato della carità, e non poteva desiderare bene nè in onore di me, nè in salute loro. Perchè già t’ho detto che ì dannati non possono voler alcun bene al prossimo e mi bestem­miano, perchè la loro vita finì nell’odio di me e della virtù.

« Ma perchè dunque il faceva? Facevalo, perchè egli era stato il maggiore e avevali nutriti nelle miserie; in cui egli era vissuto. Sicchè egli era cagione della dannazione loro e temeva di vedersi crescere la sua pena, dovendo i loro tormenti aggiungersi a’ suoi; perchè quelli che muoiono nell’odio eterna­mente si divorano fra loro nell’odio » (Dia­logo, c. xr.).

Rabbia dei dannati gli uni contro gli altri.

Dio Padre, parlando dell’inferno a santa Maria Maddalena de’ Pazzi, le disse: « Fra i dannati regna un odio eterno, perchè ciascuno di essi conosce colui che lo portò ad offendermi e che fu per conseguenza la causa della sua dannazione. Perciò quanto più cresce il loro numero, tanto maggiormente si accrescono le loro pene, perchè i nuovi ve­nuti non fanno che aumentare la rabbia che li anima gli uni contro gli altri » (Parte IV, cap. xi).

Supplizi di coloro che non amarono mai il loro Dio. 

S. Matilde, stando in orazione, vide sotto di sè l’inferno aperto e dentro una miseria e un orrore infinito: come serpenti e rospi, leoni e cani e ogni sorta di bestie feroci che si laceravano crudelmente fra loro. Allora ella disse: O Signore, chi sono quei disgra­ziati? – E il Signore a lei: « Sono coloro che mai non si sono ricordati dolcemente di me, nemmeno per un’ora » (P. V, c. xx).

L’Inferno. Visioni di S. Veronica Giuliani. 

S. Veronica Giuliani ebbe più volte visioni dell’inferno; noi crediamo utile riprodurle, come una conferma degl’insegnamenti di Dio a S. Caterina da Siena. Leggendole bisogna senza dubbio tener conto del simbolismo che sotto immagini materiali rappresenta supplizi spirituali, di cui noi non potremmo altrimenti farci una minima idea. Pare anche proba­bile che vi siano dei dannati che soffrano rneno di quelli di cui ella vide le orribili tor­ture; può anche darsi che il castigo, pur es­sendo eterno, non abbia sempre il medesimo grado d’acutezza. Ma il certo si è che nostro Signore nel Vangelo parla del fuoco e d’un fuoco eterno e che la sciagura della danna­zione oltrepassa tutto quello che noi possiamo immaginare.

Il 14 febbraio 1694, ella vide l’inferno aperto; vi cadevano molte anime ch’erano così turpi e così nere ch’era uno spavento a vederle. Si precipitavano una dietro al­l’altra e scomparivano tra le fiamme. Dal mezzo del fuoco che le inghiottiva si solle­vavano dei pugnali, dei rasoi e degli stru­menti di supplizio di varie sorta che poi ricadevano con tutto il loro peso per schiac­ciare quei miseri. La Santa chiese al Si­gnore se fra le anime ch’ella aveva veduto cadere si trovasse qualche religioso o reli­giosa. E il Signore le fece conoscere che fra le anime religiose ce n’erano che vi erano precipitate – e che l’avevano davvero meritato, perchè non avevano mantenuto quello che avevano promesso e perchè si erano rese colpevoli di tante violazioni delle loro regole.

Il 1° aprile 1696, S. Veronica fu condotta alla bocca dell’inferno. Ella udì le grida e

le bestemmie dei dannati, ma a tutta prima non notò altro che tenebre e puzza orribile; il fuoco era nero e fitto. Poi ella vide molti demonii ch’erano come vestiti di fuoco e che si eccitavano a percuotere; e le si fece sa­pere che picchiavano dei dannati.

Il 5 dicembre del medesimo anno, ebbe una visione simile. Nel medesimo tempo il Sal­vatore si mostrò a lei flagellato, coronato di spine e con una pesante croce sulle spalle, e le disse: « Guarda bene questo luogo che non avrà mai fine. Qui si esercita la mia giu­stizia e il mio terribile sdegno ».

Il 30 giugno 1697, fu detto alla Santa che ella stava per passare attraverso nuove pene. Fu come una partecipazione ai supplizi del­l’inferno ch’ella sopportò per un’ora a più riprese. In quel giorno ella si sentì posta in una fornace ardente e provò pene atroci, come lance che la trafiggevano, ferri che la bruciavano, piombo bollente che le era ver­sato su tutto il corpo.

Il primo luglio, al mattino, ella si ritrovò in quel luogo di terrore; vedevasi come ab­bandonata da Dio, incapace di raccomandarsi nè al Signore, nè ai Santi; non già ch’ella non avesse il pensiero di Dio, tutt’all’op­posto; ma ella lo vedeva senza misericordia e tutto giustizia.

Il 4 luglio, l’inferno le parve così vasto che tutta la macchina del mondo, dice ella, non sarebbe nulla al confronto. Vide una ruota – come una macina – di grandezza smisurata, che ad ogn’istante cadeva sui dan­nati, poi si sollevava per ricadere ancora.

Il 16 luglio sentì tutte le sue ossa strito­late da ruote che giravano tutt’intorno a lei. Nel medesimo tempo ella ebbe il sentimento della perdita di Dio, pena sì atroce, dice ella, che non si può spiegare. Tutti gli altri tor­menti sembrano poca cosa in confronto di questo.

Il 19 luglio, durante quello ch’ella chia­mava l’ora d’eternità, sentivasi ora punta da spilli ed aghi, ora arsa da lastre roventi, ed ora lacerata nelle carni da strumenti da taglio.

Il 6 febbraio 1703, il suo confessore aven­dole comandato di pregare per la città ove ella dimorava, il Signore le fece vedere come un immenso incendio che divorava la città; molte persone andavano a gettarsi nelle fiamme, altre sul punto di gettarvisi ritor­navano addietro. Fu rivelato alla Santa che quelle fiamme rappresentavano il peccato di impurità a cui s’abbandonava un numero troppo grande de’ suoi concittadini; ma altri, violentemente tentati, sapevano resistere. E il Signore le disse; « Di’ a colui che tiene il mio posto, al tuo confessore, che t’ha or­dinato di chiedermi in che cosa sono io più offeso, ch’io sono offeso in tutti i modi, ma particolarmente coi peccati della carne. Vi sono pure fra questo popolo delle inimicizie che m’offendono grandemente e molte anime per questo motivo vanno all’inferno per tutta l’eternità ».

Il 27 gennaio 1716, Maria, comparendo a S. Veronica, chiamò i due angeli che la servi­vano da custodi e loro ordinò di condurla in spirito all’inferno; ella la benedì e le disse: « Figlia mia, non temere, io sarò con te e t’aiuterò ». Ad un tratto, racconta la Santa, mi trovai in un luogo oscuro, profondo e fetente, udii mugghii di tori, ragli d’asino, ruggiti di leone, sibili di serpenti, ogni sorta di voci confuse e spaventose e grandi rombi di tuono che riempivano di terrore. Vidi lampi e fumo molto denso. Scorsi una gran montagna tutta coperta di serpenti, di vipere e di basilischi fra loro attorcigliati in numero incalcolabile. Udendo uscire di sotto a loro delle maledizioni e voci orrende, chiesi a’ miei angeli che voci fossero quelle, ed essi mi risposero che lì si trovavano molte anime nei tormenti. Infatti quella gran montagna ad un tratto s’aprì ed io la vidi tutta ripiena d’anime e di demonii. Quelle anime erano tutte avvinghiate insieme, per modo che formavano una sola massa; i de­monii le tenevano così legate a se stessi con catene di fuoco; ogni anima aveva parecchi demonii attorno a sè. Di là fui trasportata ad un’altra montagna ove si trovavano dei tori e dei cavalli furiosi che mordevano come cani arrabbiati. Loro usciva fuoco dagli occhi, dalla bocca e dal naso, i loro denti parevano lance acutissime e spade taglienti, che riducevano in frantumi in un istante tutto ciò che afferravano. Compresi che morde­vano e divoravano anime. Vidi altre mon­tagne ove si praticavano dei tormenti più crudeli, ma mi è impossibile descriverli. Al centro di tal soggiorno infernale si erge un trono altissimo; in mezzo a quel trono vi è un seggio formato dei demonii che sono i capi e i principi. Là siede Lucifero, spa­ventoso, orribile. O Dio che figura orrenda; sorpassa in orrore tutti gli altri demonii. Sembra avere una testa formata di cento teste e piena di lance, a capo di ciascuna delle quali vi è come un occhio che proietta frecce infiammate che infiammano tutto l’inferno. Benchè il numero dei demonii e dei dannati sia incalcolabile, tutti veggono quella testa orribile e ricevono tormenti sopra tormenti da quello stesso Lucifero. Esso li vede tutti e tutti lo vedono. Qui i miei angeli mi fecero comprendere che, come in cielo la vista di Dio rende beati tutti gli eletti, così nell’in­ferno l’orribile figura di Lucifero, orrendo mostro infernale, è un tormento per tutti i dannati. La loro maggior pena è l’aver per­duto Iddio. Questa pena Lucifero la sente per il primo, e tutti vi partecipano. Egli be­stemmia, e tutti bestemmiano; maledice e tutti maledicono; soffre ed è torturato, e tutti sof­frono e sono torturati.

In quel momento i miei angeli mi fecero osservare il cuscino ch’era sul seggio di Lu­cifero e su cui stava seduto; era l’anima di Giuda. Sotto i piedi di Lucifero vi era un cuscino molto grande, tutto lacero e coperto di segni; mi si fece capire ch’erano anime di religiosi. Allora il trono fu aperto e, in mezzo ai demonii che stavano sotto il seggio, vidi un gran numero d’anime. Chi sono que­ste? domandai a’ miei angeli; ed essi mi ri­sposero ch’erano dei prelati, dei dignitari della Chiesa, dei superiori d’anime consacrate a Dio.

Io credo che se non fossi stata accompa­gnata da’ miei angeli ed anche, come penso, invisibilmente fortificata dalla mia buona Ma­dre, io sarei morta di spavento. Tutto ciò ch’io ne dico non è nulla e tutto ciò che udii dire dai predicatori non è nulla in paragone di quello ch’io vidi (Diario, alle date indicate).

Visione del Ven. Bernardo Francesco de Hoyos. 

Il 9 gennaio 1730, il Ven. Bernardo Fran­cesco, che faceva gli esercizi spirituali ed era giunto alla meditazione dell’inferno, ne ebbe una visione terribile. D’improvviso si vide in un vasto campo; per ordine di Dio il suo angelo custode lo condusse fino all’orlo del­l’abisso infernale che s’aprì a’ suoi piedi: Vieni, gli diss’egli, e ti mostrerò questo grande spettacolo. Io vidi, scrive il santo giovane, un’immensa caverna piena di fuoco; da quel fuoco usciva un fumo così denso che offuscava la luce. Io dirigevo il mio sguardo su quella immensa distesa di fuoco, ma non ne vedevo la fine. Vidi certi dannati che, spinti dalla rabbia, uscivano fuori dalle fiamme, ma tosto vi ricadevano, precipitati dai demonii e tra­scinati verso l’abisso come una pietra verso il suo centro.

Il mio angelo si volse a me e mi disse: Fai ben attenzione. Allora vidi quali erano i castighi particolari per gl’impudici, per gli avari, per quelli che portano odio. Pieno d’or­rore per quel che vedevo, stordito dalle be­stemmie che udivo vomitare contro Dio e la sua santa Madre, spaventato dalla vista dei mostri che m’apparivano, distolsi gli sguardi e non distinsi più nulla. Avendo così percorso alla cieca un grande spazio, il mio angelo mi disse: Vieni e vedi, e scrivi ciò che vedrai.

Allora il sentiero ch’io seguivo s’aprì e mi trovai in un’altra cavità sopra la prima e più orribile. Là si tenevano i sacerdoti in­degni che – avevano avuto l’audacia di ricevere sacrilegamente nelle loro mani e nel loro cuore il Figlio della Vergine. Quei miserabili soffrivano tali torture che tutte quelle di cui ho parlato non sono nulla al loro confronto. Erano tormentati specialmente nelle parti del loro corpo che avevano toccata l’ostia consacrata; pel dolore si facevano scoppiare le mani ch’erano divenute come carboni ardenti; le loro lingue erano come fatte a pezzi e penzo­lavano fuori della loro bocca per significare i loro sacrilegi; tutto l’interno del loro corpo e specialmente il loro cuore era divorato dal fuoco e in preda ad orribili dolori. Là io vidi drizzarsi, come un serpente che vuol saltare, un cattivo sacerdote ch’io conobbi e che era morto subitaneamente dopo aver dato gravi scandali. Mi fissò con rabbia e subito ricadde nel più profondo della fornace (cap. x).

V. – IL PARADISO.  

L’entrata d’un eletto in Paradiso.

Il Figlio di Dio, dando a S. Brigida le sue istruzioni, le parlò in questi termini d’un generoso cavaliere che aveva praticato le virtù cristiane: «Quando quest’amico del mio Cuore fu arrivato all’estremo della sua vita e l’anima sua si separò dal corpo, cinque legioni d’angeli furono inviate incontro a lui. Si udirono allora in cielo voci melodiose che risonavano soavemente e dicevano: O Si­gnore e Padre, questi non è forse colui che aderì fortemente ai vostri voleri e che perfet­tamente li compì? Poi una voce da parte della Divinità gli disse: Io ti creai e ti diedi il corpo e l’anima. Tu sei mio figlio e facesti la volontà del Padre tuo. Ora vieni dunque al tuo Creatore onnipotente e al tuo Padre amantissimo. L’eredità eterna ti è dovuta, poiché tu sei figlio e fosti obbediente. Vieni dunque, o mio dolcissimo figlio, io ti rice­verò con gioia ed onore.

« Una seconda voce, ch’era quella del­l’Uomo Dio, gli disse: Vieni al tuo fratello, perché io mi sono offerto per te, ho versato il mio sangue per amor tuo. Vieni a me, per­ché hai seguito la mia volontà; vieni a me, perché hai versato sangue per sangue, hai dato vita per vita e morte per morte. Dunque tu che m’hai seguito, vieni alla mia vita, alla mia gioia che non finirà mai.

« Una terza voce parlò da parte dello Spi­rito Santo: Vieni, o mio cavaliere, che m’haì tanto desiderato e in cui io mi sono compia­ciuto di stabilire la mia dimora. Per le fa­tiche del tuo corpo, entra nel riposo; in cambio delle tribolazioni del tuo spirito, entra nelle consolazioni ineffabili; in ricompensa della tua carità e delle tue generose lotte, entra in me stesso; io rimarrò in te e tu rimarrai in me.

« Poi le cinque legioni d’angeli fecero echeggiare la loro voce. La prima diceva: andiamo incontro a questo generoso soldato e portiamo davanti a lui le sue armi; cioè presentiamo al nostro Dio la fede ch’egli con­servò senza vacillare e che difese contro i suoi nemici.

« La voce della seconda legione disse: por­tiamo davanti a lui il suo scudo e mostriamo al nostro Dio la sua pazienza; benchè ella sia a Dio nota, più gloriosa ne sarà per la nostra testimonianza.

« La terza legione disse: Andiamo in­ contro a lui e presentiamo a Dio la sua spada, cioè l’obbedienza ch’egli praticò, tanto nelle cose penose quanto in quelle facili.

« La quarta: andiamo e rendiamo testimo­nianza alla sua umiltà, perchè l’umiltà prece­deva e seguiva tutte le sue buone opere.

« La quinta voce disse: diamo testimo­nianza del suo desiderio divino, per cui egli sospirava a Dio. Ad ogni ora a lui pensava nel cuor suo; egli l’aveva sempre in bocca, sempre nelle sue opere; lo desiderava sopra tutte le cose; per amor di lui, egli sempre si mostrò come morto al mondo.

« Ecco come il mio amico viene a me e con qual premio è ricompensato. E, quantun-

que non tutti abbiano versato il loro sangue per amore del mio nome, pure riceveranno le medesime ricompense, se essi hanno la volontà di dar la loro vita per amor mio, quando se ne offriranno il tempio e l’occasione. Vedi quanti beni reca la mia volontà. (1. II, cap. xi).

Accoglienza fatta dal Signore all’anima glorificata. 

Il nostro buon Signore, racconta Giuliana di Norwich, mi disse: «Io ti ringrazio di ciò che facesti per me, e specialmente d’avermi consacrata la tua giovinezza». Poi Dio mi mostrò tre gradi di beatitudine in cielo per quell’anima che lo servì di buon animo: il primo, quando il Signore la ringrazia alla sua uscita dal purgatorio, ringraziamento così ele­vato e così glorioso ch’ella si sente ricolma e sufficientemente ricompensata. Il secondo è che tutta la corte celeste ne è testimonio, perchè Dio fa conoscere a tutti gli eletti i servizi che gli furono resi. Il terzo è che la gioia data all’anima nel momento in cui è così ringraziata deve durare per tutta l’eter­nità (VI Rivelazione, c. xiv).

« Quanto più avrai sofferto, disse l’eterna Sapienza al beato Enrico Susone, tanto più sarai ricevuto con riguardi e dignità. Qual gioia produce quest’onore come l’anima e il cuore sono inondati di felicità vedendosi lo­dati e glorificati da me dinanzi al Padre mio e a tutto il celeste esercito. Io li loderò d’aver sofferto tanto in questa vita, d’aver combat­tuto tanto, d’aver riportate tante vittorie (L’Exemplaire, Trattato II, c. XII).

Nostro Signore ci dichiara ancora nel Van­gelo ch’egli farà l’elogio degli eletti: « Ve­nite, benedetti del Padre mio; io ebbi fame e mi deste da mangiare, ecc. – Coraggio, servo buono e fedele, tu fosti fedele nelle piccole cose. – Chi mi avrà confessato da­vanti agli uomini io lo confesserò davanti al Padre mio. – Allora, dice l’Apostolo san Paolo, ognuno riceverà dal Signore la lode che gli sarà dovuta » (I Cor., Iv, 5).

Quello che perdono coloro che non hanno amore. 

Una volta, racconta S. Teresa, per lo spazio d’un’ora e più, nostro Signore, tenendosi sempre vicino a me, m’aveva scoperto cose meravigliose. Poi mi disse: « Vedi, figlia mia, quello che perdono coloro che sono contro di me. Non mancar di dirlo loro » (Vita, e. XXXVIII).

S. Caterina da Siena, che rimase morta per quattro ore e ritornò poi a vita, aveva veduto e le pene dei peccatori nell’altro mondo e la gloria degli eletti. E il Signore le disse: « Tu vedi di qual gloria sono privati e con quali pene sono puniti coloro che m’offen­dono. Ritorna dunque a loro per mostrare ad essi il loro errore, il loro pericolo e il torto che fanno a se stessi » (Vita, del B. Rai­mondo, Parte II, c. vi).

Parole simili furono dette a Francesca di Bona dopo ch’ella fu favorita d’un conosci­mento elevatissimo della SS. Trinità: « Figlia mia, io volli farti vedere di qual bene si pri­vano i peccatori che muoiono nel loro pec­cato » (lib. III, c. xiv).

La gloria di Dio veduta in lui, in noi e in tutto, ecco il cielo. 

S. Caterina da Bologna (1413-1483) ebbe una visione, in cui nostro Signore le apparve, circondato d’angeli e di Santi, che cantavano queste parole d’Isaia (Lx, 2) : « E la sua gloria sarà veduta in voi ». Il Salvatore con­dusse S. Caterina presso il suo trono e le disse: « Figlia mia, ascolta questo canto e intendi bene il senso di queste parole: E la sua gloria sarà veduta in voi » (Piccoli Bol­landisti, 9 marzo).

Dio tutto in tutti. 

In una visione, racconta S. Geltrude, in cui l’anirna rnia ben sentiva, in slanci d’una gioia perfetta, ch’ella ora arricchita dei gaudii del suo Diletto, io intesi il senso di queste parole così piene di dolcezza: « Dio sarà tutto in tutti » (I Cor., xv, 28). L’anima mia beveva, con un’avidità insaziabile, queste parole che il cielo presentava in una pozione deliziosa all’ardore della sua sete: « Com’io sono la figura della sostanza di Dio, mio Padre, nella Divinità stessa, così tu sarai la figura della mia sostanza nell’umanità e, come l’aria riceve la chiarezza dei raggi del sole, così tu riceverai nell’anima tua deificata le emanazioni della mia divinità; allora penetrata fino al midollo dai raggi della mia luce, tu diventerai capace d’una più familiare unione con me » (lib. II, c. vi).

Mentre S. Paolo della Croce, meditando sui novissimi, considerava le gioie del para­diso, udì il Signore che gli diceva: « Mio figlio, in cielo, il beato non sarà unito a me com’è un amico all’amico suo, ma come il ferro penetrato dal fuoco » (Vita, c. iv).

Dio in cielo ama di esser lodato ne’ suoi eletti. 

Dopo la morte di S. Matilde, Geltrude vide tre raggi che partivano dal Cuore di Dio e passavano per l’anima della sua santa amica per dirigersi su tutti i Santi che, essendo mirabilmente illuminati e rallegrati, si misero a lodare per lei il Signore, dicendo: noi vi lodiamo per l’incantevole bellezza della vo­stra sposa, per l’amabile compiacenza che ri­ponete in lei, per l’unione perfetta che la fece una sola cosa con voi. E vedendo Geltrude che il Signore si pigliava un gran piacere in quelle lodi, gli disse: Perchè, mio Signore, godete tanto d’esser lodato in quest’anima? Egli rispose: « Perchè nella sua vita ella desiderava sopra tutto di vedermi lodato; ella ha conservato questo desiderio ed io voglio saziarla colla mia lode incessante » (P. VII, cap. xvi).

Le nostre buone opere in cielo cantano la lode di Dio.

Suor Matilde aveva un fratello chiamato Balduino, che era domenicano. Il Signore, parlandole di questo fratello, ch’era assai vir­tuoso e zelante, le disse: « Ho saputo e ve­duto tutte le fatiche a cui si sobbarca, le let­ture che fa e i libri che scrive: tutto quello ch’egli fa canterà un cantico d’amore a mia lode davanti alla mia eterna famiglia e dirà: Dio grande, eterno, forte, ammirabile, alle­luia! Ed io esalterò il suo capo e tutte le sue forze, come feci per te, non solo nell’ordine della natura, ma ancora in quello della gra­zia » (lib. II, c. xxi).

Come Cristo fu glorificato nel suo corpo. 

Mentre Matilde pregava il Signore Gesù di rendere grazie a Dio della sua risurrezione futura, il Signore le disse: « Io lo faccio pre­sentemente per te e per ognuno de’ miei così volentieri come per me stesso, perchè consi­dero la gloria de’ miei membri come la mia stessa e l’onore che loro è reso come tribu­tato a me stesso. L’anima per cui io compio così queste lodi e questi ringraziamenti, men­tre ella è ancora sopra la terra, ne rice­verà una gran gloria e una gran gioia ne’ cieli ». E, poichè Matilde cercava in se stessa ciò che era stata la glorificazione dell’u­manità di Cristo nel momento della sua ri­surrezione, il Signore le disse: « La glori­ficazione del mio corpo consistette in questo, che mio Padre mi diede ogni potere in cielo e in terra, per modo ch’io fossi onnipotente nell’umanità, come nella divinità, per ricom­pensare, elevare e colmare i miei amici delle testimonianze del mio amore, secondo tutta la generosità de’ miei desideri. La glorifica­zione de’ miei occhi e dei miei orecchi mi diede modo di poter penetrare fino in fondo a tutti i bisogni e a tutte le tribolazioni de’ miei fedeli, udire ed esaudire i loro voti e le loro preghiere. Tutto il mio corpo ha al­tresì ricevuta questa gloria ch’io possa essere da per tutto nell’umanità compio sono nella divinità con tutti e con ciascuno de’ miei amici, dovunque io voglio; ciò che nessun altro, per potente che sia, non ha mai potuto e mai non potrà». (Parte I, c. xrx; ediz. lat., pag. 67).

La misura dell’amor meritorio è la misura dell’amor beatificato.

Ascoltiamo Iddio che a S. Caterina da Siena dice: « L’anima giusta che finisce la vita in affetto di carità è eternamente legata in amore. Ella non può più crescere in virtù, perchè è venuto meno il tempo, ma può sempre amare coll’ardore ch’ella ebbe per venire a me, e quest’ardore è la misura della sua felicità. Sempre desidera me e sempre ama, onde il suo desiderio non è vuoto, ma avendo fame è saziato, e saziatosi ha fame, senza mai provare la noia della sazietà nè la pena della fame.

« Gli eletti dell’amore godono nell’eterna mia visione, partecipando quel bene ch’io ho in me medesimo, ognuno secondo la misura sua, e questa misura è l’amore ch’essi avevano venendo a me. Perchè sono stati nella carità mia e in quella del prossimo, e uniti insieme colla carità comune e colla particolare, ch’esce pure da una medesima carità. Godono ed esultano, partecipando l’uno il bene dell’altro, con l’affetto della carità, oltre al bene universale, ch’essi hanno tutti insieme. E go­dono ed esultano cogli angeli, coi quali i Santi sono collocati, secondo le varie virtù, le quali principalmente ebbero nel mondo, essendo legati tutti nel legame della carità (Dialogo, c. XLI).

Partecipazione alla felicità di quelli che noi abbiamo amato di più sopra la terra. 

« Ed hanno una singolare partecipazione con coloro, coi quali strettamente d’amor sin­golare s’amavano nel mondo. Quest’amore era un mezzo d’aumentare in essi la virtù: erano gli uni per gli altri occasione di glorificare il mio nome in essi e nel prossimo loro e, siccome l’amore che li univa non è distrutto in cielo, essi ne godono con maggior abbon­danza, e tal amore accresce la loro felicità. « E non vorrei però che tu credessi che gli eletti soli godessero della loro felicità particolare; perchè essa è partecipata da tutti quanti i beati abitanti del cielo, dagli an­geli e da’ miei diletti figliuoli. Onde quando l’anima giunge a vita eterna, tutti parteci­pano il bene di quell’anima, e l’anima del bene loro. Non già che il vaso suo, nè il loro, possa crescere, nè che abbia bisogno di empirsi, perocchè egli è pieno, e perciò non può crescere, ma hanno un’esultazione, una giocondità, un giubilo, un’allegrezza, che si rinfresca in loro per il conoscimento, che han trovato in quell’anima. Veggono che per mia misericordia ella è levata dalla terra, colla plenitudine della grazia; e così esultano in me, nel bene che quell’anima ha ricevuto dalla mia bontà. E quell’anima gode in me, e nelle anime, e negli spiriti beati, vedendo in loro e gustando la bellezza e la dolcezza della mia carità » (Dialogo, c. XLI).

Gli eletti infiammati di carità hanno sete della salute delle anime. 

« I loro desideri sempre gridano dinanzi a me per la salvezza di tutto quanto il mondo; e perchè la loro vita finì nella carità del pros­simo, questa carità non li ha abbandonati, anzi con essa passeranno per la porta dell’U­nigenito mio Figliuolo, per lo modo che di sotto ti dirò. Sicchè vedi che con quel legame dell’amore in che finì la loro vita, con quello permangono ed esso dura eternamente » (Ibi­dem).

Unione perfetta alla volontà di Dio. 

« Essi sono tanto conformati alla mia vo­lontà, che non possono volere se non quello ch’io voglio; perchè l’arbitrio loro è legato nel legame della carità, per siffatto modo che venendo meno il tempo alla creatura che ha in sè ragione, morendo in stato di grazia non può più peccare. E in tanto è unita la sua volontà con la mia, che vedendo il padre, o la madre, il figliuolo nell’inferno, o il figliuolo il padre e la madre, non se ne curano; anzi sono contenti di vederli puniti, come nemici miei, onde in nessuna cosa si discordano da me, e i desideri loro sono tutti pieni » (Dia­logo, cap. XLI).

Desideri degli eletti sempre saziati.

« Il desiderio dei beati è di vedere l’onore mio in voi viandanti e quali siete peregrini, che sempre correte verso il termine della morte. Nel desiderio del mio onore desiderano la salute vostra, e perciò sempre mi pregano per voi. Il qual desiderio è adempito da me dalla parte mia, colà dove voi ignoranti non recalcitrate alla mia misericordia. Hanno de­siderio ancora di riavere la dote del corpo loro; e questo desiderio non li affligge, non avendolo attualmente, ma godono gustando per certezza, ch’essi hanno ad avere il loro desiderio pieno, onde non li affligge, perocché non avendolo, non manca loro beatitudine, e perciò loro non dà pena » (Ibid.).

« Sai tu qual è il più singolar bene che hanno i beati? E’ avere la volontà loro piena di quel che desiderano. Desiderano me; e de­siderando me, essi mi hanno e mi gustano, senz’alcuna ribellione, perocchè hanno lasciata la gravezza del corpo, il quale era una legge che impugnava contro lo spirito… Ma poichè l’anima ha lasciato il peso del corpo, la volontà sua è piena; perocchè desiderando di vedere me, ella mi vede; nella qual visione sta la vostra beatitudine. E vedendo conosce, e co­noscendo ama, e amando gusta me, sommo ed eterno Bene, e gustando sazia e adempie la volontà sua, cioè il desiderio ch’egli ha di vedere e conoscere me. Onde desiderando ha, e avendo desidera. E com’io ti dissi, allonta­nata è la pena dal desiderio, e il fastidio dalla sazietà » (Dialogo, c. xLv).

Gloria e beatitudine del corpo. 

« Non ti pensare che la beatitudine del corpo, dopo la risurrezione, dia più beatitu­dine all’anima. Che se questo fosse, seguite­rebbe che infino che non avessero il corpo, avrebbero beatitudine imperfetta, la qual cosa non può essere, perchè in loro non manca alcuna perfezione. Sicchè non è il corpo che dia beatitudine all’anima, ma l’anima darà beatitudine al corpo; perocchè darà dell’ab­bondanza sua, rivestita, nell’ultimo dì del giu­dizio, del vestimento della carne che aveva lasciata.

« Come l’anima è fatta immortale, fermata e stabilita in me, così il corpo in quell’unione diventa immortale, e, perduta la gravezza, è fatto sottile e leggero. Onde sappi che il corpo glorificato passerebbe per lo mezzo del muro; nè il fuoco nè l’acqua non l’offende­rebbe non per virtù sua, ma per virtù del­l’anima, la quale virtù; è mia data a lei per grazia e per l’amore ineffabile, col quale io la creai alla immagine e similitudine mia. L’occhio dell’intelletto tuo non è sufficiente a vedere, nè l’orecchio a udire, nè la lingua a narrare, nè il cuore a pensare il bene loro.

« O quanto diletto hanno in vedere me, che sono ogni bene! O quanto diletto avranno, essendo col corpo glorificato il quale bene ora non avendo fino al giudizio generale, non hanno pena, perchè non manca loro beatitu­dine; perocchè l’anima è piena in sè; la quale beatitudine parteciperà col corpo, come ti ho detto » (Dialogo, c. XLI).

La comunione celeste, ossia l’unione deli­ziosa dei corpi gloriosi al corpo glorificato di nostro Signore Gesù Cristo.

« Che dire di quella gioia ineffabile dei corpi glorificati nell’umanità glorificata del­l’Unigenito mio Figliuolo, che vi dà la cer­tezza della vostra risurrezione! Ivi esulteranno nelle sue piaghe, le quali sono rimaste fre­sche, e conservate le cicatrici nel corpo suo, le quali gridano continuamente misericordia: per voi a me sommo ed eterno Padre, e tutti saranno conformi con lui in gaudio e giocon­dità. Sì, per i vostri occhi, per le vostre mani, per il vostro corpo tutto quanto voi sarete uniti agli occhi, alle mani, al corpo del dolce Verbo mio Figliuolo. Essendo in me, voi sarete in lui, perchè egli è una me­desima cosa con me » (Dialogo, c. XLI).

Sempre avidi e sempre sazi.

« Quando l’anima è separata dal corpo, ha pieno il desiderio suo, e però ama senza pena. Allora è saziata, ma senza fastidio, perchè es­sendo saziata ha sempre fame, senza aver la pena della fame; ribocca d’una felicità perfetta e nulla può desiderare senza averlo. Desidera di veder me e mi vede a faccia a faccia; desidera di veder la gloria del mio nome ne’ miei Santi e la vede nella natura angelica e nella natura umana » (Dialogo, ca­pit. LXXIX).

Gli eletti veggono risplendere la gloria di Dio sopra la terra ed anche nell’inferno.

« La vista dell’anima beata è tanto perfetta che vede la gloria e l’onore del mio nome non solo nei cittadini che sono a vita eterna, ma anche nelle creature mortali. Voglia o non voglia, il mondo mi rende gloria. Vero è che non me la rende come dovrebbe, amando me sopra ogni cosa; ma dalla parte mia io traggo dagli uomini gloria e lode al nome mio, poi­chè in loro brillano la mia misericordia e la grandezza della mia carità.

« Io loro lascio il tempo e non comando alla terra d’inghiottirli per i loro difetti; anzi io li aspetto, e alla terra comando, che loro doni i frutti suoi, al sole, che li scaldi e dia loro la luce e il caldo suo, al cielo che si muova, e spando la mia misericordiosa bontà su tutte le cose che sono fatte per loro. Non solo io non le sottraggo da essi per i difetti loro, ma ancora le do a1 peccatore come al giusto, ed anche spesse volte più al pecca­tore che al giusto, perchè il giusto può sof­frire ed io lo privo dei beni della terra per dargli più abbondantemente i beni del cielo. Così la mia misericordia e la mia carità bril­lano sopra di essi.

« Alcuna volta le persecuzioni che i servi del mondo fanno sopportare a’ miei servi, provano la loro pazienza e la loro carità; esse non servono che a farmi offrire da loro umili e continue preghiere: così ridondano a gloria e ad onore del nome mio; sicchè voglia o non voglia, l’iniquo salva la mia gloria, anche con ciò ch’egli fa per offendermi » (Dialogo, C. LXXX).

« I peccatori stanno in questa vita ad au­mentare la virtù ne’ servi miei, così come i demònii stanno nell’inferno, in qualità di miei giustizieri e aumentatori, cioè facendo giu­stizia dei dannati. Essi servono altresì alle mie creature, che, nel loro terreno pellegri­naggio, desiderano d’arrivare a me, loro fine. Servono loro esercitando la loro virtù con molte molestie e tentazioni in diversi modi, esponendoli alle ingiurie ed alle ingiustizie degli altri, a fine di far loro perdere la ca­rità; ma volendo spogliare i miei servi, essi li arricchiscono esercitando la loro pazienza, la loro fortezza e la loro perseveranza. Per que­sto modo rendono gloria e lode al nome mio » (Dialogo, C. LXXXI).

La vista dei peccati cagiona compassione, ma non tristezza, nel cuore degli eletti.

« L’anima, in cielo, vede l’offesa che mi è fatta; ella non può più, come un tempo, sentirne dolore, ma ne prova solo compas­sione; ama senza pena e prega sempre con carità perchè io faccia misericordia al mondo. In lei la pena è passata, ma non la carità. Il Verbo, mio Figliuolo, vide finire, nella morte dolorosa della croce, la pena del desiderio della vostra salute che lo tormentava, ma il desiderio della vostra salute non è cessato colla pena.

« Parimenti i Santi, che hanno la vita eterna, conservano il desiderio della salute delle anime, ma senza averne la pena; la pena si spense nella loro morte, ma non l’ar­dore della carità. Essi sono come inebriati del sangue dell’Agnello immacolato e rivestiti della carità del prossimo. Passarono per la porta stretta, tutti inondati del sangue di Gesù Crocifisso, e, in me, oceano della pace, si trovano liberati dall’imperfezione, cioè dalla pena del desiderio, perchè sono arrivati a quella perfezione in cui sono saziati d’ogni bene » (Dialogo, c. Lxxxii).

La beata Osanna da Mantova, all’età di dodici anni fu rapita in cielo, ové le fu dato di contemplare lo splendore dei Santi. Quello spettacolo accese il suo cuore d’un tale amore che avrebbe desiderato di non più ritornare sopra la terra. L’Onnipotente le disse: « Figlia mia carissima, io volli farti intravedere la gloria dei vergini e dei martiri, affinchè il ricordo di questa incomparabile felicità ti pre­servi da ogni immondezza e ti renda fedele e diligente nel mio servizio ».

L’anima immersa nella gioia celeste.

Dio Padre diede a S. Maria Maddalena de’ Pazzi quest’istruzione sulla felicità del cielo « Vedi, figlia mia, la differenza che corre fra un uomo che beve un bicchier d’acqua e un altro che si bagni nel mare. Si dice del primo che l’acqua entra in lui, perchè essa dalla bocca passa nello stomaco per rinfrescarlo; ma del secondo si dice ch’entra nel mare, perchè la quantità d’acqua che lo compone è così grande che eserciti interi possono en­trarvi e perdervisi, senza che ne resti la menoma traccia. Così è dell’anima. Le con­solazioni ch’ella riceve in questo mondo non fanno altro che entrare in lei, come l’acqua in un ristrettissimo vaso, per modo ch’ella non può riceverle se non in una misura assai limitata. Il che faceva dire ad una di tali anime, ricolma di dolcezze, deplorando la pic­ciolezza del suo vaso che non poteva conte­nerne quanta avrebbe voluto: basta, Signore, basta. Dovechè nel cielo si entra nella gioia del Signore, ci si immerge in un oceano senza fondo di dolcezze e di consolazioni ineffabili, cioè in Dio stesso, che sarà tutto in tutti. Dentro di voi, fuori di voi, sopra di voi, at­torno a voi, davanti a voi e dietro a voi, tutto sarà gioia, allegrezza, dolcezze e consolazioni, perchè da ogni lato troverete Iddio. Erit Deus omnia in omnibus » (P. I, c. XYII).

Dio si compiace ne’ suoi eletti e gli eletti si compiacciono in Dio. 

« Nel cielo, disse ancora l’Eterno Padre alla medesima Santa, le anime beate non ces­sano di godere nella compiacenza della sua divina essenza. Esse trovano in tale compia­cenza un piacere inenarrabile ed una grande gloria, il che fa si che anch’io mi compiaccia grandemente in esse; e siffatta compiacenza reciproca di me in loro e di loro in me produce, negli angeli, ineffabili trasporti d’al­legrezza e forma la felicità di tutto il para­diso » (P. IV, c. xiii).

Dolcezze corrispondenti ai dolori dell’esilio.

Il Signore disse a Geltrude a proposito di un’eletta: « Perchè il suo più gran dolore fu nel suo braccio, ella mi tiene abbracciato con una sì grande gloria di beatitudine che desidererebbe d’aver sofferto cento volte di più » (lib. V, e. III).

Una volta, dopo la Comunione, racconta Maria Amata, nostro Signore mi mostrò che un giorno si vedrebbero nelle anime tutti i pensieri della loro vita, tutti i loro sentimenti, affetti ed intenzioni (Vita, c. xvui).

Ciascun genere d’opere virtuose avrà una speciale ricompensa.

Il Signore diede un giorno a S. Geltrude questa istruzione: « In quella guisa che il corpo si compone di risolti membri fra loro uniti, così l’anima è costituita da diversi af­fetti, come il timore, il dolore, la gioia, l’a­more, la speranza, l’odio, il pudore. Secondo che l’uomo si sarà esercitato per la mia gloria in ciascuno di questi affetti egli ritro­verà in me altrettante gioie ineffabili e ine­stimabili. Nel dì della risurrezione quando questo corpo mortale rivestirà l’incorruttibi­lità, ciascun membro riceverà una ricompensa speciale per ciascuna delle opere che avrà compiute, e per ciascuno degli esercizi prati­cati in mio nome e per mio amore. Ma l’a­nima riceverà una ben più nobile ricompensa per ciascun movimento di santo affetto, che per mio amore l’avrà animata o penetrata di compunzione » (lib. III, c. Lxix).

Un giorno, festa di Tutti i Santi, S. Gel­trude ebbe la visione del cielo. Poi il Signore le mostrò sparsi e mescolati fra i Santi del cielo tutti i fedeli militanti ancora sopra la terra, ciascuno secondo i meriti suoi. Per esempio quelli che, vivendo onestamente nel matrimonio, si esercitano in buone opere nel timore di Dio apparivano aggiunti ai santi patriarchi. Quelli che meritano di conoscere i segreti di Dio sembravano riuniti ai profeti. Quelli che si dedicano alla predicazione e all’insegnamento della santa dottrina erano riuniti agli apostoli e così degli altri. Vide altresì che i martiri avevano nelle loro file i religiosi che vivono sotto l’obbedienza. I santi martiri, nella parte del loro corpo dove soffrirono per il Signore, ricevevano uno splendore speciale e una dilettazione d’una potenza inestimabile. Similmente i religiosi per tutte le delicatezze che rifiutarono a se stessi nei sensi della vista, del gusto, dell’u­dito, nel passeggio o nella conversazione, o per altri simili sacrifizi, hanno in cielo la medesima ricompensa dei martiri » (lib. IV, cap. Lv).

« I giusti brilleranno come il sole nel regno del Padre mio ».

Parole del Signore a S. Matilde: « Il corpo, nella sua risurrezione, sarà sette volte più brillante del sole, e l’anima sette volte più brillante del corpo, cui ella ripiglierà come un vestimento, spandendo la luce in tutte le sue membra come il sole in un cristallo. Ed io penetrerò tutte le parti più intime dell’a­nima con una luce ineffabile e così, nel ce­leste soggiorno, brilleranno corpo ed anima, per sempre » (Parte V, c. xiv).

Gli eletti nei cori degli angeli.

Il Signore disse a Margherita da Cortona: « Tu mi pregasti per Gilia, ebbene io per amor tuo e per le sue opere virtuose la col­locherò in paradiso nell’ordine dei Cherubini » (cap. VIII, § 6). E qualche tempo dopo: « Oggi rallegrati con Frate Giunta (France­scano, confessore della santa penitente e autore della sua vita) di vedere la sua cara figlia Gilia, ammessa, secondo la mia promessa, nel coro dei Cherubini » (cap. ix, § 31). Gilia era un’amica intima della santa peni­tente. Il Signore un giorno disse a questa: « Tu sai che Giovannello e Gilia, tua com­pagna, per imitare la tua vita penitente, vol­lero mortificare il loro corpo all’eccesso e abbreviarono così la loro vita » (c. x, § 14). Poichè Margherita pregava per Gilia morta allora, un angelo le disse: « Ella starà per un mese in purgatorio, non vi soffrirà che pene leggere, per essersi lasciata trascorrere all’ira per eccesso di zelo ». Il Signore inviò quattro angeli per liberarla dal purgatorio (cap. ix, § 30 e 31).

Ciascun eletto gode della felicità di tutti.

« Nel cielo, figlia mia, disse l’Eterno Padre a S. Maria Maddalena de’ Pazzi, ogni beato non si rallegra meno della gloria degli altri che della sua propria, perchè l’amore, come sai, mette tutto in comune, e il cielo è il sog­giorno del sincero e perfetto amore. Dirò di più: la perfezione di quest’amore è così grande che un’anima, vedendo un’altra rive­stita di una gloria più fulgida della sua, per­chè ebbe sulla terra una carità più grande, si rallegra più di quella gloria estranea che della sua propria. Così s’aumenta la gloria di ciascun’anima beata, a misura che la sua carità si dilata, poichè ella partecipa della gloria di tutte le altre, così come di quella degli angeli e di tutti gli spiriti da me glo­rificati nel cielo. Vedi, figlia mia, quale abisso di gloria! » (Parte  I, c. xxiii).

Il Signore disse a Matilde: « Loda la mia bontà nei Santi, ch’io rimunerai con una tal beatitudine ch’essi abbondano di tutti i beni, non solo in se stessi, ma la gioia dell’uno si accresce ancora colla gioia dell’altro, a tal segno che uno gode della felicità dell’altro più che una madre dell’elevazione dell’unico suo figliuolo, o che un padre del trionfo e della gloria del suo figlio. Così ognuno di loro gode dei meriti particolari di tutti in una dolce carità » (Parte I, c. xxxiv).