SETTIMO DOLORE CHE CRISTO PORTO’ NEL SUO CUORE
PER L’INGRATITUDINE DEL SUO PREDILETTO POPOLO GIUDAICO
(DAI DOLORI MENTALI DI GESÙ NELLA SUA PASSIONE
RIVELATI A SANTA CAMILLA BATTISTA DA VARANO)
(Il racconto di questo dolore è breve, ma sufficiente a descrivere la pena interiore di Cristo per il popolo ebraico dal quale aveva assunto la natura umana. Dopo i benefici straordinari concessi ai padri, il Figlio di Dio incarnato durante la vita terrena aveva operato ogni genere di bene in favore del popolo, il quale al momento della passione lo ricambiò con il grido: “A morte, a morte!“, che lacerò il suo cuore più che i suoi orecchi.)
Parla Gesù:
“Pensa un poco (figliola mia) quanto grande fu il colpo come di freccia con cui mi trafisse e mi accorò il popolo giudaico, ingrato ed ostinato.
Io l’avevo reso popolo santo e sacerdotale e l’avevo eletto a mia parte di eredità, al di sopra di tutti gli altri popoli della terra.
L’avevo liberato dalla schiavitù d’Egitto, dalle mani del Faraone, lo avevo condotto a piedi asciutti attraverso il Mare Rosso, per lui ero stato colonna ombrosa di giorno e luce nella notte.
Lo nutrii di manna per quaranta anni, gli detti con la mia propria bocca la Legge sul monte Sinai, gli concessi tante vittorie contro i suoi nemici.
Assunsi natura umana da lui e per tutto il tempo della mia vita dialogai con lui e gli mostrai la via del cielo. Durante quel tempo gli feci molti benefici, quali dare luce ai ciechi, l’udito ai sordi, il camminare ai paralitici, la vita ai loro morti.
Ora quando intesi che con tanto furore gridavano che fosse rilasciato Barabba e io fossi condannato a morte e crocifisso, mi parve che mi scoppiasse il cuore.
Figliola mia, non lo può comprendere se non chi lo prova, che dolore sia ricevere ogni male da chi ha ricevuto ogni bene!
Quanto è duro per chi è innocente sentirsi urlare da tutta la gente: ‘Muoia! muoia!’, mentre a chi è prigioniero come lui ma si sa che merita mille morti viene gridato dal popolo: ‘Viva! Viva!’.
Queste sono cose da meditare e non da raccontare”.
OTTAVO DOLORE CHE CRISTO BENEDETTO PORTO’ NEL SUO CUORE
PER L’INGRATITUDINE DI TUTTE LE CREATURE
(Questo capitolo presenta alcune delle pagine più belle della Varano che riconosce gli innumerevoli benefici divini: «Tu, Signore, per grazia sei nato nell’anima mia… Nelle tenebre e oscurità del mondo tu mi hai fatta capace di vedere, udire, parlare, camminare, perché veramente io ero cieca, sorda e muta a tutte le cose spirituali; mi hai risuscitata in Te, vera vita che dai vita a ogni cosa vivente…». Contemporaneamente sente il peso della propria ingratitudine: «Tutte le volte che ho vinto, da te solo e per te è venuta la mia vittoria, mentre tutte le volte che ho perso e perdo è stato ed è per mia malizia e poco amore che porto a te». Di fronte all’infinito amore divino e al dolore del Salvatore la Beata sente la gravità del peccato anche minimo, perciò si identifica in coloro che hanno flagellato e crocifisso Gesù e, dimenticando tutti gli altri peccatori, si ritiene sintesi dell’ingratitudine di tutte le creature.)
Illuminata da Cristo, sole di giustizia, quell’anima benedetta espone questa ingratitudine con parole pronunciate per sé e per ogni creatura con riferimento alle grazie e ai benefici ricevuti.
Dice infatti che si sentiva nel cuore tanta umiltà che veramente confessava a Dio e a tutta la corte celeste di aver ricevuto da Dio più doni e benefici di Giuda e addirittura di averne ricevuti più lei sola di tutto il popolo eletto messo insieme e che lei aveva tradito Gesù molto peggio e più ingratamente di Giuda e che molto peggio e più ostinatamente di quel popolo ingrato lei lo aveva condannato a morte e crocifisso.
E con questa santa riflessione lei collocava la sua anima sotto i piedi dell’anima del dannato e maledetto Giuda e da quell’abisso elevava voci, urla e pianti al suo amato Dio da lei offeso, quali: “Signore mio benigno, come potrò ringraziarti per ciò che hai sofferto per me che ti ho trattato mille volte peggio di Giuda?
Tu avevi reso lui tuo discepolo, mentre hai eletto me tua figlia e sposa.
A lui hai perdonato i peccati, a me pure per tua pietà e grazia hai perdonato tutti i peccati come se non li avessi mai fatti.
A lui desti l’incarico di dispensare le cose materiali, a me ingrata hai dispensato tanti doni e grazie del tuo tesoro spirituale.
A lui hai concesso la grazia di fare miracoli, a me hai fatto più che un miracolo conducendomi volontariamente in questo luogo e nella vita consacrata.
O Gesù mio, io ti ho venduto e tradito non una volta come lui, ma mille ed infinite volte. O mio Dio, sai bene che peggio di Giuda io ti ho tradito col bacio quando, anche sotto parvenza di amicizia spirituale, ti ho abbandonato e mi sono accostata ai lacci di morte.
E se tanto ti ha turbato l’ingratitudine di quel popolo eletto, cosa sarà stata ed è per te la mia ingratitudine? Io ti ho trattato peggio di loro, benché abbia ricevuto da te, mio vero bene, molti più benefici di loro.
O Signore mio dolcissimo, io con tutto il cuore ti ringrazio che, come gli ebrei dalla schiavitù egiziana, mi hai strappato dalla schiavitù del mondo, dai peccati, dalle mani del crudele faraone qual è il demonio infernale che dominava a suo piacimento l’anima mia poverella.
O mio Dio, condotta a piedi asciutti attraverso l’acqua del mare delle vanità mondane, per tua grazia sono passata alla solitudine del deserto della santa religione claustrale dove molte volte mi hai nutrito con la tua dolcissima manna, ricolma di ogni sapore. Ho infatti sperimentato che tutti i piaceri del mondo sono nauseabondi di fronte alla pur minima tua consolazione spirituale.
Ti ringrazio, Signore e Padre mio benigno, che molte volte sul monte Sinai della santa orazione mi hai dato con la tua dolcissima santa Parola la legge scritta con il dito della tua pietà sulle tavole di pietra del mio durissimo cuore ribelle.
Ti ringrazio, Redentore mio benignissimo, per tutte le vittorie che mi hai dato su tutti i miei nemici, i vizi capitali: tutte le volte che ho vinto, da te solo e per te è venuta la mia vittoria, mentre tutte le volte che ho perso e perdo è stato ed è per la mia malizia e il poco amore che porto a te, mio desiderato Dio.
Tu, Signore, per grazia sei nato nell’anima mia e mi hai mostrato la via e donato la luce e il lume della verità per giungere a Te, vero paradiso. Nelle tenebre e oscurità del mondo tu mi hai fatta capace di vedere, udire, parlare, camminare, perché veramente io ero cieca, sorda e muta a tutte le cose spirituali; mi hai risuscitata in Te, vera vita che dai vita a ogni cosa vivente.
Ma chi ti ha crocifisso? lo.
Chi ti ha flagellato alla colonna? Io.
Chi ti ha coronato di spine? Io.
Chi ti ha abbeverato di aceto e fiele? Io”.
Rifletteva in tal modo su tutti questi dolorosi misteri piangendo con molte lacrime, secondo la grazia che Dio le dava.
E concludendo diceva:
“Signore mio, sai perché ti dico che io ti ho fatto tutte queste cose? Perché alla tua luce ho visto la luce, cioè [ho capito] che molto più ti afflissero e procurarono dolori i peccati mortali che io ho commesso, di quanto allora non ti affliggessero e procurassero dolori le persone che ti inflissero tutti quegli strazi fisici.
Allora, Dio mio, non è necessario che tu mi faccia conoscere il dolore che ti dette l’ingratitudine di tutte le creature, perché, dopo che mi hai fatto la grazia di conoscere almeno in parte la mia ingratitudine, posso ora – sempre per la grazia che mi infondi – riflettere quanto ti hanno fatto tutte le creature complessivamente.
In questa riflessione quasi vengo meno per lo stupore che suscitano, o Gesù mio, la tua immensa carità e la pazienza verso di noi, tue creature ingratissime, poiché mai, mai tu smetti di provvedere a tutti i nostri bisogni spirituali, materiali e temporali.
E come non si possono conoscere, Dio mio, le cose innumerevoli che hai compiuto per queste tue ingrate creature in cielo, in terra, nell’acqua, nell’aria, così non riusciremo a comprendere la nostra ingratissima ingratitudine.
Confesso allora e credo che solo tu, Dio mio, puoi conoscere e sapere quanta e quale sia stata la nostra ingratitudine che come freccia avvelenata ti ha trafitto il cuore tante volte quante sono le creature che furono, sono e saranno e ogni volta che ognuna di esse ha esercitato tale ingratitudine.
Riconosco dunque e dichiaro per me e per tutte le creature tale verità: come non passa un istante né ora né giorno né mese che non usiamo appieno i tuoi benefici, così non passa un istante né un’ora né un giorno né un mese senza molte e infinite ingratitudini.
E io credo e riconosco che questa nostra pessima ingratitudine sia stata uno dei più crudeli dolori della tua afflitta anima”.
(Sottoscrizioni finali)
Concludo queste poche parole sui dolori interiori di Gesù Cristo a sua lode, venerdì 12 settembre dell’anno del Signore 1488. Amen.
Potrei riferire molte altre cose che mi disse quella suora, ad utilità e consolazione dei lettori; ma Dio sa che per prudenza mi trattengo nonostante l’impulso interiore e specialmente perché quell’anima benedetta si trova ancora nel carcere di questa misera vita.
Forse un’altra volta in futuro Dio mi ispirerà di riferire altre sue parole che ora per prudenza taccio.
(DAI DOLORI MENTALI DI GESÙ NELLA SUA PASSIONE RIVELATI A SANTA CAMILLA BATTISTA DA VARANO)