SE SEI UN’ANIMA CARA A DIO PREPARATI, E SAPPI CHE VERRÀ UN GIORNO IN CUI TI TROVERAI NEL TRAVAGLIOSO TEMPO DELLA TEMPESTA, DELLA DESOLAZIONE E TRIBOLAZIONE: “Quando il Signore vuole esaltare molto un’anima, molto la umilia”

Considera, anima di Dio, come è sommo beneficio del Signore metterti nello stato della desolazione, per I’esercizio di mille eroiche virtù, che in quello si esercitano; per i grandi meriti che si acquistano, e per gli avanzamenti meravigliosi che fa lo spirito in tali patimenti, senza che neppur se ne accorga l’anima mentre patisce.

Preparati intanto e sappi che, se sei assai cara a Dio, verrà un giorno in cui ti troverai nel travaglioso tempo della tempesta: quando il Signore vorrà mettere alla prova la tua virtù per scorgere se veramente lo ami, e se quelle grandi offerte che ora gli fai, e quelle magnanime espressioni siano vere. E allora lo darai a conoscere, quando ti vedrai arida, afflitta, travagliata, e tentata; quando il tuo cuore sembrerà divenuto un macigno, sconvolte le potenze e ribellati i sensi. Allora, la fantasia ti porrà innanzi mille inezie, fantasmi, apprensioni, terrori, bruttezze; la memoria si ricorderà di tutto ciò che non vorrebbe; I’intelletto si fisserà su cose disordinate, impertinenti e noiose; la volontà sarà stimolata ed inclinata al male, e talvolta alla vanità, ai piaceri, al mondo, alle cose della terra; i sensi saranno come tanti cani affamati, gli appetiti saranno sfrenati, il fomite si solleverà, la concupiscenza bollirà e farà sentire al cuore i moti più violenti dell’irascibile e del concupiscibile; le passioni si porranno in rivoluzione, la parte inferiore si armerà, starà in guerra, strepiterà, metterà tutto in scompiglio, in confusione, in tumulto: tutto ciò, che non è Dio, ti sarà sempre innanzi, e tutti i sentimenti di Dio non si faranno sentire. Il cuore nulla proverà di conforto, ma la volontà, aiutata sensibilmente dalla grazia, si manterrà salda nel non cedere, nel non consentire, sebbene sia all’oscuro e operi con la parte superiore dell’anima, in cui sta il volere e il non volere, tutto il merito e il demerito.

I demoni si scateneranno, ed a misura di quella libertà data loro da Dio, faranno ogni sforzo per abbattere l’anima; useranno astuzie, frodi, inganni, suggestioni; susciteranno ogni sorta di perversi pensieri, terrori, tentazioni, motivi contro la fede, di diffidenza, di bestemmia, di odio contro Dio, per indurre l’anima alla disperazione. Gli uomini ti saranno contrari, ti perseguiteranno, ti mortificheranno, ti copriranno di confusione, tutti ti abbandoneranno, non avrai più di chi fidarti in terra. Addio parenti, addio amici…

Patirai ancora malattie, infermità, debolezze, dolori, povertà, col mancamento d’ogni bene temporale. E ciò che recherà maggior pena, sarà che il cielo sembrerà divenuto per te di bronzo, il cuore s’indurirà, come una pietra, la mente si vedrà tutta coperta di tenebre; non comparirà uno spiraglio di luce a tuo favore: diverrai gravosa, fastidiosa, tediosa, pesante a te stessa, contraria, contraddicente e confusa nel viver tuo; terrori e timori con te non mancheranno. E quel Dio, che è amore e bontà infinita, apparirà agli occhi tuoi tutto rigore, come giudice severo che perseguita il peccato e il peccatore.

Andrai all’orazione, ma ti sembrerà di non poter fare orazione, e ti vedrai in confusione. Cercherai Dio presente, ma non lo troverai; vorrai raccoglierti, ma ti distrarrai. Supplicherai il Signore, e ti sembrerà che non ti esaudisca, che ti scacci e ti rigetti da se. Invocherai Maria, chiamerai i Santi, esclamerai pietà, ma non sentirai conforto e sollievo: ti sembrerà chiuso per te il Paradiso; ti stimerai come da tutti abbandonata.

Ti accosterai alla comunione, andrai a confessarti, ma senza sentimenti di pietà e di contrizione, diverrai come un corpo senz’anima, come un’anima senza spirito, come un legno duro ed insensato: il corpo languente aggraverà lo spirito che, desolato, non darà alcun sollievo al corpo languente. Ti eserciterai nelle opere di misericordia, praticherai gli esercizi di devozione, ma come per necessità e per abitudine, quasi fuor di te, come senza cuore, e ti sembrerà tempo perduto. Dove sono gli amorosi sospiri, dove le fervorose esclamazioni, dove gli ardenti desideri dei beni eterni, dove i teneri sentimenti, dove I’ardore della carità?

Crederai, ma come non credessi; spererai, ma come non sperassi; amerai Dio, ma come non lo amassi; e per compimento del tuo penare, ti riconoscerai inetto a vivere e non buono a morire: avrai a tedio la vita e temerai la morte. Non avrai nemmeno lo sfogo per poter piangere questa vita, che ti sembra una gran disgrazia.

Ah mio Dio! So che la mia volontà fermamente crede in Voi, e pare che vi manchi di fede. Sto certo, che Voi siete tutta la mia speranza, che mi proteggete sotto le ali della vostra protezione, e pure sembra mancarmi il cielo e la terra. Intendo, che non cerco altro, e non desidero altro, se nọn Voi, nonostante tutto sembra solo che da Voi fugga e mi allontani. So che mi amate: devo sperarlo, e lo spero! Nondimeno mi sembra, come se mi scacciaste da Voi!

Anima di Dio, non ti lagnare, non ti rattristare, non diffidare. Le tue pene, i tuoi travagli, le tentazioni, le desolazioni del tuo spirito non sono arrivati a tal segno; e pure non sai un poco soffrire per amore del tuo Gesù, che ha tanto sofferto per amor tuo. Ah questo malvagio amor proprio, che cerca sempre il suo comodo, vuol trovare il suo pascolo e star in possesso di sua proprietà; anche nelle opere più spirituali e più sante, quest’amor proprio è l’origine e la cagione di tanti disordini. Anima troppo delicata e sensibile, deh prega il Signore che ti rassodi, ti purifichi, e cambi le tue tenaci inclinazioni anche in ciò che ha l’apparenza di virtuoso e di buono: dove tanto maggiore è il pericolo, quanto l’inganno è più occulto. E quale maggior beneficio può darsi, che esser trattata dal caro Padre celeste come trattò il suo dilettissimo Unigenito Figliuolo, il quale lo caricò di dolori, lo sazio’ di obbrobri, lo annegò in un mare di pene?

L’amante Gesù tratta le anime sue dilette in quella maniera che egli fu trattato dal celeste suo Genitore. Croci ricevette, e croci dona a chi ama; ricevette spine, fiele, aceto, e di questi regali onora i suoi servi più cari e più fedeli. Fu Gesù crocifisso, morto e seppellito; e così, ancora vivi, ama veder crocifissi al mondo i suoi amatissimi eletti: mortificati nelle passioni, seppelliti a tutte le cose create, a tutto ciò che sa di terra e di amor proprio.

Eccoti, o anima, le visioni, le estasi, le rivelazioni, le profezie, le alte intelligenze, i doni sovrumani che devi desiderare, se vuoi esser perfetta: dico le spine, i chiodi, le pene, le desolazioni, le amarezze, i dolori, il fiele, l’aceto, e la croce del tuo Gesù. Alla croce abbracciati, nella croce riposa, la croce sia nel tuo cuore, né altro cercare che pene e croci in questa vita mortale. Ricordati che i forieri delle grandi misericordie di Dio, sono le grandi croci ed i molti travagli. Quando il Signore vuole esaltare molto l’anima, molto la umilia. Se desideri dolci lumi e soavi consolazioni di spirito, estasi, rivelazioni ed alte contemplazioni, sappi però, che a chi ben l’intende, basta la fede, il vangelo, e adempiere la volontà del suo Dio con l’abnegazione di sé stessa. La maggior grazia che possa fare il Signore alle anime, è fondarle appieno nelle vere e perfette virtù. In fede lo Sposo celeste sposò le anime amanti sue dilette, di cui sta scritto: “Ti fidanzerò con me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore” (Osea 2, 22). E ben si può dire d’ogni anima illuminata che cammini in viva fede, e tutte le opere sue siano nella fede appoggiate.

Resta dunque persuasa, che i gusti e le consolazioni del cielo non sono il tuo fine, ma mezzi per distaccare le anime dal mondo, dalle vanità, dalle creature, ed affezionarle a Dio, ed alle cose eterne. Chi appoggia il suo ben vivere in quei godimenti di spirito, e da quelli è mosso ad esercitare virtù sante, se quelli mancano, come sogliono mancare, ecco I’anima dissipata e l’edificio a terra. Laddove chi ben vive e santamente opera, col solo riguardo a Dio ed appoggiato nella fede, se ogni altra cosa vien meno, Dio è sempre lo stesso, e la sua santa fede non può mai mancare. Dunque, rimane sicura l’anima sempre ferma nel suo santo proposito e sempre risoluta nella carriera del divino volere.

Divinamente parlò il Padre Granata, quando disse: “La vita evangelica, ben considerata in ogni sua parte, altro non è che una continua croce”. E qual cosa poteva trovarsi di più convenevole al cristiano che una foggia di vita che sia tutta croce, come quella in cui visse e morì il Figliuolo di Dio? La croce dunque è il più conveniente rimedio alle nostre infermità. La vita cristiana è il fine delle fatiche e delle pene tollerate per noi da Cristo; sicché noi, seguendo le sue dottrine ed i suoi divini esempi, potessimo condurre vita grata e cara agli occhi di Dio. Dico, dunque, che la vera vita cristiana, non è quella che si pratica da chi attende a sollazzarsi ed a godere con la corrente del mondo, ma quella che condusse Gesù Cristo con i santi Apostoli, le cui fatiche, dolori, travagli e pene, furono così grandi che uno di loro disse: “Siamo divenuti spettacolo a Dio, agli angioli, ed agli uomini” (San paolo).

Da ciò ben può conchiudersi, come la vita del Vangelo è dolore, è croce: vita tessuta di tormenti, che affliggono I’anima e il corpo degli eletti di Dio. II Venerabile P. Avila così scrisse a Santa Teresa di Gesù: “Non è cosa nuova alla bontà del Signore, trasformare dei cattivi in buoni, e dei gran peccatori in grandi santi, con dar loro molti lumi e gusti celesti, come l’ho io stesso veduto. E chi vuol mettere limite alla bontà di Dio? Tanto più che queste consolazioni sensibili non si danno per merito, né per essere uno più virtuoso e più forte. Ma anzi, spesso, si donano ai più deboli e fiacchi; e come che quel godere non fa sempre I’anima più santa, non si dà perciò sempre ai più santi”.

Caro mio Dio, Voi siete stato, Voi siete, e Voi sarete tutta la ragione della mia speranza, l’unico oggetto degli impegni e desideri miei, quantunque oppresso mi vegga, ed annegato di pene, sotto la vostra meravigliosa mano che mi flagella. Sì, mio Signore, provveditore sapientissimo delle anime nostre, questa sia tutta la mia consolazione, vedermi in tale stato; purché non vi offenda e la vostra divina Maestà resti onorata, compiaciuta e glorificata nel mio penare. Ah, Padre celeste, forma sopra di me viva viva l’immagine del tuo caro divino Figliuolo. Fallo, Eterno Dio, per amor di Gesù Cristo, guarisci ad ogni costo quest’anima, purga i miei affetti disordinati, santifica le mie potenze, perfeziona le mie opere e azioni, attira a Te tutto me, tutto il mio cuore: sia pur col ferro, sia pur col fuoco, comunque a Te piace, purché tuo sia: Paratum cor meum, Deus, paratum cor meum.

O divina Sapienza, quanto sono profondi i vostri giudizi, quanto è ammirabile la vostra provvidenza, quanto amabile la vostra condotta! O me sconoscente ed ingrato! O me cieco, ed ignorante! Credevo, amato mio Signore, che fosse a Voi più cara quell’anima, la quale più godeva del vostro dolce e tenero amore, che era da Voi più soavemente trattata. Ed io mi ritenevo per aborrito e castigato dalla vostra giustizia, perchè mi sentivo duro, arido, desolato, atterrito, spasimante e trafitto da tali pene: chiamavo supplizi le vostre dolorose visite, e sembrava che odiaste in me i miei disordini. Ma ora alla luce di queste divine verità, ben mi accorgo del mio errore, conosco e confesso che le vostre più segnalate grazie, le finezze più sviscerate del vostro altissimo amore, sono nel caricare le anime di tribolazioni e di pene.

Infinita Bontà, infinita Misericordia, infinito Amore, sommo mio e vero Benefattore, io vi ringrazio, vi glorifico, vi benedico, e vi adoro. Quanto vi devo, amabile mio Dio, quanto vi devo! Eccomi tutto rassegnato nelle vostre mani, tutto pronto agli ordini della vostra adorabile provvidenza, disponete di me, come vi piace, fate di me quel che volete: mentre io altro non voglio, altro non desidero e non cerco, se non quello che voi ordinate; ed altro a me non piaccia in eterno, se non ciò che piace alla vostra Maestà. La vostra volontà sia tutta la regola del mio vivere, sia tutto il mio contento. Intanto mi assista con amore la vostra protezione, mi guidi la vostra direzione, mi conforti la vostra grazia: sicché forte e costante nelle pene, nelle desolazioni, nelle confusioni, nelle agonie, nella morte, non manchi la mia fede, non venga meno la mia speranza, non si rallenti il mio amore, non cessi il mio zelo, e sotto i colpi più dolorosi e più amari della vostra mano divina, canti lodi e ringraziamenti a voi, mio sommo Benefattore. Spero bensì, nell’immensa vostra pietà, se così a voi piace, che un giorno abbia ancor io cantar col Profeta, che l’abbondanza delle divine consolazioni riempirà di gioia e di contento I’anima mia, a misura della moltitudine dei miei dolori: “Quand’ero oppresso dall’angoscia, il tuo conforto mi ha consolato” (Salmo 93, 19).

Così sia sopra di me e sopra tutte le anime elette, amato Dio. Resta dunque, anima di Dio, cantando con quel divoto profeta, e dando fede e coraggio a te stesso: confortati nel Signore.

(Beato Gennaro Maria Sarnelli, da “L’anima desolata confortata a patir cristianamente” Napoli 1852)

“FACCIA A FACCIA CON GESÙ. MEDITAZIONI PER LA QUARESIMA E LA VITA SPIRITUALE” UN’ANTOLOGIA IMPERDIBILE DI DON DOLINDO RUOTOLO!

Ringraziamo le suore della casa editrice “Mimep” per aver pubblicato un’antologia imperdibile di Don Dolindo Ruotolo: “Faccia a faccia con Gesù: meditazioni per la Quaresima e la vita spirituale”.

Pagine: 320

INDICE:

Parte 1: Passione, morte e risurrezione di Cristo

Parte 2: Il peccato, il mondo, la carne, Satana

Parte 3: Preghiera, conversione e penitenza

Parte 4: La croce, la notte oscura e le prove dell’anima

Un libro con meditazioni di don Dolindo Ruotolo sulla Passione di Gesù e la vita spirituale.

Dolindo Ruotolo è stato insieme a Padre Pio da Pietrelcina un dono di Dio per la Chiesa. Un amanuense dello Spirito Santo, con una sapienza e uno spirito profetico infusi dall’alto, un taumaturgo di non minor potenza del confratello cappuccino, uno stigmatizzato di Cristo già nel nome, un figlio prediletto della Vergine Maria, un servo fedele che volle essere il nulla del nulla in Dio e il tutto di Dio negli uomini per la salvezza delle anime.

Per Don Dolindo l’altare è anche uno scrittoio dove componeva nell’umile scrittura di un intelletto penetrante le infinite pagine di esegesi biblica. Le sue opere sono veramente un’intera biblioteca, un pozzo dove l’anima che vi s’immerge attinge acqua zampillante per la vita eterna, come quella promessa alla Samaritana da Gesù.

In questo volume antologico sono raccolte delle meditazioni per la Quaresima e la vita spirituale quotidiana con diverse tematiche, tra cui:
– la Passione e la Risurrezione di Cristo
– il peccato e l’azione del demonio
– la preghiera
– la penitenza e la conversione
– la notte oscura
la croce e le prove dell’anima

P.S. IL LIBRO È STATO APPENA PUBBLICATO!
Vi invitiamo a leggere l’anteprima cliccando sul link qui sotto e, se siete interessati, a comprarlo sul sito della casa editrice per aiutare maggiormente le suore nel loro preziosissimo lavoro di apostolato: 👇

Faccia a faccia con Gesù

“Que­sta può essere la condizione futura di alcuni di noi, se oggi induriamo il nostro cuore: l’apostasia. Un giorno, in questo mondo, potremmo trovarci apertamente fra i nemici di Dio e della Sua Chiesa” STRAORDINARIA MEDITAZIONE DI SAN JOHN HENRY NEWMAN

“I propri errori chi li conosce? Purificami, o Signore, dalle mie colpe nascoste” (Sal 18 (19), 13).

Straordinaria meditazione di San John Henry Newman:

“Può sembrare strano, ma molti cristiani trascorrono la loro vita senza alcuno sforzo di raggiungere una corretta conoscenza di se stessi. Si accontentano di impressioni vaghe e generiche circa il loro effettivo stato; se hanno qual­cosa in più di questo, si tratta di esperienze casuali, quali i fatti della vita a volte impongono. Ma nulla di esatto e siste­matico, che non rientra nemmeno nei loro desideri avere.

Quando dico che è strano, non è per suggerire che la conoscenza di sé sia facile; è quanto mai difficile conoscere se stessi anche parzialmente, e da questo punto di vista l’i­gnoranza di se stessi non è una cosa strana. La stranezza sta nel fatto che si affermi di credere e di praticare le grandi verità cristiane, mentre si è così ignoranti di se stessi, tenen­do conto che la conoscenza di sé è una condizione necessa­ria per la comprensione di quelle verità. Quindi non è trop­po dire che tutti quelli che trascurano il dovere di un abitua­le esame di coscienza, adoperano in molti casi parole senza averne il sensoLe dottrine del perdono dei peccati, e della nuova nascita dal peccato, non possono essere comprese senza una certa giusta conoscenza della natura del peccato, cioè, del nostro cuore. […]

Ripeto, senza una qualche idea giusta del nostro cuore e del peccato, non possiamo avere un’idea giusta del governo morale, di un salvatore o santificatore; e nel professare di crederci, useremmo parole senza attribuire ad esse precisi distinti significati. Perciò la conoscenza di sé è alla radice di tutta la reale conoscenza religiosaed è invano – peggio che invano -, un inganno e un danno, pensare di comprendere le dottrine cristiane come cose ovvie, unicamente in merito all’insegnamento che si può ricavare dai libri, o dall’ascolta­re prediche, o da qualsiasi altro mezzo esteriore, per quanto eccellente, preso in sé e per sé. Perché è in proporzione alla conoscenza e alla comprensione del nostro cuore e della nostra natura, che comprendiamo cosa significhi Dio gover­natore e giudice, ed è in proporzione alla nostra compren­sione della natura della disobbedienza e della nostra reale colpevolezza, che avvertiamo quale sia la benedizione della rimozione del peccato, della redenzione, del perdono, della santificazione, che altrimenti si riducono a mere parole. La conoscenza di sé è la chiave dei precetti e delle dottrine della Scrittura. […] E allora, quan­do abbiamo sperimentato cosa sia leggere se stessi, avremo utilità dalle dottrine della Chiesa e della Bibbia.

Certo, la conoscenza di sé può avere gradazioni. Probabilmente nessuno ignora se stesso totalmente; e anche il cristiano più maturo conosce se stesso solo «in parte». Comunque, la maggioranza degli uomini si accontentano di una esigua conoscenza del loro cuore, e quindi di una fede superficialeQuesto è il punto sul quale mi propongo di insistere. Gli uomini non si turbano all’idea di avere innu­merevoli colpe nascoste. Non ci pensano, non le vedono né come peccati né come ostacoli alla forza della fede, e continuano a vivere come se non avessero nulla da apprendere.

Consideriamo con attenzione la forte presunzione che esiste, che cioè noi tutti abbiamo delle serie colpe nascoste: un fatto che, credo, tutti sono pronti ad ammettere in termi­ni generali, anche se pochi amano considerare con calma e in termini pratici; cosa che ora cercherò di fare.

1. Il metodo più rapido per convincerci dell’esistenza in noi di colpe ignote a noi stessi, è considerare come chiara­mente vediamo le colpe nascoste degli altri. Non vi è ragione per supporre che noi siamo diversi dagli altri attorno a noi; e se noi vediamo in loro dei peccati che essi non vedono, si può presumere che anche loro abbiano le loro scoperte su di noi, che ci sorprenderebbe di ascoltare. […] Ad esempio: ci sono persone che agiscono principalmente per interesse, mentre pensano di compiere azioni generose e virtuose; si spendono gratuitamente, oppure si mettono a rischio, lodati dal mondo e da se stessi, come se agissero per alti principi. Ma un osserva­tore più attento può scoprire, quale causa principale delle loro buone azioni, sete di guadagno, amore degli applausi, ostentazione, o la mera soddisfazione di essere indaffarato e attivo. Questa può essere non solo la condizione degli altri, ma anche la nostra; o, se non lo è, può esserlo una infermità simile, la soggezione a qualche altro peccato, che gli altri vedono, e noi non vediamo.

Ma se dite che non c’è alcuno che veda in noi dei peccati di cui noi non siamo consapevoli (benché questa sia una supposizione alquanto temeraria da fare), pure, perché mai la gamma delle nostre mancanze dovrebbe dipendere dalla conoscenza accidentale che qualcuno ha di noi? Se anche tutto il mondo parlasse bene di noi, e le persone buone ci salutassero fraternamente, dopo tutto vi è un Giudice che prova le reni e il cuore. Egli conosce il nostro stato reale. Lo abbiamo pressantemente supplicato di dischiuderci la conoscenza del nostro cuore? Se no, questa stessa omissione fa presumere contro di noi. Anche se dappertutto nella Chiesa fossimo lodati, possiamo essere certi che egli vede in noi innumerevoli pecche, profonde e odiose, di cui non abbiamo l’idea. Se l’uomo vede tanto male nella natura umana, che cosa deve vedere Dio? «Se il nostro cuore ci con­danna, Dio è più grande del nostro cuore, e conosce ogni cosa». Dio non solo registra ogni giorno contro di noi atti peccaminosi, di cui noi non siamo consapevoli, ma anche i pensieri del cuore. Gli impulsi dell’orgoglio, della vanità, della concupiscenza, dell’impurità, del malumore, del risen­timento, che si susseguono nelle momentanee emozioni di ogni giorno, sono a lui noti. Noi non li riconosciamo; ma quanto importante sarebbe riconoscerli!

2. Questa considerazione ci è suggerita già a prima vista. Riflettiamo ora sulla scoperta di nostre mancanze nascoste, provocate da incidenti occasionali. Pietro seguiva Gesù bal­danzosamente, e non sospettava del suo cuore, fino a che nell’ora della tentazione non lo tradì, e lo portò a rinnegare il suo Signore. Davide visse anni di felice obbedienza men­tre conduceva vita privata. Quale fede illuminata e calma appare dalla sua risposta a Saul a proposito di Golia: «Il Signore mi ha liberato dagli artigli del leone e dagli arti­gli dell’orso. Egli mi libererà dalle mani di questo filisteo»! Anzi, non soltanto nella sua vita privata e segregata, fra gravi tribolazioni, e fra gli abusi di Saul, egli continuò a essere fedele al suo Dio; anni e anni egli procedette, irrobu­stendo il suo cuore, e praticando il timor di Dio; ma il potere e la ricchezza indebolirono la sua fede, e ad un certo punto prevalsero su di lui. Venne il momento in cui un profeta poté ritorcere su di lui: «Tu sei quell’uomo» che tu hai condannato. A parole, aveva conservato i suoi principi, ma li aveva smarriti nel suo cuore. Ezechia è un altro esempio di un uomo religioso che resse bene alla tribolazione, ma che ad un certo punto cadde sotto la tentazione delle ricchezze, che al seguito di altre grazie straordinarie gli erano state concesse. – E se le cose stanno così nel caso dei santi, predi­letti di Dio, quale (possiamo supporre) sarà il nostro vero stato spirituale ai suoi occhi? È questo un pensiero serio. L’ammonimento da dedurne è di non pensare mai di avere la dovuta conoscenza di sé stessi fino a che non si sia stati esposti a molti generi di tentazioni e provati da ogni lato. L’integrità da un lato del nostro carattere non attesta l’inte­grità da un altro lato. Non possiamo dire come ci comporte­remmo se venissimo a trovarci in tentazioni differenti da quelle che abbiamo sperimentato finora. Questo pensiero deve tenerci in umiltà. Siamo peccatori, ma non sappiamo quanto. Solo lui che è morto per i nostri peccati lo sa.

3. Fin qui non possiamo scansarci: dobbiamo ammettere di non conoscere noi stessi da quei lati nei quali non siamo stati messi alla prova. Ma al di là di questo; se non ci cono­scessimo nemmeno là dove siamo stati messi alla prova e trovati fedeli? Una circostanza notevole e spesso rilevata è che, se guardiamo ad alcuni dei santi più eminenti della Scrittura, troveremo che i loro errori recensiti si sono verifi­cati in quelle parti dei loro doveri nelle quali ciascuno di loro era stato maggiormente provato, e in cui generalmente aveva dimostrato perfetta obbedienza. Il fedele Abramo per mancanza di fede negò che Sara fosse sua moglie. Mosè, il più mite degli uomini, fu escluso dalla terra promessa per una intemperanza verbale. La sapienza di Salomone fu sedotta ad inchinarsi agli idoli. […] Se dunque uomini, che senza dubbio conoscevano se stessi meglio di quanto ci conosciamo noi, avevano in sé tanta do­se di nascosta infermità, persino in quelle parti del loro ca­rattere che erano più libere da biasimo, che dobbiamo pen­sare di noi stessi? E se le nostre stesse virtù sono così mac­chiate da imperfezioni, che devono essere le molteplici e ignote circostanze aggravanti la colpa dei nostri peccati?Questa è una terza presunzione contro di noi.

4. Pensate anche a questo. Non c’è nessuno che, comin­ciando a esaminare se stesso e a pregare per conoscere se stesso (come Davide nel testò), non trovi entro di sé mancan­ze in abbondanza che prima gli erano interamente o quasi interamente ignote. Che sia così, lo apprendiamo da biogra­fie e agiografie, e dalla nostra esperienza. È per questo che gli uomini migliori sono sempre i più umili: avendo nella loro mente una unità di misura dell’eccellenza morale più esigente di quella che hanno gli altri, e conoscendo meglio se stessi, intravedono l’ampiezza e la profondità della propria natura peccaminosa, e sono costernati e spaventati di sé. Gli’uomini, in genere, non possono capire questo; e se a volte l’autoaccusa, abituale per gli uomini religiosi, si esprime a parole, pensano che provenga da ostentazione, o da uno strano stato di alterazione mentale, o da un accesso di malinconia e depressione. Mentre la confessione di un buon uomo contro se stesso è realmente una testimonianza contro tutte le persone irriflessive che l’ascoltano, e un invito loro rivolto ad esaminare il loro cuore. Senza dubbio, più esami­niamo noi stessi, più imperfetti e ignoranti ci troveremo.

5. Anche se un uomo persevera in preghiera e vigilanza fino al giorno della sua morte, non arriverà al fondo del suo cuore. Benché conosca sempre più di se stesso col diventare più serio e coscienzioso, pure la piena manifestazione dei segreti che là si trovano è riservata per l’altro mondo. E all’ultimo giorno, chi può dire lo spavento e il terrore di un uomo che sulla terra è vissuto per se stesso, assecondan­do la sua volontà perversa, seguendo nozioni improvvisate del vero e del falso, eludendo la croce e i rimproveri di Cristo, quando i suoi occhi si apriranno di fronte al trono di Dio, e gli saranno evidenti i suoi innumerevoli peccati, la sua abituale dimenticanza di Dio, l’abuso dei suoi talenti, il mal-uso e spreco del suo tempo, e l’originaria inesplorata peccaminosità della sua natura? Per gli stessi veri servi di Cristo, la prospettiva è terrificante. […] Senza dubbio, tutti dovremo sopporta­re la cruda e terrificante visione del nostro vero iodovremo sopportare quell’ultima prova del fuoco prima dell’accetta­zione, ma che sarà una agonia spirituale e una seconda morte per tutti coloro che allora non saranno sostenuti dalla forza di colui che morì per portarci in salvo oltre quel fuoco, e nel quale essi sulla terra abbiano creduto.

[…] Richiamiamoci alla mente gli impedimenti che si frappongono alla conoscenza di sé, e al senso della propria ignoranza, e giudicate.

1.Per prima cosa, la conoscenza di sé non è una cosa ovvia; comporta fatica e lavoro. Supporre che la conoscenza delle lingue sia data dalla natura e supporre che la cono­scenza del nostro cuore sia naturale, sarebbero la stessa cosa. Il semplice sforzo di una abituale riflessività è penoso per molti, per non parlare della difficoltà del riflettere cor­rettamente. Chiedersi perché facciamo questo o quello, con­siderare i principi che ci guidano, e vedere se agiamo in coscienza o per più scadenti motivi, è penoso. Siamo pieni di occupazioni, e il tempo libero che abbiamo siamo pronti a dedicarlo a qualche impegno meno severo e affaticante.

2.L’amor proprio, poi, vuole la sua parte. Speriamo il meglio, e questo ci risparmia la noia di esaminarci. L’amor proprio è istintivamente conservatore. Pensiamo di caute­larci sufficientemente ammettendo che al massimo possano esserci rimaste nascoste solo alcune colpe; e le aggiungiamo quando pareggiamo i conti con la nostra coscienza. Ma se conoscessimo la verità, troveremmo che non abbiamo che debiti, debiti maggiori di quanto pensiamo e sempre in aumento.

3.Un tale giudizio favorevole di noi stessi sarà particolar­mente in noi prevalente, se avremo la sfortuna di avere inin­terrottamente buona salute, euforia, comodità. La salute del corpo e della mente è una grande benedizione, se la si sa portarema se non è tenuta a freno da «veglie e digiuni», darà comunemente alla persona l’illusione di essere migliore di quanto sia in realtà. Le difficoltà ad agire correttamente, sia che provengano dall’interiorità che dall’esterno, mettono a prova la coerenza; ma quando le cose procedono senza intoppi, e per attuare qualcosa non abbiamo che da deside­rarlo, non possiamo dire fino a che punto agiamo o non agiamo per senso del dovere. L’euforico si compiace di tutto, specie di se stesso. Può agire con vigore e prontezza, e scambiare per fede quella che è meramente una sua energia costitutiva. È allegro e contento; e pensa che sia quella la pace cristiana. Se è felice in famiglia, egli scambia tali affetti natu­rali per la benevolenza cristiana e per la solida tempra dell’a­more cristiano. In breve, egli è nel sogno, dal quale nulla potrebbe salvarlo tranne una umiltà più profonda; ma nulla, ordinariamente, lo libera tranne l’incontro con la sofferenza. […]

4.C’è ancora da considerare la forza dell’abitudine. La coscienza, inizialmente, ci ammonisce contro il peccato; ma se non è ascoltata, smette presto di richiamarci; in tal modo il peccato, prima conosciuto, diventa occulto. Sembra allora (ed è questa una riflessione impressionante) che più colpe­voli siamo, meno lo sappiamo; e questo perché più spesso pecchiamo, meno ne siamo angosciati. Penso che molti di noi, riflettendo, possano ritrovare, nella loro personale espe­rienza, esempi del fatto che noi gradualmente dimentichia­mo la scorrettezza di certi comportamenti, di cui inizial­mente avevamo avuto l’esatta percezione. Tanta è la forza dell’abitudine. Per suo tramite, ad esempio, gli uomini giungono a permettersi vari generi di disonestà. Giungono, negli affari, ad affermare ciò che non è vero, o quello che non sono sicuri che sia vero. Imbrogliano e ingannano; anzi, probabilmente cadono ancora più in basso nei comporta­menti egoistici, senza accorgersene, mentre continuano meticolosamente nell’osservanza dei precetti della Chiesa e conservano una religiosità formale. Oppure, indulgenti con se stessi, si danno ai piaceri della mensa, fanno sfoggio di residenze lussuose, e meno che mai pensano ai doveri cri­stiani della semplicità e dell’astinenza. Non si può supporre che essi da sempre abbiano ritenuto giustificabile un tal modo di vivere; perché altri ne sono colpiti; e ciò che altri avvertono ora, senza dubbio anch’essi lo avvertivano un tempo. Ma tale è la forza dell’abitudine. Un terzo esempio è quello del dovere della preghiera personale; inizialmente viene omessa con rimorso, ma ben presto con indifferenza. Ma non è meno peccato per il solo fatto che non avvertiamo che lo sia. L’abitudine l’ha resa un peccato nascosto.

5. Alla forza dell’abitudine deve essere aggiunta quella degli usi e costumi. Qui ogni epoca ha le sue storture; e que­ste hanno tale influenza, che persino le persone dabbene, per il fatto di vivere nel mondo, sono inconsapevolmente portate fuori strada da esse. In un’epoca è prevalso un fero­ce odio persecutorio contro gli eretici; in un’altra, un’odiosa esaltazione della ricchezza e dei mezzi per procurarsela; in un’altra, una irreligiosa venerazione delle facoltà pura­mente intellettuali; in un’altra, il lassismo morale; in un’altra, la noncuranza degli ordinamenti e della disciplina della Chiesa. Le persone religiose, se non fanno speciale attenzio­ne, risentiranno delle deviazioni di moda nella loro epoca […]. Tuttavia la loro ignoranza del male non cambia la natura del peccato: il peccato è sempre quello che è, solo le abitudini generali lo rendono segreto.

6. Ora, qual è la nostra principale guida in mezzo alle perverse e seducenti costumanze del mondo? La Bibbia, evi­dentemente. «Il mondo passa, ma la parola del Signore dura in eterno». Quanto esteso e rafforzato deve necessariamen­te essere questo segreto dominio del peccato su di noi, se consideriamo quanto poco leggiamo la Sacra Scrittura! La nostra coscienza si corrompe, è vero; ma la parola della verità, anche se cancellata dalle nostre menti, rimane nella Scrittura, luminosa nella sua eterna giovinezza e purezzaEppure, non studiamo la Sacra Scrittura per svegliare e risa­nare le nostre menti. Chiedetevi, fratelli miei: quanto cono­sco io della Bibbia? Vi è una parte qualsiasi della Bibbia che abbiate letto con attenzione e per intero? Per esempio, uno dei Vangeli? Conoscete qualcosa di più delle opere e delle parole di nostro Signore di quanto avete sentito leggere in chiesa? Avete confrontato i suoi precetti, o quelli di S. Paolo, o quelli di qualcun altro degli Apostoli, con la vostra con­dotta giornaliera? Avete pregato e fatto degli sforzi per conformarvi ad essi? Se sì, bene; perseverate in questo. Se no, è chiaro che non possedete, perché non avete cercato di pos­sedere, un’idea adeguata di quel perfetto carattere cristiano al quale avete il dovere di tendere, e nemmeno della vostra attuale situazione di peccato; siete nel numero di quelli che «non vengono alla luce, perché non siano svelate le loro opere».

Queste osservazioni possono servire per darvi il senso della difficoltà di raggiungere una giusta conoscenza di noi stessi, e del conseguente pericolo a cui siamo esposti: di darci pace, quando non c’è pace.

Molte cose sono contro di noi; è chiaro. Ma il nostro pre­mio futuro non meriterà che lottiamo? E non merita che peniamo e soffriamo, se con ciò potremo sfuggire al fuoco inestinguibile? Ci aggrada il pensiero di scendere nella tomba con sul capo un peso di peccati ignorati e non riprovarli? Possiamo accontentarci di una così irreale fede in Cristo, che ha lasciato uno spazio insufficiente all’umiliazione, o alla gratitudine, o al desiderio e sforzo di santificazione? Come possiamo sentire l’urgenza dell’aiuto di Dio, o la nostra dipendenza da lui, o il nostro debito verso di lui, o la natura del suo dono, se non conosciamo noi stessi? […] Se ricevete la verità rivelata unicamente tramite gli occhi e le orecchie, crederete a delle parole, non a delle cose; e ingannerete voi stessi. Potrete ritenervi saldi nella fede, ma sarete nella più totale ignoranza.

L’unica pratica veramente interprete dell’insegnamento scritturistico è l’obbedienza ai comandamenti di Dio, che implica conoscenza del peccato e della santità, e il desiderio e lo sforzo di piacere a lui. Senza cono­scenza di sé siete personalmente privi di radice in voi stessi; potete resistere per qualche tempo, ma a fronte dell’afflizio­ne o della persecuzione la vostra fede verrà meno. Questo è perché molti in questo tempo (ma pure in ogni epoca) diventano infedeli, eretici, scismatici, sleali spregiatori della Chiesa. Ripudiano la forma della verità, perché non è stata per loro più che una forma. Non reggono, perché non hanno mai provato che Dio fa grazia; e non hanno mai avuto espe­rienza del suo potere e del suo amore, perché non hanno mai conosciuto la loro propria debolezza e indigenza. Que­sta può essere la condizione futura di alcuni di noi, se oggi induriamo il nostro cuore: l’apostasia. Un giorno, in questo mondo, potremmo trovarci apertamente fra i nemici di Dio e della sua Chiesa.

Ma anche se ci fosse risparmiata una tale vergogna, quale vantaggio potremmo, alla fine, avere dal professare senza comprendere? Dire che si ha la fede, quando non si hanno le opere? In tal caso rimarremmo nella vigna celeste come una pianta rachitica, infruttuosi, privi in noi del principio interiore di crescita. E, alla fine, saremmo svergognati di fronte a Cristo e ai suoi angeli, come «alberi di fine stagione, senza frutto, due volte morti, sradicati», anche se morissi­mo in esteriore comunione con la Chiesa.

Pensare a queste cose, e esserne allarmati, è il primo passo verso una obbedienza accettabile; sentirsi tranquilli, è essere in pericolo. Dovremo sperimentare cos’è il peccato nell’al di là, se non ce ne rendiamo conto ora. Dio ci dà ogni grazia per scegliere la sofferenza del pentimento, prima del sopraggiungere dell’ira ventura.”

San John Henry Newman – Sermoni sulla Chiesa. Conferenze sulla dottrina della giustificazione. Sermoni penitenziali. (Fonte: THE INTERNATIONAL CENTRE OF NEWMAN FRIENDS)

I PECCATI DELLA CARNE, L’IMPURITÀ E LA LUSSURIA ATTIRANO I FLAGELLI DI DIO: “È un fatto che nessun peccato è colpito più severamente da Dio quanto quello dell’impurità; i più spaventosi flagelli che l’umanità ricorda, sono dovuti a questo peccato, le più gravi angustie della vita hanno questa triste radice. Le calamità del mondo, la rovina di tante città, i terremoti, le pestilenze, le guerre, la fame, hanno origine dall’impurità.” DON DOLINDO RUOTOLO

(Distruzione di Sodoma e Gomorra)

Gli uomini antidiluviani furono colpiti per l’impurità, ma i Sodomiti erano come l’emblema stesso dell’impurità più degradante, perchè contraria alle leggi della vita, e perciò Dio li colpì col fuoco. Il Signore è inesorabile con l’impurità, perché questo è il peccato che più direttamente contrasta il suo Amore. Egli ci ama immensamente e ci ha fatti liberi per avere il nostro amore. L’amore suo vuol riversarsi in noi e l’amor nostro deve rifondersi in Lui. Egli ci lascia liberi, ma è geloso di questo amore perchè è proprio l’amor suo che vuol renderci sommamente felici nella sua eterna felicità.

Ora, che cosa contrasta di più l’amore di Dio quanto l’impurità? Quando il nostro cuore s’infanga, quando si riempie di un amore estraneo al Signore, quando si concentra nelle creature o peggio in se stesso, senza dare adito al Creatore, allora è stretto da ogni parte da tribolazioni, che sono le voci dell’Amore che picchia alle sue porte per entrare. L’amore umano dev’essere dominato da Dio, poiché questo è diritto dell’Eterno Amore. Il Signore ci ha dato la legge della carità, perchè noi lo amassimo nel prossimo, ed ha santificato il Matrimonio rendendolo Sacramento, perchè la funzione dell’amore umano si mutasse in funzione del divino amore.

Egli così non ha menomato la nostra libertà, ma nello stesso tempo ha salvaguardato i diritti del suo amore, che sono imprescrittibili. Egli, può dirsi, ci lascia liberi in tutto e sembra quasi assente da noi, fuorché nell’amore, perchè ci ama e vuole essere amato. L’amore Suo si fa sentire appena è offeso, reagisce, c’insegue, ci percuote, ci ricaccia nelle più tormentose angustie ma non cede. L’impurità lo contrasta in questo amore, ed Egli l’insegue e la combatte fino alla distruzione. Egli è vigilante amore anche quando le creature si uniscono santamente; le tribolazioni della carne, proprie dei coniugi, delle quali parla S. Paolo (I Corint. VII, 28), sono l’amor vigilante di Dio che impedisce il pieno riversarsi di una creatura nell’altra, che le costringe a ricercarlo fuori dei diletti della carne o delle effimere armonie della vita.

Non lo vediamo noi che l’amore troppo vivo ed ardente fra due creature è troncato presto dal Signore, e che persino l’amore materno o paterno troppo concentrato nel figliuolo è spezzato dalla morte? Se Dio fa questo con l’amore benedetto da Lui, che cosa non farà con l’amore che gli é estraneo, o peggio con quello che si concentra in se stesso?

Chi ama illecitamente una creatura nei limiti della legge naturale, conserva ancora un barlume di amore, perchè ama la creatura di Dio, ed in certo modo esce ancora fuori di sè, pur fermandosi sull’umana nullità; ma chi si riversa in se stesso, o ama per se stesso il turpe diletto che lo soddisfa, s’allontana così completamente dall’Amore, che si trova per necessità di fronte ai fulmini dell’Amore contrastato e profanato. Un peccato contro natura non conserva più neppure il più piccolo vestigio di amore, è turpe concentramento in se stesso, è orrore che Dio abomina e colpisce senza misericordia.

È un fatto che nessun peccato è colpito più severamente da Dio quanto quello dell’impurità; i più spaventosi flagelli che l’umanità ricorda, sono dovuti a questo peccato, le più gravi angustie della vita hanno questa triste radice. Le calamità del mondo, la rovina di tante città, i terremoti, le pestilenze, le guerre, la fame, hanno origine dall’impurità. Anche quando sono castighi dell’irreligione e della miscredenza hanno la radice nell’impurità, perchè l’irreligione è l’impurità dello spirito che infallibilmente, presto o tardi, diventa impurità della carne, come l’impurità della carne porta con sè quella dello spirito ed allontana da Dio.

Tu, piccolo verme umano, inutilmente tenti persuaderti che certi peccati sono frutto del tuo istinto o delle tue esigenze fisiologiche, inutilmente neghi Dio e la sua giustizia per essere più libero nelle tue degradazioni. L’Amore Eterno non ti dà tregua, ti insegue, e la lotta fra Lui e l’amore tuo recalcitrante è duello all’ultimo sangue. Egli ti castiga nel corpo e te ne fa sentire il peso, finchè tu non l’abomini e non ricacci da te la carne come oggetto indegno del tuo amore; Egli t’acceca la mente, t’indurisce il cuore, ti priva di ogni grazia, perchè tu nell’angoscia del tuo spirito lo cerchi come refrigerio. Egli a volte ti punisce con la stessa impurità, e permette che tu cada in abissi profondi di abominazione, che ti senta schiavo di abiti inveterati, e ti riconosca un orrore fin che non confessi il tuo male, e non ti emendi, dandoti vinto all’Amore che ti cerca e che solo può purificarti. Le tue vie sono tenebrose e piene di affanni, il tuo cuore è stretto da un torchio, l’anima tua cammina, come lo spirito immondo del quale parla l’Evangelo (Matt. XII, 43), per luoghi aridi, cercando riposo e non lo trova; cerca compagnie più cattive per tentare almeno così di gustificare il suo operato, ma è sempre angustiata finché non cede all’Amore Eterno che la insegue per amore!

Dio non rinunzia alle esigenze del suo amore, è l’unico diritto che vuol conservare pieno su di noi, perchè sa che solo l’amor suo ci sazia. L’affanno col quale l’impurità ci tormenta viene da Lui direttamente, Egli non si affida ad altri per punire l’amore infedele, e come per Sodoma e Gomorra è detto: “Il Signore piovve dal Signore sopra Sodoma e Gomorra zolfo e fuoco dal cielo”, così per ogni anima il flagello che punisce l’impurità viene direttamente dal Signore. Non fu un’eruzione vulcanica l’inabissamento delle città peccatrici, fu l’impeto dell’Amore contrastato che arse di sdegno; non vengono dalle creature i castighi sugli uomini impuri, vengono da Dio, è “il Signore che piove dal Signore fuoco e zolfo” di angustie e di desolazione su di loro. (…)

Il Signore facendo dire a Lot di salvarsi sulla montagna, di non voltarsi indietro e di non rimanere nel distretto della città peccatrice, c’insegna come dobbiamo salvarci dall’impurità: dobbiamo salire sui monti della contemplazione e dell’amor divino, dobbiamo allontanarci dai luoghi dove può ardere la concupiscenza, dobbiamo fuggire la colpa senza mai guardare ciò che c’indusse al peccato. Chi si converte e poi si volge indietro ritornando nelle occasioni del peccato, volontariamente si espone ad ardere nel fuoco della concupiscenza e perisce miseramente.

Vinci dunque Tu, o Signore, in questa mia carne già macchiata, vincimi con un altro fuoco, mandami lo Spirito Santo perchè io sia pura e ami Te solo sopra tutte le cose! Non permettere che io bruci nella fiamma della concupiscenza, ma brucia Tu col fuoco del tuo Santo Spirito le mie reni ed il mio cuore, affinché io ti serva col corpo casto e ti piaccia col cuore mondo. Eccomi, io mi ti do interamente, e non voglio che in me ci sia nulla di estraneo al tuo amore. Che se io sentissi in me gl’involontari moti della mia miseria, siano essi come gemiti della carne inferma che sospira a Te; e se fossi tormentato dalle tentazioni di satana, siano esse come combattimenti trionfanti per darti una vittoria più gloriosa e più piena. Tu nella morte dissolverai questo mio corpo per cancellarvi persino le orme che vi lasciò quello che ti è estraneo; sarà l’ultimo colpo del tuo amore trionfante, che strapperà l’anima all’angustia della carne, la libererà dal laccio e le darà ali di colomba per volare a Te. Io accetto sin da ora la morte e la dissoluzione di questo mio corpo in espiazione delle infedeltà del mio amore, e ti supplico a purificare l’anima mia col tuo Sangue, affinché essa non sia toccata da altra fiamma e non bruci d’altro amore che in quello dell’infinito tuo Amore!

(Don Dolindo Ruotolo dal commento al libro della Genesi)

GESÙ ALLA BEATA CONCHITA: “Non è Dio che condanna, ma è l’uomo che rinnega Dio e sceglie l’inferno con assoluta libertà”

Appena sono arrivata ai suoi piedi prese a dirmi:

«E se sapessi perché come Dio sono paziente? Perché sono eterno, perché per Me tutto è presente. Vedo i peccati e il pentimento nelle anime; vedo ciò che nel presente mi offende e l’avvenire che redime. Gli avvenimenti, che per l’uomo sono futuri, per Me sono presenti, in cui ogni cosa si muove ed esiste nella mia pace immutabile, in cui si schianta l’inferno stesso. Perciò, la mia bontà non concede alle anime ciò che può essere dannoso anche se me lo chiedono; per l’uomo, è un bene ciò che chiede, ma lo so che quello è un male che lo nuoce. Quanto è ingrato l’uomo che non si china davanti alla mia Volontà che è sempre amorevole nei suoi confronti. Quanti mi chiamano ingiusto, senza conoscere i benefici che hanno ricevuto! Sono paziente nei confronti dei peccatori e delle anime perché so misurare la debolezza dell’uomo, e la mia infinita bontà non ha misura. Questo Dio è la misericordia stessa! E quando castiga, obbligato dall’uomo, quegli stessi castighi sono misericordia sulla terra».

«Dunque, se tutto per Te è presente, sai in anticipo chi si salva e chi si danna?».

«Come Dio, che vede tutto al presente, sì, perché non può essere diversamente; ma tra vedere chi sarà dannato e volere la sua dannazione c’è un abisso. Per salvarsi o dannarsi, l’uomo ha la libertà di scegliere, libertà che è stata data da Me. Questa libertà è una soddisfazione per Me, la volontà amorosa dell’uomo che per amore sceglie di essere mio. Se lo avessi fatto in modo che tutti si salvassero senza condizioni, la mia giustizia sarebbe di troppo e il mio amore non avrebbe la scelta dell’uomo che tanto mi soddisfa. Ciò che Dio fa è ben fatto. L’ uomo ha la mia Chiesa con i suoi Sacramenti, ha le mie leggi che recano felicità a chi le compie e la dannazione eterna a chi volontariamente le rifiuti. Dio non condanna, ma è l’uomo che condanna se stesso, per sua volontà, trasgredendo e contrastando la Legge divina nei suoi precetti. Nessuno innocentemente si condanna; per condannarsi occorre la malizia, la piena consapevolezza e la volontà di calpestare i miei comandamenti. Non è Dio che condanna, ma è l’uomo che rinnega Dio e sceglie l’inferno con assoluta libertà; nessuno che si pente, nessuno che torna a Me, nessuno che mi invoca e che mi ama, può condannarsi».

«Ma Tu vedi chi sono quelli che ti amano e quelli che non ti ameranno mai».

«Certamente, perché non posso non vedere l’avvenire e il passato in quanto Dio, in virtù della Divinità, una con quella del Dio-Uomo. Fino all’ultimo istante offro alle anime il cielo, la mia Passione, il mio Sangue e i miei meriti infiniti per lavarli e salvarli».

«Ma devi soffrire nel vedere l’avvenire di coloro che non corrisponderanno e si dannano».

«Come Dio non soffro, perché nella mia Giustizia in tutti i modi ricevo gloria. Come Dio-Uomo, soffrii molto e ora il mio Cuore soffre misticamente a causa delle ingratitudini e delle offese fatte alla mia Divinità, in cui si trovano le altre divine Persone e a causa del disprezzo del mio Sangue, dell’amore e delle grazie di un Dio-Uomo. Ma anche mi duole molto il male nelle anime, negli uomini che sono la mia Carne e il mio Sangue, i miei fratelli, eredi del cielo e incorporati alla Divinità in Me, che per la loro nefanda volontà si perderanno eternamente».

«E quale, mio Gesù, è il rimedio per tutto questo?».

«C’è la preghiera, il sacrificio, la comunione dei santi, per ottenere luce per quelle anime e forzarle mediante la grazia a pentirsi e a raggiungere il cielo. Hanno il ricorso infinito alla mia Misericordia e ai miei meriti; ma tocca a loro rifiutarli o utilizzarli. Hanno Maria. Se tu sapessi quale è il numero (mi trattengo a dirtelo) dei sacerdoti che sono la mia stessa vita e che rifiutano nel loro cuore il Dio-Uomo che pazientemente e umilmente offre loro il perdono, la misericordia e il cielo? Questo mi strazia il Cuore perché chi più di loro ha il ricorso al mio Sangue nelle Messe, ai miei meriti messi a loro disposizione e al mio infinito, eterno e speciale amore? Io vedo la fine di ogni anima, perché non posso non vederla, ma raddoppio, soprattutto, nei miei sacerdoti, i miei divini ricorsi, le mie grazie straordinarie, i santi ricordi e il mio infinito amore di Vittima con il quale possono, fino all’ultimo istante della loro vita, saldare tutti i debiti».

«Signore, ma non permettere loro di ordinarsi se devono offenderti con la loro impenitenza finale».

«E la libertà che lo ho dato all’uomo [dov’è]?».

«Dicono giustamente, mio Gesù!, che qualche volta ti sei pentito di creare l’uomo» (cfr. Gen 6,6).

«Prega instancabilmente per i sacerdoti e sacrificati per loro in Mia unione per scuotere i loro cuori…».

«Tu sei destinata alla santificazione delle anime, specialmente dei sacerdoti. Attraverso di te, molti si infiammeranno dell’amore e del dolore… fa’ amare la croce per mezzo dello Spirito Santo. Verrà una pleiade di sacerdoti santi, che incendieranno specialmente il mondo con il fuoco della croce».

(Beata Conchita Cabrera de Armida, da “Il Riposo di Gesù, esercizi spirituali 1933” edizioni OCD)

GESÙ RIVELA ALLA BEATA CONCHITA LA “DEBOLEZZA” DI DIO: “Qual è questa divina debolezza? È l’amore, l’amore che mi sconfigge, mi sottomette, che va oltre la mia stessa Giustizia; fa in modo che Io mi abbassi e dimentichi e cancelli, e perdoni e baci, e stringa al mio Cuore ardente le anime peccatrici, le anime ingrate, quelle che mi hanno offeso e dimenticato, e persino odiato!”

Un’altra dimensione della mia carità, della tenerezza del mio Cuore che soffre quando vede soffrire, è nella mia Chiesa questa risorsa di valore infinito: le indulgenze, moneta della quale il tesoro della Chiesa dispone a favore di tutte le anime, che la possono lucrare per sé e per le anime del purgatorio. La Chiesa si avvale dei miei meriti infiniti, che vivificano tutto, delle opere buone, dei sacrifici e delle sofferenze delle anime e dei corpi (molte volte innocenti come quelli dei bambini). Non spreca neanche una briciola che contenga un germe soprannaturale e lo utilizza per il bene delle anime, come una specie di moneta o frutto della comunione dei santi.

E considerate anche più quanto si effonde la mia tenerezza. Quando salvo un peccatore negli ultimi momenti della sua vita malvagia, la mia carità infinita, dinanzi alla grande pena che ha meritato per le sue colpe, anche per quelle già perdonate, faccio in modo che le indulgenze gli condonino o comunque gli diminuiscano tale pena, cosicché possa arrivare in purgatorio con meno debiti da pagare, e possa essere accolto, appena risarcita la mia Giustizia, fra le braccia del suo Salvatore, di Gesù Redentore, del Cuore che non perdona a metà, ma apre il suo immenso seno di misericordiosa bontà per introdurlo in cielo come trofeo delle vittorie della sua Redenzione.

La mia tenerezza verso le anime va aldilà della morte. Quante volte, per così dire, chiudo gli occhi della mia Giustizia e apro solo quelli della mia bontà infinita. Perché la tenerezza del mio Cuore per le anime, l’amore che ho non solo per i giusti ma anche per i peccatori mi tradisce. Questa è, per così dire, la debolezza di Dio: è il suo amore, il suo infinito ed eterno amore, che creò le anime per il cielo, piange per quelle traviate, come Pastore le chiama con accenti amorevoli, e le cerca in mille modi senza stancarsi mai, le insegue fino all’ultimo istante, ed infine, terminata questa vita mortale mediante le indulgenze, diminuisce le pene meritate.

L’amore del Dio-Uomo ha mille risorse! La debolezza, chiamiamola così, del Cuore di un Dio Salvatore, di Gesù Redentore. Qual è questa divina debolezza? È l’amore, l’amore che mi sconfigge, mi sottomette, che va oltre la mia stessa Giustizia; fa in modo che Io mi abbassi e dimentichi e cancelli, e perdoni e baci, e stringa al mio Cuore ardente le anime peccatrici, le anime ingrate, quelle che mi hanno offeso e dimenticato, e persino odiato!

Perché hai permesso che mi facessi uomo?, domando all’amato Padre mio! Perché mi hai dato questo Cuore di carne con palpiti di un Dio, che è bontà infinita? Perché, Padre mio, hai regalato il tuo Figlio all’umanità caduta? Perché mi hai fatto Gesù Salvatore, e della stessa carne di coloro che ho tanto amato sulla terra? E se questo dico al Padre mio, mentre il mio Cuore trema d’amore per tutti i peccatori, che gli dirò a favore dei miei sacerdoti traviati, dei miei sacerdoti caduti, o tiepidi, o indifferenti, o tentati, o stanchi, o in pericolo più o meno incombente di perdersi? Allora raddoppio le mie carezze di Figlio; faccio valere le mie sofferenze del Calvario; gli pongo innanzi la mia santa missione di Eterno Sacerdote; metto davanti ai suoi occhi di Padre l’unione che essi hanno con Me grazie alla loro vocazione santa fin dal seno di Maria.

IO Lo prego, Lo invoco e Lo intenerisco come Dio-Uomo, con tutta la pienezza, la tenerezza e la forza del mio Cuore di uomo, e… trionfo, trionfo su quel Padre amato, su quel Giudice giusto (uno con Me nella Divinità) e riesco a farlo aspettare, e mi compiaccio quando posso ritardare la sentenza e mi interpongo alle punizioni, e strazio il mio cuore sacrosanto con il fuoco intensissimo del mio amore per l’uomo, presentandolo così al Padre mio fino a quando Egli finisce per guardarmi disarmato, sorridendomi con bontà, stringendomi al suo seno amoroso: Io, l’Uomo-Dio, il Gesù Salvatore, a cui permise di assumere un Corpo umano per diventare Vittima e lavare con tutto il suo sangue i crimini del mondo, aprendo il cielo!

Gli presento, a favore dei sacerdoti e della mia Chiesa, il mio Cuore ferito; gli faccio sentire ciò che Io sento per i miei ministri colpevoli; in loro favore gli offro ciò che mi chiede, ciò che vuole: anche un’altra Redenzione, un’altra Croce. Ma Egli chiede solo amore! E Io mi riverso nell’abisso infinito del Suo stesso Essere! e… trionfo, trionfo sul mio adorato Padre, e come Dio-Uomo ottengo, dall’infinita carità del Padre e dello Spirito Santo, proroghe, grazie, pazienza.

(Beata Conchita Cabrera de Armida, da “Sacerdoti di Cristo” Città Nuova Editrice)

GESÙ ALLA BEATA CONCHITA: LA SALVEZZA DELLE ANIME NEGLI ULTIMI ISTANTI DI VITA…”Molte anime si salvano, ripeto, nell’ultima lotta tra il Maligno e la grazia mediante la comunione dei santi”

Nella mia infinita Bontà ho anche una risorsa potentissima (unita ovviamente ai miei meriti) per salvare le anime peccatrici e ostinate, anche nell’ultimo istante di vita. Questa risorsa è “la comunione dei santi”. I miei sacerdoti spiegano poco questo mistero, importantissimo tra le molte risorse che la mia Chiesa possiede. Vorrei che lo facessero conoscere sempre di più e che le anime ne apprezzassero l’efficacia. È questo un mezzo di salvezza che ottiene risultati non indifferenti e -a volte- infallibili, perché Dio non resiste alla preghiera. I peccatori hanno nella comunione dei santi una grande risorsa, una miniera, un filone che la misericordia e l’infinita carità di Dio sfrutta a loro favore.

Che madre è la Chiesa! E quanto grande la bontà di Dio che non permette che neanche una briciola delle opere buone, fatte soprannaturalmente, cada o si sprechi! Molte anime si salvano, ripeto, nell’ultima lotta tra il Maligno e la grazia mediante la comunione dei santi; grazie alla catena ininterrotta e potente delle grazie ottenute che Dio distribuisce secondo la sua sovrana volontà. Che i miei sacerdoti spieghino ai fedeli, questo affascinante e fecondo mistero della comunione dei santi. Questa grande verità è poco apprezzata e ancor meno predicata, nonostante i grandi e numerosi trionfi che riporta tra le anime peccatrici, che senza sapere da dove provenga la grazia, profondamente colpiti, si convertono.

È una risorsa di cui mi servo per i peccatori impenitenti; è una moneta che, nella mia grande carità verso i peccatori, prelevo da questo Tesoro della Chiesa, con la quale pago i debiti e acquisto grazie straordinarie per salvare le anime negli ultimi istanti di vita. Se si potesse vedere la sorpresa di quelle anime peccatrici nell’incontrarsi con la misericordia infinita del mio Cuore! Se si potesse contemplare come, dopo una vita di crimini inauditi, di odio verso la Religione, di avversione verso la Chiesa e di migliaia di offese fatte a Me, in un istante, nell’ultimo istante, diventano contrite e umili davanti alla mia Bontà misericordiosa. Riconoscenti vorrebbero acquistare a qualunque prezzo il più grande amore e la più grande riconoscenza per riparare e cancellare la loro vita passata, mentre si gettano confuse tra le mie braccia e in esse trionfa la grazia! Per questo nel cielo c’è grande festa per un peccatore che si converte!

Queste conquiste ignote si verificano giorno per giorno, conseguite dalla comunione dei santi, cioè, dai miei meriti infiniti che danno valore a quell’insieme di buone e sante azioni compiute dai suoi figli fedeli, di cui la mia Chiesa dispone. Quante volte atti eroici, ma ignoti, che soltanto lo vedo, fatti per amore di Dio in un angolo del mondo, Mi servono per salvare un’anima, per ottenerle grazie e farla uscire da questo mondo purificata per presentarla al Padre mio quale trofeo della vittoria della grazia.

Come potrebbe la mia Chiesa non avere risorse per i suoi figli che sono ancora in vita, per quelli che stanno morendo, e per quelli che si trovano in Purgatorio? Se è nata dal mio costato, se è la Sposa di colui che è tutto amore e Carità? Pensate forse che, per esempio, nelle guerre dove muoiono migliaia e migliaia di persone lo non sia presente accanto a tutte e ad ognuna, per applicare loro le grazie della comunione dei santi, per bagnarle con il mio Sangue e dare loro il cielo mediante un atto di contrizione? Per Me basta un solo attimo di contrizione amorosa per cancellare anni e anni di crimini, di odi implacabili e di migliaia di peccati.

E Maria? È un’altra risorsa immensa di cui le anime dei peccatori dispongono per salvarsi. Ella con le sue suppliche e i suoi gemiti ottiene per i peccatori migliaia e migliaia di grazie dell’ultima ora: suscita in loro la contrizione e li salva. lo non so negare nulla a questa Madre di misericordia. Quando Ella s’interessa di un peccatore che la chiama e mette davanti al tribunale di Dio la sua intercessione amorosa, ottiene la salvezza di molti. Maria è il più grande aiuto per tutte le anime. (…)

Studiando la mia Chiesa, e approfondendo la sua essenza che è carità, si potrà capire qualcosa dell’infinita Bontà di Dio che l’ha voluto stabilire come riflesso della carità divina per santificare e salvare. Solo colui che vuole dannarsi, si danna, perché in lei può trovare tutti i mezzi necessari per salvarsi. Se permetto lotte e se concedo al Maligno una certa libertà di tentare le anime, è solo con il fine di mettere nelle mani dei miei la possibilità di guadagnare dei meriti, perché nelle lotte si riportano le vittorie che più mi glorificano. Se permetto le tentazioni non è per nuocere alle anime, ma per rendere più preziosa la loro corona nel cielo.Mai abuso delle forze di un’anima e, nella mia Sapienza e Carità infinita, misuro le tentazioni per trarre del bene e mai del male.

Se si studiasse, se si approfondisse, se si capisse almeno un po’ della Carità di Dio! Se i miei sacerdoti elevassero le anime sì da permettere loro di vedermi, non come un Nerone, ma come un Padre tutto amore, sempre pronto a perdonare, a dimenticare e a salvare! Predicare la mia giustizia è molto utile e anzi necessario, ma instaurare nelle anime il regno della fiducia, della misericordia e dell’amore lo è ancora di più! Questo faranno i miei sacerdoti trasformati in Me.

l cuori mai oppongono resistenza all’amore, perché hanno in sé una fibra d’amore che risponderà sempre, prima o poi, all’amore di un Dio, perché Dio fa tutto ciò che può per salvarli. Io sono lo stesso Gesù in cielo e in terra, e il mio Cuore ha gli stessi sentimenti d’amore e di tenerezza anche verso gli uomini ingrati. Facilmente mi lascio commuovere dalle suppliche di Maria di riversare le mie grazie; ma per salvare le anime ricorro spesso anche ai mezzi ordinari della mia Chiesa, alla comunione dei santi. Ma prometto ancora di lasciarmi commuovere dalle preghiere e dalle richieste dei miei sacerdoti trasformati in Me, di portare, fino al trono del Padre mio, le suppliche dei sacerdoti nel Sacerdote eterno, e di lì tornare con le mani piene di grazie, ordinarie e straordinarie per le anime, che poi si riverseranno, attraverso i sacerdoti altri Me, nelle anime peccatrici e indurite.

lo, il Verbo del Padre, sono la più grande possibilità salvatrice, Colui che dal Padre può ottenere ciò che nessuno è capace di ottenere. Se i miei sacerdoti saranno altri Me, se si presenteranno davanti al Padre mio come se fossero Me, con la mia umiltà amorosa, i miei meriti e la mia carità, il Padre mio, grazie alla forza della loro trastormazione in Me, mai tralascerà di ascoltare favorevolmente le loro richieste, perché vede Me in loro. Allora, se i miei sacerdoti saranno altri Me, potranno anche servirsi del tesoro della comunione dei santi per chiedere la conversione e le grazie di cui hanno bisogno tanti peccatori. È una miniera di grazie che i sacerdoti trasformati in Me avranno a loro disposizione per trarne profitto e così aiutarmi a salvare le anime ribelli e a far trionfare lo Spirito Santo sull’inferno.

(Beata Conchita Cabrera de Armida, da “Sacerdoti di Cristo” Città Nuova Editrice)

Dio Padre rivela a Santa Caterina da Siena: “La gloria dei Beati e dei Santi in Paradiso!” “Oh, quanto diletto provano nel vedere me, che sono ogni bene!”

Tratto dal Dialogo della divina Provvidenza: le rivelazioni di Dio Padre a Santa Caterina da Siena

 

CAPITOLO 41

La gloria dei beati.

Parla Dio Padre:

“Anche l’anima giusta che finisce la vita in affetto di carità ed è legata a Dio nell’amore, non può crescere in virtù, poiché viene a mancare il tempo di quaggiù, ma può sempre amare con quella dilezione che la porta a Me, e con tale misura le viene misurato il premio. Sempre mi desidera e sempre mi ama, onde il suo desiderio non è vuoto; ma sebbene abbia fame, è saziato, e saziato ha fame; e tuttavia è lungi il fastidio della sazietà, come è lungi la pena della fame.

Nell’amore i beati godono dell’eterna mia visione, partecipando ognuno, secondo la sua misura, di quel bene, che io ho in me medesimo. Con quella misura d’amore con la quale sono venuti a me, con essa viene loro misurato. Essi sono rimasti nella mia carità ed in quella del prossimo; sono stati insieme uniti nella carità comune ed in quella particolare, che esce pure da una medesima carità.

Godono ed esultano, partecipando l’uno del bene dell’altro con l’affetto della carità, oltre al bene universale, che essi hanno tutti insieme. Godono ed esultano cogli angeli, coi quali sono collocati i santi, secondo le diverse e varie virtù, che principalmente ebbero nel mondo, essendo tutti legati nel legame della carità. Hanno poi una partecipazione singolare di bene con coloro coi quali si amavano strettamente d’amore speciale nel mondo, col quale amore crescevano in grazia, aumentando la virtù. L’uno era cagione all’altro di manifestare la gloria e lode del mio nome, in sé e nel prossimo. Nella vita eterna non hanno perduto questo affetto, ma l’hanno aggiunto al bene generale, partecipando più strettamente e con più abbondanza l’uno del bene dell’altro.

Non vorrei però che tu credessi che questo bene partico­lare, di cui ti ho parlato, l’avessero solo per sé: non è così, ma esso è partecipato da tutti quanti i gustatori, che sono i cittadini del cielo, i miei figli diletti, e da tutte le creature angeliche. Quando l’anima giunge a vita eterna, tutti parteci­pano del bene di quell’anima, e l’anima del bene loro. Non è che il vaso di ciascuno possa crescere, né che abbia bisogno di empirsi, poiché è pieno e quindi non può crescere; ma hanno un’esultanza, una giocondità, un giubilo, un’allegrezza, che si ravvivano in loro, per quanto sono venuti a conoscere di quell’anima. Vedono che per mia misericordia ella è tolta alla terra con la pienezza della grazia, e così esultano in me per il bene che quell’anima ha ricevuto dalla mia bontà.

E quell’anima gode pure in me, nelle altre anime, e negli spiriti beati, vedendo e gustando in loro la bellezza e dolcez­za della mia carità. I loro desideri gridano sempre dinanzi a me per la salvezza di tutto quanto il mondo. Poiché la loro vita finì nella carità dei prossimo, non hanno lasciata questa carità, ma sono passati con essa per la porta del mio Unige­nito Figliuolo, nel modo che ti dirò più sotto. Vedi dunque che essi restano con quel legame dell’amore, col quale finì la loro vita: esso resta e dura per tutta l’eternità.

Sono tanto conformi alla mia volontà, che non possono volere se non quello che io voglio; poiché il loro libero arbi­trio è legato per siffatto modo col legame della carità che, quando viene meno il tempo di questa vita alla creatura, che ha in sé ragione e che muore in stato di grazia, essa non può più peccare. Ed è tanto unita la sua volontà alla mia che, se il padre o la madre vedessero il figliolo nell’inferno, o il figlio ci vedesse la madre, non se ne curerebbero; anzi sono contenti di vederli puniti come miei nemici. In nessuna cosa si scordano di me; i loro desideri sono appagati. Desiderio dei beati è di vedere trionfare il mio onore in voi viandanti, che siete pellegrini in questa terra e sempre correte verso il termine della morte. Nel desiderio del mio onore bramano la vostra salute, e perciò sempre mi pregano per voi. Un tale desiderio è sempre adempiuto per parte mia, se voi ignoranti non recalcitraste contro la mia misericordia.

Hanno ancora il desiderio di riavere la dote della loro anima, che è il corpo; questo desiderio non li affligge al presente, ma godono per la certezza che hanno di vederlo appagato: non li affligge, perché, sebbene ancora non abbiano il corpo, tuttavia non manca loro la beatitudine, e perciò non risentono pena. Non pensare che la beatitudine del corpo, dopo la resurre­zione, dia maggiore beatitudine all’anima. Se fosse così, ne ver­rebbe che i beati avrebbero una beatitudine imperfetta, fino a che non riprendessero il corpo; cosa impossibile, perché in loro non manca perfezione alcuna. Non è il corpo che dia beatitudine all’anima, ma sarà l’anima a dare beatitudine al corpo; darà della sua abbondanza, rivestendo nel dì del giudizio la propria carne, che aveva lasciato in terra.

Come l’anima è resa immortale, ferma e stabilita in me, così il corpo in quella unione diventa immortale; perduta la gravezza della materia, diviene sottile e leggero. Sappi che il corpo glorificato passerebbe di mezzo a un muro. Né il fuoco né l’acqua potrebbero nuocergli, non per virtù sua ma per virtù dell’anima, la quale virtù è mia, ed è stata data a lei per grazia e per quell’amore ineffabile col quale la creai a mia immagine e somiglianza. L’occhio del tuo intelletto non è sufficiente a ve­dere, né l’orecchio a udire, né la lingua a narrare, né il cuore a pensare, il bene loro.

Oh, quanto diletto provano nel vedere me, che sono ogni bene! Oh, quanto diletto avranno, allorché il loro corpo sarà glorificato! E sebbene manchino di questo bene fino al giorno del giudizio universale, non hanno pena, perché l’anima è piena di felicità in se stessa. Una tale beatitudine sarà poi partecipata al corpo, come ti ho spiegato.

Ti parlavo del bene, che ritrarrebbe il corpo glorificato nell’Umanità glorificata del mio Figlio Unigenito, la quale dà a voi certezza della vostra resurrezione. Esultano i beati nelle sue piaghe, che sono rimaste fresche; sono conservate nel suo corpo le cicatrici, che continuamente gridano a me, sommo ed eterno Padre, misericordia. Tutti si conformano a lui in gaudio e giocondità, occhio con occhio, mano con mano, e con tutto il corpo del dolce Verbo, mio Figlio. Stando in me, starete in lui, poiché egli è una cosa sola con me; ma l’occhio del vostro corpo si diletterà nell’Umanità glorificata del Verbo Unigenito mio Figlio. Perché questo? Perché la loro vita finì nella dilezione della mia carità, e perciò dura loro eternamente.

Non possono guadagnare alcun nuovo bene, ma si godono quello che si sono portato, non potendo fare alcun atto meritorio, perché solo in vita si merita e si pecca, secondo che piace al libero arbitrio della vostra volontà. Essi non aspettano con timore, ma con allegrezza, il giudizio divino; e la faccia del mio Figlio non parrà loro terribile, né piena d’odio, perché sono morti nella carità, nella dilezione di me e nella benevolenza del prossimo. Così tu comprendi come la mutazione della faccia non sarà in lui, quando verrà a giudicare con la mia maestà, ma in coloro che saranno giudicati da lui. Ai dannati apparirà con odio e con giustizia; ai salvati, con amore e misericordia.”

(Dal Dialogo della divina provvidenza, Santa Caterina da Siena)

Rivelazione della Vergine Maria alla Venerabile Suor Maria: “Così Lucifero continuamente trascina all’Inferno un gran numero di uomini, sollevandosi sempre di più contro l’Altissimo nella sua superbia” “Facendo dimenticare agli uomini i ‘Novissimi’: Morte, Giudizio, Inferno e Gloria”

Dalla “Mistica città di Dio,Vita della Vergine Madre di Dio” rivelata alla Venerabile Suor Maria di Ágreda

 

Insegnamento della Regina del cielo, parla Maria Vergine:

773. Figlia mia, tutte le opere del mio Figlio santissimo e mie sono colme di insegnamenti e istruzioni per gli uomini che le considerano con attenta stima. Sua Maestà si allontanò da me affinché cercandolo con dolore e lacrime lo ritrovassi poi con gioia a mio vantaggio spirituale. Anche tu devi cercare il Signore con amaro dolore, affinché questo dolore ti procuri un’incessante sollecitudine, senza riposare su cosa alcuna per tutto il tempo della tua vita, sino a quando tu non arrivi a possederlo e non lo lasci più. Perché tu comprenda meglio il mistero del Signore, sappi che la sua sapienza infinita plasma le creature capaci della sua eterna felicità ponendole sì sul cammino che conduce ad essa, ma allo stesso tempo così lontane e non sicure di arrivarvi. Fintanto che non siano giunte a possedere l’eterna felicità, vivano sempre pronte e nel dolore, affinché la sollecitudine generi in esse un continuo timore e orrore per il peccato, il quale fa perdere la beatitudine. Anche nel tumulto della conversazione umana la creatura non si lasci legare né avviluppare dalle cose visibili e terrene. Il Creatore aiuta in questa sollecitudine, aggiungendo alla ragione naturale le virtù della fede e della speranza, le quali stimolano l’amore con cui cercare e trovare il fine ultimo. Oltre a queste virtù e ad altre infuse con il battesimo, manda ispirazioni e aiuti per ridestare e rimuovere l’anima lontana dallo stesso Signore, affinché non lo dimentichi né si scordi di se stessa mentre è priva della sua amabile presenza. Anzi continui la sua strada sino a giungere al bene desiderato, dove troverà la pienezza del suo amore e dei suoi desideri.

774. Potrai, dunque, capire quanto grande sia la cecità dei mortali e quanto scarso il numero di coloro che si concedono il tempo di considerare attentamente l’ordine meraviglioso della loro creazione e giustificazione e le opere che l’Altissimo ha compiuto per così alto fine. A questa dimenticanza fanno seguito tanti mali, quanti ne soffrono le creature attaccandosi al possesso dei beni terreni e dei piaceri ingannevoli, come se questi fossero la loro felicità e il fine ultimo: è cattiveria grande, rivolta contro la volontà del Signore. I mortali vogliono in questa breve e transitoria vita dilettarsi di ciò che è visibile, come se fosse il loro ultimo fine, mentre dovrebbero usare le creature come mezzo per raggiungere il sommo Bene e non per perderlo. Avverti, dunque, o carissima, questo rischio della stoltezza umana. Tutto ciò che è dilettevole, piacevole e poco serio giudicalo un errore; di’ all’appagamento dei sensi che si lascia ingannare invano e che è madre della stoltezza, rende il cuore ubriaco, impedisce e distrugge tutta la vera sapienza. Vivi sempre con il santo timore di perdere la vita eterna e sino a quando non l’avrai raggiunta non ti rallegrare in altre cose se non nel Signore. Fuggi dalle conversazioni umane e temine i pericoli. Se per obbedienza o a gloria sua Dio ti porrà in mezzo ad essi, devi confidare nella sua protezione, e tuttavia con la necessaria prudenza non devi essere né svogliata né negligente. Non ti affidare all’amicizia e alla relazione con le creature, perché vi è riposto il tuo pericolo più grande. Il Signore ti ha dato un animo grato e un’indole dolce, affinché tu sia incline a non resistergli nelle sue opere, usando per suo amore i benefici che ti ha concesso. Se permetterai che in te entri l’amore delle creature, queste sicuramente ti trasporteranno, allontanandoti dal sommo Bene. Altererai, così, l’ordine e le opere della sua sapienza infinita. È cosa molto indegna utilizzare il più grande beneficio della natura con un oggetto che non sia il più nobile di tutta la natura stessa. Sublima le azioni delle tue facoltà e rappresenta ad esse l’oggetto nobilissimo dell’essere di Dio e del suo Figlio diletto tuo sposo, il più bello tra i figli dell’uomo, e amalo con tutto il tuo cuore, la tua anima e la tua mente.

792. Figlia mia, l’Altissimo, buono e clemente, ha dato e continua a dare l’esistenza a tutti gli esseri viventi, non nega ad alcuno la sua provvidenza e illumina fedelmente ogni uomo, affinché possa intraprendere il cammino della conoscenza di Lui e poi entrare nel gaudio perenne, se non oscura questa luce con le sue colpe, abbandonando la conquista del regno dei cieli. Dio, con le anime che per i suoi segreti giudizi chiama a far parte della Chiesa, si dimostra più generoso. Nel battesimo, infatti, comunica loro con la grazia le virtù “infuse essenzialmente”, dette così perché nessuno può acquistarle da se stesso, e quelle “infuse accidentalmente”, che cioè potrebbero ottenere con le opere. Egli le anticipa loro perché siano più pronte e devote nell’osservare la sua santa legge. Ad alcune, oltre alla fede, la sua benevolenza aggiunge speciali doni soprannaturali di maggior intelligenza e forza per comprendere e attuare i comandamenti evangelici. In questo favore si è mostrato verso di te più liberale di quanto non lo sia stato con molte generazioni; perciò ti devi contraddistinguere nella carità e nella corrispondenza che gli spetta, stando sempre umiliata e abbracciata alla polvere.

793. Con la sollecitudine e l’affetto di una madre, ti voglio insegnare l’astuzia con la quale satana si sforza di distruggere questi benefici dell’Onnipotente. Da quando le creature cominciano a usare la ragione, molti demoni le seguono una per una con vigilanza e, proprio nel momento in cui esse dovrebbero innalzare la mente alla cognizione di Dio e iniziare ad esercitare le virtù ricevute, con incredibile furore e sagacia tentano di sradicare la semenza divina. Se non ci riescono, fanno in modo che questa non dia frutto, incitando gli uomini ad atti viziosi, inutili e infantili. Li distraggono con tale iniquità perché non si servano della fede, della speranza e di quanto ancora è stato loro elargito, non si ricordino che sono cristiani e non cerchino di conoscere il loro Dio, i misteri della redenzione e della vita eterna. Inoltre, questi nemici introducono nei genitori una stolta inavvertenza o un cieco amore carnale verso i propri figli e spingono i maestri ad altre negligenze, affinché non si preoccupino della maleducazione, permettano loro di corrompersi e di acquisire cattive consuetudini e di perdere le loro buone inclinazioni, avviandosi così alla rovina.

794. Il pietosissimo Signore, però, non tralascia di ovviare a questo rischio. Rinnova loro la luce interiore con altri aiuti e sante ispirazioni, con la dottrina della Chiesa attraverso i suoi predicatori e ministri, con l’uso e il rimedio efficace dei sacramenti, e con altri mezzi che servono a ricondurli sulla via della salvezza. Se nonostante questi numerosi provvedimenti sono pochi coloro che tornano alla salute spirituale, la causa di ciò sta nell’empia legge dei vizi e nelle abitudini depravate che si prendono durante la fanciullezza. Siccome è vera la sentenza: «Quali furono i giorni della gioventù, tale sarà anche la vecchiaia», i diavoli acquistano sempre più coraggio e potere sulle anime. Pensano, infatti, che, come le dominavano quando esse avevano commesso meno e minori colpe, così lo potranno fare con più facilità quando senza timore si saranno macchiate di molte altre e più gravi. Poi le muovono alla trasgressione e le colmano d’insensata audacia. Ciascun peccato compiuto da una persona toglie a questa forze interiori e la soggioga maggiormente a satana che, come tiranno, se ne impossessa e l’assoggetta a tale malvagità e meschinità da schiacciarla sotto i piedi della sua iniquità; quindi la conduce dove vuole, da un precipizio a un altro. Questo è il castigo che spetta a chi la prima volta si sottomette a lui. Così Lucifero continuamente trascina all’inferno un gran numero di uomini, sollevandosi sempre di più contro l’Altissimo nella sua superbia. Per tale via ha introdotto nel mondo la sua prepotenza, facendo dimenticare agli uomini i “novissimi”: morte, giudizio, inferno e gloria; ha gettato tante nazioni di abisso in abisso, sino a farle cadere in errori così ciechi e bestiali quanto quelli che contengono tutte le eresie e le false sette degli infedeli. Pensa, dunque, figlia mia, a un pericolo così grande e non scordarti mai dei precetti di Dio e delle verità cattoliche. Non ci sia giorno in cui tu non mediti su questo; consiglia alle tue religiose e a tutti coloro ai quali parlerai di fare lo stesso, perché il nemico, il diavolo, si affatica e veglia per oscurare il loro intelletto e deviarlo dalla legge divina, affinché l’intelligenza non indirizzi la volontà, potenza cieca, a compiere gli atti per la giustificazione, che si consegue tramite viva fede, speranza certa, amore fervente e cuore contrito e umiliato.

“Maria di Ágreda, nata María Fernández Coronel y Arana (Ágreda, 2 aprile 1602Ágreda, 24 maggio 1665), è stata  una mistica, cattolica, spagnola, appartenente all’ordine delle monache Concezioniste francescane con il nome “Maria di Gesù di Ágreda“.

È stata un’originalissima figura di donna, religiosa, mistica e scrittrice della Spagna del XVII secolo; è in corso il processo di beatificazione; la Chiesa cattolica le ha attribuito il titolo di venerabile.”

Rivelazione della Vergine Maria, Madre di Dio: “Così Lucifero continuamente trascina all’Inferno un gran numero di uomini, sollevandosi sempre di più contro l’Altissimo nella sua superbia” “Facendo dimenticare agli uomini i ‘Novissimi’: Morte, Giudizio, Inferno e Gloria”

Dalla “Mistica città di Dio,Vita della Vergine Madre di Dio” rivelata alla Venerabile Suor Maria di Ágreda

Insegnamento della Regina del cielo

 

773. Figlia mia, tutte le opere del mio Figlio santissimo e mie sono colme di insegnamenti e istruzioni per gli uomini che le considerano con attenta stima. Sua Maestà si allontanò da me affinché cercandolo con dolore e lacrime lo ritrovassi poi con gioia a mio vantaggio spirituale. Anche tu devi cercare il Signore con amaro dolore, affinché questo dolore ti procuri un’incessante sollecitudine, senza riposare su cosa alcuna per tutto il tempo della tua vita, sino a quando tu non arrivi a possederlo e non lo lasci più. Perché tu comprenda meglio il mistero del Signore, sappi che la sua sapienza infinita plasma le creature capaci della sua eterna felicità ponendole sì sul cammino che conduce ad essa, ma allo stesso tempo così lontane e non sicure di arrivarvi. Fintanto che non siano giunte a possedere l’eterna felicità, vivano sempre pronte e nel dolore, affinché la sollecitudine generi in esse un continuo timore e orrore per il peccato, il quale fa perdere la beatitudine. Anche nel tumulto della conversazione umana la creatura non si lasci legare né avviluppare dalle cose visibili e terrene. Il Creatore aiuta in questa sollecitudine, aggiungendo alla ragione naturale le virtù della fede e della speranza, le quali stimolano l’amore con cui cercare e trovare il fine ultimo. Oltre a queste virtù e ad altre infuse con il battesimo, manda ispirazioni e aiuti per ridestare e rimuovere l’anima lontana dallo stesso Signore, affinché non lo dimentichi né si scordi di se stessa mentre è priva della sua amabile presenza. Anzi continui la sua strada sino a giungere al bene desiderato, dove troverà la pienezza del suo amore e dei suoi desideri.

774. Potrai, dunque, capire quanto grande sia la cecità dei mortali e quanto scarso il numero di coloro che si concedono il tempo di considerare attentamente l’ordine meraviglioso della loro creazione e giustificazione e le opere che l’Altissimo ha compiuto per così alto fine. A questa dimenticanza fanno seguito tanti mali, quanti ne soffrono le creature attaccandosi al possesso dei beni terreni e dei piaceri ingannevoli, come se questi fossero la loro felicità e il fine ultimo: è cattiveria grande, rivolta contro la volontà del Signore. I mortali vogliono in questa breve e transitoria vita dilettarsi di ciò che è visibile, come se fosse il loro ultimo fine, mentre dovrebbero usare le creature come mezzo per raggiungere il sommo Bene e non per perderlo. Avverti, dunque, o carissima, questo rischio della stoltezza umana. Tutto ciò che è dilettevole, piacevole e poco serio giudicalo un errore; di’ all’appagamento dei sensi che si lascia ingannare invano e che è madre della stoltezza, rende il cuore ubriaco, impedisce e distrugge tutta la vera sapienza. Vivi sempre con il santo timore di perdere la vita eterna e sino a quando non l’avrai raggiunta non ti rallegrare in altre cose se non nel Signore. Fuggi dalle conversazioni umane e temine i pericoli. Se per obbedienza o a gloria sua Dio ti porrà in mezzo ad essi, devi confidare nella sua protezione, e tuttavia con la necessaria prudenza non devi essere né svogliata né negligente. Non ti affidare all’amicizia e alla relazione con le creature, perché vi è riposto il tuo pericolo più grande. Il Signore ti ha dato un animo grato e un’indole dolce, affinché tu sia incline a non resistergli nelle sue opere, usando per suo amore i benefici che ti ha concesso. Se permetterai che in te entri l’amore delle creature, queste sicuramente ti trasporteranno, allontanandoti dal sommo Bene. Altererai, così, l’ordine e le opere della sua sapienza infinita. È cosa molto indegna utilizzare il più grande beneficio della natura con un oggetto che non sia il più nobile di tutta la natura stessa. Sublima le azioni delle tue facoltà e rappresenta ad esse l’oggetto nobilissimo dell’essere di Dio e del suo Figlio diletto tuo sposo, il più bello tra i figli dell’uomo, e amalo con tutto il tuo cuore, la tua anima e la tua mente.

792. Figlia mia, l’Altissimo, buono e clemente, ha dato e continua a dare l’esistenza a tutti gli esseri viventi, non nega ad alcuno la sua provvidenza e illumina fedelmente ogni uomo, affinché possa intraprendere il cammino della conoscenza di Lui e poi entrare nel gaudio perenne, se non oscura questa luce con le sue colpe, abbandonando la conquista del regno dei cieli. Dio, con le anime che per i suoi segreti giudizi chiama a far parte della Chiesa, si dimostra più generoso. Nel battesimo, infatti, comunica loro con la grazia le virtù “infuse essenzialmente”, dette così perché nessuno può acquistarle da se stesso, e quelle “infuse accidentalmente”, che cioè potrebbero ottenere con le opere. Egli le anticipa loro perché siano più pronte e devote nell’osservare la sua santa legge. Ad alcune, oltre alla fede, la sua benevolenza aggiunge speciali doni soprannaturali di maggior intelligenza e forza per comprendere e attuare i comandamenti evangelici. In questo favore si è mostrato verso di te più liberale di quanto non lo sia stato con molte generazioni; perciò ti devi contraddistinguere nella carità e nella corrispondenza che gli spetta, stando sempre umiliata e abbracciata alla polvere.

793. Con la sollecitudine e l’affetto di una madre, ti voglio insegnare l’astuzia con la quale satana si sforza di distruggere questi benefici dell’Onnipotente. Da quando le creature cominciano a usare la ragione, molti demoni le seguono una per una con vigilanza e, proprio nel momento in cui esse dovrebbero innalzare la mente alla cognizione di Dio e iniziare ad esercitare le virtù ricevute, con incredibile furore e sagacia tentano di sradicare la semenza divina. Se non ci riescono, fanno in modo che questa non dia frutto, incitando gli uomini ad atti viziosi, inutili e infantili. Li distraggono con tale iniquità perché non si servano della fede, della speranza e di quanto ancora è stato loro elargito, non si ricordino che sono cristiani e non cerchino di conoscere il loro Dio, i misteri della redenzione e della vita eterna. Inoltre, questi nemici introducono nei genitori una stolta inavvertenza o un cieco amore carnale verso i propri figli e spingono i maestri ad altre negligenze, affinché non si preoccupino della maleducazione, permettano loro di corrompersi e di acquisire cattive consuetudini e di perdere le loro buone inclinazioni, avviandosi così alla rovina.

794. Il pietosissimo Signore, però, non tralascia di ovviare a questo rischio. Rinnova loro la luce interiore con altri aiuti e sante ispirazioni, con la dottrina della Chiesa attraverso i suoi predicatori e ministri, con l’uso e il rimedio efficace dei sacramenti, e con altri mezzi che servono a ricondurli sulla via della salvezza. Se nonostante questi numerosi provvedimenti sono pochi coloro che tornano alla salute spirituale, la causa di ciò sta nell’empia legge dei vizi e nelle abitudini depravate che si prendono durante la fanciullezza. Siccome è vera la sentenza: «Quali furono i giorni della gioventù, tale sarà anche la vecchiaia», i diavoli acquistano sempre più coraggio e potere sulle anime. Pensano, infatti, che, come le dominavano quando esse avevano commesso meno e minori colpe, così lo potranno fare con più facilità quando senza timore si saranno macchiate di molte altre e più gravi. Poi le muovono alla trasgressione e le colmano d’insensata audacia. Ciascun peccato compiuto da una persona toglie a questa forze interiori e la soggioga maggiormente a satana che, come tiranno, se ne impossessa e l’assoggetta a tale malvagità e meschinità da schiacciarla sotto i piedi della sua iniquità; quindi la conduce dove vuole, da un precipizio a un altro. Questo è il castigo che spetta a chi la prima volta si sottomette a lui. Così Lucifero continuamente trascina all’inferno un gran numero di uomini, sollevandosi sempre di più contro l’Altissimo nella sua superbia. Per tale via ha introdotto nel mondo la sua prepotenza, facendo dimenticare agli uomini i “novissimi”: morte, giudizio, inferno e gloria; ha gettato tante nazioni di abisso in abisso, sino a farle cadere in errori così ciechi e bestiali quanto quelli che contengono tutte le eresie e le false sette degli infedeli. Pensa, dunque, figlia mia, a un pericolo così grande e non scordarti mai dei precetti di Dio e delle verità cattoliche. Non ci sia giorno in cui tu non mediti su questo; consiglia alle tue religiose e a tutti coloro ai quali parlerai di fare lo stesso, perché il nemico, il diavolo, si affatica e veglia per oscurare il loro intelletto e deviarlo dalla legge divina, affinché l’intelligenza non indirizzi la volontà, potenza cieca, a compiere gli atti per la giustificazione, che si consegue tramite viva fede, speranza certa, amore fervente e cuore contrito e umiliato.