San Bernardino da Siena: “Se io non ho la carità non sono nulla. China il capo e sta nel timore di Dio, perché (San Paolo) dice: “Nihil sum” [Non sono nulla]. Cosa credi che sia un’ anima in peccato mortale? Davanti a Dio è uno zero”

“INNO ALLA CARITA’ DI SAN PAOLO, CON COMMENTO DI SAN BERNARDINO DA SIENA”

“Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna.

E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla.

E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova.

La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà. La nostra conoscenza è imperfetta e imperfetta la nostra profezia. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l’ho abbandonato. Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto.

Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!” (1 Cor 1,1-13)

 

Commento di San Bernardino da Siena:

“Astitit regina a dexstris tuis investitu deaurato circumdata varietate” [Sta la regina alla tua destra in veste d’oro…]. Comincia: “Eructavit cor meum”[Effonde il mio cuore]… laddove Davide profeta parla della virtù della carità, dicendo che essa sta al lato destro di Dio, siede come regina di tutte le altre virtù, vestita d’oro, circondata di varietà di colori (Sal 44,10).

( … ) Osserva la forza delle parole che usa Davide: “Astitit regina dexstris tuis”: [la carità] sempre resterà, come regina, alla mano destra di Dio; essa è governatrice di ogni nostro atto, di ogni nostro pensiero; dirige il nostro corpo e la nostra anima verso Dio e verso il prossimo, contro il demonio, contro il mondo e contro la carne. Ci governa per grazia, ci purifica dalla colpa, cosicché quando l’anima va in Paradiso essa è vestita di carità da Cristo Gesù, che è l’arca della carità, il primogenito dei morti, il re dei re, il Signore dei signori e rende grazia per grazia. Se sei stato in questo mondo in carità, di carità ti vestirà lassù. “Habenti dabitur” [a chi ha sarà dato] (Lc 19,26): a chi avrà avuto carità, gli sarà data carità, gli sarà profusa carità, più carità di quanta se ne possa avere mai in questo mondo.

( … ) Se io non ho la carità non sono nulla. China il capo e sta nel timore di Dio, perché dice: “Nihil sum” [Non sono nulla]. Cosa credi che sia un’ anima in peccato mortale? Davanti a Dio è uno zero. ( … ) Prendi pure tutte le anime degli uomini che sono morte in peccato mortale e prendine una sola che sia morta in grazia di Dio: piacerà di più a Dio quell’anima sola che centomila migliaia di anime dannate.

( … ) Come l’anima ha molti doni, così la carità è dotata di molte varietà.

( … ) Tre sono le principali varietà che adornano la carità. La prima è nel sopportare. La seconda è nel respingere. La terza nell’operare.

Parlo prima del sopportare ( … ) Come dice Giobbe: “La vita dell’uomo è una milizia nella battaglia del mondo” (Gb 7,1).

( … ) Sebbene tu abbia in te la pazienza non basta. Dopo che hai sofferto dei tormenti e delle battaglie e ti sei difeso con lo scudo e con l’armatura [della pazienza], bisogna che tu faccia il bene con il cuore, con le parole e con le opere ( … ). Ama la creatura e odia la colpa; con benignità [bisogna] amare la creatura e non il peccato che è in essa. Dì bene di chi dice male di te e prega per lui. Fa il bene a chi ti fa del male; questa è la benignità della carità.

E abbiamo trattato della prima cosa, cioè del sopportare.

La seconda cosa è nel respingere. La carità non si mischia mai con cose brutte, allontana tutti i peccati mortali ( … ).

( … ) Anzitutto la carità non ha invidia del bene che vede in altri, anzi ne gode e d’ogni bene che vede nel prossimo suo, ne è contenta come se fosse in se stessa. Una buona e santa invidia sarebbe avere invidia e volere quei beni che tu vedi negli uomini spirituali e amare quei tali beni come se li avessi tu. Quest’uomo non fa cose perverse e non vi va dietro per superbia.

( … ) “Non si gonfia” di superbia. La superbia gonfia in due modi: prima attraverso le cose acquistate e poi attraverso le cose desiderate. Le acquistate sono la fama, la condizione agiata, i beni; per queste cose la carità non fa gonfiare.

“Non è ambiziosa”. Riguardo alle cose desiderate dice che la carità non è ambiziosa così da desiderare cose superflue né di ruoli, né di roba, né di onori.

“Non cerca il suo interesse”. Respinge l’avarizia, non chiede quel che è suo e tanto meno quello che non è suo. ( … ) non dice che tu non richieda le cose che ti fossero state tolte e tu ne abbia bisogno, se vedi di poterle riavere senza peccato mortale; altrimenti se non le potessi riavere se non con il peccato, lasciale stare.

“Non si adira la carità”. “Nell’ira non peccate” (Ef 4,26), fu detto per lo zelo di Dio. Allora, quando Gesù cacciò dal Tempio i venditori, i compratori e gli usurai, chi non lo avesse capito, avrebbe detto: Egli è adirato; ma fu zelo di carità di Dio. E’ grande differenza tra zelo ed ira. ( … ) L’ira intorbida la mente e guasta l’anima. Lo zelo [invece] si appassiona e non si intorbida e quando si lascia a riposo è più chiaro di prima. Non così l’ira che solo di rado lascia chiara la mente.

( … ) “Non pensa male”. La carità non se ne sta accidiosa, ma sempre essa è in pensieri di carità. Non pensa male e da ogni male trae il bene; ogni cosa che vede la carità la ritorce in bene. Quando vedi uno che dice male su cose di cui non è certo, è segno che non è in carità. “Non gode dell’ingiustizia”, ma ne soffre. Quando vedi uno che si rallegra di un altro che abbia fatto qualche gran male, o qualche grande iniquità, è segno che non è nella carità, ma è contro di lei. Ogni allegrezza per il male o per l’iniquità fa tanto peggio, e tanto più sei lontano dalla carità, tanto più ne godi e te ne rallegri.

“Ma della verità si compiace”. La carità è compagna della verità, e vanno sempre abbracciate insieme. E dunque l’anima che ha carità, come sente dire una verità, gode. La carità è l’arte dell’uomo spirituale e non degli uomini mondani.

( … ) “Tutto crede, tutto sopporta, tutto spera”. Cioè tutte le cose che sono da credere le crede e non le pazzie degli eretici. E sostiene pazientemente tutte le cose che sono da sostenere e spera tutte le cose che sono da sperare.

( … ) La terza ed ultima parte principale è sulla stabilità della carità. “Vestita con abiti d’oro”: che come l’oro è stabile, che mai viene meno quanto più è vicina alla perfezione, e quanto più sta sul fuoco, tanto più diventa fine senza venire a mancare, così è la carità. E per questo San Paolo aggiunge: “La carità non avrà mai fine ( … )”. Vuol dire che la carità non verrà mai meno. ( … ) Gli uomini più capaci del mondo in eloquenza o in sapienza non sapranno mai il fine di tutte le sapienze. Chi saprà un poco e chi un altro. Perciò dice: “in parte”. E aggiunge: “Ma quando verrà ciò che è perfetto, [cioè il Paradiso], quello che è imperfetto scomparirà”.

“Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto. Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità”.

( … ) La fede è il fondamento della religione nostra; poi la speranza, così che speri quel che per fede credi; e tutto con amore di carità, perché senza la carità, come ti ho mostrato, non c’è virtù che sia accetta a Dio. Quando saremo di là in Paradiso, che Iddio ce ne dia la grazia, solamente la virtù della carità ci accompagnerà; non ci sarà più bisogno di fede nelle cose divine, perché vedremo a faccia a faccia la fede; e la speranza verso le cose che non si vedono verrà a mancare, perché avremo quel che abbiamo sperato. La carità è la maggiore di tutte e rimarrà molto più lassù in Paradiso che non qua.”

(San Bernardino da Siena, Prediche settimana santa, Cap. 1, pag. da 92 a 106.)

CONCILIO DI TRENTO: Decreto e canoni sul peccato originale e sulla giustificazione del peccatore “Nessuno potrà essere giustificato-salvato se non l’accetterà fedelmente e fermamente”

 

(Il Concilio di Trento o Concilio Tridentino fu il XIX concilio ecumenico della Chiesa cattolica, aperto da papa Paolo III nel 1545 e chiuso, dopo numerose interruzioni, nel 1563. Con questo concilio venne definita la riforma della Chiesa cattolica (Controriforma) e la reazione alle dottrine del calvinismo e del luteranesimo (Riforma protestante).

Fu un concilio importante per la storia della Chiesa cattolica, tanto che l’aggettivo “tridentino” viene usato ancora oggi per definire alcuni aspetti caratteristici della Chiesa cattolica ereditati da questo concilio e mantenuti per i successivi tre secoli, fino ai concili Vaticano I e Vaticano II)

 

CONCILIO DI TRENTO: Decreto sul peccato originale, sulla giustificazione e canoni sulla  giustificazione

 

SESSIONE V (I7 giugno 1546)  
Decreto sul peccato originale.  

Perché la nostra fede cattolica, senza la quale è impossibile piacere a Dio (18), rimossi gli errori, resti integra e pura e perché il popolo cristiano non sia turbato da ogni vento di dottrina (19) dal momento che l’antico, famoso serpente (20), sempre nemico del genere umano, tra i moltissimi mali da cui è sconvolta la Chiesa di Dio in questi nostri tempi, ha suscitato nuovi e vecchi dissidi, anche nei riguardi del peccato originale e dei suoi rimedi il sacrosanto, ecumenico e generale Concilio Tridentino, legittimamente riunito nello Spirito santo, sotto la presidenza degli stessi tre legati della Sede Apostolica, volendo richiamare gli erranti e confermare gli incerti, seguendo le testimonianze delle sacre scritture, dei santi padri, dei concili piú venerandi ed il giudizio e il consenso della Chiesa stessa, stabilisce, confessa e dichiara quanto segue sul peccato originale.  

 

1. Chi non ammette che il primo uomo Adamo, avendo trasgredito nel paradiso il comando di Dio, ha perso subito la santità e la giustizia, nelle quali era stato creato e che è incorso per questo peccato di prevaricazione nell’ira e nell’indignazione di Dio, e, quindi, nella morte, che Dio gli aveva prima minacciato, e, con la morte, nella schiavitú di colui che, in seguito, ebbe il potere della morte e cioè il demonio (21); e che Adamo per quel peccato di prevaricazione fu peggiorato nell’anima e nel corpo: sia anatema.  

2. Chi afferma che la prevaricazione di Adamo nocque a lui solo, e non anche alla sua discendenza; che perdette per sé soltanto, e non anche per noi, la santità e giustizia che aveva ricevuto da Dio; o che egli, inquinato dal peccato di disobbedienza, abbia trasmesso a tutto il genere umano solo la morte e le pene del corpo, e non invece anche il peccato, che è la morte dell’anima: sia anatema. Contraddice infatti all’apostolo, che afferma: Per mezzo di un sol uomo il peccato entrò nel mondo e a causa del peccato la morte, e cosí la morte si trasmise a tutti gli uomini, perché in lui tutti peccarono (22).  

3. Chi afferma che il peccato di Adamo, uno per la sua origine, trasmesso con la generazione e non per imitazione, che aderisce a tutti, ed è proprio di ciascuno, possa esser tolto con le forze della natura umana, o con altro mezzo, al di fuori dei meriti dell’unico mediatore, il signore nostro Gesú Cristo, che ci ha riconciliati con Dio per mezzo del suo sangue (23), diventato per noi giustizia, santificazione e redenzione (24); o nega che lo stesso merito di Gesú Cristo venga applicato sia agli adulti che ai bambini col sacramento del battesimo, rettamente conferito secondo il modo proprio della Chiesa: sia anatema. Perché non esiste sotto il cielo altro nome dato agli uomini nel quale è stabilito che possiamo essere salvi (25). Da cui l’espressione: Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo (26) e l’altra: Tutti voi che siete stati battezzati, vi siete rivestiti di Cristo (27).  

4. Chi nega che i fanciulli, appena nati debbano esser battezzati, anche se figli di genitori battezzati oppure sostiene che essi sono battezzati per la remissione dei peccati, ma che non contraggono da Adamo alcun peccato originale, che sia necessario purificare col lavacro della rigenerazione per conseguire la vita eterna, e che, quindi, per loro la forma del battesimo per la remissione dei peccati non debba credersi vera, ma falsa sia anatema. Infatti, non si deve intendere in altro modo quello che dice l’apostolo: Per mezzo di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo, e col peccato la morte, cosí la morte si è trasmessa ad ogni uomo perché tutti gli uomini hanno peccato (28), se non nel senso in cui la Chiesa cattolica universale l’ha sempre inteso. Secondo questa norma di fede per tradizione apostolica anche i bambini, che non hanno ancora potuto commettere peccato, vengono veramente battezzati, affinché in essi sia purificato con la rigenerazione quello che contrassero con la generazione. Se, infatti, uno non rinasce per l’acqua e lo Spirito santo, non può entrare nel regno di Dio (29).  

5. Chi nega che per la grazia del signore nostro Gesú Cristo, conferita nel battesimo, sia rimesso il peccato originale, o anche se asserisce che tutto quello che è vero e proprio peccato, non viene tolto, ma solo cancellato o non imputato (30) sia anatema. In quelli infatti che sono rinati a nuova vita Dio non trova nulla di odioso, perché non vi è dannazione per coloro (31) che col battesimo sono stati sepolti con Cristo nella morte (32), i quali non camminano secondo la carne (33), ma spogliandosi dell’uomo vecchio e rivestendosi del nuovo (34), che è stato creato secondo Dio, sono diventati innocenti, immacolati, puri, senza macchia, figli cari a Dio, eredi di Dio e coeredi di Cristo (35); di modo che assolutamente nulla li trattiene dall’ingresso nel cielo. Questo santo Sinodo confessa che tuttavia nei battezzati rimane la concupiscenza o passione. Ma, essendo questa lasciata per la lotta, non può nuocere a quelli che non acconsentono e che le si oppongono virilmente con la grazia di Gesú Cristo. Anzi, chi avrà combattuto secondo le regole, sarà coronato (36). 
Il santo Sinodo dichiara che mai la Chiesa cattolica ha inteso che venga chiamato “peccato” la concupiscenza, qualche volta chiamata dall’apostolo peccato (37), per il fatto che nei rinati alla grazia non è un vero e proprio peccato, ma perché ha origine dal peccato e ad esso inclina. Chi pensasse il contrario sia anatema.  

6. Questo santo Sinodo dichiara tuttavia, che non è sua intenzione comprendere in questo decreto, dove si tratta del peccato originale, la beata ed immacolata vergine Maria, madre di Dio, ma che si debbano osservare a questo riguardo le costituzioni di Papa Sisto IV (38), di felice memoria, sotto pena di incorrere nelle sanzioni in esse contenute che il Sinodo rinnova.

 

SESSIONE VI (13 gennaio I547)

Decreto sulla giustificazione

 
Proemio
 
In questi anni è stata divulgata con grave danno per molte anime e per l’unità della chiesa, una dottrina erronea sulla giustificazione. Perciò questo sacrosanto concilio tridentino ecumenico e generale, riunito legittimamente nello Spirito santo, a lode e gloria di Dio onnipotente, per la tranquillità della chiesa e per la salvezza delle anime, sotto la presidenza dei reverendissimi signori Gianmaria del Monte, cardinale vescovo di Palestrina, Marcello Cervini, cardinale presbitero del titolo di S. Croce in Gerusalemme, cardinali della santa chiesa romana, e legati apostolici de latere, a nome del nostro santissimo padre in Cristo e signore Paolo III, per divina provvidenza papa, intende esporre a tutti i fedeli cristiani la vera e sana dottrina sulla giustificazione che Gesù Cristo, sole di giustizia (45), autore e perfezionatore della nostra fede (46), ha insegnato che gli apostoli hanno trasmesso e che la chiesa cattolica, sotto l’ispirazione dello Spirito santo, ha sempre ritenuto. E proibisce assolutamente che, d’ora innanzi, qualcuno osi credere, predicare e insegnare diversamente da quello che col presente decreto si stabilisce e si dichiara.
 
Capitolo I.
L’impotenza della natura e della legge a giustificare gli uomini.
 
Prima di tutto il santo sinodo dichiara che, per una conoscenza esatta e corretta della dottrina della giustificazione, è necessario che ognuno riconosca e confessi che tutti gli uomini, perduta l’innocenza per la prevaricazione di Adamo, fatti immondi (47) e (come dice l’Apostolo San Paolo) per natura figli dell’ira (48), come ha esposto nel decreto sul peccato originale, erano talmente servi del peccato (49) e sotto il potere del diavolo e della morte, che non solo i gentili con le forze della natura, ma neppure i Giudei con l’osservanza della lettera della legge di Mosè potevano esserne liberati e risollevati, anche se in essi il libero arbitrio non era affatto estinto, ma solo attenuato e indebolito.
 
Capitolo II.
L’economia della salvezza e il mistero della venuta di Cristo.
 
Perciò il Padre celeste, padre delle misericordie e Dio di ogni consolazione (50), quando giunse quella beata pienezza dei tempi (51), mandò agli uomini Gesù Cristo, suo figlio, annunciato e promesso, sia prima della legge, sia durante il tempo della legge da molti santi padri, affinché riscattasse i Giudei, che erano sotto la legge (52), e i gentili i quali non cercavano la giustizia, ottenessero la giustizia (53); e tutti ricevessero l’adozione di figli (54). Questo Dio ha posto quale propiziatore mediante la fede nel suo sangue (55), per i nostri peccati, e non solo per i nostri, ma anche per quelli di tutto l’universo (56).
 
Capitolo III.
Chi sono i giustificati da Gesù Cristo.
 
Ma benché egli sia risorto per tutti (57), tuttavia non tutti ricevono il beneficio della sua morte, ma solo quelli cui viene comunicato il merito della sua passione.
Come infatti gli uomini, in concreto, se non nascessero dalla discendenza del seme di Adamo, non nascerebbero ingiusti, proprio perché con questa propagazione, quando vengono concepiti, contraggono da lui la propria ingiustizia: così se essi non rinascessero nel Cristo, non potrebbero mai essere giustificati, proprio perché con quella rinascita viene attribuita loro, per il merito della sua passione la grazia per cui diventano giusti.
Per questo beneficio l’apostolo ci esorta a rendere sempre grazie al Padre, che ci ha fatti degni di partecipare alla eredità dei santi nella luce, che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasportati nel regno del Figlio del suo amore, nel quale abbiamo la redenzione e la remissione dei peccati (58).
 
Capitolo IV.
Descrizione della giustificazione dell’empio.
Suo modo sotto la grazia.
 
Queste parole indicano chiaramente che la giustificazione dell’empio è il passaggio dallo stato, in cui l’uomo nasce figlio del primo Adamo, allo stato di grazia e di adozione dei figli di Dio (59), per mezzo del secondo Adamo, Gesù Cristo, nostro Salvatore. Questo passaggio, dopo la promulgazione del Vangelo, non può avvenire senza il lavacro della rigenerazione (Battesimo) o senza il desiderio di esso, conformemente a quanto sta scritto: Se uno non rinascerà per acqua e Spirito santo, non può entrare nel regno di Dio (60).
 
Capitolo V.
Necessità degli adulti di prepararsi alla giustificazione, e da dove essa scaturisce.
 
Dichiara ancora il concilio che negli adulti l’inizio della stessa giustificazione deve prender la mosse dalla grazia preveniente di Dio, per mezzo di Gesù Cristo, cioè della chiamata, che essi ricevono senza alcun loro merito, di modo che quelli che coi loro peccati si erano allontanati da Dio, disposti dalla sua grazia, che sollecita ed aiuta, ad orientarsi verso la loro giustificazione, accettando e cooperando liberamente alla stessa grazia, così che, toccando Dio il cuore dell’uomo con l’illuminazione dello Spirito Santo, l’uomo non resti assolutamente inerte subendo quella ispirazione, che egli può anche respingere, né senza la grazia divina possa, con la sua libera volontà, rivolgersi alla giustizia dinanzi a Dio.
Perciò quando nelle sacre scritture si dice: Convertitevi a me, ed io mi rivolgerò a voi (61), si accenna alla nostra libertà e quando rispondiamo: Facci tornare, Signore, a te e noi ritorneremo (62), noi confessiamo di essere prevenuti dalla grazia di Dio.
 
Capitolo VI.
Il modo di prepararsi.
 
Gli uomini si dispongono alla stessa giustizia, quando, eccitati ed aiutati dalla grazia divina, ricevendo la fede mediante l’ascolto (63), Si volgono liberamente verso Dio, credendo vero ciò che è stato divinamente rivelato e promesso, e specialmente che l’empio viene giustificato da Dio col dono della sua grazia, mediante la redenzione che è in Cristo Gesù (64). Parimenti accade quando, riconoscendo di essere peccatori, scossi dal timore della divina giustizia passano a considerare la misericordia di Dio e sentono nascere in sé la speranza, confidando che Dio sarà loro propizio a causa del Cristo, e cominciano ad amarlo come fonte di ogni giustizia; e si rivolgono, quindi, contro il peccato con odio e detestazione, cioè con quella penitenza, che bisogna fare prima del battesimo; infine si propongono di ricevere il battesimo, di cominciare una nuova vita e di osservare i comandamenti divini.
Di questo atteggiamento sta scritto: È necessario che chiunque nascosta Dio, creda che egli esiste e che ricompensa quelli che lo cercano (65); e: Confida, figlio, ti sono rimessi i tuoi peccati (66); come pure: Il timore del Signore scaccia il peccato (67); e: Fate penitenza e ciascuno di voi sia battezzato nel nome di Gesù Cristo per la remissione dei vostri peccati e riceverete il dono dello Spirito santo (68); e: Andate dunque e istruite tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio, e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato (69) Finalmente: Rivolgete al Signore i vostri cuori (70).
 
Capitolo VII.
Cosa è la giustificazione del peccatore e quali le sue cause.
 
A questa disposizione o preparazione segue la stessa giustificazione. Essa non è solo remissione dei peccati, ma anche santificazione e rinnovamento dell’uomo interiore, attraverso l’accettazione volontaria della grazia e dei doni, per cui l’uomo da ingiusto diviene giusto, e da nemico amico, così da essere erede secondo la speranza della vita eterna (71).
Cause di questa giustificazione sono: causa finale, la gloria di Dio e del Cristo e la vita eterna; causa efficiente la misericordia di Dio, che gratuitamente lava (72) e santifica, segnando ed ungendo (73) con lo Spirito della promessa, quello santo che è pegno della nostra eredità (74); causa meritoria è il suo dilettissimo unigenito e signore nostro Gesù Cristo, il quale, pur essendo noi suoi nemici (75), per l’infinito amore con cui ci ha amato (76), ci ha meritato la giustificazione con la sua santissima passione sul legno della croce e ha soddisfatto per noi Dio Padre. Causa strumentale è il sacramento del battesimo, che è il sacramento della fede (77), senza la quale a nessuno, mai, viene concessa la giustificazione. Finalmente, unica causa formale è la giustizia di Dio, non certo quella per cui egli è giusto, ma quella per cui ci rende giusti; con essa, cioè per suo dono, veniamo rinnovati interiormente nello spirito (78), e non solo veniamo considerati giusti, ma siamo chiamati tali e lo siamo di fatto (79), ricevendo in noi ciascuno la propria giustizia, nella misura in cui lo Spirito santo la distribuisce ai singoli come vuole (80) e secondo la disposizione e la cooperazione propria di ciascuno.
Quantunque infatti nessuno possa esser giusto, se non colui al quale vengono comunicati i meriti della passione del signore nostro Gesù Cristo, ciò, tuttavia, in questa giustificazione del peccatore, si opera quando, per merito della stessa santissima passione, l’amore di Dio viene diffuso mediante lo Spirito santo nei cuori (81) di coloro che sono giustificati e inerisce loro. Per cui nella stessa giustificazione l’uomo, con la remissione dei peccati, riceve insieme tutti questi doni per mezzo di Gesù Cristo nel quale è innestato: la fede, la speranza e la carità. Infatti la fede, qualora non si aggiungano ad essa la speranza e la carità, non unisce perfettamente a Cristo né rende membra vive del suo corpo. Per questo motivo è assolutamente vero affermare che la fede senza le opere è morta ed inutile (82) e che in Cristo non valgono né la circoncisione, né la incirconcisione, ma la fede operante per mezzo della carità (83).
Questa fede, secondo la tradizione apostolica, chiedono i catecumeni alla chiesa prima del sacramento del battesimo quando chiedono la fede che dà la vita eterna, che la fede non può garantire senza la speranza e la carità. È per questo che essi ascoltano subito la parola di Cristo: Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti (84). Perciò a chi riceve la vera giustizia cristiana, non appena rinato viene comandato di conservare candida e senza macchia la prima stola, donata loro da Gesù Cristo in luogo di quella che Adamo ha perso con la sua disobbedienza per sé e per noi. Essi dovranno portarla dinanzi al tribunale del signore nostro Gesù Cristo per avere la vita eterna (85).
 
Capitolo VIII.
Come si debba intendere che il peccatore è giustificato per la fede e gratuitamente.
 
Quando poi l’apostolo dice che l’uomo viene giustificato per la fede (86) e gratuitamente (87), queste parole si devono intendere secondo l’interpretazione accettata e manifestata dal concorde e permanente giudizio della chiesa cattolica e cioè che siamo giustificati mediante la fede, perché la fede è il principio dell’umana salvezza, il fondamento e la radice di ogni giustificazione, senza la quale è impossibile piacere a Dio (88), giungere alla comunione (89) che con lui hanno i suoi figli. Si dice poi che noi siamo giustificati gratuitamente, perché nulla di ciò che precede la giustificazione – sia la fede che le opere – merita la grazia della giustificazione, se infatti è per grazia, non è per le opere; o altrimenti (come dice lo stesso apostolo (90)) la grazia non sarebbe più grazia.
 
Capitolo IX.
Contro la vana fiducia degli eretici.
 
Quantunque sia necessario credere che i peccati non vengano rimessi, né siano stati mai rimessi, se non gratuitamente dalla divina misericordia a cagione del Cristo: deve dirsi, tuttavia, che a nessuno che ostenti fiducia e certezza della remissione dei propri peccati e che si abbandoni in essa soltanto, vengono rimessi o sono stati rimessi i peccati, mentre fra gli eretici e gli scismatici potrebbe esservi, anzi vi è, in questo nostro tempo, e viene predicata con grande accanimento contro la chiesa cattolica questa fiducia vana e lontana da ogni vera pietà.
Ma neppure si può affermare che sia necessario che coloro che sono stati realmente giustificati, debbano credere assolutamente e senza alcuna esitazione, dentro di sé, di essere giustificati; e che nessuno venga assolto dai peccati e giustificato, se non chi crede fermamente di essere assolto e giustificato e che l’assoluzione e la giustificazione sia operata per questa sola fede, quasi che chi non credesse ciò, dubiti delle promesse di Dio e dell’efficacia della morte e della resurrezione del Cristo.
Infatti come nessun uomo pio deve dubitare della misericordia di Dio, del merito del Cristo, del valore e dell’efficacia dei sacramenti, così ciascuno nel considerare se stesso, la propria debolezza e le sue cattive disposizioni, ha motivo di temere ed aver paura della sua grazia, non potendo alcuno sapere con certezza di fede, scevra di falso, se ha conseguito la grazia di Dio.
 
Capitolo X.
L’aumento della grazia ricevuta.
 
Gli uomini così giustificati e divenuti amici e familiari di Dio (91), progredendo di virtù in virtù (92), si rinnovano (come dice l’apostolo (93)) di giorno in giorno, mortificando, cioè, le membra del proprio corpo (94) e mostrandole come armi di giustizia per la santificazione (95), attraverso l’osservanza dei comandamenti di Dio e della chiesa: nella stessa giustizia ricevuta per la grazia di Cristo, con la cooperazione della fede alle buone opere, essi crescono e vengono resi sempre più giusti, come è scritto: Chi è giusto, continui a compiere atti di giustizia (96), ed ancora: Non aspettare fino alla morte a giustificarti (97), e di nuovo: Voi dunque vedete che l’uomo è giustificato dalle opere e non dalla fede soltanto (98). Questo aumento della giustizia chiede la santa chiesa quando prega: Dacci, o Signore, un aumento di fede, di speranza e di carità (99).
 
Capitolo XI.
Dell’osservanza dei comandamenti e della sua necessità e possibilità.
 
Nessuno, poi, per quanto giustificato, deve ritenersi libero dall’osservanza dei comandamenti, nessuno deve far propria quell’espressione temeraria e proibita dai padri sotto pena di scomunica (100), esser cioè impossibile per l’uomo giustificato osservare i comandamenti di Dio. Dio, infatti, non comanda l’impossibile; ma quando comanda ti ammonisce di fare quello che puoi (101) e di chiedere quello che non puoi, ed aiuta perché tu possa: i suoi comandamenti non sono gravosi (102), il suo giogo è soave e il peso leggero (103).
Quelli infatti che sono figli di Dio, amano Cristo e quelli che lo amano (come dice lui stesso (104)) osservano le sue parole, cosa che con l’aiuto di Dio certamente possono fare. Quantunque infatti in questa vita mortale, per quanto santi e giusti, qualche volta essi cadono almeno in mancanze leggere e quotidiane, che si dicono anche veniali, non per questo cessano di essere giusti. Ed è propria dei giusti l’espressione, umile e verace: Rimetti a noi i nostri debiti (105).
Deriva da ciò, che gli stessi giusti debbano sentirsi tanto maggiormente obbligati a camminare per la via della giustizia, quanto più, liberi già dal peccato e fatti schiavi di Dio (106), vivendo con moderazione, giustizia e pietà (107), possono progredire per mezzo di Gesù Cristo, mediante il quale ebbero accesso a questa grazia (108). Dio infatti non abbandona con la sua grazia quelli che una volta ha giustificato, a meno che prima non sia abbandonato da essi (109).
Nessuno quindi deve cullarsi nella sola fede, credendo di essere stato costituito erede e di conseguire l’eredità per la sola fede, anche senza soffrire con Cristo per poi esser con lui glorificato (110). Cristo stesso, infatti, come dice l’apostolo, sebbene fosse Figlio, imparò, da ciò che sofferse, l’obbedienza; sicché reso perfetto, divenne principio di eterna salvezza per tutti quelli che gli obbediscono (111). Per questo lo stesso apostolo ammonisce quelli che sono stati giustificati, dicendo: Non sapete che nelle corse allo stadio tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Io dunque corro, ma non come chi è senza meta, faccio il pugilato, ma non come chi batte l’aria, anzi tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù perché non succeda che dopo avere predicato agli altri, venga io stesso squalificato (112).
Ugualmente Pietro principe degli apostoli, dice: Adoperatevi sempre più per rendere sicura la vostra vocazione e la vostra elezione; poiché facendo questo voi mai peccherete (113).
Deriva da ciò, che sono in contrasto con la dottrina della vera religione quelli che dicono che il giusto pecca, almeno venialmente, in ogni opera buona (114); o (cosa ancora più insostenibile) che merita le pene eterne. E sono pure in contrasto quelli che sostengono che in tutte le opere buone i giusti peccano, se, eccitando in quelle la loro pigrizia ed esortando se stessi a correre nello stadio, insieme anzitutto con la gloria di Dio, essi guardano anche al premio eterno poiché sta scritto: Ho piegato il mio cuore ad osservare i tuoi precetti, per la ricompensa (115). E di Mosè l’apostolo (116) dice che tendeva alla ricompensa.
 
Capitolo XII.
Bisogna evitare la presunzione temeraria della predestinazione.
 
Nessuno, inoltre, fino che vivrà in questa condizione mortale, deve presumere talmente del mistero segreto della divina predestinazione, da ritenere per certo di essere senz’altro nel numero dei predestinati (117), quasi fosse vero che chi è stato giustificato o non possa davvero più peccare, o se anche peccasse, debba ripromettersi un sicuro ravvedimento. Infatti non si possono conoscere quelli che Dio si è scelti se non per una speciale rivelazione.
 
Capitolo XIII.
Del dono della perseveranza.
 
Similmente, per quanto riguarda il dono della perseveranza, di cui sta scritto: Chi avrà perseverato sino alla fine, questi sarà salvo (118) (dono che non si può avere se non da chi ha tanta potenza da mantenere in piedi colui che già vi è (119), perché perseveri, e da riporvi colui che cade), nessuno si riprometta qualche cosa con assoluta certezza, quantunque tutti debbano nutrire e riporre fiducia fermissima nell’aiuto di Dio. Dio infatti se essi non vengono meno alla sua grazia, come ha cominciato un’opera buona, così la perfezionerà (120), suscitando il volere e l’operare (121).
Tuttavia quelli che credono di esser in piedi, guardino di non cadere (122), e lavorino per la propria salvezza con timore e tremore (123), nelle fatiche, nelle veglie, nelle elemosine, nelle preghiere e nelle offerte, nei digiuni e nella castità (124). Proprio perché sanno di essere rinati alla speranza della gloria (125), e non ancora alla gloria, devono temere per la battaglia che ancora rimane contro la carne, contro il mondo, contro il diavolo, nella quale non possono riuscire vincitori, se non si atterranno con la grazia di Dio, alle parole dell’apostolo: Noi siamo debitori, ma non verso la carne, da dovere vivere secondo la carne. Se vivete secondo la carne, morrete; se invece per mezzo dello Spirito fate morire le azioni del corpo, vivrete (126).
 
Capitolo XIV.
Di quelli che cadono e della loro riparazione.
 
Quelli poi che col peccato sono venuti meno alla grazia della giustificazione, potranno nuovamente essere giustificati, se procureranno, sotto l’ispirazione di Dio, di recuperare la grazia perduta attraverso il sacramento della penitenza, per merito del Cristo. Questo modo di essere giustificato consiste nella riparazione di colui che è caduto; quella riparazione che i santi padri chiamarono, con espressione adatta, la seconda tavola dopo il naufragio della grazia perduta (127). Infatti, per quelli che cadono in peccato dopo il battesimo, Gesù Cristo ha istituito il sacramento della penitenza, quando disse: Ricevete lo Spirito santo. A chi rimetterete i peccati saranno loro rimessi, e a chi li riterrete, saranno ritenuti (128).
Bisogna quindi, insegnare che la penitenza del cristiano dopo la caduta è di natura molto diversa da quella del battesimo e che essa comporta non solo la cessazione dai peccati e la loro detestazione, cioè un cuore contrito ed umiliato (129), ma anche la confessione sacramentale dei medesimi, almeno nel desiderio e da farsi a suo tempo e l’assoluzione del sacerdote; e così pure la soddisfazione col digiuno, con le elemosine, con le orazioni e con le altre pie pratiche della vita spirituale, non certo per la pena eterna, che è rimessa con la colpa mediante il sacramento o il desiderio del sacramento, ma per la pena temporale, che (come insegna la sacra scrittura) non sempre viene totalmente rimessa, come nel battesimo, a quelli che, ingrati verso la grazia di Dio, che hanno ricevuto, contristarono lo Spirito santo (130), ed osarono violare (131) il tempio del Signore.
Di questa penitenza sta scritto: Ricordati dunque da dove sei caduto, ravvediti e compi le opere di prima (132). Ed inoltre: La tristezza che è secondo Dio, produce un pentimento salutare che non si rimpiange, perché conduce a salvezza (133). E di nuovo: Ravvedetevi (134); e: Fate degni frutti di penitenza (135).
 
Capitolo XV.
Con qualunque peccato mortale si perde la grazia, ma non la fede.
 
Contro le maligne insinuazioni di certi spiriti, i quali con parole dolci e seducenti ingannano i cuori dei semplici (136), bisogna affermare che non solo con l’infedeltà, per cui si perde la stessa fede, ma anche con qualsiasi altro peccato mortale, sebbene non si perda la fede, si perde però la grazia della giustificazione. Con ciò difendiamo l’insegnamento della legge divina, che esclude dal regno di Dio non soltanto gli infedeli, ma anche i fedeli impuri, adulteri, effeminati, sodomiti, ladri, avari, ubriaconi, maledici, rapaci e tutti gli altri che commettono peccati mortali, da cui con l’aiuto della grazia potrebbero astenersi (137) e a causa dei quali vengono separati dalla grazia del Cristo (138).
 
Capitolo XVI.
Del frutto della giustificazione, ossia del merito delle buone opere, e del modo ai questo merito.
 
Ora agli uomini giustificati in questo modo, sia che abbiano sempre conservato la grazia ricevuta, sia che, dopo averla perduta, l’abbiano recuperata si devono proporre le parole dell’apostolo: Abbondate in ogni opera buona, sapendo che il vostro lavoro nel Signore non è vano (139). Egli infatti non è ingiusto e non dimentica ciò che avete fatto, né l’amore che avete dimostrato per il suo nome (140). E: non abbandonate dunque la vostra fiducia, alla quale è riservata una grande ricompensa (141).
Perciò a quelli che operano bene fino alla fine (142) e sperano in Dio deve proporsi la vita eterna, sia come grazia promessa misericordiosamente ai figli di Dio per i meriti del Cristo Gesù, sia come ricompensa da darsi fedelmente, per la promessa di Dio stesso, alle loro opere buone e ai loro meriti. Questa è infatti quella corona di giustizia che, dopo la sua lotta e la sua corsa, l’apostolo diceva essere stata messa da parte per lui e che gli sarebbe stata data dal giusto giudice, e non a lui solo, ma anche a tutti quelli che amano la sua venuta (143).
Poiché infatti lo stesso Gesù Cristo, come il capo nelle membra e la vite nei tralci (144), trasfonde continuamente la sua virtù in quelli che sono giustificati, virtù che sempre precede, accompagna e segue le loro opere buone, e senza la quale non potrebbero in alcun modo piacere a Dio ed esser meritorie, si deve credere che niente altro manchi agli stessi giustificati, perché si dica che essi, con le opere che hanno compiuto in Dio (145), hanno pienamente soddisfatto alla legge divina, per quanto possibile in questa vita, e che hanno veramente meritato di ottenere a suo tempo la vita eterna (se tuttavia moriranno in grazia (146)). Dice, infatti, il Cristo, nostro Salvatore: Chi berrà l’acqua che gli darò io, non avrà più sete in eterno; ma l’acqua che gli darò, diventerà in lui sorgente di acqua zampillante per la vita eterna (147).
In tal modo né si esalta la nostra giustizia come se provenisse proprio da noi (148), né si pone in ombra o si rifiuta la giustizia di Dio (149). Infatti quella giustizia che si dice nostra, perché inerente a noi ci giustifica, è quella stessa di Dio, perché ci viene infusa da Dio per i meriti del Cristo.
Né si deve trascurare che, quantunque nelle sacre Scritture si dia tanta importanza alle opere buone, che perfino a chi ha dato a uno dei suoi piccoli un bicchiere d’acqua fresca Cristo promette che non resterà senza ricompensa (150), e l’apostolo testimoni: la nostra presente tribolazione momentanea e leggera ci procura un incommensurabile e eterno cumulo di gloria (151), mai un cristiano deve confidare o gloriarsi di se stesso e non nel Signore (152), il quale è talmente buono verso tutti gli uomini, da volere che diventino loro meriti, quelli che sono suoi doni (153).
E poiché tutti pecchiamo in molte maniere (154), ciascuno deve avere dinanzi agli occhi con la misericordia e la bontà anche la severità e il giudizio, né alcuno deve giudicare se stesso, anche se non fosse consapevole di nessuna colpa (155) poiché tutta la vita degli uomini deve essere esaminata e giudicata non secondo il giudizio umano, ma secondo quello di Dio, il quale illuminerà i segreti Più occulti, e renderà manifesti i consigli dei cuori; e allora ciascuno avrà da Dio la sua lode (156); che, come sta scritto, renderà a ciascuno secondo le sue opere (157).
Dopo questa dottrina cattolica della giustificazione, – e nessuno potrà essere giustificato se non l’accetterà fedelmente e fermamente (158) -, è sembrato opportuno al santo sinodo aggiungere i seguenti canoni, perché ognuno sappia non solo quello che deve credere e seguire, ma anche quello che dovrà evitare e fuggire.

 

CANONI SULLA GIUSTIFICAZIONE

 
1. Se qualcuno afferma che l’uomo può essere giustificato davanti a Dio dalle sue opere, compiute con le sole forze umane, o con il solo insegnamento della legge, senza la grazia divina meritata da Gesù Cristo: sia anatema.
 
2. Se qualcuno afferma che la grazia divina meritata da Gesù Cristo viene data solo perché l’uomo possa più facilmente vivere giustamente e meritare la vita eterna, come se col libero arbitrio, senza la grazia egli possa realizzare l’una e l’altra cosa, benché faticosamente e con difficoltà: sia anatema.
 
3. Se qualcuno afferma che l’uomo, senza previa ispirazione ed aiuto dello Spirito santo, può credere, sperare ed amare o pentirsi come si conviene, perché gli venga conferita la grazia della giustificazione: sia anatema.
 
4. Se qualcuno dice che il libero arbitrio dell’uomo, mosso ed eccitato da Dio, non coopera in nessun modo esprimendo il proprio assenso a Dio, che lo muove e lo prepara ad ottenere la grazia della giustificazione; e che egli non può dissentire, se lo vuole, ma come cosa senz’anima non opera in nessun modo e si comporta del tutto passivamente: sia anatema.
 
5. Se qualcuno afferma che il libero arbitrio dell’uomo dopo il peccato di Adamo è perduto ed estinto; o che esso è cosa di sola apparenza anzi nome senza contenuto e finalmente inganno introdotto nella chiesa da Satana: sia anatema.
 
6. Se qualcuno afferma che non è in potere dell’uomo rendere cattive le sue vie, ma che è Dio che opera il male come il bene, non solo permettendoli, ma anche volendoli in sé e per sé, di modo che possano considerarsi opera sua propria il tradimento di Giuda non meno che la chiamata di Paolo: sia anatema.
 
7. Se qualcuno dice che tutte le opere fatte prima della giustificazione, in qualunque modo siano compiute, sono veramente peccati che meritano l’odio di Dio, e che quanto più uno si sforza di disporsi alla grazia tanto più gravemente pecca: sia anatema.
 
8. Se qualcuno afferma che il timore dell’inferno, per il quale, dolendoci dei peccati, ci rifugiamo nella misericordia di Dio o ci asteniamo dal male, è peccato e rende peggiori i peccatori: sia anatema.
 
9. Se qualcuno afferma che l’empio è giustificato dalla sola fede, così da intendere che non si richieda nient’altro con cui cooperare al conseguimento della grazia della giustificazione e che in nessun modo è necessario che egli si prepari e si disponga con un atto della sua volontà: sia anatema.
 
10. Se qualcuno dice che gli uomini sono giustificati senza la giustizia del Cristo mediante la quale egli ha meritato per noi, o che essi sono formalmente giusti proprio per essa: sia anatema.
 
11. Se qualcuno afferma che gli uomini sono giustificati o per la sola imputazione della giustizia del Cristo, o con la sola remissione dei peccati, senza la grazia e la carità che è diffusa nei loro cuori mediante lo Spirito santo (159) e inerisce ad essi; o anche che la grazia, con cui siamo giustificati, è solo favore di Dio: sia anatema.
 
12. Se qualcuno afferma che la fede giustificante non è altro che la fiducia nella divina misericordia, che rimette i peccati a motivo del Cristo, o che questa fiducia sola giustifica: sia anatema.
 
13. Chi afferma che per conseguire la remissione dei peccati è necessario che ogni uomo creda con certezza e senza alcuna esitazione della propria infermità e indisposizione, che i peccati gli sono rimessi: sia anatema.
 
14. Se qualcuno afferma che l’uomo è assolto dai peccati e giustificato per il fatto che egli crede con certezza di essere assolto e giustificato, o che nessuno è realmente giustificato, se non colui che crede di essere giustificato, e che l’assoluzione e la giustificazione venga operata per questa sola fede: sia anatema.
 
15. Se qualcuno afferma che l’uomo rinato e giustificato è tenuto per fede a credere di essere certamente nel numero dei predestinati: sia anatema.
 
16. Se qualcuno dice, con infallibile e assoluta certezza, che egli avrà certamente il grande dono della perseveranza finale (l60) (a meno che non sia venuto a conoscere ciò per una rivelazione speciale): sia anatema.
 
17. Se qualcuno afferma che la grazia della giustificazione viene concessa solo ai predestinati alla vita, e che tutti gli altri sono bensì chiamati, ma non ricevono la Grazia, in quanto predestinati al male per divino volere: sia anatema.
 
18. Se qualcuno dice che anche per l’uomo giustificato e costituito in grazia i comandamenti di Dio sono impossibili ad osservarsi, sia anatema.
 
19. Chi afferma che nel Vangelo non si comanda altro, fuorché la fede, che le altre cose sono indifferenti, né comandate, né proibite, ma libere; o che i dieci comandamenti non hanno nulla a che vedere coi cristiani: sia anatema.
 
20. Se qualcuno afferma che l’uomo giustificato e perfetto quanto si voglia non è tenuto ad osservare i comandamenti di Dio e della chiesa, ma solo a credere, come se il Vangelo non fosse altro che una semplice e assoluta promessa della vita eterna, non condizionata all’osservanza dei comandamenti: sia anatema.
 
21. Se qualcuno afferma che Gesù Cristo è stato dato agli uomini da Dio come redentore, in cui confidare e non anche come legislatore, cui obbedire: sia anatema.
 
22. Se qualcuno afferma che l’uomo giustificato può perseverare nella giustizia ricevuta senza uno speciale aiuto di Dio, o non lo può nemmeno con esso: sia anatema.
 
23. Se qualcuno afferma che l’uomo, una volta giustificato, non può più peccare, né perdere la grazia, e che quindi chi cade e pecca, in realtà non mai è stato giustificato; o, al contrario, che si può per tutta la vita evitare ogni peccato, anche veniale, senza uno speciale privilegio di Dio, come la chiesa ritiene della beata Vergine: sia anatema.
 
24. Se qualcuno afferma che la giustizia ricevuta non viene conservata ed anche aumentata dinanzi a Dio con le opere buone, ma che queste sono solo frutto e segno della giustificazione conseguita, e non anche causa del suo aumento: sia anatema.
 
25. Se qualcuno afferma che in ogni opera buona il giusto pecca almeno venialmente, o (cosa ancor più intollerabile) mortalmente, e quindi merita le pene eterne, e che non viene condannato solo perché Dio non gli imputa a dannazione quelle opere: sia anatema.
 
26. Se qualcuno afferma che i giusti non devono aspettare e sperare da Dio – per la sua misericordia e per tutti i meriti di Gesù Cristo – l’eterna ricompensa in premio delle buone opere che essi hanno compiuto in Dio (161), qualora, agendo bene ed osservando i divini comandamenti, abbiano perseverato fino alla fine: sia anatema.
 
27. Se qualcuno afferma che non vi è peccato mortale, se non quello della mancanza di fede, o che la grazia, una volta ricevuta, non può esser perduta con nessun altro peccato, per quanto grave ed enorme, salvo quello della mancanza di fede: sia anatema.
 
28. Se qualcuno afferma che, perduta la grazia col peccato, si perde sempre insieme anche la fede, o che la fede che rimane non è vera fede, in quanto non è viva (162), o che colui che ha la fede senza la carità, non è cristiano: sia anatema.
 
29. Se qualcuno afferma che chi dopo il battesimo è caduto nel peccato non può risorgere con la grazia di Dio; o che può recuperare la grazia perduta, ma per la sola fede, senza il sacramento della penitenza, come la santa chiesa romana e universale, istruita da Cristo signore e dai suoi apostoli, ha finora creduto, osservato e insegnato: sia anatema.
 
30. Se qualcuno afferma che, dopo aver ricevuto la grazia della giustificazione, a qualsiasi peccatore pentito viene rimessa la colpa e cancellato il debito della pena eterna in modo tale che non gli rimanga alcun debito di pena temporale da scontare sia in questo mondo sia nel futuro in purgatorio, prima che possa essergli aperto l’ingresso al regno dei cieli: sia anatema.
 
31. Se qualcuno afferma che colui che è giustificato pecca, quando opera bene in vista della eterna ricompensa: sia anatema.
 
32. Se qualcuno afferma che le opere buone dell’uomo giustificato sono doni di Dio, così da non essere anche meriti di colui che è giustificato, o che questi con le buone opere da lui compiute per la grazia di Dio e i meriti di Gesù Cristo (di cui è membro vivo), non merita realmente un aumento di grazia, la vita eterna e il conseguimento della stessa vita eterna (posto che muoia in grazia) ed anche l’aumento della gloria: sia anatema.
 
33. Se qualcuno afferma che con questa dottrina cattolica della giustificazione, espressa dal santo sinodo col presente decreto, si riduce in qualche modo la gloria di Dio o i meriti di Gesù Cristo nostro signore, e non piuttosto si manifesta la verità della nostra fede e infine la gloria di Dio e di Gesù Cristo: sia anatema.
 
 
18. Eb 11, 6.  19. Ef 4, 14.  20. Cfr. Ap 12, 9; 20, 2.  21. Eb 2, 14.  22. Rm 5, 12.  23. Cfr. Rm 5, 9-10.  24. 1 Cor 1, 30.  25. At 4, 12.  26. Gv 1, 29.  27. Gal 3, 27.  28. Rm 5, 12.  29. Gv 3, 5.  30. Cfr. AGOSTINO, Contra duas epistolas Pelagianorum I, 13 (26) (CSEL 60, 445).  31. Cfr. Rm 8, 1.  32. Cfr. Rm 6, 4.  33. Rm 8, 1 (solo nella vulgata).  34. Cfr. Col 3, 9-10; Ef 4, 24.  35. Rm 8, 17.  36. II Tm 2, 5.  37. Cfr. Rm 7, 14, I7, 20.  38. Cc. 1 e 2, III, 12, in Exstrav. comm. (Fr 2, 770); C. 12. D. XXXVII (Fr 1, 139). 
 
45. Cfr. Ml 3, 20 (4, 2, della Vulgata).  46. Cfr. Eb 12, 2.  47. Cfr. Is, 64, 6.  48. Ef 2, 3.  49. Cfr. Rm 6, 20.  50. II Cor 1, 3.  51. Cfr. Gal 4, 4.  52. Gal 4, 5.  53. Rm 9, 30.  54. Cfr. Gal 4, 5.  55. Rm 3, 25.  56. I Gv 2, 2.  57. II Cor 5, 15.  58. Col 1, 12-14  59. Cfr. Rm 8, 23.  60. Gv 3, 5.  61. Zc 1, 3.  62. Lm 5, 21.  63. Cfr. Rm 10, 17.  64. Rm 3, 24.  65. Eb 11, 6.  66. Mt 9, 2.  67. Ecli (Sir) 1, 27 (Vulgata), trad. it. 1, 21.  68. At 2, 38.  69. Mt 28, 19-20.  70. I Re 7, 3.  71. Tt 3, 7.  72. Cfr. I Cor 6, 11.  73. Cfr. II Cor 1, 21-22.  74. Ef 1, 13-14.  75. Cfr. Rm 5, 10.  76. Ef 2, 4.  77. Cfr. AGOSTINO, Ep. 98 ad Bonifatium, 9 (CSEL 34/2, 530 segg.).  78. Cfr. Ef 4, 23.  79. Cfr. I Gv 3, 1.  80. Cfr. I Cor 12, 11.  81. Cfr. Rm 5, 5. 
 

82. Cfr. Gc 2, 17, 20.  83. Gal 5, 6.  84. Mt 19,17.  85. Cfr. Lc 15. 22; AGOSTINO, De genesi ad litt., VI. 27 (CSEL 28/1, 199); cfr. Rituale Romano per l’amministrazione del battesimo.  86. Cfr. Rm 3, 28 e altri.  87. Cfr. Rm 3, 24.  88. Eb 11, 6.  89. II Pt 1, 4.  90. Rm 11, 6.  91. Cfr. Ef 2, 19.  92. Sal 83, 8.  93. Cfr. II Cor 4, 16.  94. Cfr. Col 3, 5.  95. Cfr. Rm 6, 13 e 19.  96. Ap 22, 11.  97. Ecli (Sir) 18, 22.  98. Gc 2, 24.  99. Nella preghiera della XIII domenica tra l’anno.  100. Cfr. tra gli altri il Conc. Arausicano II (529) dopo il c. 25 (Msi 8, 717).  101. Cfr. AGOSTINO, De natura et gratia, 43 (50) (CSEL 60, 270).  l02. Cfr. I Gv 5, 3.  103. Cfr. Mt 11, 30.  104. Cfr. Gv 14, 23.  105. Mt 6, I2.  106. Rm 6, 22.  107. Tt 2, 12.  108. Cfr. Rm 5, 2.  109. Cfr. AGOSTINO, De natura et gratia, 26 (29) (CSEL 60, 254) e anche altre volte in altre opere di Agostino.  110. Cfr. Rm 8, 17.  111. Eb 5, 8 e 9.  112. I Cor 9, 24, 26-27.  113. II Pt 1, 10.  114. Cfr. Bolla Exurge Domine, art. 31 segg. (Dn 77I segg.).  115. Sal 118, 112.  116. Cfr. Eb 11, 26.  117. Cfr. AGOSTINO, De corrept. et gr., 15 (46) (PL 44, 944).  118. Mt 10, 22; 24, 13.  119. Cfr. Rm 14, 4.  120. Cfr. Fil 1, 6.  121. Cfr. Fil 2, 13.  122. Cfr. I Cor 10, 12.  123. Cfr. Fil 2, 12.  124. Cfr. II Cor 6, 5-6. 

 

125. Cfr. I Pt 1, 3.  126. Rm 8, 12-13.  127. GEROLAMO. Ep 84, 6 e Ep 130, 9 (CSEL, 55, 128; 56, 189); TERTULLIANO, De Poenitentia, c. 7 segg. (PL 1, 1241 segg.).  128. Gv 20, 22-23; cfr. Mt 16, 19.  129. Sal 50, 19.  130. Cfr. Ef 4, 30.  131. Cfr. I Cor 3, 17.  132. Ap 2, 5.  133. II Cor 7, 10.  134. Mt 3, 2; 4, 17.  135. Lc 3, 8; Mt 3, 8.  136. Rm 16, 18.  137. Cfr. II Cor 12, 9; Fil 4, 13.  138. Cfr. I Cor 6. 9-10; I Tm 1, 9-10.  139. I Cor 15, 58.  140. Eb 6, 10.  141. Eb 10, 35.  142. Mt 10, 22.  143. Cfr. II Tm 4, 7-8.  144. Cfr. Gv 15, 1 segg.  145. Cfr. Gv 3, 21.  146 Cfr. Ap 14, 13.  147. Gv 4, 13-14.  148. Cfr. II Cor 3, 5.  149. Cfr. Rm 10, 3.  150. Cfr. Mt 10, 42; Mc 9, 40.  151. II Cor 4, 17.  152. Cfr. I Cor 1, 31, II Cor 10, 17 (gr. 9, 23-24).  153. Cfr. CELESTINO I. Ep. ad episcopos Galliae, c. 12 (PL 50, 536).  154. Gv 3, 2.  155. Cfr. I Cor 4, 3-4.  156. I Cor 4, 5.  157. Mt 16, 27; Rm 2, 6; Ap 22, 12.  158. Cfr. l’inizio del simbolo Atanasiano.  159. Cfr. Rm 5, 5.  160. Cfr. Mt 10, 22; 24, 13.  161. Cfr. Gv 3, 21.  162. Cfr. Gc 2, 26. 

 
(Dal CONCILIO DI TRENTO)
 
 

Gesù rivela a Santa Camilla Battista da Varano: “I DOLORI MENTALI NELLA SUA PASSIONE” Quinto e Sesto Dolore: “CHE CRISTO BENEDETTO PORTO’ NEL SUO CUORE PER I DISCEPOLI E GIUDA IL TRADITORE”

QUINTO DOLORE CHE CRISTO BENEDETTO PORTO’ NEL SUO CUORE PER I SUOI AMATI E CARI DISCEPOLI

DAI DOLORI MENTALI DI GESÙ NELLA SUA PASSIONE
  RIVELATI A SANTA CAMILLA BATTISTA DA VARANO

(Gesù, dopo aver scelto gli apostoli tra molti altri discepoli, nei tre anni di vita comune li trattò con particolare familiarità per istruirli e prepa­rarli alla missione a cui li destinava. Proprio per lo speciale rapporto di amore che intercorse tra Cristo e gli apostoli, Egli provò una sofferenza particolare nel suo cuore prendendo su di sé le sofferenze a cui essi sarebbero andati incontro per testimoniare la sua risurrezione.)

Parla Gesù:

“L’altro dolore che accoltellava l’anima mia era la continua memoria del santo collegio degli Apostoli, colonne del cielo e fondamento della mia Chiesa in terra, che io vedevo come sarebbe stato disperso quali pecorelle senza pastore e conoscevo tutte le pene e martirii che avrebbero dovuto patire per me.

Sappi dunque che mai un padre ha amato con tanto cuore i figli né un fratello i fratelli né un maestro i discepoli come io amavo gli Apostoli benedetti, dilettissimi miei figlioli, fratelli e discepoli.

Benché io abbia sempre amato tutte le creature con amore infinito, tuttavia ci fu un particolare amore per quelli che effettivamente vissero con me.

Di conseguenza provai un particolare dolore per loro nella mia afflitta anima. Per essi infatti, più che per me, pronunciai quell’amara parola: ‘La mia anima è triste fino alla morte’, data la grande tenerezza che provavo nel lasciarli senza di me, loro padre e fedele maestro. Ciò mi procurava tanta angustia che questa separazione fisica da loro mi sembrava una seconda morte.

Se si riflettesse attentamente sulle parole dell’ultimo discorso che rivolsi loro, non ci sarebbe un cuore tanto indurito da non commuoversi di fronte a tutte quelle affettuose parole che mi sgorgarono dal cuore, che sembrava scoppiarmi in petto per l’amore che portavo loro.

Aggiungi che vedevo chi sarebbe stato crocifis­so a causa del mio nome, chi decapitato, chi scor­ticato vivo e che comunque tutti avrebbero chiuso l’esistenza per amore mio con vari martirii.

Per poter comprendere quanto questa pena mi fosse pesante, fai questa ipotesi: se tu avessi una persona che ami santamente e alla quale per causa tua e proprio perché l’ami vengano indirizzate parole ingiuriose oppure fatto qualche cosa che le dispiace, oh, come ti farebbe veramente male che proprio tu sia la causa di tale sofferenza per lei che tu ami tanto! Vorresti invece e cercheresti che lei per causa tua potesse avere sempre pace e gioia.

Ora proprio io, figliola mia, diventavo per loro causa non di parole ingiuriose, ma della morte, e non per uno solo ma per tutti. E di questo dolore che provai per loro non ti posso dare altro esem­pio: ti basti quanto ho detto, se vuoi provare com­passione per me”.

 

SESTO DOLORE CHE CRISTO BENEDETTO PORTO’ NEL SUO CUORE PER L’INGRATITUDINE DEL SUO AMATO DISCEPOLO GIUDA TRADITORE

(Gesù aveva scelto Giuda Iscariota come apostolo insieme agli altri undici, anche a lui aveva concesso il dono di compiere miracoli e gli aveva dato particolari incarichi. Nonostante questo egli progettò il tradimento che, ancor prima che si realizzasse, lacerò il cuore del Redentore. All’ingratitudine di Giuda si contrappose la sensibilità dell’apostolo Giovanni, che si sarebbe accorto della sofferenza del suo Signore, secondo quanto scrive la Varano in queste pagine cariche di profonda commozione.)

 

Parla Gesù:

“Ancora un altro sviscerato e intenso dolore mi affliggeva continuamente e mi feriva il cuore. Era come un coltello con tre punte acutissime e vele­nose che continuamente trapassava come una saet­ta e torturava il mio cuore amareggiato come la mirra: cioè la perfidia e ingratitudine del mio amato discepolo Giuda iniquo traditore, la durezza e perversa ingratitudine del mio eletto e prediletto popolo giudaico, la cecità e maligna ingratitudine di tutte le creature che furono, sono e saranno.

Considera prima di tutto quanto fu grande l’in­gratitudine di Giuda.

Io lo avevo eletto nel numero degli apostoli e, dopo avergli perdonato tutti i peccati, lo resi ope­ratore di miracoli e amministratore di quanto mi veniva donato e gli mostrai sempre continui segni di particolare amore perché tornasse indietro dall’iniquo suo proposito. Ma quanto più amore gli mostravo, tanto più progettava cattiverie contro di me.

Con quanta amarezza credi tu che io ruminassi nel mio cuore queste cose e tante altre?

Ma quando venni a quel gesto affettuoso e umile di lavargli i piedi insieme a tutti gli altri, allora il mio cuore si liquefece in un pianto svisce­rato. Uscivano veramente fontane di lacrime dai miei occhi sopra i suoi disonesti piedi, mentre nel mio cuore esclamavo:

‘O Giuda, che ti ho fatto perché tu così crudelmente mi tradisca? O sventurato discepolo, non è questo l’ultimo segno d’amore che ti voglio mostrare? O figliolo di perdizione, per quale motivo ti allontani così dal tuo padre e maestro? O Giuda, se desideri trenta denari, perché non vai dalla Madre tua e mia, pronta a vendere se stessa per scampare te e me da un pericolo così grande e mortale?

O discepolo ingrato, io ti bacio con tanto amore i piedi e tu con grande tradimento mi bacerai la bocca? Oh, che pessimo contraccambio mi darai! Io piango la tua perdizione, o caro e diletto figliolo, e non la mia passione e morte, perché non sono venuto per altro motivo’.

Queste ed altre parole simili gli dicevo con il cuore, rigandogli i piedi con le mie abbondantissime lacrime.

Però lui non se ne accorgeva perché io stavo inginocchiato davanti a lui con la testa inclinata come avviene nel gesto di lavare i piedi altrui, ma anche perché i miei folti lunghi capelli, stando così piegato, mi coprivano il volto bagnato di lacrime.

Ma il mio diletto discepolo Giovanni, poiché gli avevo rivelato in quella dolorosa cena ogni cosa della mia passione, vedeva e annotava ogni mio gesto; si accorse allora dell’amaro pianto che avevo fatto sopra i piedi di Giuda. Egli sapeva e capiva che ogni mia lacrima aveva origine dal tenero amore, come quello di un padre in prossi­mità della morte che sta servendo il proprio unico figlio e gli dice in cuor suo: ‘Figliolo, stai tran­quillo, questo è l’ultimo affettuoso servizio che ti potrò fare’. E io feci proprio così a Giuda quando gli lavai e baciai i piedi accostandomeli e stringen­doli con tanta tenerezza alla mia sacratissima fac­cia.

Tutti questi miei gesti e modi non consueti stava notando il benedetto Giovanni evangelista, vera aquila dagli alti voli, che per grande meraviglia e stupore era più morto che vivo. Essendo egli anima umilissima, si sedette all’ultimo posto di modo che lui fu l’ultimo davanti al quale mi ingi­nocchiai per lavare i piedi. Fu a questo punto che non si poté più contenere ed essendo io a terra e lui seduto, mi buttò le braccia al collo e mi strinse a lungo come fa una persona angustiata, versando abbondantissime lacrime. Egli mi parlava col cuore, senza voce, e diceva:

‘O caro Maestro, fratello, padre, Dio e Signore mio, quale forza d’animo ti ha sorretto nel lavare e baciare con la tua sacratissima bocca quei male­detti piedi di quel cane traditore? O Gesù, mio caro Maestro, ci lasci un grande esempio. Ma noi poverelli che faremo senza di te che sei ogni nostro bene? Che farà la sventurata tua povera madre quando le racconterò questo tuo gesto di umiltà? E ora, per farmi spezzare il cuore, vuoi lavare i miei piedi maleodoranti e sporchi di fango e polvere e baciarli con la tua bocca dolcissima come il miele?O Dio mio, questi nuovi segni d’amore sono per me innegabile fonte di maggior dolore’.

Dette queste ed altre simili parole che avrebbero fatto intenerire un cuore di sasso, si lasciò lavare porgendo i piedi con molta vergogna e riverenza.

Ti ho detto tutto questo per darti qualche notizia del dolore che provai nel mio cuore per l’ingratitudine e per l’empietà di Giuda traditore, che per quanto da parte mia gli avevo dato amore e segni di affetto, tanto mi rattristò con la sua pessima ingratitudine”.

(DAI DOLORI MENTALI DI GESÙ NELLA SUA PASSIONE RIVELATI A SANTA CAMILLA BATTISTA DA VARANO)

Sant’Agostino, l’ascensione di Cristo: “Con lui salga pure il nostro cuore” “Come Egli è asceso e non si è allontanato da noi, così anche noi già siamo lassù con lui, benché nel nostro corpo non si sia ancora avverato ciò che ci è promesso”

 

“Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio. Pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra” (Col 3, 1-2).

 

Ascensione

 

“Oggi nostro Signore Gesù Cristo è asceso al cielo. Con lui salga pure il nostro cuore.
Ascoltiamo l’apostolo Paolo che proclama: “Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio. Pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra” (Col 3, 1-2). Come egli è asceso e non si è allontanato da noi, così anche noi già siamo lassù con lui, benché nel nostro corpo non si sia ancora avverato ciò che ci è promesso.
Cristo ormai esaltato al di sopra dei cieli, ma soffre qui in terra tutte le tribolazioni che noi sopportiamo come sue membra. Di questo diede assicurazione facendo sentire quel grido: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?” (At 9, 4). E così pure: “Io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare” (Mt 25, 35).

Perché allora anche noi non fatichiamo su questa terra, in maniera da riposare già con Cristo in cielo, noi che siamo uniti al nostro Salvatore attraverso la fede, la speranza e la carità? Cristo, infatti, pur trovandosi lassù, resta ancora con noi. E noi, similmente, pur dimorando quaggiù, siamo già con lui. E Cristo può assumere questo comportamento in forza della sua divinità e onnipotenza. A noi, invece, è possibile, non perché siamo esseri divini, ma per l’amore che nutriamo per lui. Egli non abbandonò il cielo, discendendo fino a noi; e nemmeno si è allontanato da noi, quando di nuovo è salito al cielo. Infatti egli stesso dà testimonianza di trovarsi lassù mentre era qui in terra: Nessuno è mai salito al cielo fuorché colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo, che è in cielo (cfr. Gv 3, 13).

Questa affermazione fu pronunciata per sottolineare l’unità tra lui nostro capo e noi suo corpo. Quindi nessuno può compiere un simile atto se non Cristo, perché anche noi siamo lui, per il fatto che egli è il Figlio dell’uomo per noi, e noi siamo figli di Dio per lui.
Così si esprime l’Apostolo parlando di questa realtà: “Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo” (1 Cor 12,12). L’Apostolo non dice: “Così Cristo”, ma sottolinea: “Così anche Cristo”. Cristo dunque ha molte membra, ma un solo corpo.
Perciò egli è disceso dal cielo per la sua misericordia e non è salito se non lui, mentre noi unicamente per grazia siamo saliti in lui. E così non discese se non Cristo e non è salito se non Cristo. Questo non perché la dignità del capo sia confusa nel corpo, ma perché l’unità del corpo non sia separata dal capo.”

Dai Discorsi di Sant’Agostino, vescovo (Disc. sull’Ascensione del Signore, ed. A. Mai, 98, 1-2; PLS 2, 494-495).

Don Dolindo Ruotolo, Il Sacramento del perdono: “Il Cuore di Gesù è il medico dell’umana infermità, e chi va a Lui è risanato, risale all’altezza della sua nobiltà, e la stessa sua miseria gli si muta in bene ed in merito.”

 

-Il Sacramento del perdono- Don Dolindo Ruotolo:

“Il mondo non è che un immenso ospedale di infermità, la cui radice è sempre nel peccato maledetto, perché ogni male morale o fisico deriva solo dal peccato.

Dio ha fatto tutto nell’ordine, e quello che è uscito dalle sue mani è perfetto nel genere suo; il peccato, essendo l’allontanamento della creatura da Dio, la sostituzione della creatura a Dio, non può portare con sé che il disordine, ed allora l’uomo perde quella forza dominatrice che ha ricevuta, cade in un ordine inferiore, e con lui trascina anche tante creature che domina o che hanno con lui una relazione più o meno prossima.

Le leggi della provvidenza non sono turbate, per la potenza di Dio che si serve anche del male per ritrarne il bene, ma l’uomo risente in tanti modi gli effetti della sua caduta. L’ordine della provvidenza per lui è veramente turbato, ed egli non trova più pace, è agitato internamente, è sopraffatto anche esternamente dai malanni e dal dolore.

Il Cuore di Gesù è il medico dell’umana infermità, e chi va a Lui è risanato, risale all’altezza della sua nobiltà, e la stessa sua miseria gli si muta in bene ed in merito. La tribolazione, per l’anima che vive di Lui ed in Lui, si muta in vita, perché diventa un complemento della sua passione nell’anima stessa. E in Lui che tutto rifluisce e tutto si trasforma.

Abbiamo mai considerato il mistero della remissione del peccato? Come è che il peccato che è un fatto storico, un fatto che è sempre reale nell’infinità di Dio, come è che è annullato e perdonato? Cerchiamo di meditarlo e di capire questo grande mistero.

Quando l’uomo ritorna a Dio per la penitenza, non fa che rimettere in Gesù Redentore il triste fardello delle sue colpe. E’ la Passione di Cristo Gesù che trasforma ed assorbe queste miserie, ed il fatto storico del male diventa fatto storico della sua Passione. Gesù ha caricato sopra di Sé tutte le iniquità umane, fino alle ultime che si consumeranno sulla terra, ed in Sé le ha annientate per l’amore; le ha mutate, per il sacrifizio, in un’armonia di giustizia e di riparazione.

Noi, per il Sacramento della penitenza ci congiungiamo a Lui, e diventiamo veramente una parte del suo corpo immolato; logicamente, quindi, il peccato, in questo modo, non è solo coperto, ma è annientato nel Sangue e nell’amore di Cristo. Il fatto storico che è incancellabile diventa una delle attività della sua Passione, quindi rimane come fatto storico, ma rimane in Lui, rimane come attività del suo amore.

Questo è il grande segreto del mistero della espiazione del peccato e della sua remissione. Alcuni eretici dissero che il peccato era solo coperto; ignoravano completamente la natura ed il valore del sacrifizio di Gesù.

Per intendere questa grande verità, immaginiamo una macchina che è capace di trasformare ogni cosa putrefatta nei suoi elementi puri. Noi vi gettiamo dentro una carogna di animale e la macchina lavora, tritura quell’ammasso impuro, geme essa stessa e raccoglie il fetore di quella carogna; ma da essa non viene fuori poi che un elemento chimico puro.

Finché la carogna è fuori della macchina, mette orrore; ma basta che si congiunga alla macchina, che subito la stessa sua putrefazione si trasforma, e quello che prima nauseava, ecco diventa un bene. Allora l’animale morto non esiste più storicamente, ma diventa materia prima del lavoro della macchina. Così succede nella remissione dei peccati. L’uomo pecca ed è un ammasso di disordine; è un fatto reale il suo peccato, ed il fatto non può cancellarsi.

L’uomo si pente; il suo dolore ha reso già il peccato un’occasione per rivolgersi a Dio; esso non è più il male che divideva da Dio, ma è la spinta che risolleva a Dio! E’ la base della umiltà che fa riconoscere alla creatura il suo nulla. Il peccatore riceve il Sacramento della penitenza e si congiunge alla passione di Gesù; il suo peccato era stato già da Lui raccolto e trasformato in amore nel suo Cuore; il peccatore, quindi, nel congiungersi con Lui, non trova più la miseria, ma la sua attività espiatrice, che è solo amore a Dio; ed ecco che non rimane più il peccato, ma rimane la giustizia, e l’uomo è giustificato e vive in Lui e per Lui.

Il pentimento naturale del male fatto non porta la pace nell’anima, mentre l’assoluzione sacramentale ci porta la gioia. Questa gioia, questa soddisfazione non è la gioia effimera di chi si libera da un segreto dell’anima, perché spesso con tanti si confessano le proprie colpe; a tanti si confidano, ed in tanti modi, le proprie miserie, senza averne pace; quella soddisfazione è la percezione precisa, spesso subcosciente di un bene, di una ricchezza ricevuta… è la soddisfazione dell’anima che non sente più il peso del peccato perché il peccato è giustificato in Gesù Redentore, si è mutato, è stato trasformato. L’uomo si sente giusto, non ha più rimorso, ha la pace, perché Gesù accolse il suo fango, e lo mutò nel suo Sangue in ricchezza luminosa di cristallini lucenti nell’infinito sole.

Quale meraviglia è dunque la remissione di un accenno soltanto di questa meraviglia, un peccato! che in realtà sarà oggetto di eterna contemplazione, poiché in Cristo appariranno tutti i peccati del mondo, trasformati in amore. Questo è il glorioso trionfo di Dio sul male; questo è il debellamento completo di satana.

I nostri peccati e gli atti della penitenza sono, diciamo, la materia del Sacramento della Penitenza. Oh, come la Chiesa è sublime e precisa in ogni suo insegnamento! La materia prima che Gesù lavora, che con la formula nuova si trasforma per Lui ed in Lui e diventa ricchezza, amore e pace. La penitenza che a noi impone la Chiesa è parte integrante del Sacramento, perché è diretta al nostro utile, a completare quella piena unione col Cristo, che è rara tra i fedeli, a risanare le piaghe nostre.

Così, quando l’acqua di un pantano si è cristallizzata, soffia il vento benefico e gelido, che spazza via gli ultimi miasmi che ancora ammorbavano l’infetta palude. Oh, quali miracoli di amore in una sola assoluzione! Noi possiamo sempre confessare i peccati più gravi passati, anzi in ogni confessione li confessiamo con un’accusa generale, recitando il Confiteor. Che cosa produce questa confessione di peccati già rimessi? Noi li depositiamo novellamente in Cristo Redentore, e questo è un novello atto di fiducia che aggiunge novella grazia alla giustificazione già avuta, perché rende più intimo il nostro amore e la nostra unione con Lui. Ricordando i peccati passati noi ci umiliamo, e facciamo fiorire l’anima nostra di novelli fiori, e raccogliamo come una folata di vento e di profumo dalla sua attività redentrice.

Oh, l’amore di Dio quanto è grande nella giustificazione di un’anima! Se meditiamo questa parola intenderemo quanto Egli ci ha amati e quanto ci ama!”

(Don Dolindo Ruotolo)

La Santa Eucaristia: “Fa che l’anima mia abbia fame di te, pane degli Angeli, ristoro delle anime sante, pane nostro quotidiano, pane soprannaturale che hai ogni dolcezza ed ogni sapore e procuri la gioia più soave”

-Il Santissimo Sacramento è la base, il fondamento della Chiesa-

«Io non sapevo neppure chi fosse il Cristo, non sapevo che Egli è Dio. Non avevo la minima idea che esistesse qualcosa come il Santissimo Sacramento. Credevo che le chiese fossero semplicemente luoghi dove la gente si riunisce per cantare qualche inno. E tuttavia io dico a voi che siete quel che io fui un tempo, a voi increduli, che è quel Sacramento e soltanto quello, il Cristo che vive tra noi, sacrificato da noi, e per noi e con noi, nel puro ed eterno sacrificio, è soltanto Lui a tenere unito il mondo, a impedirci dal piombare subito, a capofitto, nell’abisso della nostra eterna distruzione. E io dico che da quel Sacramento deriva una forza di luce e di verità capace di penetrare sin nei cuori di coloro che di Lui non hanno mai sentito parlare e sembrano incapaci di credere».

(Thomas Merton, “La montagna dalle sette balze”)

«Quanta gente dice oggi: “Vorrei vedere il volto di Cristo, i suoi lineamenti, le sue vesti, i suoi sandali”. Ebbene, è Lui che vedi, che tocchi, che mangi! Desideri vedere le sue vesti; ed è Lui stesso che si dona a te non solo per esser visto, ma toccato, mangiato, accolto nel cuore. Nessuno dunque si avvicini con indifferenza o con mollezza; ma tutti vengano a Lui con l’anima ardente di amore».

(San Giovanni Crisostomo)

«Il Santissimo Sacramento è la base, il fondamento della Chiesa. Senza il Santissimo Sacramento la Chiesa scompare, perché tutta la Chiesa è scaturita da questa Cena e avanza verso questa Cena che ha per scopo di farci partecipare alla Cena eterna, vale a dire a un’unione totale con Dio».

(P. Théodossios-Marie de la Croix, “Resta con noi Signore. Omelie e insegnamenti sull’Eucaristia”)

 

Preghiere alla
Santa Eucaristia

“Alla mensa del tuo dolcissimo convito, o pio Signore Gesù Cristo, io, peccatore e privo di meriti, mi accosto tremante, solo confidando nella tua misericordia e bontà. Anima e corpo ho macchiati di molte colpe, la mente e la lingua non ben custodite. Dunque, o pio Signore, o terribile maestà, io misero, stretto fra le angustie, ricorro a te, fonte di misericordia, a te mi affretto per essere risanato, sotto la tua protezione mi rifugio. Quello che non posso sostenere come Giudice, sospiro di averLo come Salvatore.

A te, o Signore, mostro le mie piaghe, a te scopro la mia vergogna. Conosco i miei peccati, che sono molti e grandi, per i quali io temo. Spero nelle tue misericordie senza numero. Guarda dunque verso di me con gli occhi della tua clemenza, o Signore Gesù Cristo, Re eterno, Dio e uomo, che per l’uomo fosti crocifisso. Esaudiscimi, poiché spero in te, abbi misericordia di me pieno di miseria e di peccati, tu che non cesserai mai di far scaturire la fonte della misericordia. Salve, o vittima della Salvezza, offerta sul patibolo della Croce per me e per tutto il genere umano. Salve, o nobile e prezioso Sangue, che sgorghi dalle ferite del mio crocifisso Signore Gesù Cristo e lavi i peccati di tutto il mondo. Ricordati, o Signore, della tua creatura, che hai redento col tuo Sangue. Mi pento di aver peccato e desidero di rimediare a ciò che ho fatto. Togli dunque da me, o clementissimo Padre, tutte le mie iniquità ed i miei peccati, affinché, purificato di mente e di corpo, meriti di gustare degnamente il Santo dei santi; e concedimi che questa santa partecipazione del Corpo e del Sangue tuo, che io, sebbene indegno, intendo di ricevere, sia remissione dei miei peccati, perfetta purificazione dei miei delitti, fuga dei cattivi pensieri, rigenerazione dei buoni sentimenti, salutare efficacia di opere che ti piacciano, sicura tutela dell’anima e del corpo contro le insidie dei miei nemici. Così sia.”

(Preghiera di Sant’Ambrogio)

 

“Trafiggi, o dolcissimo Signore Gesù, la parte più intima dell’anima mia con la soavissima e salutare ferita dell’amor tuo, con vera, pura, santissima, apostolica carità, affinché continuamente languisca e si strugga l’anima mia per l’amore e il desiderio di te solo. Te brami, e venga meno presso i tuoi tabernacoli, e sospiri di essere sciolta (dai lacci del corpo) e di essere con te. Fa’ che l’anima mia abbia fame di te, pane degli Angeli, ristoro delle anime sante, pane nostro quotidiano, pane soprannaturale che hai ogni dolcezza ed ogni sapore e procuri la gioia più soave. Di te, che gli Angeli desiderano di contemplare incessantemente, abbia fame e si sazi il cuor mio, e della dolcezza del tuo sapore sia riempita la parte più intima dell’anima mia: abbia ella sempre sete di te, fonte di vita, fonte di saggezza e di scienza, sorgente dell’eterna luce, torrente di delizie, dovizia della casa di Dio. Te sempre ambisca, te cerchi, te trovi, te si prefigga come meta, a te giunga, a te pensi, di te parli e tutte le cose faccia ad onore e gloria del tuo nome con umiltà e con discernimento, con amore e con piacere, con facilità e con affetto, con perseveranza che duri fino alla fine. E tu solo sii sempre la mia speranza e la mia fede, la mia ricchezza e il mio diletto, la mia gioia, il mio gaudio, il mio riposo, la mia tranquillità, la mia pace, la mia soavità, il mio profumo, la mia dolcezza, il mio cibo, il mio ristoro, il mio rifugio, il mio aiuto, la mia scienza, la mia parte, il mio bene, il mio tesoro, nel quale fissi e fermi, con salde radici, rimangano la mente ed il cuor mio.”

(Preghiera di San Bonaventura)

 

“Ti rendo grazie, o Signore santo, Padre Onnipotente, eterno Dio, che non certo per i miei meriti, ma per solo effetto della tua misericordia ti sei degnato di saziare, col prezioso Corpo e col Sangue del Figlio tuo signor nostro Gesù Cristo, me peccatore, indegno tuo servo. Ti prego che questa santa comunione non sia per me un reato degno di pena, ma valida intercessione per ottenere il perdono. Sia essa per me armatura di fede e scudo di buona volontà. Sia liberazione dei miei vizi, sterminio della concupiscenza e delle passioni, aumento di carità, di pazienza, di umiltà, di obbedienza, di tutte le virtù, sicura difesa contro le insidie dei miei nemici tanto visibili quanto invisibili, assoluta tranquillità delle passioni carnali e spirituali, perfetto abbandono in te, unico e vero Dio, felice compimento del mio fine. E ti prego affinché ti degni di condurre me peccatore a quell’ineffabile convito dove tu col Figlio tuo e con lo Spirito Santo sei luce vera ai Santi tuoi, sazietà piena, gioia eterna, gioia completa, felicità perfetta. Per lo stesso Gesù Cristo nostro Signore. Amen.”

(Preghiera di San Tommaso d’Aquino)

 

“Onnipotente, eterno Iddio, mi accosto al sacramento dell’unigenito Figlio tuo, il Signore nostro Gesù Cristo: mi accosto come l’infermo al medico che gli ridona la vita, come l’immondo alla fonte della misericordia, come il cieco alla luce dello splendore eterno, come il povero e il bisognoso al Signore del cielo e della terra. Prego dunque la tua grande ed immensa generosità perché ti degni di curare il mio male, di lavare le mie macchie, di arricchire la mia povertà, di vestire la mia nudità, affinché riceva il pane degli Angeli, il Re dei re, il Signore dei signori con tanta riverenza ed umiltà, con tanta contrizione e devozione, con tanta purità e fede, con tali propositi e buone intenzioni, quanto occorre alla salute dell’anima mia.

Dammi, ti prego’ di ricevere non solo il sacramento del Corpo e del Sangue del Signore, ma anche la grazia e la virtù del sacramento. O mitissimo Iddio, concedimi di ricevere il Corpo dell’unigenito Figlio tuo, Signore nostro Gesù Cristo, che nacque dalla Vergine Maria, in modo che meriti di essere incorporato al suo mistico corpo, e di essere annoverato fra le membra di lui. O amantissimo Padre, concedimi di contemplare finalmente a viso aperto per l’eternità, il diletto Figlio tuo, che intendo ricevere ora nel mio terrestre cammino, sotto i veli del mistero, Colui che teco vive e regna in unione con lo Spirito Santo. per tutti i secoli dei secoli. Amen.”

(Preghiera di San Tommaso d’Aquino)

 

“Signor mio Gesù Cristo, che per l’amore che porti agli uomini, Te ne stai notte e giorno in questo Sacramento tutto pieno di pietà e di amore, aspettando, chiamando ed accogliendo tutti coloro che vengono a visitarti, io Ti credo presente nel Sacramento dell’Altare. Ti adoro nell’abisso del mio niente, e Ti ringrazio di quante grazie mi hai fatte; specialmente di avermi donato Te stesso in questo Sacramento, e di avermi data per Avvocata la tua Santissima Madre Maria e di avermi chiamato a visitarti in questa chiesa. Io saluto oggi il tuo amantissimo Cuore ed intendo salutarlo per tre fini: primo, in ringraziamento di questo gran dono; secondo, per compensarti di tutte le ingiurie, che hai ricevuto da tutti i tuoi nemici in questo Sacramento: terzo, intendo con questa visita adorarti in tutti i luoghi della terra, dove Tu sacramentato te ne stai meno riverito e più abbandonato. Gesù mio, io ti amo con tutto il cuore. Mi pento di aver per il passato tante volte disgustata la tua Bontà infinita. Propongo con la tua grazia di non offenderti più per l’avvenire: ed al presente, miserabile qual sono, io mi consacro tutto a Te: ti dono e rinunzio tutta la mia volontà, gli affetti, i desideri e tutte le cose mie. Da oggi in avanti fai di me e delle mie cose tutto quello che ti piace. Solo ti chiedo e voglio il tuo santo amore, la perseveranza finale e l’adempimento perfetto della tua volontà. Ti raccomando le anime del Purgatorio, specialmente le più devote del Santissimo Sacramento e di Maria Santissima. Ti raccomando ancora tutti i poveri peccatori. Unisco infine, Salvator mio caro, tutti gli affetti miei cogli affetti del tuo amorosissimo Cuore e così uniti li offro al tuo Eterno Padre, e lo prego in nome tuo, che per tuo amore li accetti e li esaudisca. Così sia.”

(Preghiera di Sant’Alfonso Maria de Liguori)

 

Sant’ Ambrogio: “È dalla santa Chiesa che devi imparare a trattenere Cristo..Quali dunque i mezzi con cui trattenere Cristo? Lo trattiene l’amore dell’anima” “Se vuoi anche tu possedere Cristo, cercalo incessantemente e non temere la sofferenza”

“Se vuoi anche tu possedere Cristo, cercalo incessantemente e non temere la sofferenza”

 Sant’Ambrogio:

È dalla santa Chiesa che devi imparare a trattenere Cristo. Anzi te l’ha già insegnato, se ben comprendi ciò che leggi: Avevo appena oltrepassato le guardie, quando trovai l’amato del mio cuore. L’ho stretto forte e non lo lascerò (cfr. Ct 3, 4). Quali dunque i mezzi con cui trattenere Cristo? Non la violenza delle catene, non le strette delle funi, ma i vincoli della carità, i legami dello spirito. Lo trattiene l’amore dell’anima.

Se vuoi anche tu possedere Cristo, cercalo incessantemente e non temere la sofferenza. È più facile spesso trovarlo tra i supplizi del corpo, tra le mani dei persecutori.

Lei dice: Poco tempo era trascorso da quando le avevo oltrepassate. Infatti una volta libera dalle mani dei persecutori e vittoriosa sui poteri del male, subito, all’istante ti verrà incontro Cristo, né permetterà che si prolunghi la tua prova.

Colei che così cerca Cristo, che ha trovato Cristo, può dire: L’ho stretto forte e non lo lascerò finché non lo abbia condotto nella casa di mia madre, nella stanza della mia genitrice (cfr. Ct 3, 4).

Che cos’è la casa, la stanza di tua madre, se non il santuario più intimo del tuo essere?

Custodisci questa casa, purificane l’interno. Divenuta perfettamente pulita, e non più inquinata da brutture di infedeltà, sorga quale casa spirituale, cementata con la pietra angolare, si innalzi in un sacerdozio santo, e lo Spirito Paraclito abiti in essa. Colei che cerca Cristo a questo modo, colei che così prega Cristo, non è abbandonata da lui, anzi riceve frequenti visite. Egli infatti è con noi fino alla fine del mondo.”

(Sant’Ambrogio, Vescovo e Dottore della Chiesa, Sulla verginità , Cap. 12)

San Lorenzo Giustiniani: “Sappiamo che rinnegare se stessi e prendere la croce sulle proprie spalle non vuol dire altro che rinnegare tutti i desideri della carne”

 

Gesù: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Lc 9, 23).

 

San Lorenzo Giustiniani, commento:

“Quanto un uomo possa amare Cristo lo si può sapere pienamente dalla generosità che pone in questa sua lotta spirituale (contro la carne). Si trovano, invece, cristiani che danno anche i loro averi ai poveri, mortificano nel digiuno il loro corpo, vanno pellegrini per il Signore, si espongono ad ogni fatica e pericolo, ma lasciano indomite le loro concupiscenze.

Eppure il Signore ha detto: <<Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua>> (Lc 9, 23). E sappiamo che rinnegare se stessi e prendere la croce sulle proprie spalle non vuol dire altro che rinnegare tutti i desideri della carne, che contrastano con l’anima e profanano la coscienza. Dentro di noi allora e contro di noi Egli ci indica di lottare, se vogliamo avere la speranza dell’eternità e del Cielo.”

(San Lorenzo Giustiniani, da “Opuscoli Spirituali”)

San Lorenzo Giustiniani, il peccato originale e la redenzione di Cristo: “Adamo, per colpa tua tutta la tua stirpe è stata miseramente ferita; per il tuo peccato è stata degradata e avvilita questa nostra umanità!…Ma venne l’Unigenito di Dio.”

San Lorenzo Giustiniani, il peccato originale e la redenzione di Cristo.

 

“In principio Dio aveva creato il paradiso felice e vi aveva posto l’uomo, plasmato con le Sue stesse mani (Gen 2, 8). Ma questi disprezzò l’ordine del Signore, acconsentì alla tentazione della donna e si rese colpevole di disobbedienza ai comandi divini, subendo così, di conseguenza, mali e sventure senza fine.

Con suo grande disonore fu scacciato da quel luogo di delizie, dov’era stato collocato in piena dignità, e di colpo fu privato di quella vita che possedeva in totale libertà e quasi del tutto di quella luce intellettuale che aveva ricevuto, in modo superbo, per conoscere Dio, se stesso e il mondo, senza più quel primato d’obbedienza di cui godeva, come un signore, su tutte le creature. Così, miserabile, gravato da tante calamità, mentre prima, obbediente, poteva essere annoverato fra gli spiriti angelici, disobbedendo si ritrovò in una condizione bestiale.

Tentò di divenire simile a Dio e fu invece condannato all’umiliazione di essere meno di un animale da soma. Sì, giustizia volle che tanto fosse castigata l’umana presunzione e tremendamente punita tanta vana superbia, che pretese di varcare i confini della sua natura e perdette anche quello che di proprio questa natura aveva non intese assoggettarsi alle leggi di Dio e fu così incatenata alle passioni della carne.

Quanto fu folle la sua presunzione, quanto cieca la sua superbia! Potrà mai essere la creatura pari al suo Creatore? O potrà I’ uomo, a suo capriccio, essere come Dio? Che la ragione umana non abbia previsto tanta assurdità, che la sua intelligenza proprio non l’abbia capito? Ma perché non ha pensato alla triste eredità che lasciava ai suoi figli? Perché non ha temuto di perdere tutti quei doni e quei benefici? Ah, Adamo, per colpa tua tutta la tua stirpe è stata miseramente ferita; per il tuo peccato è stata degradata e avvilita questa nostra umanità! Ora siamo tutti schiavi come di un implacabile tiranno.

Così ebbero origine tutte le infermità, tutte le lacrime, i pianti, i dolori, le fatiche, le schiavitù, le lotte, le discordie, l’avarizia e la lussuria, vale a dire tutto quanto è in contrasto con Dio. Di un attimo fu il cedimento; ma il danno fu senza fine. Ah, chi potrebbe mai narrare tutti gli affanni, tutti i mali che per causa tua, nostro primo padre, vennero inflitti a noi mortali? Ti dobbiamo certo molto, perché in te fummo creati; ma è di gran lunga maggiore quanto con te abbiamo perduto!

E quale beneficio avremmo tratto dal nascere alla vita, se poi non fossimo stati liberati dalla dannazione eterna?

Rendiamo quindi grazie a Dio e a Gesù, nostro Signore, che per la Sua carne, che assunse dalla nostra stirpe, ci elevò ancora alla gloria di un tempo; anzi, ad una gloria immensamente maggiore. In Lui infatti la natura umana è stata innalzata ad eccelsa dignità, oltre la stessa natura angelica. Non sarebbe mai giunta al trono di tanta grandezza, se non per la mediazione del Verbo incarnato. Con le sue forze non si sarebbe mai redenta, né avrebbe raggiunto la gloria del Cielo.

Ma venne l’Unigenito di Dio, prese da noi carne mortale e nel Suo immenso amore ci donò la Sua vita. Venne il signore, che nella Sua umiltà ci liberò dal giogo del nostro perfido aguzzino e fondò questo paradiso dello spirito, la Santa Chiesa, per collocarvi ancora l’uomo, che si era perduto (Sap 18,15). E per fondare tale Chiesa, purificarla, santificarla e perfezionarla, Egli stesso scese dal Suo trono regale e si donò completamente, versando per amor di lei anche il Suo sangue. E innalzò un muro a sua difesa: : i cori degli Angeli.

Vi piantò alberi e fronde: i santi sacramenti, del cui cibo si nutrono i suoi predestinati fedeli. E vi pose l’albero della scienza del bene e del male: la sacra rivelazione. E da questo luogo di delizie fece sgorgare un fiume, la grazia dello Spirito Santo, perché lo irrigasse e lo fecondasse (Gen 2,6); e nel mezzo di quel fiume pose l’Albero delle vita: il sacro dono del timore di Dio, eterno nei secoli (Sal 19,10), carico di dodici sorta di frutti.

Lo si legge verso la fine dell’Apocalisse: <<Mi mostrò poi un fiume d’acqua viva limpida come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell’Agnello. In mezzo alla piazza della città e da una parte e dall’altra del fiume si trova un albero di vita che dà dodici raccolti e produce frutti ogni mese; le foglie dell’albero servono a guarire le nazioni>> (Ap 22,1-2).

Albero prezioso, albero di salvezza, di cui si dice che sorge nel mezzo di quel fiume e di cui il Salmista canta: <<L’onda impetuosa del fiume rallegra la città di Dio>> (Sal 46,5). Nessuno può ragionevolmente dubitare che il dono del timore sia veramente grazia dello Spirito Santo! Ne è testimone Isaia: <<Si compiacerà del timore del Signore>> (Is 11,3). Ed è perciò da tale timore, che procede dallo Spirito vivificante, che giustamente prende nome di Albero della vita il timore medesimo; per cui la sua radice è santa, poiché è radicato nella fede dell’unico vero Dio. Come sta scritto che i suoi frutti sono dodici, perché, sebbene in esso abbiano cardine tutte le virtù, non potrebbero affatto sussistere al di fuori della sua azione, dodici sono le virtù proprie che vi sorgono e si sviluppano, e cioè: la continenza, la giustizia, la prudenza, la carità, la pazienza, l’obbedienza, la speranza, la perseveranza, la povertà, la sobrietà, l’umiltà e la preghiera o contemplazione.”

(San Lorenzo Giustiniani, L’ALBERO DELLA VITA, Prefazione, pag. 1-2-3)

San Bernardo di Chiaravalle: “Impara, o cristiano, da Cristo come tu debba amare Cristo” “La misura di questa devozione è che quella soavità occupi tutto il cuore, nulla lasciando all’amore delle creature e ai piaceri carnali. Questo significa amare con tutto il cuore.”

“Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l’anima, e con tutte le forze” (Dt 6, 5)

 

San Bernardo di Chiaravalle: “Impara, o cristiano, da Cristo come tu debba amare Cristo”

 

“Sopra ogni cosa, dico, ti rende amabile a me, o Gesù buono, il calice che hai bevuto, l’opera della nostra redenzione. Questo richiede facilmente il nostro amore per te. Questo, dico, è quello che è più adatto a eccitare la, nostra devozione, che esige con più giustizia e sprona più fortemente, che spinge più efficacemente. Molto, infatti, in essa ha penato il Salvatore, né ha faticato tanto nel costruire tutto il mondo. Per creare le cose gli fu sufficiente proferire una parola, un comando, e furono fatte. Ma nella redenzione dovette sopportare nei detti la contraddizione, nei fatti quelli che lo spiavano per accusano, nei tormenti coloro che lo beffeggiavano e nella morte coloro che lo disprezzavano. Ecco come ha amato.

(…) Impara, o cristiano, da Cristo come tu debba amare Cristo. Impara ad amare con dolcezza, ad amare con prudenza, ad amare con fortezza; dolcemente, affinché non allettati, con prudenza, affinché non ingannati, con fortezza, affinché non oppressi dalle cose del mondo siamo stornati dall’amore del Signore. Per non essere trascinato dalla gloria o dai piaceri della carne, ti diventi dolce più di tutte queste cose Cristo sapienza; per non essere sedotto dallo spirito di menzogna e di errore, splenda ai tuoi occhi Cristo verità; per non venir meno nelle avversità, ti conforti Cristo, forza di Dio. Il tuo zelo sia infiammato dalla carità, informato dalla scienza, reso stabile dalla costanza. Sia fervido, sia circospetto, sia invitto. Non sia tiepido, non manchi di discrezione, né sia timido. E vedi se, per caso, queste tre cose siano già state inculcate nella legge, dove dice: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l’anima, e con tutte le forze” (Dt 6, 5).

A me sembra, se non vi è un altro senso più conveniente, che in questa trina distinzione, l’amore del cuore stia a indicare lo zelo dell’affezione, l’amore invece dell’anima si riferisca al lavoro, ossia al giudizio della ragione, la dilezione infine con tutte le forze mi pare possa riferirsi alla costanza o al vigore; Ama dunque il Signore Dio tuo con tutto e pieno l’affetto del cuore, amalo con tutta la vigilanza e circospezione della ragione, amalo anche con tutte le forze, tanto da non temere neppure di morire per amor suo, come sta scritto nelle parole seguenti: Perché come la morte è l’amore, lo zelo è tenace come l’inferno (Cant 8,6).

Sia dolce e soave al tuo cuore il Signore Gesù, contro i piaceri carnali malamente dolci, e la dolcezza vinca la dolcezza, a quel modo che un chiodo scaccia un altro chiodo. Ma tuttavia prima l’intelletto sia illuminato e guidi la ragione, non solo per evitare le sottili astuzie della frode eretica e per custodire la purità della fede contro tali astuzie, ma anche perché tu sia attento a evitare nella tua vita ogni ardore eccessivo e indiscreto. Il tuo amore sia anche forte e costante, senza cedere alla paura, né soccombere alla fatica. Amiamo dunque affettuosamente, con circospezione e con forza, ricordandoci che l’amore del cuore, che diciamo affettuoso, senza quello che si dice dell’anima, è certamente dolce, ma esposto a seduzione; quello dell’anima invece, senza quello che è caratterizzato dalla forza, è ragionevole, ma fragile.

(…). Tuttavia, la misura di questa devozione è che quella soavità occupi tutto il cuore, nulla lasciando all’amore delle creature e ai piaceri carnali. Questo significa amare con tutto il cuore. Se, invece, alla carne del mio Signore io preferisco un consanguineo della mia carne o qualche altro piacere, per cui mi avvenga di adempiere meno perfettamente quelle cose che egli, vivendo nella carne, m’insegnò con la parola e con l’esempio, è chiaro che non lo amo con tutto il cuore avendolo diviso, e che ne do una parte alla carne di lui, e una parte la riservo per la mia.

Infine, egli dice: “Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; e chi ama il figlio o la figlia più di me, non è degno di me” (Mt 10,37). Dunque, per dirla in breve, amare con tutto il cuore vuol dire posporre tutto ciò che lusinga la propria o l’altrui carne, e in questo comprendo anche la gloria del mondo, perché la gloria del mondo è gloria della carne, e non c’è dubbio che chi in essa si compiace è uomo carnale.

(San Bernardo di Chiaravalle, sermone XX da “Sermoni sul cantico dei cantici”)