PREZIOSI CONSIGLI E INSEGNAMENTI SPIRITUALI DI MADRE CATHERINE MECTILDE DE BAR “Nostro Signore cerca anime vuote per riempirle di sé, e non ne trova…Il martirio della vita interiore è senza tregua: finisce solo con la morte”

“Indubbiamente colei che istituì la Congregazione monastica delle Benedettine del SS. Sacramento è una grande maestra di vita spirituale e, per tanti aspetti, una delle più grandi, non solo nella Francia del suo secolo d’oro, ma di tutta la Chiesa”

(Don Divo Barsotti)

Caterina di Bar, in religione madre Matilde del Santissimo Sacramento (Saint-Dié-des-Vosges, 31 dicembre 1614 – Parigi, 6 aprile 1698), è stata una religiosa francese, fondatrice delle monache Benedettine dell’Adorazione Perpetua del Santissimo Sacramento.

«Quando Dio vuole possedere interamente un cuore, sa come trovare i mezzi per svuotarlo e purificarlo dall’attaccamento alle creature e dalla proprietà di noi stessi. La sua mano onnipotente opera in questo cuore una croce perpetua che si fa sentire in varie modalità di sofferenze: a volte con le tenebre, a volte con i timori, a volte con gli spaventi e le ambasce»

(Madre Catherine Mectilde de Bar “Lettera del 1665”)

ALCUNI ESTRATTI DAL LIBRO “IL SAPORE DI DIO” JACA BOOK 1977

“Le anime che desiderano il regno dell’amor puro desiderano allo stesso tempo, senza pensarvi, una guerra spaventosa che deve ridurle al niente. Ce ne sono molte che desiderano l’amor puro, ma non ce n’è quasi nessuna che voglia sostenere da parte sua assalti, fulmini, rovine, rivolgimenti. Chi parla del puro amore senza conoscerlo nelle sue conseguenze, crede che sia tutto piacere e dolcezza. Ma un’anima che lo possiede conosce benissimo per esperienza che con lui non c’è tregua. Bisogna che tutto gli ceda, e che egli immoli tutto quel che ha vita in noi, per darci vita in lui. L’amor puro non è mai senza sofferenza: la croce, il dolore, il disprezzo sono il suo alimento. Di questo egli si nutre nelle anime. E se volete trattenerlo in voi, bisogna che abbiate di che alimentarlo. Fate provvista di croci e sofferenze, altrimenti non lo terrete a lungo. La croce mantiene l’amor puro e l’amor puro sostiene la croce; sembrano inseparabili,e quando l’anima non sperimenta la croce, soffre di non soffrire. Oh come siamo ancora lontane dall’avere in noi l’amor puro!”

Quante volte purtroppo ci sentiamo spinti interiormente a lasciare tutto, a ritrarre i nostri affetti dalla terra per seguire Gesù nella sua vita povera e sofferente. Ma i nostri attaccamenti sono così forti, che è necessario alla sapienza divina mandarci sconvolgimenti, perdite e incidenti vari, per portarci via a forza quel che non vogliamo proprio dare per amore. Non senza ragione le anime illuminate chiamano le afflizioni della terra visite del Signore ed effetti del suo santo amore. Se poteste penetrare l’amore che Gesù Cristo porta alle anime e il desiderio infinito che ha di santificarle, trovereste gran piacere nelle afflizioni, croci e sofferenze, poiché nella luce della verità di Dio son gli espedienti di cui si serve il suo amore per attirare i suoi eletti e obbligarli, sotto la pressione del dolore, a ritornare a lui, separandosi dalle creature. Bisogna dunque conoscere Gesù Cristo nella vita di sofferenza nella quale egli ci ha meritato la grazia, grazia che avete ricevuto al battesimo e che ricevete attualmente. Per Gesù crocifisso voi siete quello che siete. Unitevi strettamente a lui col desiderio; non fate nulla senza di lui e fate tutto per mezzo di lui. Quando avete qualcosa da soffrire, desiderate che la grazia delle sue sofferenze renda la vostra degna di lui. Nelle umiliazioni, desiderate che la sua umiltà santifichi la vostra abiezione.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Egli ha trionfato per noi del diavolo, del mondo e di noi stessi: sono questi i nostri più crudeli nemici. Uniamoci alla sua potenza divina e diamoci a lui, affinché egli trionfi in noi, atterri i nostri nemici e soprattutto l’orgoglio della vita, come il più malizioso. Abbiamo motivo di rallegrarci nel vedere Gesù vittorioso del demonio. Ma desideriamo che egli vinca anche tutto quello che trova in noi di opposto alla santità del suo regno. Ritiriamoci con lui nel deserto per esser tentate e abbandonate, per aver fame, per restare nelle tenebre, in penitenza e in povertà estrema; in breve per patire ogni sorta di disagi, privazioni e dolori, e non aver dove posare il capo. Amiamo lo spogliamento e tutto quello che ci introduce agli stati puri e santi di Gesù Cristo. Bisogna che siamo tutte rivestite di lui: San Paolo ce lo raccomanda. Non amate che Gesù Cristo, non desiderate che lui, non stimate nulla all’infuori di lui; nulla possedete se non Gesù Cristo, non gustate null’altro che Gesù, non saziatevi che di lui, non sperate altri che lui, non vogliate null’altro che Gesù Cristo, nulla cercate all’infuori di lui; non pretendete nulla se non Gesù, non compiacetevi in nulla oltre che in Gesù, non riposate che in lui, e mettete la vostra soddisfazione nell’essere tutta riempita di lui e da lui consumata.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

La fede ci insegna che Dio è Dio, che vede tutto, che sa tutto, che può tutto, che penetra tutto; nulla può essere nascosto ai suoi occhi divini; egli ha, da tutta l’eternità, disposto e ordinato le vie della nostra santificazione. La fede ci insegna che dalle nostre teste non cade un capello senza il suo comando, che nella sua mano sono il bene e il male, l’afflizione e la gioia, il riposo e la fatica ecc.; che la sua sapientissima e amabilissima Provvidenza dispone di tutto con soavità e santità , per il bene delle anime che si abbandonano a Dio e vivono di fede. Ora qual è l’esercizio della fede? Credere a queste verità che vi ho appena detto, e a tutte le altre che sono in Dio, anche se non le conoscete affatto. Come per esempio: sono contrariata? Ricevo questa contraddizione dalla mano di Dio senza permettere al mio spirito di ragionare tanto, e mi rassegno alla sua santissima volontà con pazienza credendo che Dio me la mandi per la sua gloria e la mia salvezza. Io credo che Dio mi vede. Credo che egli è pieno di amore e di misericordia per la mia anima. Credo che egli non fa nulla che non sia giusto e santo. E nelle diverse circostanze, potete farne degli atti, come dire: «Mio Dio, credo che voi mi amate di un amore infinito, poiché siete morto per me. Credo che avete cura di tutte le mie necessità e che la vostra grazia mi condurrà a voi. Credo nella vostra santa Provvidenza e che non mi cadrà un capello dal capo senza il vostro comando. Di conseguenza, credo che voi vedete il più piccolo dei miei pensieri e che non ci sia niente di casuale per voi, che tutto quello che mi mandate è buono, e non permetterete mai nulla che non sia per la vostra gloria e per il bene dei vostri eletti, nonostante non lo comprenda affatto. Credo, mio Dio, credo in voi e nei vostri santi misteri, e in tutte le verità che avete rivelato alla vostra Chiesa»…Altre volte potrete dire: «lo lavoro, o mio Dio, perché lo volete; il peccato mi ha ridotto a questa pena, la patisco per vostro amore in spirito di penitenza». Potete bere, mangiare, dormire, e così via, in questa disposizione, facendo sempre quel che Dio vuole, evitando il peccato, perché egli lo odia. L’esercizio della fede è dunque credere in Dio e nelle sue divine parole, e lavorare nella forza di questa fede. Io non conosco altro metodo.


(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Perché andiamo all’orazione? Senza dubbio per rendere a Dio i nostri omaggi di adorazione, di sacrificio e di amore. In breve, con l’intenzione di darci tutte a Gesù Cristo, nel desiderio che abbiamo di essere rivestite del suo Spirito e di diventare una sola cosa con lui. Ora, per raggiungere il fine dell’orazione, bisogna che l’anima patisca grandi e aspri sacrifici. Bisogna che accetti di essere spogliata dalle sue abitudini e privata di tanti sostegni. In una parola, bisogna che subisca quasi un rovesciamento e poi sia tutta rinnovata . È il motivo per cui tante anime soffrono nell’orazione, a volte aridità, a volte disgusti, tenebre e mille altre pene che noi sentiamo e che ci insegnano che in queste sofferenze Dio distrugge il nostro amor proprio e stabilisce segretamente il suo regno. Ma bisogna che l’anima si abbandoni alla sofferenza e si sottometta umilmente fra le mani di nostro Signore per essere vittima del suo beneplacito. Vi ho detto una volta che dobbiamo fare sulla terra quel che i beati fanno nel cielo. Essi guardano Dio in pura contemplazione e sono consumati nel suo amore. Noi dobbiamo avere una vista attuale di Dio nella fede e tendere sempre al suo amore. Ora, il perfetto amore non consiste nell’essere commossi nei sensi, ma consiste in una conformità totale. Resa perfetta, la fede realizza l’unione attuale di amore con Dio, come per i beati, unione che noi possiamo mantenere anche nelle azioni e nel trambusto dei nostri doveri, facendo tutte le cose per amore e sottomissione a Dio. C’è molta differenza fra meditazione e orazione. La meditazione è uno studio devoto, nel quale si apprendono i misteri e le verità cristiane; l’orazione li assapora, li gusta e si riempie della grazia che contengono. La prima contempla e considera la bellezza di Dio o le sue grandezze; l’altra lo adora, lo ama e si unisce a lui. La prima è complicata da molte considerazioni, argomenti, discorsi; l’altra è più pura, più semplice e porta maggiormente a unirsi a Dio. Nella prima l’intelletto umano ha di che occuparsi: la luce, i gusti, i ragionamenti nutrono l’intelletto e spesso il nostro amor proprio. Nell’altra noi siamo immolati e la nostra attività è ridotta al niente, o per lo meno è maggiormente purificata e semplificata. In quella ci appoggiamo sul nostro lavoro; in questa riceviamo l’azione divina, aprendoci con molta semplicità, in spirito di abbandono e di consenso amoroso. Nella prima è l’intelletto che agisce; nella seconda è Dio che conduce. E se un’anima ha solo un po’ di coraggio per perseverare nell’orazione, benché si senta piena di ogni sorta di miserie, sono sicura che nostro Signore l’aiuterà e l’introdurrà nella santa unione. Ma occorre molta costanza, poiché il demonio e la natura sono nemici dell’orazione,e fanno il possibile per distoglierne l’anima. Siate perseverante, figlia mia, non patirete sempre così dure lotte, ma dovete passarne ancora. Abbiate molto coraggio; tutto è per la gloria del vostro divin maestro e per l’edificazione del suo regno in voi. Io lo supplico di sostenervi e di unirci perfettamente a lui per sempre. Un grande segreto per fare molto progresso nell’orazione è il sapere ben custodire il silenzio alla presenza di nostro Signore. Col silenzio ci si annienta davanti a questa adorabile maestà, ed è nel silenzio profondo che Dio si fa intendere in modo mirabile.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

“Da quando mi sono ridotto al nulla ho trovato che nulla mi manca” Sono le parole di un gran santo, che l’aveva ben sperimentato. Vi ingannate, mia cara figlia, la vita interiore non consiste nelle luci, ma nel puro abbandono alla guida e allo Spirito di Gesù. E’ bello vedere quel che Dio ci mostra, come la nostra miseria, il nostro nulla, la nostra impotenza, per tenerci nell’umiltà e convincerci che noi non siamo nulla se non per la sua grazia. Queste conoscenze sono buone perché ci sono date da Dio. Ma quelle che sono ricercate dall’attività, dalla forza e dalla sollecitudine del nostro spirito, sono molto aride davanti a Dio, perché non hanno l’unzione della sua grazia. L’unico mezzo per fare un grande progresso nella vita spirituale, è conoscere davanti a Dio il nostro nulla, la nostra indigenza e la nostra incapacità. In questa visuale e in questa convinzione che abbiamo tante volte sperimentata, bisogna abbandonarsi a Dio, affidandosi alla sua misericordia, per essere condotti come a lui piacerà: sia nella luce che nelle tenebre; e poi semplificare il proprio spirito senza permettergli tanto di vedere e ragionare. Bisogna che vi contentiate di quel che Dio vi dà, senza cercare di possederlo in altro modo. Non è a forza di braccia che si acquistano la grazia e l’amore divino, ma a forza di umiliarsi davanti a Dio, di confessare la propria indegnità e di contentarsi di ogni povertà e estremità. Bisogna accontentarsi di non essere nulla, e “sarete tanto più quanto meno vorrete essere”. La vita di grazia non è come la vita del secolo. Nel mondo bisogna farsi avanti e farsi conoscere per comparire ed esser qualcosa secondo la vanità; ma nella vita interiore si avanza facendosi indietro. Ossia: fate fortuna non volendo essere nulla, e comparite tanto più agli occhi di Dio, quanto meno splendore e apparenza avete agli occhi vostri e a quelli delle creature. “Per essere qualcosa in tutto bisogna essere niente del tutto”.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Siate ben contenta che Nostro Signore vi faccia la grazia di tirarvi fuori dalle tenebre della vostra ignoranza e vi faccia vedere e sentire la dipendenza attuale dalla sua bontà, e come senza il suo particolarissimo soccorso non potete far nulla. Questa verità è importante e fondamentale per il nostro edificio spirituale. La tendenza naturale che abbiamo ad elevarci, cioè alla nostra esaltazione e alla vanità, obbliga Nostro Signore a tenerci a lungo, e qualche volta per tutta la vita, nella conoscenza e nei sentimenti della nostra bassezza. E benché noi proviamo, con una esperienza fin troppo palpabile, l’abisso della nostra misera corruzione, e benché la nostra coscienza ci rimproveri a ogni istante le nostre impurità e infedeltà, siamo così attaccati alla stima di noi stessi, da non poter sopportare che ci si condanni o disprezzi. Non possiamo sostenere i rifiuti che meritiamo. Siamo abbastanza convinte di non far nulla che abbia valore; tuttavia accettiamo e abbiamo una contentezza segreta in noi, quando gli altri approvano quel che facciamo. Siamo abominevoli davanti a Dio, e spesso ce lo diciamo interiormente; eppure, nelle occasioni in cui siamo un poco disprezzate, ci sentiamo morire. È cosa molto rara vedere anime che vivano nella verità. Tutti viviamo, ma purtroppo la maggior parte conduce una vita di menzogna e si nutre di vanità. Si prende l’ombra per il corpo e dell’accessorio facciamo ciò che è principale. Deploriamo il nostro accecamento, e riconosciamo come fino ad ora voi e io siamo vissute nelle tenebre e nella menzogna. L’anima che non è nella conoscenza di sé non è nella verità. Per vivere nella verità bisogna vivere nell’umiltà, o per meglio dire nel nulla… O beata perdita, o perdita salutare! Figlia mia, perché non ci siamo perdute così da non ritrovarci più che in Dio! Se conosceste questa somma felicità, vorreste patire mille e mille morti per possederla.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Ammetto che il martirio che si soffriva anticamente era crudele; ma non era di lunga durata. La vista della ricompensa li animava. Ma il martirio della vita interiore è senza tregua: finisce solo con la morte. E bisogna avere una costanza invincibile per non scoraggiarsi e non perdersi d’animo negli assalti di tante tentazioni violente che vengono ad assalirci, sia da parte del demonio, sia da parte nostra, sia da Dio stesso per provare l’anima. Ci vuole fermezza, ci vuole pazienza; e per meglio riportar vittoria bisogna annientarsi. È una guerra in cui bisogna perdere se stessi per vincere.. Voglio che nelle vostre miserie vi separiate dalla colpa, ossia odiate le vostre debolezze, la malizia e quello che disonora Dio. Ma non vi è permesso di sottrarvi alla pena e alla umiliazione. Ecco come bisogna fare: cado in un’infedeltà? subito la natura vorrebbe rattristarsene, e io provo un po’ di amarezza nel cuore, che tenderebbe a vedermi liberata da questa malizia. Noi possiamo esser messe in queste circostanze da Dio o da noi stesse. Quanto a me, ho riconosciuto per esperienza che la maggior parte dei gemiti dell’anima sono unicamente prodotti dalla fonte del nostro amor proprio. E noi abbiamo una tendenza insaziabile a liberarci dalla croce e dall’umiliazione. A questo dobbiamo un poco fare attenzione. Non c’è niente che umilia di più un’anima che le sue frequenti cadute, poiché bisogna necessariamente che essa confessi le sue debolezze, e ammetta di aver bisogno di un soccorso più potente di quello che l’orgoglio e la sufficienza penserebbero di trovare in noi. E’ quindi assolutamente necessario sperimentare il poco che siamo da noi stessi, avere diffidenza di sé e tendere a separarci continuamente dal nostro io.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Comprendete una buona volta la fortuna racchiusa nelle vostre debolezze. Vedete se, in certo modo, le vostre miserie non siano amabili. Esse vi sono così utili che, senza i sentimenti che ne avete, non potreste mai possedere solidamente la conoscenza di voi stessa. Dovete dunque odiare le vostre infedeltà perché disonorano Dio, ma non turbarvene né inquietarvene.Odiate la colpa, ma amate con affetto la pena. Doletevi di essere contraria a Dio, ma siate contenta che questo vi umilii e vi faccia conoscere il vostro fondo cattivo. Voglio si che gemiate sotto il peso di questa carne di peccato con San Paolo, ma desidero che entriate nella sua profondissima umiltà. Giacché le miserie che egli avvertiva lo gettavano in un abbassamento così estremo, che egli si diceva un piccolo aborto e indegno del nome di apostolo. Non dice forse che si gloria nelle sue infermità? E quali sono le infermità di San Paolo? Sono i pungiglioni dei peccati che egli portava e provava continuamente in sé. E mentre ne chiedeva la liberazione, ha imparato che attraverso tutte queste miserie, la sua anima si perfezionava. Mia carissima figlia, non turbatevi, il vostro stato è buono; ma non datevene tanto pensiero. Siate più abbandonata e più fiduciosa in Dio. La vostra perfezione è opera del Cristo. Siate sicura che egli la coronerà con le sue benedizioni. Ma dovete restar ferma, accettando che il suo amore distrugga in voi tutto quello che è opposto al suo regno. Compiango la vostra anima che si tormenta nelle tenebre e nell’ignoranza. E per il fatto che non comprende la via in cui nostro Signore l’attira per farla sua, si tormenta e si affatica molto inutilmente. Diventate un bimbo piccolo, più sottomessa che mai e più semplificata nei vostri pensieri. Vi assicuro che la vostra via è buona e santa, camminate con fiducia.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

La bontà di Nostro Signore non permetterà che siate tentata al di sopra delle vostre forze. Affidatevi alla sua misericordia al di là delle vostre ripugnanze e della malizia del vostro intimo che vi ritrae, per quanto può, dal vostro caro abbandono. Non rinunciate alla lotta, non cedete se non per inabissarvi nel nulla profondo. E’ il vostro rifugio, ma non l’avete ancora ben considerato. Non vi accorgete ancora come potete vivere morendo e morire vivendo. Oh, come sono pochi quelli cui Gesù diceva nella sacra Scrittura: «Vuoi essere perfetto? Dà i tuoi beni ai poveri, rinuncia a te stesso, prendi la tua croce e seguimi». Si trova anche chi dà i propri beni ai poveri, ma non si trova quasi nessuno che segua Gesù. Felice l’anima che riconosce la sua chiamata e lo segue con fedeltà. Cosa temete? di perdere voi o le creature? Ma no, non abbiate paura, giacché questa perdita è il principio della vostra felicità eterna. Abbandonando noi stessi troviamo Dio e riceviamo la grazia di seguirlo. Non abbiate più rimpianto di perdere tutto, poiché è questo l’unico mezzo di possedere Gesu. State attenta che le creature non vi trascinino e vi sottraggano a voi stessa. Non datevi premura per alcuna cosa umana, e guardatevi bene dal preferire qualcosa a Gesù Cristo. Oh, è un gran segreto sapersi abbandonare davvero, in un profondo silenzio, davanti a nostro Signore! Rimanete in pace, nella parte superiore della vo- stra anima, e acconsentite di buon grado che Egli vi purifichi come gli piacerà. Guardatevi bene dal voler dare leggi a Dio riguardo al modo con cui vi conduce. Gli stati umilianti sono i più santi e i più utili. Se fossimo illuminate con la pura luce della fede, non vorremmo più uscire dallo stato di impotenza e di abbassamento.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Com’è bello che siate ridotta nel vostro niente senza accorgervene, come dice il profeta. L’anima annientata diviene pura capacità di Gesù Cristo, non gli si oppone più. Figlia mia, quando sarà che vi vedrò in questo annientamento? Allora vedrete diversamente tutte le cose, perché i vostri sensi non vi inganneranno più. Lasciatevi condurre in segreto e quasi a vostra insaputa, al fine di evitare gli ostacoli che potreste frammettere. La mano di Dio ha una potenza infinita per introdurvi fin là, ma non le resistete. Acconsentite a tutti gli spogliamenti che la Sapienza eterna farà in voi, sia per l’attività della vostra anima, sia per le creature che ancora possedete, alle quali potete avere attaccamenti segreti. Esponetevi in assoluto spogliamento alla forza dell’Amore divino, e sperimenterete la sua potenza. Nostro Signore cerca anime vuote per riempirle di sé, e non ne trova. Siamo così meschine nei riguardi di Dio. Quando voi gli date un piccolo istante della vostra vita, o sopportate un quarto d’ora di pena, vi sembra che egli ve ne sia molto debitore! Non avete abbastanza riconoscenza per quel che Nostro Signore ha fatto per voi, né per l’amore che vi porta. Avete anche questo di cattivo, di essere troppo umana, di voler troppo conciliare la grazia con la prudenza della carne: mirate troppo in basso, e qualche volta addirittura a niente per considerazioni o timori umani. Non semplificate abbastanza il vostro spirito e non vi abbandonate abbastanza alla guida divina. Vi smarrite nelle creature. Non siete fedele, negli eventi, a vederli nel piano di Dio e nella dispensazione divina…E’ l’esercizio che dovete praticare attualmente, tenendo dolcemente il vostro spirito alla briglia, per paura che vi sfugga, come un cavallo non domato. Umiliatevi dunque a dovere. Gradite in spirito di umiltà tutta la povertà e miseria che la Provvidenza vi fa provare. Le privazioni, le tenebre e le impotenze: tutto è buono, poiché è Dio, la sapienza eterna, che le dona. Rimanete soltanto costantemente abbandonata e non preoccupatevi affatto del resto; Dio provvederà a tutti i vostri bisogni: la vostra santificazione è opera sua.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Figliola cara, non scoraggiatevi per questo stato di morte totale di sé. Non è opera delle creature, ma opera della mano onnipotente di Dio, che vi fa entrare l’anima a misura che essa si spoglia e si spropria di tutto quel che occupa e riempie il suo intimo. E’ lo stato puro e santo che avete votato nel battesimo. È quello che ci fa cessare di essere quel che siamo per far essere e vivere Gesù Cristo in noi. Questa morte appare crudele e molto dura alla natura e ai sensi; ma è piena di sapore per lo spirito. E un’anima che ha appena un po’ di stima, amore, rispetto per Dio, sacrifica di buon cuore la vita e l’essere alla divina grandezza, per un intimo desiderio di vederlo vivere e regnare in noi, di glorificarsi in noi secondo il suo beneplacito. Più vi conosco, più sono confermata sulla vostra chiamata a questa via di purezza. Non che occorra che vi siate introdotta subito ora; ma dovete sempre conservare il desiderio di arrivarvi e tendervi secondo la vostra grazia e la vostra capacità. E se ci vediamo lontane dalle disposizioni di Gesù, non dobbiamo stancarci di aspirarvi, ma fare perciò tutto quello che la Provvidenza del nostro buon Dio ha messo in nostro potere, abbandonando tutto il resto alla sua misericordia e al suo amore. La lontananza in cui vi trovate ora da questo stato beato, procede da una luce più grande che vi manifesta le vostre miserie e indegnità. Non dovete conoscere il vostro progresso in questa via; ma dovete camminarvi nell’accecamento, sottomettendovi alla guida che Dio vi ha dato, senza permettere al vostro spirito di ripiegarsi per vedere il suo avanzamento… So bene che siete ancora lontana da questo stato; ma la pazienza e la grazia portano con sé ogni cosa, e Nostro Signore vi ci farà entrare per una via che non pensate. Restate sempre molto abbandonata. Non uscite dallo stato di sacrificio in cui vi tiene. Lasciatevi guidare dal suo Spirito divino.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Sono molto consolata dalla vostra fiducia in Dio e dalla pace e quiete che possedete nel vedere la vostra lontananza e i tanti ostacoli che incontrate in questa via di purezza. Colui che da tutta l’eternità vi ha fatto l’onore e la grazia di destinarvi a questa perfezione, sarà la vostra forza e la vostra virtù per entrarvi. Non vi scoraggiate mai. Continuate a sacrificarvi, dal momento che a questo vi sentite spinta, vedendo i vostri contrasti e le vostre croci. Ecco il tempo della fedeltà; bisogna essere costante con la costanza e fermezza di Gesù Cristo… Adorate la mano preziosa e adorabile che vi crocifigge, e state bene attenta di non considerare nulla nella condotta delle creature. Guardate tutti gli eventi nel piano di Dio e sottomettetevi con rispetto. Bisogna che la sua opera si compia. Non sarete mai una vera cristiana se non siete in croce e se non consumate su di essa la vita come il vostro divino maestro. Che cosa temete, figlia mia? Un po’ di vergogna e confusione da parte delle creature? E non temete il disprezzo che avete per Dio e la sua grazia? Per una vanità ci mettiamo in pericolo di perdere un’eternità beata? Ahimé! se le creature ci potessero santificare, bisognerebbe averle in considerazione; ma esse ci fanno perire e sono attualmente opposte alla nostra santità… Lasciamole di buon cuore, non preferiamole più all’amore di Gesù. Non possiamo servire due padroni: a Dio e a noi stessi. Bisogna necessariamente lasciare l’uno o l’altro. Non è forse giusto lasciare tutto per Gesù? Colui che non rinuncia a se stesso non è degno di essere suo discepolo. Mio Dio! figlia mia, come desidero vedervi perfettamente sottomessa alla guida di Dio e tutta ricolma del suo divino Spirito; siate molto generosa nelle vostre croci, che i timori e le considerazioni umane non vi facciano per nulla desistere dal santo proposito di essere tutta di Dio.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

L’amor puro è bello, colmo di attrattive, ma noi siamo ancora troppo impure per possederlo; non potrebbe dimorare un istante in noi. Si riposa nelle anime totalmente annientate, e fino a che voi non lo siate, sopportate con pazienza di vedervi in questa dura e crudele privazione. Dovete essere persuasa che non siete degna di possederlo; e per rendervene degna bisogna che stiate nell’abisso dell’umiliazione. Poiché, fintanto che la superbia regnerà in voi, il puro amore non vi potrà inabitare. Lasciatevi dunque distruggere, umiliare e consumare nel centro del vostro niente, e dopo vedrete l’amor puro riposarsi in voi come nel suo letto di riposo. Ma sappiate che l’amor puro non potrebbe tollerare la minima impurità, il minimo interesse personale, vanità e compiacimento. E’ amabile nel suo possesso, ma rigorosissimo nella sua operazione. È un monarca così potente che riduce tutto sotto il suo impero, e non lascia un’anima in riposo senza aver fatto in essa un capovolgimento totale. È senza pietà e senza misericordia: spezza tutto, distrugge tutto. Va ancora più in là, giacché consuma tutto. Non può tollerare la minima resistenza. Ha armi molto potenti, e arriva fino a fare dei martiri. Finalmente è un grande conquistatore. Vuole assoggettare le anime al Cristo, strappandole alla tirannia in cui il peccato le ha tenute così a lungo. Le anime che desiderano il regno dell’amor puro desiderano allo stesso tempo, senza pensarvi, una guerra spaventosa che deve ridurle al niente. Ce ne sono molte che desiderano l’amor puro, ma non ce n’è quasi nessuna che voglia sostenere da parte sua assalti, fulmini, rovine, rivolgimenti. Chi parla del puro amore senza conoscerlo nelle sue conseguenze, crede che sia tutto piacere e dolcezza. Ma un’anima che lo possiede conosce benissimo per esperienza che con lui non c’è tregua. Bisogna che tutto gli ceda, e che egli immoli tutto quel che ha vita in noi, per darci vita in lui. L’amor puro non è mai senza sofferenza: la croce, il dolore, il disprezzo sono il suo alimento. Di questo egli si nutre nelle anime. E se volete trattenerlo in voi, bisogna che abbiate di che alimentarlo. Fate provvista di croci e sofferenze, altrimenti non lo terrete a lungo. La croce mantiene l’amor puro e l’amor puro sostiene la croce; sembrano inseparabili,e quando l’anima non sperimenta la croce, soffre di non soffrire. Oh come siamo ancora lontane dall’avere in noi l’amor puro! Tuttavia abbiamo qualche motivo di consolarci, giacché egli ha già inviato i suoi ufficiali a contrassegnare i suoi appartamenti. Sono sicura ch’egli vi vuole prendere alloggio, ma bisogna ch’egli li faccia ripulire e mettere in ordine. È quello che sta facendo in voi. Lasciatevi dunque purificare. E se mi dite che non ve ne rendete conto affatto, vi rispondo che i vostri occhi sono troppo impuri per vederlo, e che Dio vuole da voi non i sensi ma la fede pura. Per questo dovete esercitarla. È molto che vi predico questa lezione. Ma il vostro spirito è talmente abituato al ragionamento, a vedere e a sentire, e questa parola di fede gli è così nuova, che non la sa accettare. Tuttavia è questa la vostra via e, se non camminate in essa, non gusterete Dio, e non lo adorerete mai in spirito e verità.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Figlia mia cara, va bene così soffrite in pace tutto quello che Dio vi manda: tenebre, oscurità, impotenze.Tutto è buono, poiché lo dà Dio: egli stesso ne farà in voi l’uso che vuole. Quando dico che vi abbandoniate, intendo dire: rimanete nella vostra miseria e impotenza, e attendete con fiducia che il Signore ve ne liberi. C’è ben altro da soffrire: non siete che agli inizi. Non vi scoraggiate, vi assicuro che Nostro Signore sarà la vostra forza e non vi abbandonerà. Nostro Signore ordinò ai suoi discepoli, dopo l’ascensione, di ritirarsi, riposare e attendere di essere rivestiti del suo Spirito Santo. Fate lo stesso, vi prego, e abbandonatevi interamente a Nostro Signore, affidatevi alla sua bontà. II vostro stato presente non sarà di lunga durata; dopo il dolore viene la gioia. Non desiderate nulla, non cercate nulla, non amate nulla se non il beneplacito di Dio in tutte le cose, accontentandovi di tutti gli stati d’animo, di tutte le disposizioni interiori, in breve di tutto quello che la divina Provvidenza vi farà provare. Siate la vittima divorata e consumata e godete di essere nelle tenebre, nell’impotenza,in prigionia: tutto questo è buono e produce buoni effetti, se continuate ad essere abbandonata. Voi non vedete quel che Dio opera in voi. Sentite il vostro dolore e il gemito della natura, ma non vedete che Dio la purifica distruggendo le vostre soddisfazioni. Oh! se la vostra anima avesse abbastanza coraggio per abbandonarsi in preda all’amor puro, quali effetti meravigliosi esso produrrebbe! Ma poiché é fa soffrire e rovina il nostro amor proprio per stabilire il suo impero divino, questo ci ritrae dal nostro abbandono e ci priva di un possesso così santo. Tutta la beatitudine e felicità dell’anima è amare Dio, ed è l’occupazione dei beati nella gloria. Perché non incominciare fin da questo mondo, giacché possiamo amare, e Dio ce lo comanda? Amiamo come Dio desidera e come vuole esser da noi amato. Ora, amarlo come si deve, è amarlo in tutti i modi, riconoscere che tutto quello che fa va bene, approvare e consentire a tutti i suoi disegni, segreti e manifesti, su di noi, sottomettere ogni nostra volontà alla sua, non preferire nulla al suo amore, guardare a lui in tutte le cose, ricevere immediatamente tutto dalla sua santa mano, gradire le nostre perdite, umiliazioni e croci; insomma è esser fatta, grazie a questo amore una cosa sola con lui, con una perdita totale di noi stessi.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Alla Croce è legata la nostra santificazione, poiché è impossibile essere santi senza essere in croce. La purezza della vita è nella croce, tutte le virtù sono nella croce, la profonda umiltà è nella croce, il sacro annientamento è nella croce, la morte è nella croce, e perfino vi si incontra la vita. O croce preziosa, o croce tanto adorabile, che mortifica, vivifica, santifica! Croce potente che ha la grazia di fare i santi, di convertire i peccatori, in una parola di consumare le anime nell’amore di Gesù. Quale anima vorrebbe esser senza croce, conoscendo la sua eccellenza? Un’anima che non volesse la croce deve rinunciare alla salvezza, poiché solo nella croce la trova. Questo nome della Croce è cosi amabile alle anime che vivono di grazia, che lo portano inciso nel cuore e, se si facessero vivere senza croce, sarebbero terribilmente crocifisse di non essere in croce. Seguiamo queste anime grandi, anche se da lontano, però secondo le nostre forze e la capacità che Gesù mette in noi. Se non avete per la croce un amore così grande, almeno non ne abbiate ripugnanza; poiché è il tesoro che Nostro Signore ha posseduto sulla terra e ha lasciato in eredità ai suoi eletti. Se abbandoniamo la nostra parte, rinunciamo alla nostra eterna felicità. Perciò vi amo nella croce e nell’amore della croce vi abbraccio, stringendovi ad essa con Gesù, e offrendovi in sacrificio per esser unita e consumata sulla croce. Là vi lascio senza separarmi da voi.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Gesù Cristo ci ama con un amore troppo santo per amarci in tal modo. Ci ama per farci aver parte alla sua gloria. Ci ama per l’eternità e per farci gustare la verità divina. Ci ama per unirci a sé e farci, con la sua grazia, una cosa sola con lui. E noi non vogliamo aver riguardo al suo amore. Perché? Perché è un amore che non soddisfa l’impurità del nostro amor proprio, il quale s’immerge nella vanità di questa vita come in una felicità eterna. L’amor proprio si sazia con tutto ciò che è umano e non stima se non quel che accontenta la natura e soddisfa il nostro spirito. La luce di verità non brilla ai nostri occhi: la vanità, la menzogna sono la fiaccola che ci guida e che insensibilmente ci conduce al peccato. Ma poiché l’amore di Gesù Cristo crocifigge i nostri sensi, non lo possiamo stimare né sopportare, e così preferiamo la creatura e il piacere del peccato alla purezza e santità dell’amore di Gesù Cristo. Figlia mia, giudicate se non siamo proprio ciechi.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

E voi, carissima, cercate di ottenermi lo Spirito Santo. Ne ho molto bisogno; lo desidero e lo temo, poiché quando egli si impossessa di un cuore lo spoglia in modo tale che non si può più parlar d’altro che di morte e di spada, di croce e di supplizio; egli dà la morte [all’anima] senza misericordia, e non dà tregua: bisogna o non accoglierlo affatto o cedergli in tutto e per tutto, perché vuole regnare da sovrano assoluto; dispone di tutto a sua discrezione e si fa obbedire per bene; ma bisogna anche dire che le sue prerogative sono così divine ed è così adorabile, così santo, che per possederlo si stima vera gloria il perdere tutto, e volentieri si accetta di essere infelici secondo il mondo, per esser felici nel possesso di un bene così inestimabile, che peraltro è invidiato solo dalle anime molto illuminate dalla sua luce divina. La natura e lo spirito umano non possono trovar piacere alcuno in tutto ciò, ma bisogna lasciarli urlare e disperarsi, perché noi dobbiamo appartenere interamente a Dio, ed essere ricolmi del suo Spirito. Io lo prego che operi in voi un così potente e divino sconvolgimento che ne siate tutta trasmutata in lui e che mi otteniate la conversione.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Lo so che Egli spesso ci conduce attraverso prove assai dolorose, ma è necessario accettarle con abbandono, o altrimenti rinunciare al cristianesimo. Ah, non pensiamo di poter mettere d’accordo il nostro amor proprio con l’amore divino: bisogna che l’uno o l’altro abbia dominio assoluto. Ora, siete troppo illuminata per non preferire Gesù e per non amare gli interessi di lui più dei vostri: davvero, dobbiamo perder tutto per guadagnare lui, perché egli non si dà interamente se non a chi si dà a lui senza riserva alcuna; e fino a quando non saremo in questo reale abbandono non sperimenteremo la pura vita della grazia, perché I’anima non può gustare veramente Dio se non ha perduto il gusto delle creature. La naturale tenerezza che nutriamo per noi ci è spesso di grande ostacolo; se non siamo capaci di immolarci in modo totale, dobbiamo almeno lasciar da parte il nostro io e far di tutto perché la nostra miseria non ci impedisca di tendere a questo abbandono assoluto. Vi prego di imprimervi fortemente nell’animo una verità essenziale: vedete tutte le cose in Dio, il bene e il male, il dolce e l’amaro, la fatica e il riposo, la perdita e il guadagno, l’inquietudine e la calma, la povertà e la ricchezza, l’indigenza e l’abbondanza, la fortuna e la sfortuna, gli onori e i disprezzi: insomma ogni cosa, tranne la malizia del peccato che in Dio non può esistere; ma tutto il resto è in lui, come la fede c’insegna, e quindi dobbiamo considerare tutto come opera della sua mano adorabile e santa. È sommamente importante porre questa convinzione come fondamento, onde stabilirci nella verità e al tempo stesso svincolarci dalle creature, che di solito nelle diverse circostanze ci invadono lo spirito e prendono il posto di Dio; dobbiamo invece ritenere lui solo autore di tutte queste cose.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Bisogna che l’anima vostra riceva tutto come in prestito dalla santa mano di Dio, e che impariate a liberarvi santamente e dolcemente da tutto quello che possedete, quasi riconsegnando di tanto in tanto ogni cosa alla potenza e alla disposizione divina perché tutto si compia secondo il suo beneplacito e non secondo i vostri desideri. Dopo aver cosi rinunziato a tutte le creature quasi riconsegnandole a Gesù, dovete riconsegnargli anche voi stessa. Ed eccoci al secondo passo nella perfezione. Ora, la piena rinuncia a se stessi è la cosa più difficile della vita interiore, poiché daremmo tutto pur di conservare il nostro io; abbiamo in noi e per noi un amore così spaventosamente disordinato che non c’è nulla al mondo che non faremmo per conservare il pieno dominio dell’io. Quest’amore di noi stessi è così astuto nella salvaguardia dell’interesse proprio, che le minime occasioni atte ad annientarlo lo fanno fremere di orrore e gli suggeriscono mille sottigliezze per sfuggire il dolore. Sa, povero infelice, di essere condannato; sa che non può essere in amicizia con Gesù Cristo; sa che deve essere distrutto, perché Dio solo ha diritto di essere e quindi l’esistenza che vorrebbe usurpare non gli sarà mai accordata: per questo appunto fa di tutto per restare in vita più che può; ma insomma si tratta di una rapina fatta a Dio, che solo è e vive in sé, senza dipendere da alcuno, mentre il nostro miserabile io pretenderebbe sussistere da sé. Bisogna perciò annientarlo, in omaggio all’Essere infinito: e proprio questo l’io non vuol sopportare, giacché la brama di essere qualche cosa è così grande e così radicata in noi che, a meno di una grazia specialissima e di un’inviolabile fedeltà, non riusciremo mai a distruggerla completamente. Oh, quanti sacrifici! quante lotte, quante agonie, quanti assalti, quante violenze: insomma, quante volte dobbiamo morire!..e alla fine si è costretti a confessare che occorrono una fede e un coraggio invincibili per venirne a capo. Ma se c’è tanta fatica, c’è anche un bene infinito come ricompensa, perché perdendo noi stessi guadagniamo Cristo Gesù. Vedete dunque che felice trasformazione e che eterna beatitudine essere Gesù con Gesù, vivere e operare solo per lui e in virtù sua. Abbiate infinitamente cara questa gloriosa trasformazione e credete che davvero non esiste sorte più sublime.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Vi trovo anche troppo timorosa dell’umiliazione. Siete troppo umana, il vostro spirito vuole troppo vedere, troppo sentire, troppo conoscere. È troppo pieno della propria luce e ha soverchia paura di perdersi e di essere privato dei suoi amici. Dovete imparare a vivere di fede e a entrare per suo mezzo nel perfetto abisso del vostro niente. Ricordatevi delle parole di nostro Signore a Nicodemo: «Se uno non rinasce, non può vedere il regno di Dio». Che cos’è il regno di Dio se non il possesso che abbiamo di lui? Che egli viva in noi e ci dia vita in lui. Conoscere Dio e Gesù Cristo, suo Figlio, da lui mandato: non è forse questa la vita eterna? Mia carissima, non potete conoscere Gesù Cristo che uscendo dalle vostre luci personali per rivestirvi della luce della fede…

Dovete amare le vostre debolezze e umiliazioni. Ora, non v’è nulla che confonda di più un’anima quanto il peccato. Dovete gloriarvi nella vostra bassezza, amare il vostro nulla, la vostra impotenza e servitù, nella misura in cui vi fa conoscere il bisogno che avete di Gesù Cristo e del soccorso della sua grazia. Essa vi fa conoscere l’attuale dipendenza che avete dalla sua bontà, senza la quale perireste ogni momento. L’umiltà speculativa è buona, ma quella che è frutto di esperienza vale molto di più. I pensieri svaniscono, ma il sentimento rimane più a lungo. Amate dunque l’annientamento che Dio vuole operare in voi. Egli, volendo farvi sentire il peso della vostra miseria, permette le vostre cadute per obbligarvi a conoscere e vedere quel che potete da voi stessa. Vuol farvi sentire per esperienza che tutta la vostra capacità sta nell’offenderlo ed essergli contraria e, dopo avervi fatto conoscere da voi stessa questa verità, egli vi attira insensibilmente in un profondo abbassamento davanti alla sua maestà. Vi fa riconoscere la vostra impotenza e tutta la vostra miseria e povertà e vi tiene bene avvinta alla sua grazia e al suo amore. E così, voi conoscete per esperienza come la creatura non è che peccato e non può altro se non essere opposta a Dio, distruggendo [in sé] il suo regno e rendendosi attualmente indegna delle sue misericordie. Le anime molto orgogliose cadono assai più spesso delle altre, perché devono gustare l’amaro della loro malizia. Altrimenti non si condannerebbero quasi mai.

Nella disposizione in cui siete, la ripugnanza che sentite a sbagliare procede da un fondo corrotto. Non è il rispetto di Dio che vi trattiene su questo punto, bensì la pena di esserne respinta e umiliata. Non conoscete abbastanza voi stessa, imparate che siete peccato, e che tutta la vostra capacità è di peccare. Se da voi stessa siete così miserabile, perché vi meravigliate tanto delle vostre miserie e infedeltà? Pensate di essere impeccabile? Purtroppo, se lo foste per un verso, la vanità vi consumerebbe dall’altro. Non turbatevi più per i vostri difetti, ma imparate a umiliarvi. Dopo essere caduta, rialzatevi come se non foste caduta e, abbassandovi davanti alla grandezza di Dio, portate alla sua presenza il peso della vostra umiliazione e sopportate che Dio distrugga, per questa via, il fondo della vostra corruzione, l’orgoglio e l’ambizione segreta, la stima e la buona opinione di voi stessa che si alimentano insensibilmente in voi. Siete fatta in tal modo che non sarete mai umile se non cadendo. Ma per evitare le grandi confusioni, umiliatevi profondamente e fate uso delle piccole, per non obbligare Dio ad abbandonare il vostro orgoglio a miserie più grandi.

San Paolo si glorifica nelle sue infermità e voi fate altrettanto. Glorificatevi, non nella malizia del peccato, ma nell’abisso del vostro nulla che vi fa vedere la vostra impotenza e come dipendete dalla grazia e bontà di Dio. Quale gioia ha un’anima, che per quanto poco appartiene a Dio, di vedere per esperienza che è sostenuta da Gesù Cristo, che non ha né forza né virtù se non in lui, che non ha in se stessa né grazia né bontà alcuna. Vi confesso che questo [mi] rapisce di gioia, poiché l’anima, quando concepisce questa verità, si perde, si abbandona e si consegna interamente a Gesù Cristo. Essa prende gran piacere nel vedere lui solo santo, lui solo grande e potente, lui solo indipendente ecc., e come la propria povertà e miseria la fa stare soggetta alla sua grazia, senza la quale non potrebbe far niente. Quando cadete esponetevi davanti a Nostro Signore nel maggior abbassamento possibile, senza turbamento. Dite con grande semplicità: «Mio Dio, ecco la mia capacità e ciò che io posso fare». E dopo, rimanete umiliata davanti a Dio, soffrendo in pace le pene che la sua misericordiosa giustizia vi imporrà, senza lamentarvi, senza ripiegarvi sulla vostra infedeltà; ma abbandonatevi alla sofferenza rimanendo nel vostro niente, senza attività.

Questo perché la maggior parte delle anime credono che, nelle loro cadute, devono fare molti atti e da parte loro usare grandissima diligenza per liberarsene e uscire dalla sofferenza che sentono. Il mio pensiero è tutto al contrario. Occorre custodire il silenzio, dopo aver confessato semplicemente il proprio fallo, e sopportare con rispetto e abbandono la penitenza che Dio ci fa fare, nella misura e per tutto il tempo che a lui piacerà. Poiché nello stato in cui siete, voi non vi appartenete più, non avete più diritti né autorità su voi stessa. Gesù Cristo è il vostro maestro e il suo Santo Spirito vi deve dirigere. E voi dovete essergli soggetta con grande umiltà, lasciandolo agire in voi come a lui piace senza trovare a ridire. Sopportate dunque che egli vi umili, che vi respinga anche talvolta, fino a sentire il peso della vostra impurità, onde conoscere il vostro nulla di essere e di peccato per esperienza personale. Siete ancora molto delicata, mia carissima sorella, nella via dello Spirito. Dovete agguerrirvi in essa in tutt’altro modo: non uccidendo il corpo, ma dandovi in preda al puro amore di Gesù Cristo. Vi prego, lasciatelo fare, soltanto acconsentite ai suoi adorabili disegni e restate ferma. Vedrete che farà meraviglie degne di lui. Bisogna che sia distrutta la tenerezza naturale che avete per voi stessa, e molte altre cose che non vedete. E’ vero che occorre soffrire un po’ poiché la natura non ama affatto la propria distruzione, ma Dio vi ha dato la ragione per farvi conoscere come la vita che egli vuole stabilire in voi è migliore della vostra, e nel battesimo vi ha dato la fede per fortificarvi e darvi vita in questa verità.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

La speranza vi deve rassicurare che Dio opera in voi, e che perció non dovete cercare nelle creature quanto la sua divina maestà si degna di comunicare direttamente alla vostra anima. Non dovete fare altro che abbandonarvi umilmente e amorosamente alla sua potenza: egli compirà dei miracoli mentre la vostra anima sarà immersa nell’abisso della sua piccolezza e del suo nulla. Tutto il segreto della vita interiore e spirituale consiste nel sapersi lasciar annientare come Dio vuole: egli ha mezzi senza numero per farlo e ne usa come gli piace, ma molto spesso sceglie quelli che non piacciono a noi; lo spirito umano non trova dove poggiare il piede, e perciò si agita e fa tanto rumore che ritrae l’anima dalla sua semplicità. Restate in pace più che mai: oso assicurarvi che è quanto il Signore desidera da voi. Non considerate più la condotta che egli usa con gli altri, e vi basti esser sicura della vostra di modo che, sempre più abbandonata, tendiate dolcemente a dargli vita in voi: ecco quel che deve fare un’anima veramente cristiana. Essa non deve risparmiarsi in nulla: si tratti di sofferenze interiori, o di pene e contraddizioni esteriori, tutto serve al Signore per compiere l’opera sua. E’ un maestro così bravo che ogni pietra gli è utile per il suo lavoro. Non v’è croce, per quanto piccola, che non contenga la sua grazia, se noi vogliamo riceverla con fede pura e semplice: tutto serve ottimamente a un’anima che non vive più per se stessa. Perciò essa è sotto la mano di Dio come un oggetto delizioso nel quale egli si compiace infinitamente. Non vi preoccupate mai troppo dei vostri interessi spirituali ed eterni: basta che siate figlia di Dio e riposiate sul suo seno, abbandonandovi alla sua amabile Provvidenza, onde faccia liberamente in voi e di voi tutto quel che le piace. Un’anima che si sacrifica così amorosamente, s’immerge nell’oceano delle divine compiacenze del suo Dio; e per questo non ha bisogno di formulare tanti atti distinti: il suo stato li comprende tutti e ne contiene anche gli effetti, se resta fedele. Tuffatevi mille volte al giorno nel cuore di Dio, che è il suo Verbo fatto carne. Egli è il vostro adorabile centro: là troverete la forza, la grazia e la virtù; perdendovi così in lui, Gesù diventa il vostro tutto e opera talmente per voi da farvi scorgere la sua virtù che vi circonda e vi sostiene, vi purifica e resiste per voi al peccato. Se qualche volta vi sembra di commetterne in tutto ciò che fate, non dovete turbarvi: la corruzione della creatura è estrema ed è impossibile preservarla da mille debolezze e imperfezioni; però queste, non essendo volontarie, non la separano da Dio. Allora la creatura lo glorifica nella propria abiezione, confessando che lui solo è santo. Lasciate ai suoi piedi tutte le vostre miserie ed egli le consumerà a suo tempo. Vi sono anime che bisogna tenere sempre in vista della loro povertà e bassezza, per timore di qualche piccola compiacenza in se stesse e di vanità nei doni di Dio. Oh, come stimo felice un’anima che conosce la sua profonda miseria e che può sostenerne la vista senza turbarsi! Molti si scoraggiano quando si vedono miserabili e pieni di debolezze e di peccati: non convinti che in ciò consista tutta la loro capacità, pretendono di trovare in se stessi la virtù che non c’è, e si credono abbastanza forti a perfezionarsi da sé, operando secondo i suggerimenti del loro proprio spirito. Povero cieco! non conosci dunque che tu vieni dal nulla e non sai che il peccato ti ha spogliato di ogni bene, grazia, virtù e capacità? Più niente tu devi cercare in te stesso, niente sperare da te: Gesù sarà il tuo divino supplemento; in lui troverai tutto quel che ti manca. Mia carissima sorella, impariamo ad allontanarci da noi stessi avvicinandoci a lui. L’anima trova la sua felicità suprema nel constatare la propria dipendenza attuale dal Suo potere e dalla Sua bontà; nel vederlo sempre e al di sopra di tutte le cose come colui dal quale riceviamo continuamente la vita e ogni respiro, la forza di operare e di soffrire. Se l’anima sa tenersi unita a questo tronco adorabile che è il suo centro e la sorgente del suo essere, sarà riempita meravigliosamente di Gesù e sperimenterà ciò che non son degna di esprimere. Oh! quali verità possiederà! quanti lumi nelle sue tenebre! quanta forza nelle sue debolezze! quanti tesori nella sua povertà; quante grazie nella sua miseria! Ma tutto questo è incomprensibile a chi non ne ha fatto l’esperienza.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Non vi confessate di mancanze nel mangiare, nel bere e così via: bisogna soddisfare con semplicità ai bisogni della natura, dal momento che lo stesso Nostro Signore li ha sofferti nella sua adorabile umanità, benché come Dio avrebbe potuto esentarsene. In queste cose si pecca solo per eccesso o per sensualità. Non crediate di potervi garantire dalle mille imperfezioni che s’infiltrano in ogni vostra azione: l’amor proprio è sempre all’erta per avere la sua parte. Purtroppo, ordinariamente, prende posto per primo e mette la mano nel piatto senza rispetto per Dio; è cosi insolente che, se non lo sorvegliate, lo vedrete spingersi fin sul trono e attirare a sé gli omaggi dovuti a Dio solo. Non si vergogna della sua pretesa di annientare Dio; tanto che, se guardiamo un po’ la nostra vita passata alla luce di Dio, ci accorgiamo come questo maledetto amor proprio ha succhiato tutta la nostra sostanza e disseccato le divine unzioni nella nostra anima, profanando tutti i doni e le grazie che la misericordia di Dio ci aveva dato come mezzi per santificarci. Vedo in me, a questo proposito, abissi spaventosi che mi devono tenere in perpetua confusione. Ma nostro Signore Gesù Cristo è così buono da non respingere un’anima che l’ha tanto misconosciuto e maltrattato; appena torna a lui la riceve e permette che il suo cuore, per quanto corrotto, non cessi di essere il divino tabernacolo di questo adorabile Salvatore, il quale ha detto di non essere venuto per i giusti, ma per i peccatori. Non dobbiamo mai perdere neanche per un momento la fiducia in Dio nonostante qualsiasi caduta, tanto più che la diffidenza gli dispiace infinitamente e ci toglie forza e coraggio di risollevarci. (…)

Continuate i vostri piccoli esercizi di pietà e la santa comunione: essa vi aiuterà non poco a uscire da voi stessa; non trovo nulla di più efficace. Ci sono anime che ricevono tanto da Gesù con la santa comunione. Proprio con questo mezzo così prezioso il Signore trasforma l’anima in sé, imprimendole la sua divina somiglianza. La comunione è un mistero che molto pochi comprendono come merita; con Dio, quanto maggiore è la semplicità, il rispetto, l’abbandono, tanto meglio è; non c’è bisogno di parlare molto: egli penetra il nostro cuore e ne vede il benché minimo movimento. Vi lascio in Dio. Pregate per la sua Chiesa e per il suo regno nelle anime. Chiedetegli la mia conversione e farete una carità di cui egli stesso sarà la ricompensa. Sono tutta vostra in Lui.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

DISPOSIZIONI PER FAR NASCERE GESÙ NELLE NOSTRE ANIME

Non potendo dormire a causa della tosse insistente, penso desideriate che trascorra un quarto d’ora con voi in spirito per dirvi alcuni piccoli pensieri sulle disposizioni che la vostra anima deve avere per ricevere in sé la nascita di Gesù. (…)

La prima è il vuoto in voi stesse delle creature. Nell’albergo non c’era posto per ospitare Gesù. Le creature hanno occupato tutti i posti e gli interessi del nostro amor proprio sono stati anteposti all’accoglienza di Gesù e della sua santissima Madre. Se desiderate che Gesù venga a nascere in voi, fategli posto nel vostro cuore, svuotatelo di tutte le creature e dei vostri interessi. La stalla di Betlemme si trova vuota, Dio vi alloggia come nel suo palazzo e vi fa la sua entrata nel mondo.

La seconda disposizione è la fede. Gesù nasce nel mezzo della notte, nelle tenebre, senza altra luce di quella della divinità. Distaccatevi dai vostri sensi e dimorate nella fede, se volete ricevere la grazia di questo mistero. Bisogna essere nelle tenebre riguardo ai vostri sensi e al vostro spirito proprio, se volete ricevere la luce divina, e Gesù nascerà spiritualmente in voi.

La terza è il silenzio. Gesù è entrato nel mondo in un tempo di pace, in un’ora in cui tutte le creature erano immerse nel silenzio per indicarci che Lui è il Re della Pace, che ama il silenzio e che solo nella calma delle nostre passioni e potenze egli si comunica all’anima raccolta nella solitudine interiore, dove egli fa sentire la sua voce divina.

Quanto è felice l’anima che ordina così bene tutte le cose in se stessa, da far sì che il suo adorabile Signore la renda il luogo della sua nascita!

Ci sono tre tipi di silenzio che dobbiamo imparare e praticare secondo le nostre capacità:

-Primo: il silenzio delle nostre passioni che è una fedeltà attuale al rinnegamento di se stessi, in modo che le passioni mortificate non facciano più rumore.

-Secondo: il silenzio dei nostri sensi, che vorrebbero sempre vedere e sentire ciò che avviene. Questi fanno rumore e turbano il riposo di un’anima che deve consistere in una profonda attenzione a Dio. E’ per questo che bisogna farli tacere senza ascoltarli, ne metterci dalla loro parte.

-Terzo: il silenzio delle potenze della nostra anima, che devono essere annientate: – l’intelligenza deve essere in silenzio, senza ragionamenti superflui e produzioni inutili che procedono solo da una ricerca di se stessi. Deve restare in silenzio, contemplando Dio con rispetto; – la memoria deve essere in silenzio, non ricevendo volontariamente alcuna immagine o ricordo di creatura, restando semplificata alla presenza di Dio; – la volontà deve essere in silenzio, senza desideri, inclinazioni, senza ardore, costrizioni, priva di affetto e attacco a qualsivoglia cosa che non sia Dio solo. In una parola la più santa e migliore disposizione verso la quale la mia anima si sente più portata è la profonda morte in noi stesse, che chiamo il “vero annientamento”.

E’ questa santa disposizione che ha tratto il Verbo dal seno del suo divin Padre per farlo incarnare nel cuore verginale di Maria. Dio si è compiaciuto dell’umiltà della sua serva, della bassezza e del nulla nel quale la SS. Vergine era annientata al di sotto di tutte le cose. Un’anima immersa nel suo nulla rapisce lo sguardo di Dio e si può dire che egli ne resta talmente invaghito che dimentica la sua grandezza e coll’abbassarsi in lei l’innalza fino a Sé. Siate in una disposizione di vuoto, di silenzio, di fede e di annientamento perché solo Dio sia. O adorabile Gesù, nascete, vivete e regnate perfettamente in noi, e tutto quello che in noi vi è contrario sia perfettamente consumato dalla potenza del vostro amore divino.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

“Que­sta può essere la condizione futura di alcuni di noi, se oggi induriamo il nostro cuore: l’apostasia. Un giorno, in questo mondo, potremmo trovarci apertamente fra i nemici di Dio e della Sua Chiesa” STRAORDINARIA MEDITAZIONE DI SAN JOHN HENRY NEWMAN

“I propri errori chi li conosce? Purificami, o Signore, dalle mie colpe nascoste” (Sal 18 (19), 13).

Straordinaria meditazione di San John Henry Newman:

“Può sembrare strano, ma molti cristiani trascorrono la loro vita senza alcuno sforzo di raggiungere una corretta conoscenza di se stessi. Si accontentano di impressioni vaghe e generiche circa il loro effettivo stato; se hanno qual­cosa in più di questo, si tratta di esperienze casuali, quali i fatti della vita a volte impongono. Ma nulla di esatto e siste­matico, che non rientra nemmeno nei loro desideri avere.

Quando dico che è strano, non è per suggerire che la conoscenza di sé sia facile; è quanto mai difficile conoscere se stessi anche parzialmente, e da questo punto di vista l’i­gnoranza di se stessi non è una cosa strana. La stranezza sta nel fatto che si affermi di credere e di praticare le grandi verità cristiane, mentre si è così ignoranti di se stessi, tenen­do conto che la conoscenza di sé è una condizione necessa­ria per la comprensione di quelle verità. Quindi non è trop­po dire che tutti quelli che trascurano il dovere di un abitua­le esame di coscienza, adoperano in molti casi parole senza averne il sensoLe dottrine del perdono dei peccati, e della nuova nascita dal peccato, non possono essere comprese senza una certa giusta conoscenza della natura del peccato, cioè, del nostro cuore. […]

Ripeto, senza una qualche idea giusta del nostro cuore e del peccato, non possiamo avere un’idea giusta del governo morale, di un salvatore o santificatore; e nel professare di crederci, useremmo parole senza attribuire ad esse precisi distinti significati. Perciò la conoscenza di sé è alla radice di tutta la reale conoscenza religiosaed è invano – peggio che invano -, un inganno e un danno, pensare di comprendere le dottrine cristiane come cose ovvie, unicamente in merito all’insegnamento che si può ricavare dai libri, o dall’ascolta­re prediche, o da qualsiasi altro mezzo esteriore, per quanto eccellente, preso in sé e per sé. Perché è in proporzione alla conoscenza e alla comprensione del nostro cuore e della nostra natura, che comprendiamo cosa significhi Dio gover­natore e giudice, ed è in proporzione alla nostra compren­sione della natura della disobbedienza e della nostra reale colpevolezza, che avvertiamo quale sia la benedizione della rimozione del peccato, della redenzione, del perdono, della santificazione, che altrimenti si riducono a mere parole. La conoscenza di sé è la chiave dei precetti e delle dottrine della Scrittura. […] E allora, quan­do abbiamo sperimentato cosa sia leggere se stessi, avremo utilità dalle dottrine della Chiesa e della Bibbia.

Certo, la conoscenza di sé può avere gradazioni. Probabilmente nessuno ignora se stesso totalmente; e anche il cristiano più maturo conosce se stesso solo «in parte». Comunque, la maggioranza degli uomini si accontentano di una esigua conoscenza del loro cuore, e quindi di una fede superficialeQuesto è il punto sul quale mi propongo di insistere. Gli uomini non si turbano all’idea di avere innu­merevoli colpe nascoste. Non ci pensano, non le vedono né come peccati né come ostacoli alla forza della fede, e continuano a vivere come se non avessero nulla da apprendere.

Consideriamo con attenzione la forte presunzione che esiste, che cioè noi tutti abbiamo delle serie colpe nascoste: un fatto che, credo, tutti sono pronti ad ammettere in termi­ni generali, anche se pochi amano considerare con calma e in termini pratici; cosa che ora cercherò di fare.

1. Il metodo più rapido per convincerci dell’esistenza in noi di colpe ignote a noi stessi, è considerare come chiara­mente vediamo le colpe nascoste degli altri. Non vi è ragione per supporre che noi siamo diversi dagli altri attorno a noi; e se noi vediamo in loro dei peccati che essi non vedono, si può presumere che anche loro abbiano le loro scoperte su di noi, che ci sorprenderebbe di ascoltare. […] Ad esempio: ci sono persone che agiscono principalmente per interesse, mentre pensano di compiere azioni generose e virtuose; si spendono gratuitamente, oppure si mettono a rischio, lodati dal mondo e da se stessi, come se agissero per alti principi. Ma un osserva­tore più attento può scoprire, quale causa principale delle loro buone azioni, sete di guadagno, amore degli applausi, ostentazione, o la mera soddisfazione di essere indaffarato e attivo. Questa può essere non solo la condizione degli altri, ma anche la nostra; o, se non lo è, può esserlo una infermità simile, la soggezione a qualche altro peccato, che gli altri vedono, e noi non vediamo.

Ma se dite che non c’è alcuno che veda in noi dei peccati di cui noi non siamo consapevoli (benché questa sia una supposizione alquanto temeraria da fare), pure, perché mai la gamma delle nostre mancanze dovrebbe dipendere dalla conoscenza accidentale che qualcuno ha di noi? Se anche tutto il mondo parlasse bene di noi, e le persone buone ci salutassero fraternamente, dopo tutto vi è un Giudice che prova le reni e il cuore. Egli conosce il nostro stato reale. Lo abbiamo pressantemente supplicato di dischiuderci la conoscenza del nostro cuore? Se no, questa stessa omissione fa presumere contro di noi. Anche se dappertutto nella Chiesa fossimo lodati, possiamo essere certi che egli vede in noi innumerevoli pecche, profonde e odiose, di cui non abbiamo l’idea. Se l’uomo vede tanto male nella natura umana, che cosa deve vedere Dio? «Se il nostro cuore ci con­danna, Dio è più grande del nostro cuore, e conosce ogni cosa». Dio non solo registra ogni giorno contro di noi atti peccaminosi, di cui noi non siamo consapevoli, ma anche i pensieri del cuore. Gli impulsi dell’orgoglio, della vanità, della concupiscenza, dell’impurità, del malumore, del risen­timento, che si susseguono nelle momentanee emozioni di ogni giorno, sono a lui noti. Noi non li riconosciamo; ma quanto importante sarebbe riconoscerli!

2. Questa considerazione ci è suggerita già a prima vista. Riflettiamo ora sulla scoperta di nostre mancanze nascoste, provocate da incidenti occasionali. Pietro seguiva Gesù bal­danzosamente, e non sospettava del suo cuore, fino a che nell’ora della tentazione non lo tradì, e lo portò a rinnegare il suo Signore. Davide visse anni di felice obbedienza men­tre conduceva vita privata. Quale fede illuminata e calma appare dalla sua risposta a Saul a proposito di Golia: «Il Signore mi ha liberato dagli artigli del leone e dagli arti­gli dell’orso. Egli mi libererà dalle mani di questo filisteo»! Anzi, non soltanto nella sua vita privata e segregata, fra gravi tribolazioni, e fra gli abusi di Saul, egli continuò a essere fedele al suo Dio; anni e anni egli procedette, irrobu­stendo il suo cuore, e praticando il timor di Dio; ma il potere e la ricchezza indebolirono la sua fede, e ad un certo punto prevalsero su di lui. Venne il momento in cui un profeta poté ritorcere su di lui: «Tu sei quell’uomo» che tu hai condannato. A parole, aveva conservato i suoi principi, ma li aveva smarriti nel suo cuore. Ezechia è un altro esempio di un uomo religioso che resse bene alla tribolazione, ma che ad un certo punto cadde sotto la tentazione delle ricchezze, che al seguito di altre grazie straordinarie gli erano state concesse. – E se le cose stanno così nel caso dei santi, predi­letti di Dio, quale (possiamo supporre) sarà il nostro vero stato spirituale ai suoi occhi? È questo un pensiero serio. L’ammonimento da dedurne è di non pensare mai di avere la dovuta conoscenza di sé stessi fino a che non si sia stati esposti a molti generi di tentazioni e provati da ogni lato. L’integrità da un lato del nostro carattere non attesta l’inte­grità da un altro lato. Non possiamo dire come ci comporte­remmo se venissimo a trovarci in tentazioni differenti da quelle che abbiamo sperimentato finora. Questo pensiero deve tenerci in umiltà. Siamo peccatori, ma non sappiamo quanto. Solo lui che è morto per i nostri peccati lo sa.

3. Fin qui non possiamo scansarci: dobbiamo ammettere di non conoscere noi stessi da quei lati nei quali non siamo stati messi alla prova. Ma al di là di questo; se non ci cono­scessimo nemmeno là dove siamo stati messi alla prova e trovati fedeli? Una circostanza notevole e spesso rilevata è che, se guardiamo ad alcuni dei santi più eminenti della Scrittura, troveremo che i loro errori recensiti si sono verifi­cati in quelle parti dei loro doveri nelle quali ciascuno di loro era stato maggiormente provato, e in cui generalmente aveva dimostrato perfetta obbedienza. Il fedele Abramo per mancanza di fede negò che Sara fosse sua moglie. Mosè, il più mite degli uomini, fu escluso dalla terra promessa per una intemperanza verbale. La sapienza di Salomone fu sedotta ad inchinarsi agli idoli. […] Se dunque uomini, che senza dubbio conoscevano se stessi meglio di quanto ci conosciamo noi, avevano in sé tanta do­se di nascosta infermità, persino in quelle parti del loro ca­rattere che erano più libere da biasimo, che dobbiamo pen­sare di noi stessi? E se le nostre stesse virtù sono così mac­chiate da imperfezioni, che devono essere le molteplici e ignote circostanze aggravanti la colpa dei nostri peccati?Questa è una terza presunzione contro di noi.

4. Pensate anche a questo. Non c’è nessuno che, comin­ciando a esaminare se stesso e a pregare per conoscere se stesso (come Davide nel testò), non trovi entro di sé mancan­ze in abbondanza che prima gli erano interamente o quasi interamente ignote. Che sia così, lo apprendiamo da biogra­fie e agiografie, e dalla nostra esperienza. È per questo che gli uomini migliori sono sempre i più umili: avendo nella loro mente una unità di misura dell’eccellenza morale più esigente di quella che hanno gli altri, e conoscendo meglio se stessi, intravedono l’ampiezza e la profondità della propria natura peccaminosa, e sono costernati e spaventati di sé. Gli’uomini, in genere, non possono capire questo; e se a volte l’autoaccusa, abituale per gli uomini religiosi, si esprime a parole, pensano che provenga da ostentazione, o da uno strano stato di alterazione mentale, o da un accesso di malinconia e depressione. Mentre la confessione di un buon uomo contro se stesso è realmente una testimonianza contro tutte le persone irriflessive che l’ascoltano, e un invito loro rivolto ad esaminare il loro cuore. Senza dubbio, più esami­niamo noi stessi, più imperfetti e ignoranti ci troveremo.

5. Anche se un uomo persevera in preghiera e vigilanza fino al giorno della sua morte, non arriverà al fondo del suo cuore. Benché conosca sempre più di se stesso col diventare più serio e coscienzioso, pure la piena manifestazione dei segreti che là si trovano è riservata per l’altro mondo. E all’ultimo giorno, chi può dire lo spavento e il terrore di un uomo che sulla terra è vissuto per se stesso, assecondan­do la sua volontà perversa, seguendo nozioni improvvisate del vero e del falso, eludendo la croce e i rimproveri di Cristo, quando i suoi occhi si apriranno di fronte al trono di Dio, e gli saranno evidenti i suoi innumerevoli peccati, la sua abituale dimenticanza di Dio, l’abuso dei suoi talenti, il mal-uso e spreco del suo tempo, e l’originaria inesplorata peccaminosità della sua natura? Per gli stessi veri servi di Cristo, la prospettiva è terrificante. […] Senza dubbio, tutti dovremo sopporta­re la cruda e terrificante visione del nostro vero iodovremo sopportare quell’ultima prova del fuoco prima dell’accetta­zione, ma che sarà una agonia spirituale e una seconda morte per tutti coloro che allora non saranno sostenuti dalla forza di colui che morì per portarci in salvo oltre quel fuoco, e nel quale essi sulla terra abbiano creduto.

[…] Richiamiamoci alla mente gli impedimenti che si frappongono alla conoscenza di sé, e al senso della propria ignoranza, e giudicate.

1.Per prima cosa, la conoscenza di sé non è una cosa ovvia; comporta fatica e lavoro. Supporre che la conoscenza delle lingue sia data dalla natura e supporre che la cono­scenza del nostro cuore sia naturale, sarebbero la stessa cosa. Il semplice sforzo di una abituale riflessività è penoso per molti, per non parlare della difficoltà del riflettere cor­rettamente. Chiedersi perché facciamo questo o quello, con­siderare i principi che ci guidano, e vedere se agiamo in coscienza o per più scadenti motivi, è penoso. Siamo pieni di occupazioni, e il tempo libero che abbiamo siamo pronti a dedicarlo a qualche impegno meno severo e affaticante.

2.L’amor proprio, poi, vuole la sua parte. Speriamo il meglio, e questo ci risparmia la noia di esaminarci. L’amor proprio è istintivamente conservatore. Pensiamo di caute­larci sufficientemente ammettendo che al massimo possano esserci rimaste nascoste solo alcune colpe; e le aggiungiamo quando pareggiamo i conti con la nostra coscienza. Ma se conoscessimo la verità, troveremmo che non abbiamo che debiti, debiti maggiori di quanto pensiamo e sempre in aumento.

3.Un tale giudizio favorevole di noi stessi sarà particolar­mente in noi prevalente, se avremo la sfortuna di avere inin­terrottamente buona salute, euforia, comodità. La salute del corpo e della mente è una grande benedizione, se la si sa portarema se non è tenuta a freno da «veglie e digiuni», darà comunemente alla persona l’illusione di essere migliore di quanto sia in realtà. Le difficoltà ad agire correttamente, sia che provengano dall’interiorità che dall’esterno, mettono a prova la coerenza; ma quando le cose procedono senza intoppi, e per attuare qualcosa non abbiamo che da deside­rarlo, non possiamo dire fino a che punto agiamo o non agiamo per senso del dovere. L’euforico si compiace di tutto, specie di se stesso. Può agire con vigore e prontezza, e scambiare per fede quella che è meramente una sua energia costitutiva. È allegro e contento; e pensa che sia quella la pace cristiana. Se è felice in famiglia, egli scambia tali affetti natu­rali per la benevolenza cristiana e per la solida tempra dell’a­more cristiano. In breve, egli è nel sogno, dal quale nulla potrebbe salvarlo tranne una umiltà più profonda; ma nulla, ordinariamente, lo libera tranne l’incontro con la sofferenza. […]

4.C’è ancora da considerare la forza dell’abitudine. La coscienza, inizialmente, ci ammonisce contro il peccato; ma se non è ascoltata, smette presto di richiamarci; in tal modo il peccato, prima conosciuto, diventa occulto. Sembra allora (ed è questa una riflessione impressionante) che più colpe­voli siamo, meno lo sappiamo; e questo perché più spesso pecchiamo, meno ne siamo angosciati. Penso che molti di noi, riflettendo, possano ritrovare, nella loro personale espe­rienza, esempi del fatto che noi gradualmente dimentichia­mo la scorrettezza di certi comportamenti, di cui inizial­mente avevamo avuto l’esatta percezione. Tanta è la forza dell’abitudine. Per suo tramite, ad esempio, gli uomini giungono a permettersi vari generi di disonestà. Giungono, negli affari, ad affermare ciò che non è vero, o quello che non sono sicuri che sia vero. Imbrogliano e ingannano; anzi, probabilmente cadono ancora più in basso nei comporta­menti egoistici, senza accorgersene, mentre continuano meticolosamente nell’osservanza dei precetti della Chiesa e conservano una religiosità formale. Oppure, indulgenti con se stessi, si danno ai piaceri della mensa, fanno sfoggio di residenze lussuose, e meno che mai pensano ai doveri cri­stiani della semplicità e dell’astinenza. Non si può supporre che essi da sempre abbiano ritenuto giustificabile un tal modo di vivere; perché altri ne sono colpiti; e ciò che altri avvertono ora, senza dubbio anch’essi lo avvertivano un tempo. Ma tale è la forza dell’abitudine. Un terzo esempio è quello del dovere della preghiera personale; inizialmente viene omessa con rimorso, ma ben presto con indifferenza. Ma non è meno peccato per il solo fatto che non avvertiamo che lo sia. L’abitudine l’ha resa un peccato nascosto.

5. Alla forza dell’abitudine deve essere aggiunta quella degli usi e costumi. Qui ogni epoca ha le sue storture; e que­ste hanno tale influenza, che persino le persone dabbene, per il fatto di vivere nel mondo, sono inconsapevolmente portate fuori strada da esse. In un’epoca è prevalso un fero­ce odio persecutorio contro gli eretici; in un’altra, un’odiosa esaltazione della ricchezza e dei mezzi per procurarsela; in un’altra, una irreligiosa venerazione delle facoltà pura­mente intellettuali; in un’altra, il lassismo morale; in un’altra, la noncuranza degli ordinamenti e della disciplina della Chiesa. Le persone religiose, se non fanno speciale attenzio­ne, risentiranno delle deviazioni di moda nella loro epoca […]. Tuttavia la loro ignoranza del male non cambia la natura del peccato: il peccato è sempre quello che è, solo le abitudini generali lo rendono segreto.

6. Ora, qual è la nostra principale guida in mezzo alle perverse e seducenti costumanze del mondo? La Bibbia, evi­dentemente. «Il mondo passa, ma la parola del Signore dura in eterno». Quanto esteso e rafforzato deve necessariamen­te essere questo segreto dominio del peccato su di noi, se consideriamo quanto poco leggiamo la Sacra Scrittura! La nostra coscienza si corrompe, è vero; ma la parola della verità, anche se cancellata dalle nostre menti, rimane nella Scrittura, luminosa nella sua eterna giovinezza e purezzaEppure, non studiamo la Sacra Scrittura per svegliare e risa­nare le nostre menti. Chiedetevi, fratelli miei: quanto cono­sco io della Bibbia? Vi è una parte qualsiasi della Bibbia che abbiate letto con attenzione e per intero? Per esempio, uno dei Vangeli? Conoscete qualcosa di più delle opere e delle parole di nostro Signore di quanto avete sentito leggere in chiesa? Avete confrontato i suoi precetti, o quelli di S. Paolo, o quelli di qualcun altro degli Apostoli, con la vostra con­dotta giornaliera? Avete pregato e fatto degli sforzi per conformarvi ad essi? Se sì, bene; perseverate in questo. Se no, è chiaro che non possedete, perché non avete cercato di pos­sedere, un’idea adeguata di quel perfetto carattere cristiano al quale avete il dovere di tendere, e nemmeno della vostra attuale situazione di peccato; siete nel numero di quelli che «non vengono alla luce, perché non siano svelate le loro opere».

Queste osservazioni possono servire per darvi il senso della difficoltà di raggiungere una giusta conoscenza di noi stessi, e del conseguente pericolo a cui siamo esposti: di darci pace, quando non c’è pace.

Molte cose sono contro di noi; è chiaro. Ma il nostro pre­mio futuro non meriterà che lottiamo? E non merita che peniamo e soffriamo, se con ciò potremo sfuggire al fuoco inestinguibile? Ci aggrada il pensiero di scendere nella tomba con sul capo un peso di peccati ignorati e non riprovarli? Possiamo accontentarci di una così irreale fede in Cristo, che ha lasciato uno spazio insufficiente all’umiliazione, o alla gratitudine, o al desiderio e sforzo di santificazione? Come possiamo sentire l’urgenza dell’aiuto di Dio, o la nostra dipendenza da lui, o il nostro debito verso di lui, o la natura del suo dono, se non conosciamo noi stessi? […] Se ricevete la verità rivelata unicamente tramite gli occhi e le orecchie, crederete a delle parole, non a delle cose; e ingannerete voi stessi. Potrete ritenervi saldi nella fede, ma sarete nella più totale ignoranza.

L’unica pratica veramente interprete dell’insegnamento scritturistico è l’obbedienza ai comandamenti di Dio, che implica conoscenza del peccato e della santità, e il desiderio e lo sforzo di piacere a lui. Senza cono­scenza di sé siete personalmente privi di radice in voi stessi; potete resistere per qualche tempo, ma a fronte dell’afflizio­ne o della persecuzione la vostra fede verrà meno. Questo è perché molti in questo tempo (ma pure in ogni epoca) diventano infedeli, eretici, scismatici, sleali spregiatori della Chiesa. Ripudiano la forma della verità, perché non è stata per loro più che una forma. Non reggono, perché non hanno mai provato che Dio fa grazia; e non hanno mai avuto espe­rienza del suo potere e del suo amore, perché non hanno mai conosciuto la loro propria debolezza e indigenza. Que­sta può essere la condizione futura di alcuni di noi, se oggi induriamo il nostro cuore: l’apostasia. Un giorno, in questo mondo, potremmo trovarci apertamente fra i nemici di Dio e della sua Chiesa.

Ma anche se ci fosse risparmiata una tale vergogna, quale vantaggio potremmo, alla fine, avere dal professare senza comprendere? Dire che si ha la fede, quando non si hanno le opere? In tal caso rimarremmo nella vigna celeste come una pianta rachitica, infruttuosi, privi in noi del principio interiore di crescita. E, alla fine, saremmo svergognati di fronte a Cristo e ai suoi angeli, come «alberi di fine stagione, senza frutto, due volte morti, sradicati», anche se morissi­mo in esteriore comunione con la Chiesa.

Pensare a queste cose, e esserne allarmati, è il primo passo verso una obbedienza accettabile; sentirsi tranquilli, è essere in pericolo. Dovremo sperimentare cos’è il peccato nell’al di là, se non ce ne rendiamo conto ora. Dio ci dà ogni grazia per scegliere la sofferenza del pentimento, prima del sopraggiungere dell’ira ventura.”

San John Henry Newman – Sermoni sulla Chiesa. Conferenze sulla dottrina della giustificazione. Sermoni penitenziali. (Fonte: THE INTERNATIONAL CENTRE OF NEWMAN FRIENDS)

San Gregorio magno: “Colui che ama veramente Dio, ne osserva i comandamenti, e Dio entra nel suo cuore e vi rimane, perché l’amor di Dio riempie talmente il suo cuore, che al tempo della tentazione, non si muove” «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23)

Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23)

 

San Gregorio magno, Papa e Dottore della Chiesa:

Lo Spirito Santo stesso è amore. Perciò Giovanni dice: “Dio è amore” (1Gv 4,8). Chi con tutto il cuore cerca Dio, ha già colui che ama. E nessuno potrebbe amare Dio, se non possedesse colui che ama. Ma, ecco, se a uno di voi si domandasse se egli ami Dio, egli fiduciosamente e con sicurezza risponderebbe di sì. Però a principio della lettura avete sentito che la Verità dice: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola” (Gv 14,23). La prova dell’amore è l’azione. Perciò Giovanni nella sua epistola dice: “Chi dice di amar Dio, ma non ne osserva i precetti, è bugiardo” (1Gv 4,20). Allora veramente amiamo Dio, quando restringiamo il nostro piacere a norma dei suoi comandamenti. Infatti chi corre ancora dietro a piaceri illeciti, non può dire d’amar Dio, alla cui volontà poi contraddice.

«Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23). Pensate che festa, fratelli carissimi; avere in casa Dio! Certo, se venisse a casa vostra un ricco o un amico molto importante, voi vi affrettereste a pulir tutto, perché nulla ne turbi lo sguardo. Purifichi, dunque, le macchie delle opere, chi prepara a Dio la casa nella sua anima. Ma guardate meglio le parole: “Verremo e metteremo casa presso di lui”. In alcuni, cioè, Dio vi entra, ma non vi si ferma, perché questi, attraverso la compunzione, fanno posto a Dio, ma, al momento della tentazione, si dimenticano della loro compunzione, e tornano al peccato, come se non l’avessero mai detestato. Invece colui cha ama veramente Dio, ne osserva i comandamenti, e Dio entra nel suo cuore e vi rimane, perché l’amor di Dio riempie talmente il suo cuore, che al tempo della tentazione, non si muove. Questo, allora, ama davvero, poiché un piacere illecito non ne cambia la mente. Tanto più uno si allontana dall’amore celeste quanto più s’ingolfa nei piaceri terrestri. Perciò è detto ancora: “Chi non mi ama, non osserva i miei comandamenti”(Gv 14,24). Rientrate in voi stessi, fratelli; esaminate se veramente amate Dio, ma non credete a voi stessi, se non avete la prova delle azioni. Guardate se con la lingua, col pensiero, con le azioni amate davvero il Creatore. L’amor di Dio non è mai ozioso. Se c’è, fa cose grandi; se non ci sono le opere, non c’è amore.

“E le parole che avete udito, non son mie, ma del Padre che mi ha mandato” (Gv 14,24). Sapete, fratelli, che chi parla è il Verbo del Padre, perché il Figlio è Verbo del Padre.

“Lo Spirito Santo Paraclito, che il Padre manderà nel mio nome, v’insegnerà tutto e vi ricorderà tutto quello che vi ho detto” (Gv 14,26). Sapete quasi tutti che la parola greca Paraclito, significa avvocato o consolatore. E lo chiama avvocato, perché interviene presso il Padre in favore dei nostri delitti. Di questo stesso Spirito poi giustamente si dice: “V’insegnerà ogni cosa”, perché se lo Spirito non è vicino al cuore di chi ascolta, il discorso di chi insegna, non ha effetto.»

(da San Gregorio Magno, Papa, Omelie sui Vangeli, 30,1)

 

“La via del Signore si dirige al cuore quando si ascolta umilmente la predicazione della verità; la via del Signore si dirige al cuore, quando la vita si uniforma ai comandi di Dio. Per questo sta scritto: <<Se uno mi ama, osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà, e verremo a lui e dimoreremo in lui>> (Gv 14,23).

Chiunque monta in superbia, chiunque arde del fuoco di avarizia, chiunque si macchia con le lordure della lussuria, chiude la porta del cuore dinanzi alla verità, pone i serrami dei vizi all’entrata dell’anima, per impedire l’ingresso del Signore.”

(San Gregorio Magno, Papa e Dottore della chiesa, Omelie sui vangeli, VII , pag. 90)

 

STUPENDA OMELIA -VI DOMENICA DI PASQUA-

di Padre Mariano Pellegrini (dei Francescani dell’ Immacolata)

 

“Dio ci ama a tal punto da voler rimanere sempre con noi. Egli non si disinteressa delle sue creature. Con la sua grazia, Egli entra nell’anima come il sole entra attraverso il vetro e illumina l’interno di una stanza. Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo prendono dimora nel nostro cuore e noi, pertanto, diveniamo tempio della Santissima Trinità. Non c’è più distanza tra noi e Dio. Dio è in cielo e in terra, e anche nel nostro cuore, se accettiamo che Egli abiti dentro di noi, se noi lo amiamo. Gesù ce lo dice chiaramente nel Vangelo di oggi: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23).
Questo ci insegna che non siamo mai soli, se veramente vogliamo amare Dio. La vita del cristiano è una vita di comunione con Colui che ci ha creati e ci ha redenti. Anzi, diciamo di più: quanto più ci sembra di essere soli, tanto più siamo vicini al nostro Dio. Egli non fa sentire la sua presenza del chiasso e nel frastuono, ma solamente nel silenzio e nella solitudine. Questa certezza ci deve spingere a cercare, nel corso della giornata, dei momenti da dedicare a questa presenza silenziosa e misteriosa. Quando preghiamo, chiudiamo la porta della nostra stanza, chiudiamo i nostri occhi, e pensiamo che Dio è dentro di noi. Parliamogli con grande familiarità e Lui ci ispirerà sempre qualche buon proposito. Sarà soprattutto nel momento della prova che sperimenteremo la sua presenza benefica: quanto più si sarà lontani dagli aiuti umani, tanto più saremo vicini all’aiuto divino.
Il fatto, purtroppo, è che, quando preghiamo, siamo molto distratti. La nostra preghiera si riduce a una ripetizione superficiale di parole, alle quali nemmeno pensiamo. Per pregare bene, dobbiamo pensare innanzitutto che Dio è presente in noi e dobbiamo porre attenzione al senso delle parole che pronunciamo. Allora, e solo allora, la nostra preghiera non rimarrà mai senza effetto: od otterrà quello che domandiamo, oppure ci procurerà qualcosa di ancora più grande.
Dio in me e io in Lui! Certo, con un Ospite così vivo e così grande, badiamo bene di non sfigurare. Pensiamo spesso che Dio ci vede, che Dio è nel nostro cuore. Pertanto non dobbiamo offendere questa presenza in noi con il peccato. C’è, infatti, una condizione affinché Dio dimori in noi: dobbiamo amarlo. E lo ameremo veramente solo se osserveremo la sua parola, oppure, se non lo abbiamo fatto per il passato, se ci impegneremo ad osservarla. Anche queste sono parole di Gesù: «Chi non mi ama, non osserva le mie parole» (Gv 14,24). Se si ama veramente Dio, non costerà fatica fare la sua Volontà, osservare i suoi Comandamenti d’amore. Solo se faremo così, godremo della pace che Gesù è venuto a portare su questa terra. Altrimenti, nei nostri cuori, nelle nostre famiglie e nella società umana, vi sarà sempre guerra e divisione.
Il Vangelo di oggi ci parla inoltre del Paraclito, ovvero dello Spirito Santo. Paraclito significa Consolatore. Egli consola i nostri cuori nelle prove della vita e ci fa assaporare, nel segreto della preghiera, quella che sarà la gioia senza fine del Paradiso. Lo Spirito Santo è il santificatore della nostra anima. Il Padre lo ha inviato su questa terra nel giorno di Pentecoste. Nel brano del Vangelo di oggi, Gesù dice che il Paraclito ci insegnerà ogni cosa e ci ricorderà tutto ciò che Gesù ha insegnato (cf Gv 14,26).
Bisogna dunque pregarlo. Ci avviciniamo ormai alla sua festa. Proponiamoci fin d’ora di invocare la sua discesa nei nostri cuori, affinché Egli ci arricchisca con i suoi Sette Doni e ci faccia comprendere sempre di più le parole di Gesù.”

Rivelazione della Vergine Maria alla Venerabile Suor Maria: “Così Lucifero continuamente trascina all’Inferno un gran numero di uomini, sollevandosi sempre di più contro l’Altissimo nella sua superbia” “Facendo dimenticare agli uomini i ‘Novissimi’: Morte, Giudizio, Inferno e Gloria”

Dalla “Mistica città di Dio,Vita della Vergine Madre di Dio” rivelata alla Venerabile Suor Maria di Ágreda

 

Insegnamento della Regina del cielo, parla Maria Vergine:

773. Figlia mia, tutte le opere del mio Figlio santissimo e mie sono colme di insegnamenti e istruzioni per gli uomini che le considerano con attenta stima. Sua Maestà si allontanò da me affinché cercandolo con dolore e lacrime lo ritrovassi poi con gioia a mio vantaggio spirituale. Anche tu devi cercare il Signore con amaro dolore, affinché questo dolore ti procuri un’incessante sollecitudine, senza riposare su cosa alcuna per tutto il tempo della tua vita, sino a quando tu non arrivi a possederlo e non lo lasci più. Perché tu comprenda meglio il mistero del Signore, sappi che la sua sapienza infinita plasma le creature capaci della sua eterna felicità ponendole sì sul cammino che conduce ad essa, ma allo stesso tempo così lontane e non sicure di arrivarvi. Fintanto che non siano giunte a possedere l’eterna felicità, vivano sempre pronte e nel dolore, affinché la sollecitudine generi in esse un continuo timore e orrore per il peccato, il quale fa perdere la beatitudine. Anche nel tumulto della conversazione umana la creatura non si lasci legare né avviluppare dalle cose visibili e terrene. Il Creatore aiuta in questa sollecitudine, aggiungendo alla ragione naturale le virtù della fede e della speranza, le quali stimolano l’amore con cui cercare e trovare il fine ultimo. Oltre a queste virtù e ad altre infuse con il battesimo, manda ispirazioni e aiuti per ridestare e rimuovere l’anima lontana dallo stesso Signore, affinché non lo dimentichi né si scordi di se stessa mentre è priva della sua amabile presenza. Anzi continui la sua strada sino a giungere al bene desiderato, dove troverà la pienezza del suo amore e dei suoi desideri.

774. Potrai, dunque, capire quanto grande sia la cecità dei mortali e quanto scarso il numero di coloro che si concedono il tempo di considerare attentamente l’ordine meraviglioso della loro creazione e giustificazione e le opere che l’Altissimo ha compiuto per così alto fine. A questa dimenticanza fanno seguito tanti mali, quanti ne soffrono le creature attaccandosi al possesso dei beni terreni e dei piaceri ingannevoli, come se questi fossero la loro felicità e il fine ultimo: è cattiveria grande, rivolta contro la volontà del Signore. I mortali vogliono in questa breve e transitoria vita dilettarsi di ciò che è visibile, come se fosse il loro ultimo fine, mentre dovrebbero usare le creature come mezzo per raggiungere il sommo Bene e non per perderlo. Avverti, dunque, o carissima, questo rischio della stoltezza umana. Tutto ciò che è dilettevole, piacevole e poco serio giudicalo un errore; di’ all’appagamento dei sensi che si lascia ingannare invano e che è madre della stoltezza, rende il cuore ubriaco, impedisce e distrugge tutta la vera sapienza. Vivi sempre con il santo timore di perdere la vita eterna e sino a quando non l’avrai raggiunta non ti rallegrare in altre cose se non nel Signore. Fuggi dalle conversazioni umane e temine i pericoli. Se per obbedienza o a gloria sua Dio ti porrà in mezzo ad essi, devi confidare nella sua protezione, e tuttavia con la necessaria prudenza non devi essere né svogliata né negligente. Non ti affidare all’amicizia e alla relazione con le creature, perché vi è riposto il tuo pericolo più grande. Il Signore ti ha dato un animo grato e un’indole dolce, affinché tu sia incline a non resistergli nelle sue opere, usando per suo amore i benefici che ti ha concesso. Se permetterai che in te entri l’amore delle creature, queste sicuramente ti trasporteranno, allontanandoti dal sommo Bene. Altererai, così, l’ordine e le opere della sua sapienza infinita. È cosa molto indegna utilizzare il più grande beneficio della natura con un oggetto che non sia il più nobile di tutta la natura stessa. Sublima le azioni delle tue facoltà e rappresenta ad esse l’oggetto nobilissimo dell’essere di Dio e del suo Figlio diletto tuo sposo, il più bello tra i figli dell’uomo, e amalo con tutto il tuo cuore, la tua anima e la tua mente.

792. Figlia mia, l’Altissimo, buono e clemente, ha dato e continua a dare l’esistenza a tutti gli esseri viventi, non nega ad alcuno la sua provvidenza e illumina fedelmente ogni uomo, affinché possa intraprendere il cammino della conoscenza di Lui e poi entrare nel gaudio perenne, se non oscura questa luce con le sue colpe, abbandonando la conquista del regno dei cieli. Dio, con le anime che per i suoi segreti giudizi chiama a far parte della Chiesa, si dimostra più generoso. Nel battesimo, infatti, comunica loro con la grazia le virtù “infuse essenzialmente”, dette così perché nessuno può acquistarle da se stesso, e quelle “infuse accidentalmente”, che cioè potrebbero ottenere con le opere. Egli le anticipa loro perché siano più pronte e devote nell’osservare la sua santa legge. Ad alcune, oltre alla fede, la sua benevolenza aggiunge speciali doni soprannaturali di maggior intelligenza e forza per comprendere e attuare i comandamenti evangelici. In questo favore si è mostrato verso di te più liberale di quanto non lo sia stato con molte generazioni; perciò ti devi contraddistinguere nella carità e nella corrispondenza che gli spetta, stando sempre umiliata e abbracciata alla polvere.

793. Con la sollecitudine e l’affetto di una madre, ti voglio insegnare l’astuzia con la quale satana si sforza di distruggere questi benefici dell’Onnipotente. Da quando le creature cominciano a usare la ragione, molti demoni le seguono una per una con vigilanza e, proprio nel momento in cui esse dovrebbero innalzare la mente alla cognizione di Dio e iniziare ad esercitare le virtù ricevute, con incredibile furore e sagacia tentano di sradicare la semenza divina. Se non ci riescono, fanno in modo che questa non dia frutto, incitando gli uomini ad atti viziosi, inutili e infantili. Li distraggono con tale iniquità perché non si servano della fede, della speranza e di quanto ancora è stato loro elargito, non si ricordino che sono cristiani e non cerchino di conoscere il loro Dio, i misteri della redenzione e della vita eterna. Inoltre, questi nemici introducono nei genitori una stolta inavvertenza o un cieco amore carnale verso i propri figli e spingono i maestri ad altre negligenze, affinché non si preoccupino della maleducazione, permettano loro di corrompersi e di acquisire cattive consuetudini e di perdere le loro buone inclinazioni, avviandosi così alla rovina.

794. Il pietosissimo Signore, però, non tralascia di ovviare a questo rischio. Rinnova loro la luce interiore con altri aiuti e sante ispirazioni, con la dottrina della Chiesa attraverso i suoi predicatori e ministri, con l’uso e il rimedio efficace dei sacramenti, e con altri mezzi che servono a ricondurli sulla via della salvezza. Se nonostante questi numerosi provvedimenti sono pochi coloro che tornano alla salute spirituale, la causa di ciò sta nell’empia legge dei vizi e nelle abitudini depravate che si prendono durante la fanciullezza. Siccome è vera la sentenza: «Quali furono i giorni della gioventù, tale sarà anche la vecchiaia», i diavoli acquistano sempre più coraggio e potere sulle anime. Pensano, infatti, che, come le dominavano quando esse avevano commesso meno e minori colpe, così lo potranno fare con più facilità quando senza timore si saranno macchiate di molte altre e più gravi. Poi le muovono alla trasgressione e le colmano d’insensata audacia. Ciascun peccato compiuto da una persona toglie a questa forze interiori e la soggioga maggiormente a satana che, come tiranno, se ne impossessa e l’assoggetta a tale malvagità e meschinità da schiacciarla sotto i piedi della sua iniquità; quindi la conduce dove vuole, da un precipizio a un altro. Questo è il castigo che spetta a chi la prima volta si sottomette a lui. Così Lucifero continuamente trascina all’inferno un gran numero di uomini, sollevandosi sempre di più contro l’Altissimo nella sua superbia. Per tale via ha introdotto nel mondo la sua prepotenza, facendo dimenticare agli uomini i “novissimi”: morte, giudizio, inferno e gloria; ha gettato tante nazioni di abisso in abisso, sino a farle cadere in errori così ciechi e bestiali quanto quelli che contengono tutte le eresie e le false sette degli infedeli. Pensa, dunque, figlia mia, a un pericolo così grande e non scordarti mai dei precetti di Dio e delle verità cattoliche. Non ci sia giorno in cui tu non mediti su questo; consiglia alle tue religiose e a tutti coloro ai quali parlerai di fare lo stesso, perché il nemico, il diavolo, si affatica e veglia per oscurare il loro intelletto e deviarlo dalla legge divina, affinché l’intelligenza non indirizzi la volontà, potenza cieca, a compiere gli atti per la giustificazione, che si consegue tramite viva fede, speranza certa, amore fervente e cuore contrito e umiliato.

“Maria di Ágreda, nata María Fernández Coronel y Arana (Ágreda, 2 aprile 1602Ágreda, 24 maggio 1665), è stata  una mistica, cattolica, spagnola, appartenente all’ordine delle monache Concezioniste francescane con il nome “Maria di Gesù di Ágreda“.

È stata un’originalissima figura di donna, religiosa, mistica e scrittrice della Spagna del XVII secolo; è in corso il processo di beatificazione; la Chiesa cattolica le ha attribuito il titolo di venerabile.”

Beato John Henry Newman “Dovremo sperimentare cos’è il peccato nell’al di là, se non ce ne rendiamo conto ora. Dio ci dà ogni grazia per scegliere la sofferenza del pentimento, prima del sopraggiungere dell’ira ventura” “Ripeto, senza una qualche idea giusta del nostro cuore e del peccato, non possiamo avere un’idea giusta del governo morale, di un salvatore o santificatore”

 

“I propri errori chi li conosce? Purificami, o Signore, dalle mie colpe nascoste” (Sal 18 (19), 13).

Beato John Henry Newman:

“Può sembrare strano, ma molti cristiani trascorrono la loro vita senza alcuno sforzo di raggiungere una corretta conoscenza di se stessi. Si accontentano di impressioni vaghe e generiche circa il loro effettivo stato; se hanno qual­cosa in più di questo, si tratta di esperienze casuali, quali i fatti della vita a volte impongono. Ma nulla di esatto e siste­matico, che non rientra nemmeno nei loro desideri avere.

Quando dico che è strano, non è per suggerire che la conoscenza di sé sia facile; è quanto mai difficile conoscere se stessi anche parzialmente, e da questo punto di vista l’i­gnoranza di se stessi non è una cosa strana. La stranezza sta nel fatto che si affermi di credere e di praticare le grandi verità cristiane, mentre si è così ignoranti di se stessi, tenen­do conto che la conoscenza di sé è una condizione necessa­ria per la comprensione di quelle verità. Quindi non è trop­po dire che tutti quelli che trascurano il dovere di un abitua­le esame di coscienza, adoperano in molti casi parole senza averne il senso. Le dottrine del perdono dei peccati, e della nuova nascita dal peccato, non possono essere comprese senza una certa giusta conoscenza della natura del peccato, cioè, del nostro cuore. […]

Ripeto, senza una qualche idea giusta del nostro cuore e del peccato, non possiamo avere un’idea giusta del governo morale, di un salvatore o santificatore; e nel professare di crederci, useremmo parole senza attribuire ad esse precisi distinti significati. Perciò la conoscenza di sé è alla radice di tutta la reale conoscenza religiosa; ed è invano – peggio che invano -, un inganno e un danno, pensare di comprendere le dottrine cristiane come cose ovvie, unicamente in merito all’insegnamento che si può ricavare dai libri, o dall’ascolta­re prediche, o da qualsiasi altro mezzo esteriore, per quanto eccellente, preso in sé e per sé. Perché è in proporzione alla conoscenza e alla comprensione del nostro cuore e della nostra natura, che comprendiamo cosa significhi Dio gover­natore e giudice, ed è in proporzione alla nostra compren­sione della natura della disobbedienza e della nostra reale colpevolezza, che avvertiamo quale sia la benedizione della rimozione del peccato, della redenzione, del perdono, della santificazione, che altrimenti si riducono a mere parole. La conoscenza di sé è la chiave dei precetti e delle dottrine della Scrittura. […] E allora, quan­do abbiamo sperimentato cosa sia leggere se stessi, avremo utilità dalle dottrine della Chiesa e della Bibbia.

Certo, la conoscenza di sé può avere gradazioni. Probabilmente nessuno ignora se stesso totalmente; e anche il cristiano più maturo conosce se stesso solo «in parte». Comunque, la maggioranza degli uomini si accontentano di una esigua conoscenza del loro cuore, e quindi di una fede superficiale. Questo è il punto sul quale mi propongo di insistere. Gli uomini non si turbano all’idea di avere innu­merevoli colpe nascoste. Non ci pensano, non le vedono né come peccati né come ostacoli alla forza della fede, e continuano a vivere come se non avessero nulla da apprendere.

Consideriamo con attenzione la forte presunzione che esiste, che cioè noi tutti abbiamo delle serie colpe nascoste: un fatto che, credo, tutti sono pronti ad ammettere in termi­ni generali, anche se pochi amano considerare con calma e in termini pratici; cosa che ora cercherò di fare.

1. Il metodo più rapido per convincerci dell’esistenza in noi di colpe ignote a noi stessi, è considerare come chiara­mente vediamo le colpe nascoste degli altri. Non vi è ragione per supporre che noi siamo diversi dagli altri attorno a noi; e se noi vediamo in loro dei peccati che essi non vedono, si può presumere che anche loro abbiano le loro scoperte su di noi, che ci sorprenderebbe di ascoltare. […] Ad esempio: ci sono persone che agiscono principalmente per interesse, mentre pensano di compiere azioni generose e virtuose; si spendono gratuitamente, oppure si mettono a rischio, lodati dal mondo e da se stessi, come se agissero per alti principi. Ma un osserva­tore più attento può scoprire, quale causa principale delle loro buone azioni, sete di guadagno, amore degli applausi, ostentazione, o la mera soddisfazione di essere indaffarato e attivo. Questa può essere non solo la condizione degli altri, ma anche la nostra; o, se non lo è, può esserlo una infermità simile, la soggezione a qualche altro peccato, che gli altri vedono, e noi non vediamo.

Ma se dite che non c’è alcuno che veda in noi dei peccati di cui noi non siamo consapevoli (benché questa sia una supposizione alquanto temeraria da fare), pure, perché mai la gamma delle nostre mancanze dovrebbe dipendere dalla conoscenza accidentale che qualcuno ha di noi? Se anche tutto il mondo parlasse bene di noi, e le persone buone ci salutassero fraternamente, dopo tutto vi è un Giudice che prova le reni e il cuore. Egli conosce il nostro stato reale. Lo abbiamo pressantemente supplicato di dischiuderci la conoscenza del nostro cuore? Se no, questa stessa omissione fa presumere contro di noi. Anche se dappertutto nella Chiesa fossimo lodati, possiamo essere certi che egli vede in noi innumerevoli pecche, profonde e odiose, di cui non abbiamo l’idea. Se l’uomo vede tanto male nella natura umana, che cosa deve vedere Dio? «Se il nostro cuore ci con­danna, Dio è più grande del nostro cuore, e conosce ogni cosa». Dio non solo registra ogni giorno contro di noi atti peccaminosi, di cui noi non siamo consapevoli, ma anche i pensieri del cuore. Gli impulsi dell’orgoglio, della vanità, della concupiscenza, dell’impurità, del malumore, del risen­timento, che si susseguono nelle momentanee emozioni di ogni giorno, sono a lui noti. Noi non li riconosciamo; ma quanto importante sarebbe riconoscerli!

2. Questa considerazione ci è suggerita già a prima vista. Riflettiamo ora sulla scoperta di nostre mancanze nascoste, provocate da incidenti occasionali. Pietro seguiva Gesù bal­danzosamente, e non sospettava del suo cuore, fino a che nell’ora della tentazione non lo tradì, e lo portò a rinnegare il suo Signore. Davide visse anni di felice obbedienza men­tre conduceva vita privata. Quale fede illuminata e calma appare dalla sua risposta a Saul a proposito di Golia: «Il Signore mi ha liberato dagli artigli del leone e dagli arti­gli dell’orso. Egli mi libererà dalle mani di questo filisteo»! Anzi, non soltanto nella sua vita privata e segregata, fra gravi tribolazioni, e fra gli abusi di Saul, egli continuò a essere fedele al suo Dio; anni e anni egli procedette, irrobu­stendo il suo cuore, e praticando il timor di Dio; ma il potere e la ricchezza indebolirono la sua fede, e ad un certo punto prevalsero su di lui. Venne il momento in cui un profeta poté ritorcere su di lui: «Tu sei quell’uomo» che tu hai condannato. A parole, aveva conservato i suoi principi, ma li aveva smarriti nel suo cuore. Ezechia è un altro esempio di un uomo religioso che resse bene alla tribolazione, ma che ad un certo punto cadde sotto la tentazione delle ricchezze, che al seguito di altre grazie straordinarie gli erano state concesse. – E se le cose stanno così nel caso dei santi, predi­letti di Dio, quale (possiamo supporre) sarà il nostro vero stato spirituale ai suoi occhi? È questo un pensiero serio. L’ammonimento da dedurne è di non pensare mai di avere la dovuta conoscenza di sé stessi fino a che non si sia stati esposti a molti generi di tentazioni e provati da ogni lato. L’integrità da un lato del nostro carattere non attesta l’inte­grità da un altro lato. Non possiamo dire come ci comporte­remmo se venissimo a trovarci in tentazioni differenti da quelle che abbiamo sperimentato finora. Questo pensiero deve tenerci in umiltà. Siamo peccatori, ma non sappiamo quanto. Solo lui che è morto per i nostri peccati lo sa.

3. Fin qui non possiamo scansarci: dobbiamo ammettere di non conoscere noi stessi da quei lati nei quali non siamo stati messi alla prova. Ma al di là di questo; se non ci cono­scessimo nemmeno là dove siamo stati messi alla prova e trovati fedeli? Una circostanza notevole e spesso rilevata è che, se guardiamo ad alcuni dei santi più eminenti della Scrittura, troveremo che i loro errori recensiti si sono verifi­cati in quelle parti dei loro doveri nelle quali ciascuno di loro era stato maggiormente provato, e in cui generalmente aveva dimostrato perfetta obbedienza. Il fedele Abramo per mancanza di fede negò che Sara fosse sua moglie. Mosè, il più mite degli uomini, fu escluso dalla terra promessa per una intemperanza verbale. La sapienza di Salomone fu sedotta ad inchinarsi agli idoli. […] Se dunque uomini, che senza dubbio conoscevano se stessi meglio di quanto ci conosciamo noi, avevano in sé tanta do­se di nascosta infermità, persino in quelle parti del loro ca­rattere che erano più libere da biasimo, che dobbiamo pen­sare di noi stessi? E se le nostre stesse virtù sono così mac­chiate da imperfezioni, che devono essere le molteplici e ignote circostanze aggravanti la colpa dei nostri peccati?Questa è una terza presunzione contro di noi.

4. Pensate anche a questo. Non c’è nessuno che, comin­ciando a esaminare se stesso e a pregare per conoscere se stesso (come Davide nel testò), non trovi entro di sé mancan­ze in abbondanza che prima gli erano interamente o quasi interamente ignote. Che sia così, lo apprendiamo da biogra­fie e agiografie, e dalla nostra esperienza. È per questo che gli uomini migliori sono sempre i più umili: avendo nella loro mente una unità di misura dell’eccellenza morale più esigente di quella che hanno gli altri, e conoscendo meglio se stessi, intravedono l’ampiezza e la profondità della propria natura peccaminosa, e sono costernati e spaventati di sé. Gli’uomini, in genere, non possono capire questo; e se a volte l’autoaccusa, abituale per gli uomini religiosi, si esprime a parole, pensano che provenga da ostentazione, o da uno strano stato di alterazione mentale, o da un accesso di malinconia e depressione. Mentre la confessione di un buon uomo contro se stesso è realmente una testimonianza contro tutte le persone irriflessive che l’ascoltano, e un invito loro rivolto ad esaminare il loro cuore. Senza dubbio, più esami­niamo noi stessi, più imperfetti e ignoranti ci troveremo.

5. Anche se un uomo persevera in preghiera e vigilanza fino al giorno della sua morte, non arriverà al fondo del suo cuore. Benché conosca sempre più di se stesso col diventare più serio e coscienzioso, pure la piena manifestazione dei segreti che là si trovano è riservata per l’altro mondo. E all’ultimo giorno, chi può dire lo spavento e il terrore di un uomo che sulla terra è vissuto per se stesso, assecondan­do la sua volontà perversa, seguendo nozioni improvvisate del vero e del falso, eludendo la croce e i rimproveri di Cristo, quando i suoi occhi si apriranno di fronte al trono di Dio, e gli saranno evidenti i suoi innumerevoli peccati, la sua abituale dimenticanza di Dio, l’abuso dei suoi talenti, il mal-uso e spreco del suo tempo, e l’originaria inesplorata peccaminosità della sua natura? Per gli stessi veri servi di Cristo, la prospettiva è terrificante. […] Senza dubbio, tutti dovremo sopporta­re la cruda e terrificante visione del nostro vero io; dovremo sopportare quell’ultima prova del fuoco prima dell’accetta­zione, ma che sarà una agonia spirituale e una seconda morte per tutti coloro che allora non saranno sostenuti dalla forza di colui che morì per portarci in salvo oltre quel fuoco, e nel quale essi sulla terra abbiano creduto.

[…] Richiamiamoci alla mente gli impedimenti che si frappongono alla conoscenza di sé, e al senso della propria ignoranza, e giudicate.

1.Per prima cosa, la conoscenza di sé non è una cosa ovvia; comporta fatica e lavoro. Supporre che la conoscenza delle lingue sia data dalla natura e supporre che la cono­scenza del nostro cuore sia naturale, sarebbero la stessa cosa. Il semplice sforzo di una abituale riflessività è penoso per molti, per non parlare della difficoltà del riflettere cor­rettamente. Chiedersi perché facciamo questo o quello, con­siderare i principi che ci guidano, e vedere se agiamo in coscienza o per più scadenti motivi, è penoso. Siamo pieni di occupazioni, e il tempo libero che abbiamo siamo pronti a dedicarlo a qualche impegno meno severo e affaticante.

2.L’amor proprio, poi, vuole la sua parte. Speriamo il meglio, e questo ci risparmia la noia di esaminarci. L’amor proprio è istintivamente conservatore. Pensiamo di caute­larci sufficientemente ammettendo che al massimo possano esserci rimaste nascoste solo alcune colpe; e le aggiungiamo quando pareggiamo i conti con la nostra coscienza. Ma se conoscessimo la verità, troveremmo che non abbiamo che debiti, debiti maggiori di quanto pensiamo e sempre in aumento.

3.Un tale giudizio favorevole di noi stessi sarà particolar­mente in noi prevalente, se avremo la sfortuna di avere inin­terrottamente buona salute, euforia, comodità. La salute del corpo e della mente è una grande benedizione, se la si sa portare; ma se non è tenuta a freno da «veglie e digiuni», darà comunemente alla persona l’illusione di essere migliore di quanto sia in realtà. Le difficoltà ad agire correttamente, sia che provengano dall’interiorità che dall’esterno, mettono a prova la coerenza; ma quando le cose procedono senza intoppi, e per attuare qualcosa non abbiamo che da deside­rarlo, non possiamo dire fino a che punto agiamo o non agiamo per senso del dovere. L’euforico si compiace di tutto, specie di se stesso. Può agire con vigore e prontezza, e scambiare per fede quella che è meramente una sua energia costitutiva. È allegro e contento; e pensa che sia quella la pace cristiana. Se è felice in famiglia, egli scambia tali affetti natu­rali per la benevolenza cristiana e per la solida tempra dell’a­more cristiano. In breve, egli è nel sogno, dal quale nulla potrebbe salvarlo tranne una umiltà più profonda; ma nulla, ordinariamente, lo libera tranne l’incontro con la sofferenza. […]

4.C’è ancora da considerare la forza dell’abitudine. La coscienza, inizialmente, ci ammonisce contro il peccato; ma se non è ascoltata, smette presto di richiamarci; in tal modo il peccato, prima conosciuto, diventa occulto. Sembra allora (ed è questa una riflessione impressionante) che più colpe­voli siamo, meno lo sappiamo; e questo perché più spesso pecchiamo, meno ne siamo angosciati. Penso che molti di noi, riflettendo, possano ritrovare, nella loro personale espe­rienza, esempi del fatto che noi gradualmente dimentichia­mo la scorrettezza di certi comportamenti, di cui inizial­mente avevamo avuto l’esatta percezione. Tanta è la forza dell’abitudine. Per suo tramite, ad esempio, gli uomini giungono a permettersi vari generi di disonestà. Giungono, negli affari, ad affermare ciò che non è vero, o quello che non sono sicuri che sia vero. Imbrogliano e ingannano; anzi, probabilmente cadono ancora più in basso nei comporta­menti egoistici, senza accorgersene, mentre continuano meticolosamente nell’osservanza dei precetti della Chiesa e conservano una religiosità formale. Oppure, indulgenti con se stessi, si danno ai piaceri della mensa, fanno sfoggio di residenze lussuose, e meno che mai pensano ai doveri cri­stiani della semplicità e dell’astinenza. Non si può supporre che essi da sempre abbiano ritenuto giustificabile un tal modo di vivere; perché altri ne sono colpiti; e ciò che altri avvertono ora, senza dubbio anch’essi lo avvertivano un tempo. Ma tale è la forza dell’abitudine. Un terzo esempio è quello del dovere della preghiera personale; inizialmente viene omessa con rimorso, ma ben presto con indifferenza. Ma non è meno peccato per il solo fatto che non avvertiamo che lo sia. L’abitudine l’ha resa un peccato nascosto.

5. Alla forza dell’abitudine deve essere aggiunta quella degli usi e costumi. Qui ogni epoca ha le sue storture; e que­ste hanno tale influenza, che persino le persone dabbene, per il fatto di vivere nel mondo, sono inconsapevolmente portate fuori strada da esse. In un’epoca è prevalso un fero­ce odio persecutorio contro gli eretici; in un’altra, un’odiosa esaltazione della ricchezza e dei mezzi per procurarsela; in un’altra, una irreligiosa venerazione delle facoltà pura­mente intellettuali; in un’altra, il lassismo morale; in un’altra, la noncuranza degli ordinamenti e della disciplina della Chiesa. Le persone religiose, se non fanno speciale attenzio­ne, risentiranno delle deviazioni di moda nella loro epoca […]. Tuttavia la loro ignoranza del male non cambia la natura del peccato: il peccato è sempre quello che è, solo le abitudini generali lo rendono segreto.

6. Ora, qual è la nostra principale guida in mezzo alle perverse e seducenti costumanze del mondo? La Bibbia, evi­dentemente. «Il mondo passa, ma la parola del Signore dura in eterno». Quanto esteso e rafforzato deve necessariamen­te essere questo segreto dominio del peccato su di noi, se consideriamo quanto poco leggiamo la Sacra Scrittura! La nostra coscienza si corrompe, è vero; ma la parola della verità, anche se cancellata dalle nostre menti, rimane nella Scrittura, luminosa nella sua eterna giovinezza e purezza. Eppure, non studiamo la Sacra Scrittura per svegliare e risa­nare le nostre menti. Chiedetevi, fratelli miei: quanto cono­sco io della Bibbia? Vi è una parte qualsiasi della Bibbia che abbiate letto con attenzione e per intero? Per esempio, uno dei Vangeli? Conoscete qualcosa di più delle opere e delle parole di nostro Signore di quanto avete sentito leggere in chiesa? Avete confrontato i suoi precetti, o quelli di S. Paolo, o quelli di qualcun altro degli Apostoli, con la vostra con­dotta giornaliera? Avete pregato e fatto degli sforzi per conformarvi ad essi? Se sì, bene; perseverate in questo. Se no, è chiaro che non possedete, perché non avete cercato di pos­sedere, un’idea adeguata di quel perfetto carattere cristiano al quale avete il dovere di tendere, e nemmeno della vostra attuale situazione di peccato; siete nel numero di quelli che «non vengono alla luce, perché non siano svelate le loro opere».

Queste osservazioni possono servire per darvi il senso della difficoltà di raggiungere una giusta conoscenza di noi stessi, e del conseguente pericolo a cui siamo esposti: di darci pace, quando non c’è pace.

Molte cose sono contro di noi; è chiaro. Ma il nostro pre­mio futuro non meriterà che lottiamo? E non merita che peniamo e soffriamo, se con ciò potremo sfuggire al fuoco inestinguibile? Ci aggrada il pensiero di scendere nella tomba con sul capo un peso di peccati ignorati e non riprovali? Possiamo accontentarci di una così irreale fede in Cristo, che ha lasciato uno spazio insufficiente all’umiliazione, o alla gratitudine, o al desiderio e sforzo di santificazione? Come possiamo sentire l’urgenza dell’aiuto di Dio, o la nostra dipendenza da lui, o il nostro debito verso di lui, o la natura del suo dono, se non conosciamo noi stessi? […] Se ricevete la verità rivelata unicamente tramite gli occhi e le orecchie, crederete a delle parole, non a delle cose; e ingannerete voi stessi. Potrete ritenervi saldi nella fede, ma sarete nella più totale ignoranza.

L’unica pratica veramente interprete dell’insegnamento scritturistico è l’obbedienza ai comandamenti di Dio, che implica conoscenza del peccato e della santità, e il desiderio e lo sforzo di piacere a lui. Senza cono­scenza di sé siete personalmente privi di radice in voi stessi; potete resistere per qualche tempo, ma a fronte dell’afflizio­ne o della persecuzione la vostra fede verrà meno. Questo è perché molti in questo tempo (ma pure in ogni epoca) diventano infedeli, eretici, scismatici, sleali spregiatori della Chiesa. Ripudiano la forma della verità, perché non è stata per loro più che una forma. Non reggono, perché non hanno mai provato che Dio fa grazia; e non hanno mai avuto espe­rienza del suo potere e del suo amore, perché non hanno mai conosciuto la loro propria debolezza e indigenza. Que­sta può essere la condizione futura di alcuni di noi, se oggi induriamo il nostro cuore: l’apostasia. Un giorno, in questo mondo, potremmo trovarci apertamente fra i nemici di Dio e della sua Chiesa.

Ma anche se ci fosse risparmiata una tale vergogna, quale vantaggio potremmo, alla fine, avere dal professare senza comprendere? Dire che si ha la fede, quando non si hanno le opere? In tal caso rimarremmo nella vigna celeste come una pianta rachitica, infruttuosi, privi in noi del principio interiore di crescita. E, alla fine, saremmo svergognati di fronte a Cristo e ai suoi angeli, come «alberi di fine stagione, senza frutto, due volte morti, sradicati», anche se morissi­mo in esteriore comunione con la Chiesa.

Pensare a queste cose, e esserne allarmati, è il primo passo verso una obbedienza accettabile; sentirsi tranquilli, è essere in pericolo. Dovremo sperimentare cos’è il peccato nell’al di là, se non ce ne rendiamo conto ora. Dio ci dà ogni grazia per scegliere la sofferenza del pentimento, prima del sopraggiungere dell’ira ventura.”

John Henry Newman – Sermoni sulla Chiesa. Conferenze sulla dottrina della giustificazione. Sermoni penitenziali. (Fonte: THE INTERNATIONAL CENTRE OF NEWMAN FRIENDS)

 

Beato John Henry Newman “Se Cristo è sulla terra, sebbene invi­sibilmente (ciò che non si può negare), è chiaro che egli vi è nella stessa condizione scelta nei giorni della sua car­ne. Voglio dire che è un Salvatore nascosto e che, se non stiamo attenti, rischiamo di avvicinarci a lui senza il ri­spetto e il timore dovuti.”

La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta (Gv 1,5).

Di tutti i pensieri che sorgono nella mente quando contempliamo la vita del Signore Gesù Cristo sulla terra, nessuno forse è più impressionante e avvincente di quello riguardante l’oscurità da cui fu circondato. Non mi riferi­sco alla sua oscura condizione, derivante dal suo essere umile; mi riferisco al nascondimento che lo avvolse e al se­greto sulla sua identità che egli mantenne. Questa caratte­ristica del suo primo avvento è sottolineata molto spesso nella Scrittura, come nel testo: La luce splende nelle tene­bre, ma le tenebre non l’hanno accolta; ed è in contrasto con quanto è stato predetto del suo secondo avvento: allo­ra ogni occhio lo vedrà. Questo implica che tutti lo rico­nosceranno, mentre, quando venne la prima volta, sebbe­ne molti lo abbiano visto, tuttavia ben pochi lo hanno ri­conosciuto. Era stato preannunziato: Noi lo vedremo e non ha bellezza alcuna che attragga i nostri sguardi; e alla fine del suo ministero pubblico disse a uno dei dodici amici scelti: Da tanto tempo sono con voi, e tu non mi hai cono­sciuto, Filippo?

Gli amici del Signore erano vissuti a lungo con lui, eppure non lo conoscevano. Non notarono alcuna diffe­renza tra lui e se stessi. Egli vestiva, mangiava, beveva co­me gli altri; andava e veniva, parlava, camminava, dormi­va come gli altri; fu un uomo come gli altri sotto tutti gli aspetti, eccetto il peccato. Anche oggi molti non sareb­bero capaci di notare questa grande differenza, perché nessuno di noi capisce quelli che sono molto migliori di noi.

2. Dico che il Cristo, il Figlio di Dio senza peccato, potrebbe oggi vivere nel mondo come un vicino di casa, e noi potremmo non riconoscerlo. E questo un pensiero sul quale sarà bene soffermarci.

Tuttavia, sebbene non tocchi a noi giudicare ma dob­biamo lasciare a Dio il giudizio, è certo che un uomo vera­mente pio, un vero santo, per quanto somigli agli altri uo­mini, ha tuttavia in sé una specie di potere segreto che at­tira e influenza quelli che hanno le stesse inclinazioni spi­rituali.

E riflettere se i santi hanno una qualche influenza su di noi, potrebbe essere una verifica per renderci conto se abbiamo le stesse loro inclinazioni. Benché ci sia dato ra­ramente di conoscere subito i santi, tuttavia in un secondo tempo lo possiamo; quando, ripensando al passato – for­se quando ormai sono morti – ci chiediamo quale potere hanno avuto su di noi nel tempo in cui li abbiamo cono­sciuti, se ci hanno attratto, influenzato; se ci hanno resi più umili, se hanno fatto ardere i nostri cuori dentro di noi. Spesso ci accorgiamo che siamo stati per molto tempo vicini a loro, abbiamo avuto la possibilità di conoscerli, e non li abbiamo conosciuti; e questo è per noi un grave mo­tivo di condanna.

La storia del Signore ci fornisce un esempio particolar­mente evidente di tale fatto, proprio perché egli era il Santo per eccellenza. Quanto più un uomo è santo, tanto meno viene compreso dalla gente di questo mondo. Quelli che hanno anche solo una scintilla di fede viva, in una cer­ta misura lo comprenderanno; e più egli è santo, più si sentiranno, almeno per la maggior parte, attratti da lui; ma coloro che servono il mondo saranno ciechi nei suoi confronti; più egli sarà santo, più avranno per lui disprez­zo e avversione. Proprio così accadde a Gesù: egli era « il Santo »; ma la luce splende nelle tenebre, e le tenebre non l’hanno accolta . I suoi parenti più prossimi non credettero in lui. Se fu così, e per la ragione a cui ho accennato, viene spontaneo chiederci se noi l’avremmo compreso me­glio di quanto non abbiano fatto loro. Se egli fosse stato il nostro vicino di casa, o anche un membro della nostra famiglia, l’avremmo saputo distinguere da qualunque altra persona corretta e semplice nell’atteggiamento, o al con­trario, pur avendo rispetto per lui (purtroppo, quale paro­la, quale linguaggio verso Dio altissimo!), non l’avremmo trovato strano, eccentrico, stravagante? Ancor meno avremmo visto qualche scintilla di quella gloria che egli aveva presso il Padre prima che il mondo fosse, e che si trovava nascosta, ma non spenta, nel tabernacolo terrestre

È questo un pensiero tremendo: perché, se egli restas­se a lungo con noi, e noi non vedessimo nulla di meravi­glioso in lui, sarebbe questa una prova evidente che non siamo suoi, perché le sue pecore conoscono la sua voce e lo seguono. […]

3. Ed eccoci portati a un altro argomento, molto se­rio, del quale vorrei parlarvi. A volte noi siamo pronti a desiderare di essere nati al tempo di Gesù, e con questo scusiamo la nostra cattiva condotta quando la coscienza ci rimprovera. Diciamo: se avessimo avuto la fortuna di vi­vere con Gesù, avremmo avuto motivazioni più forti, sa­remmo stati meglio premuniti contro il peccato.

Rispondo: le nostre abitudini di peccato non solo non sarebbero state vinte dalla presenza di Cristo, ma anzi ci avrebbero impedito di riconoscerlo. Non avremmo saputo che era presente, e anche se ci avesse detto chi era, non gli avremmo creduto. I suoi stessi miracoli, per quanto ciò possa apparire incredibile, non ci avrebbero lasciato una impressione duratura. Senza attardarci su questo tema, considerate la possibilità che Cristo sia vicino a noi, pur senza far miracoli: non ce ne accorgeremmo. E ritengo che questo sarebbe il caso per la maggior parte della gente. Ma basta su questo argomento.

Vorrei arrivare a un altro punto: vorrei invitarvi a ri­flettere sulla luce tremenda che quanto abbiamo detto get­ta sulla prospettiva della vita nell’ai di là. Noi pensiamo che il cielo sarà per noi un luogo di felicità, purché ci arri­viamo; ma secondo ogni probabilità, a giudicare da quello che accade sulla terra, un uomo malvagio, trasportato in cielo, non saprebbe di essere in cielo. Non spingo le cose più lontano; non mi domando se, al contrario, il fatto stes­so di trovarsi in cielo con il suo fardello di peccato non sa­rebbe per lui un vero supplizio e non accenderebbe dentro di lui le fiamme dell’inferno. Sarebbe questo, in verità, un modo spaventoso di accorgersi del luogo dove si trova.

Ma supponiamo un caso meno grave: supponiamo che un uomo possa stare in cielo senza esserne distrutto: ma saprebbe veramente dove si trova? Non vi vedrebbe nulla di meraviglioso.

Mai gli uomini furono tanto vicini a Dio quanto colo­ro che lo arrestarono, lo colpirono, gli sputarono addosso, lo sospinsero con violenza, lo spogliarono, stesero le sue braccia sulla croce, lo inchiodarono alla croce e ve lo innal­zarono, rimasero a guardarlo, lo schernirono, gli diedero aceto, si assicurarono che fosse morto, e infine lo colpiro­no con la lancia. Come è spaventoso pensare che l’uomo mai si è accostato a Dio in maniera più forte che con la bestemmia! Chi si avvicinò di più al Signore? san Tommaso che ebbe il permesso di stendere la mano per toccare rispettosamente le sue piaghe, san Giovanni che riposò sul suo petto o i soldati che, brutalmente, ne profana­rono ogni membro, ne torturarono ogni nervo?

In verità la sua benedetta madre si avvicinò a lui in maniera più intima; e anche noi, se siamo veri credenti, ci avviciniamo a lui ancor più profondamente, lo possediamo in modo reale, anche se spirituale, dentro di noi: que­sta però è una forma diversa, interiore, di vicinanza. Ma esteriormente gli si fecero più vicini proprio coloro che non sapevano nulla di lui. La stessa cosa accade ai peccato­ri: essi si accosterebbero al trono di Dio, lo guarderebbero senza capire, lo toccherebbero, si immischierebbero alle cose più sante, lascerebbero libero corso, non per cattivo volere, ma per una sorta di istinto insensato, alla loro indi­screta curiosità, fino a quando un fulmine vendicatore non li annientasse; e tutto ciò perché essi non hanno un senso che li possa guidare all’occorrenza. I nostri sensi corporali ci segnalano l’avvicinarsi del bene o del male sul­la terra. I suoni, i profumi, i contatti, ci informano su quello che ci circonda. Siamo coscienti quando ci esponia­mo alle intemperie, o quando ci affatichiamo troppo nel lavoro. Riceviamo degli avvertimenti, e sentiamo che non li dobbiamo trascurare. Ma i peccatori non hanno i sensi spirituali e non possono prevedere nulla; ignorano quello che accadrà loro nel momento successivo. Così continua­no ad avanzare in mezzo ai burroni senza paura, finché improvvisamente precipitano e periscono. Miserabili crea­ture! Ecco quello che il peccato fa delle anime immortali: le rende simili agli animali che vengono uccisi nel matta­toio, e intanto toccano e odorano gli stessi strumenti di morte!

4. Voi forse direte: ma in che cosa ci riguarda tutto questo? Il Cristo non è qui; quindi noi non potremmo in­sultare la sua maestà in un modo tanto grave, o pur anche minore. Rispondo: Ne siamo proprio sicuri? Certo non possiamo commettere una tale pubblica empietà, ma pos­siamo farlo in maniera ugualmente grave. Spesso i peccati più gravi sono i meno clamorosi, gli insulti più amari sono i meno scoperti, i mali più profondi sono i più sottili. Non ricordiamo quelle parole di Cristo: A chiunque parlerà ma­le del Figlio dell’uomo sarà perdonato; ma la bestemmia con­tro lo Spirito Santo non gli sarà perdonata?

Non intendo concludere se questa sentenza si applichi o meno ai cristiani di oggi; ma dobbiamo sapere che anche al presente siamo nel regno dello Spirito di cui parla il Si­gnore; e questa è una questione molto seria. Ho citato pe­rò il testo del vangelo per dimostrare che ci possono essere dei peccati non tanto più flagranti e manifesti, ma più gra­vi di quello di insultare e perseguitare la persona di Cristo, per quanto ciò possa essere strano.

Continuiamo perciò la nostra riflessione, senza però perdere di vista questo pensiero. In primo luogo Cristo è sempre sulla terra; egli dichiarò espressamente che sareb­be tornato. La venuta dello Spirito Santo è realmente an­che la sua venuta; al punto che, se neghiamo che egli è qui ora, quando è qui nel suo Spirito, possiamo altrettanto di­re che non era qui nei giorni della sua carne, quando era visibile al mondo. È un grande mistero che Dio Figlio e Dio Spirito Santo, due persone, possano essere uno, che il Cristo possa essere nello Spirito e lo Spirito in lui; ma è così.

In secondo luogo: se Cristo è sulla terra, sebbene invi­sibilmente (ciò che non si può negare), è chiaro che egli vi è nella stessa condizione scelta nei giorni della sua car­ne. Voglio dire che è un Salvatore nascosto e che, se non stiamo attenti, rischiamo di avvicinarci a lui senza il ri­spetto e il timore dovuti. […]

E c’è un’altra ragione per temere, quando consideriamo i pegni della sua presenza; essi sono di tale natura da condurre all’irriverenza tutti coloro che non sono umili e attenti. Per esempio: la Chiesa è chiamata suo corpo; quello che era il suo corpo materiale quando egli era in ter­ra, lo è oggi la Chiesa. Essa è lo strumento del suo potere divino; ad essa ci dobbiamo rivolgere per ottenere i suoi favori; e se la insultiamo, provochiamo la sua ira. Ma che cos’è la Chiesa, se non un corpo debole, che quasi provoca disprezzo e irriverenza negli uomini che non hanno fede?

E un vaso di terra più fragile di quanto lo fosse il suo corpo di carne, perché questo era puro da ogni peccato, mentre la Chiesa è macchiata nei suoi membri. Sappia­mo che i suoi ministri, anche i migliori, sono imperfetti, inclini all’errore e schiavi delle passioni come gli altri uo­mini; e tuttavia Gesù, rivolgendosi non solo agli apostoli, ma ai settantadue discepoli (ai quali i ministri cristiani so­no uguali per la funzione), disse: Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato.

Egli ha fatto dei poveri, dei deboli e degli afflitti i se­gni e gli strumenti della sua presenza; e anche qui sorge la tentazione di trascurarla e di profanarla. Come era lui, così sono i suoi discepoli scelti in quésto mondo; e come la sua condizione oscura e vulnerabile provocava gli uomi­ni a insultarlo e a maltrattarlo, alla stessa maniera tali qua­lità spingono oggi gli uomini a insultarlo nei segni della sua presenza. Quali siano poi questi segni, risulta chiara­mente da molti passi della Scrittura. Per esempio, egli dice dei fanciulli: Chiunque accoglie uno di questi piccoli in no­me mio, accoglie me. E a Saulo che perseguitava i suoi discepoli disse: Perché mi perseguiti?. E ci avverte che nell’ultimo giorno dirà ai giusti: Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito; malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi7-. E aggiunge: Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli, l’avete fatto a me.

La stessa dichiarazione la fa nelle parole rivolte ai mal­vagi. Ciò che rende questo passo terribile ma appropriato è giustamente questo, come è stato osservato, cioè che né i cattivi né i buoni sapevano quello che facevano; anche i giusti sono presentati come persone che avevano avvici­nato Cristo senza rendersene conto. Essi dicono: Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da man­giare, assetato e ti abbiamo dato da bere?. In ogni tempo, dunque, Cristo è in questo mondo, ma non più aperta­mente di quanto lo fosse nei giorni della sua vita terrena.

Un simile rilievo si applica ai suoi comandamenti, che sono senza dubbio molto semplici, ma anche intimamente legati alla sua persona. San Paolo, nella Prima Lettera ai Corinzi, dichiara come sia facile ma anche tremendo pro­fanare la Cena del Signore; lo dichiara quando rimprovera le intemperanze dei Corinzi, e le attribuisce al fatto che essi non hanno riconosciuto il corpo del Signore.

Quando Gesù nacque in questo mondo, il mondo non lo conobbe. Fu deposto in una ruvida mangiatoia tra gli animali, ma tutti gli angeli di Dio lo adorarono. Anche ora egli è presente sull’altare, in modo semplice e nasco­sto, e senza molta dignità; la fede adora, ma il mondo vi passa accanto senza badarvi.

Preghiamolo affinché illumini gli occhi della nostra mente, sì che possiamo appartenere alle schiere celesti, e non a questo mondo. Se gli spiriti carnali saranno impoten­ti a riconoscerlo anche in cielo, un cuore sensibile allo spiri­to può avvicinarlo, vederlo, possederlo anche sulla terra.

Beato John Henry Newman, in: Gesù. Pagine scelte, Paoline, Milano 1992, pp. 202-213.

(Parochial and Plain Sermons, IV, 16, pp. 239-252)

Pseudo-Macario (San Macario il Grande) : Con un cuore umile e povero “Il Peccato, la Grazia e il Libero Arbitrio”

 

PSEUDO-MACARIO (SAN MACARIO IL GRANDE) : CON UN CUORE UMILE E POVERO “IL PECCATO, LA GRAZIA E IL LIBERO ARBITRIO”

1. Il vaso prezioso dell’anima si trova a grande profondità, come è detto da qualche parte: Egli scruta l’abisso e il cuore. Quando l’uomo infatti si fu allontanato dal comandamento e si trovò sotto una sentenza di collera, il peccato lo ridusse in suo potere, e il peccato è come un abisso di amarezza, sottile e profondo; penetrato nell’uomo, prese possesso dei pascoli dell’anima fin nei più profondi recessi. Potremmo paragonare l’anima e il peccato unito ad essa a un albero enorme dai molti rami, le cui radici sono immerse nelle profondità della terra; allo stesso modo il peccato, penetrando nell’anima, ne ha occupato i più profondi recessi, è diventato abitudine e predisposizione, è cresciuto con ciascuno dall’infanzia sviluppandosi con lui e insegnandogli il male.

2. Quando l’energia della grazia divina ricopre l’anima nella misura della fede di ciascuno e questa accoglie l’aiuto dall’alto, la grazia ricopre l’anima ancora parzialmente. Nessuno pensi che tutta l’anima sia illuminata. Dentro di essa resta ancora molto spazio per il peccato e sono necessarie all’uomo molta pena e fatica per accordarsi alla grazia che ha ricevuto. Per questo motivo la grazia divina iniziò a visitare l’anima parzialmente, pur potendo purificare l’uomo e portare a compimento la sua opera in un istante; fa così per mettere alla prova la libera volontà dell’uomo e vedere se mantiene integro l’amore di Dio e in nulla si unisce al malvagio, ma consegna tutto se stesso alla grazia. E così l’anima, che nel tempo ha dato buona prova di sé e non ha contristato in nulla la grazia, né le ha arrecato offesa, a poco a poco riceve aiuto. E la grazia stessa prende posto nell’anima e si radica nelle regioni e nei pensieri più profondi quando l’anima offre molteplici e buone prove e corrisponde alla grazia, finché viene tutta avvolta dalla grazia celeste che finalmente regna in essa.

3. Ma se uno non possiede una grande umiltà, viene consegnato a Satana e spogliato della grazia divina venuta a lui, e subisce la prova di numerose tribolazioni, e allora appare manifesta la sua presunzione perché egli resta ignudo e miserabile. Chi è ricco della grazia di Dio deve custodirsi in grande umiltà e contrizione di cuore e ritenersi un povero, uno che nulla possiede. Ciò che ha, infatti, non gli appartiene, un altro glielo ha dato e, quando vuole, glielo toglie. Chi si umilia in questo modo davanti a Dio e agli uomini può custodire la grazia che gli è stata data, come dice il Signore: Chi si umilia sarà innalzato. Anche se è un eletto di Dio, si consideri riprovato e, pur essendo fedele, si reputi indegno. Tali anime infatti sono gradite a Dio e sono vivificate nel Cristo, al quale è gloria e potenza nei secoli dei secoli. Amen.

Sforzati dunque di piacere al Signore attendendolo sempre dentro di te (…). E vedi come viene a te e stabilisce la sua dimora presso di te. Quanto più unifichi il tuo cuore per la ricerca di lui, tanto più egli è costretto dalla sua compassione e dalla sua bontà a venire a te e a riposare in te. Egli sta a guardare il tuo cuore, i tuoi pensieri, i tuoi sentimenti (…).

 
(Tratto da PSEUDO-MACARIO, Spirito e fuoco, ed. Qiqaion a cui si rimanda vivamente per l’approfondimento)

 

 

Pseudo Macario, Consigli spirituali:

“Il Cristianesimo è cibo e bevanda; quanto più uno se ne nutre, tanto più dalla sua dolcezza la mente è attratta trovandosene sempre insaziabilmente bisognosa. In verità lo Spirito è cibo e bevanda che mai dà sazietà.

Quando il pittore è intento a fare il ritratto del re ne deve avere davanti Il volto, cosicchè quando il re posa davanti a lui con abilità e grazia lo ritrae: ma se il re è girato dalla parte opposta, il pittore non può compiere l’opera sua, perchè il suo occhio non ne vede il volto. Così Cristo, pittore perfetto, dipinge i lineamenti del suo volto di uomo celeste su quei fedeli che sono verso di Lui costantemente orientati. Se qualcuno non lo fissa di continuo, disprezzando ogni cosa a Lui contraria, non avrà in se stesso l’immagine del Signore disegnata dalla sua luce.

Il nostro volto sia sempre in Lui fisso, con fede e amore, trascurando tutto per essere solo in Lui intenti, affinchè nel nostro intimo si imprima la sua immagine, e così portando in noi Cristo possiamo giungere alla vita senza fine.”

(Pseudo Macario, Consigli spirituali)

 

« La sua casa siamo noi » (Eb 3, 6)

Il Signore si stabilisce in un’anima fervente. Fa di essa il suo trono di gloria, vi si siede e vi dimora… Come la casa abitata dal suo padrone è tutta grazia, ordine e bellezza, così l’anima con la quale e nella quale il Signore dimora è tutta ordine e bellezza. Possiede il Signore e tutti i suoi tesori spirituali. Egli ne è l’abitante, ne è il capo.

Invece, orrenda è la casa il cui padrone è assente, il cui Signore è lontano ! Va in rovina, crolla, si riempie di sozzure e di disordine. Diventa, secondo la parola del profeta, un covo di serpenti e di demoni (Is 34, 14). La casa abbandonata si riempie di gatti, di cani, di immondizie. Com’è infelice quell’anima che non può rialzarsi dalla sua caduta funesta, che si lascia trascinare e giunge ad odiare il suo sposo e strappare i suoi pensieri da Gesù Cristo !

Ma quando il Signore la vede raccogliersi e cercare giorno e notte il suo Signore, gridare verso di lui com’egli stesso la invita : « Pregate sempre, senza stancarvi », allora « Dio le farà giustizia » (Lc 18, 1.7) – l’ha promesso – e la purificherà da ogni cattiveria. La farà sua sposa « senza macchia, né ruga » (Ef 5, 27). Credi nella sua promessa ; è verità. Guarda se la tua anima ha già trovato la luce che rischiarerà i suoi passi e il Signore che è suo cibo e bevanda. Queste cose ti mancano ancora ? Cercale giorno e notte, le troverai.

(Pseudo-Macario,Omelia 33 ; PG 34, 741-743)

Rivelazione di Maria Vergine, Madre di Dio: -L’ISTANTE DELLA MORTE- “Da quel momento dipende tutto: Salvezza Eterna o Dannazione eterna” “Inferno o Paradiso”

Dalla “Mistica città di Dio,Vita della Vergine Madre di Dio” rivelata alla Venerabile Suor Maria di Ágreda

Insegnamento della Regina del cielo:

880. Figlia mia carissima, non è senza un motivo particolare che il tuo cuore si è mosso, con speciale compassione e pietà, verso quelli che si ritrovano in punto di morte, e che è sorto in te il desiderio di aiutarli in quell’ora. In verità, come hai potuto conoscere, le anime in quell’istante soffrono incredibili e pericolose angustie per le insidie del diavolo e della stessa natura che le circonda. Da quel momento dipende tutto: l’esilio terreno si conclude, perché cada sopra di esso l’ultima sentenza di morte o di vita eterna, di pena o di gloria senza fine. E poiché l’Altissimo si compiace che tu metta in pratica la carità di cui sei stata colmata verso tutti i morenti, io ti confermo nello stesso proposito e ti esorto a concorrere con tutte le forze ed a prestarci obbedienza con tutti i tuoi sforzi. Considera, dunque, o amica, che Lucifero e i suoi ministri riconoscono dagli eventi e dalle cause naturali quando gli uomini si trovano in una pericolosa e mortale infermità; e quindi in quell’istante stesso si preparano con astuzia e con tutta la loro malignità ad investire il povero ed ignorante malato e a farlo precipitare, se possono, con varie tentazioni. Inoltre, quando si avvicina il termine delle persecuzioni contro le anime, i principi delle tenebre cercano di rifarsi da questo danno assalendo i mortali con maggior malvagità nel poco tempo che manca alla fine della vita.

881. In questa situazione si aggregano come lupi sanguinari e si sforzano di riconoscere lo stato dell’infermo sia riguardo a ciò che ha di naturale sia riguardo a ciò che ha di acquisito, considerando le sue inclinazioni, gli usi, i costumi ed anche gli affetti in cui mostra particolare suscettibilità; e ciò al fine di poterlo assaltare e di invergli per quella via maggior guerra. A quelli che sregolatamente amano la vita i demoni suggeriscono che questa loro affezione non è poi così pericolosa, ed impediscono che qualcuno li disinganni. In quelli che sono stati negligenti nell’uso dei santi sacramenti suscitano una nuova tiepidezza e propongono loro maggiori difficoltà, affinché muoiano senza avvicinarsi ad essi o li ricevano senza frutto e con cattiva predisposizione. Ad alcuni creano stati di confusione, affinché non prendano coscienza dei loro peccati; ad altri frappongono indugi ed ostacoli, perché non dichiarino i loro debiti e non mettano pace nei loro cuori. In quelli che amano la vanità risvegliano il desiderio, anche in quell’ultima ora, di molte cose vane e superbe da eseguirsi dopo la morte. Con veemenza inclinano altri avari o lussuriosi verso tutto ciò che ciecamente amarono. E così i crudeli nemici si avvalgono di tutte le cattive abitudini dei mortali per spingerli dietro agli oggetti e per rendere ad essi difficoltoso o impossibile il rimedio.

E tutti gli atti peccaminosi che gli uomini operarono in vita, e con i quali acquistarono viziosi costumi, furono altrettanti pegni ed armi offensive che diedero al comune nemico, per far loro guerra nell’ora tremenda della morte. E così ogni appetito soddisfatto viene ad aprire la via, perché il demonio penetri nel castello dell’anima. Egli, nell’interno di questa, emette il suo pestifero fiato e solleva dense tenebre – che sono i suoi stessi effetti – affinché gli uomini non riconoscano le divine ispirazioni, né abbiano vero dolore dei loro peccati, né facciano penitenza alcuna per la loro cattiva condotta in vita.

882. Generalmente questi nemici fanno in quell’ultima ora grandi stragi, infondendo negli infermi la falsa speranza di vivere più a lungo e di eseguire con il tempo ciò che Dio ispira loro per mezzo dei suoi angeli: con questo inganno essi si ritrovano beffati e perduti. Soprattutto in quel momento è grande il pericolo per quelli che hanno disprezzato in vita il rimedio dei santi sacramenti. La giustizia divina è solita castigare questo rifiuto, molto offensivo per il Signore e per i santi, abbandonando le anime in preda al loro cattivo consiglio. Queste, poiché non vollero approfittare a suo tempo del rimedio opportuno, meritano, giustamente, di essere escluse nell’ultima ora dalla salvezza eterna, che temerariamente aspettavano. Pochissimi sono i giusti in pericolo di morte che non vengono assaltati con incredibile rabbia dall’antico serpente.

Se egli pretende di far cadere coloro che sono santi e virtuosi, che cosa sperano coloro che sono dediti ai vizi, che cosa attendono i negligenti ed i pieni di peccati che hanno impiegato tutta la loro vita a demeritare la grazia e il favore divino e a schivare le opere di cui potevano avvalersi contro il nemico? Il mio santo sposo Giuseppe fu tra quelli che ebbero il privilegio di non vedere né sentire il demonio in quell’ora estrema, perché, quando gli spiriti maligni tentarono di avvicinarsi, furono arrestati da una forza potente che li allontanò e i santi angeli li precipitarono nell’abisso. Ed essi sentendosi così oppressi e schiacciati – a nostro modo di intendere – rimasero turbati, confusi e come storditi. Ciò diede occasione a Lucifero di convocare nell’inferno un’assemblea o un conciliabolo al fine di consultarsi con tutti i principi delle tenebre su quanto era accaduto, e di investigare nel mondo sulla vera o presunta venuta del Messia.

883. Comprendi ora, carissima, quanto sia pericoloso il momento della morte e quante anime periscano in quell’ora in cui cominciano a svelarsi i meriti e i peccati. Non ti dichiaro quanti sono quelli che si perdono e si dannano, perché – se lo sapessi – ne moriresti per la pena e per il vero amore che porti al Signore. La regola generale dice che la buona vita aspetta la buona morte, tutto il resto è incerto, raro e contingente. Il rimedio sicuro deve consistere nell’intraprendere da lontano il cammino. Perciò ti avverto di pensare ogni giorno, allo spuntare della luce, se quello sarà l’ultimo della tua vita, e riguardandolo come se dovesse veramente esserlo – poiché non sai se in effetti lo sarà – cerca di mettere ordine nella tua anima in modo che con volto allegro e sereno tu possa ricevere la morte, qualora venga. Non rimandare nemmeno per un istante il dolore dei tuoi peccati e il proposito di confessarli, se ne avrai commessi. Cerca di emendare fin la più piccola imperfezione, in modo da non lasciare nella tua coscienza nessuna colpa, di cui senti rimorso, senza dolertene e senza lavarti con il sangue di Cristo mio santissimo figlio. Disponi tutta te stessa in uno stato tale da poter comparire dinanzi al giusto giudice che ti deve esaminare e che deve giudicare le tue facoltà a partire dal più piccolo pensiero e dalla minima azione.

884. Ma per aiutare, come desideri, coloro che si trovano in quell’estremo pericolo, in primo luogo raccomanda, se potrai, a tutti questi il consiglio che ti ho suggerito: vivano con l’anima sempre pronta per ottenere una felice morte. Inoltre per questo fine eleverai un’orazione ogni giorno senza mai tralasciarla. Con fervorosi affetti e gemiti prega l’Onnipotente, affinché dissipi gli inganni dei demoni e rompa i lacci e le insidie che essi tramano contro quelli che agonizzano o si ritrovano in quell’istante, ed impetra che tutti loro siano confusi dalla sua divina destra. Tu sai che io recitavo questa orazione per i mortali e quindi voglio che mi imiti. Similmente, ti ordino che, per aiutarli meglio, comandi ed intimi agli stessi demoni di allontanarsi da loro e di non opprimerli. Ben puoi usare questo potere, anche se non sei presente in quei frangenti poiché, essendovi il Signore, nel suo nome puoi comandare loro e costringerli a fuggire per sua maggior gloria ed onore.

885. Riguardo alle tue sorelle, illuminale senza turbarle su quello che devono fare. Ammoniscile ed assistile, affinché ricevano subito i santi sacramenti e vi si accostino frequentemente. Procura e sforzati di animarle e consolarle, discorrendo con loro sulle cose di Dio, sui suoi misteri e sulla sacra Scrittura, affinché si risveglino i loro sentimenti e i loro buoni propositi e si dispongano a ricevere dall’alto la luce e i divini consigli. Incoraggiale nella speranza, fortificale contro le tentazioni, ed insegna loro come devono resistervi e vincerle. Quando l’Altissimo non ti darà una particolare illuminazione per comprendere le loro prove, cerca tu stessa di conoscerle prima che te le manifestino, affinché applichi a ciascuna la medicina più conveniente; le infermità spirituali, infatti, sono difficili da diagnosticare e curare. Adoperati per eseguire quanto ti insegno ed io otterrò dal Signore privilegi per te e per quelli che desidererai aiutare. Non essere parca nella carità, perché in questa virtù non devi operare in proporzione a ciò che tu sei, ma nella misura di ciò che l’Altissimo vuole operare per mezzo di te.

Rivelazione della Vergine Maria, Madre di Dio: “Così Lucifero continuamente trascina all’Inferno un gran numero di uomini, sollevandosi sempre di più contro l’Altissimo nella sua superbia” “Facendo dimenticare agli uomini i ‘Novissimi’: Morte, Giudizio, Inferno e Gloria”

Dalla “Mistica città di Dio,Vita della Vergine Madre di Dio” rivelata alla Venerabile Suor Maria di Ágreda

Insegnamento della Regina del cielo

 

773. Figlia mia, tutte le opere del mio Figlio santissimo e mie sono colme di insegnamenti e istruzioni per gli uomini che le considerano con attenta stima. Sua Maestà si allontanò da me affinché cercandolo con dolore e lacrime lo ritrovassi poi con gioia a mio vantaggio spirituale. Anche tu devi cercare il Signore con amaro dolore, affinché questo dolore ti procuri un’incessante sollecitudine, senza riposare su cosa alcuna per tutto il tempo della tua vita, sino a quando tu non arrivi a possederlo e non lo lasci più. Perché tu comprenda meglio il mistero del Signore, sappi che la sua sapienza infinita plasma le creature capaci della sua eterna felicità ponendole sì sul cammino che conduce ad essa, ma allo stesso tempo così lontane e non sicure di arrivarvi. Fintanto che non siano giunte a possedere l’eterna felicità, vivano sempre pronte e nel dolore, affinché la sollecitudine generi in esse un continuo timore e orrore per il peccato, il quale fa perdere la beatitudine. Anche nel tumulto della conversazione umana la creatura non si lasci legare né avviluppare dalle cose visibili e terrene. Il Creatore aiuta in questa sollecitudine, aggiungendo alla ragione naturale le virtù della fede e della speranza, le quali stimolano l’amore con cui cercare e trovare il fine ultimo. Oltre a queste virtù e ad altre infuse con il battesimo, manda ispirazioni e aiuti per ridestare e rimuovere l’anima lontana dallo stesso Signore, affinché non lo dimentichi né si scordi di se stessa mentre è priva della sua amabile presenza. Anzi continui la sua strada sino a giungere al bene desiderato, dove troverà la pienezza del suo amore e dei suoi desideri.

774. Potrai, dunque, capire quanto grande sia la cecità dei mortali e quanto scarso il numero di coloro che si concedono il tempo di considerare attentamente l’ordine meraviglioso della loro creazione e giustificazione e le opere che l’Altissimo ha compiuto per così alto fine. A questa dimenticanza fanno seguito tanti mali, quanti ne soffrono le creature attaccandosi al possesso dei beni terreni e dei piaceri ingannevoli, come se questi fossero la loro felicità e il fine ultimo: è cattiveria grande, rivolta contro la volontà del Signore. I mortali vogliono in questa breve e transitoria vita dilettarsi di ciò che è visibile, come se fosse il loro ultimo fine, mentre dovrebbero usare le creature come mezzo per raggiungere il sommo Bene e non per perderlo. Avverti, dunque, o carissima, questo rischio della stoltezza umana. Tutto ciò che è dilettevole, piacevole e poco serio giudicalo un errore; di’ all’appagamento dei sensi che si lascia ingannare invano e che è madre della stoltezza, rende il cuore ubriaco, impedisce e distrugge tutta la vera sapienza. Vivi sempre con il santo timore di perdere la vita eterna e sino a quando non l’avrai raggiunta non ti rallegrare in altre cose se non nel Signore. Fuggi dalle conversazioni umane e temine i pericoli. Se per obbedienza o a gloria sua Dio ti porrà in mezzo ad essi, devi confidare nella sua protezione, e tuttavia con la necessaria prudenza non devi essere né svogliata né negligente. Non ti affidare all’amicizia e alla relazione con le creature, perché vi è riposto il tuo pericolo più grande. Il Signore ti ha dato un animo grato e un’indole dolce, affinché tu sia incline a non resistergli nelle sue opere, usando per suo amore i benefici che ti ha concesso. Se permetterai che in te entri l’amore delle creature, queste sicuramente ti trasporteranno, allontanandoti dal sommo Bene. Altererai, così, l’ordine e le opere della sua sapienza infinita. È cosa molto indegna utilizzare il più grande beneficio della natura con un oggetto che non sia il più nobile di tutta la natura stessa. Sublima le azioni delle tue facoltà e rappresenta ad esse l’oggetto nobilissimo dell’essere di Dio e del suo Figlio diletto tuo sposo, il più bello tra i figli dell’uomo, e amalo con tutto il tuo cuore, la tua anima e la tua mente.

792. Figlia mia, l’Altissimo, buono e clemente, ha dato e continua a dare l’esistenza a tutti gli esseri viventi, non nega ad alcuno la sua provvidenza e illumina fedelmente ogni uomo, affinché possa intraprendere il cammino della conoscenza di Lui e poi entrare nel gaudio perenne, se non oscura questa luce con le sue colpe, abbandonando la conquista del regno dei cieli. Dio, con le anime che per i suoi segreti giudizi chiama a far parte della Chiesa, si dimostra più generoso. Nel battesimo, infatti, comunica loro con la grazia le virtù “infuse essenzialmente”, dette così perché nessuno può acquistarle da se stesso, e quelle “infuse accidentalmente”, che cioè potrebbero ottenere con le opere. Egli le anticipa loro perché siano più pronte e devote nell’osservare la sua santa legge. Ad alcune, oltre alla fede, la sua benevolenza aggiunge speciali doni soprannaturali di maggior intelligenza e forza per comprendere e attuare i comandamenti evangelici. In questo favore si è mostrato verso di te più liberale di quanto non lo sia stato con molte generazioni; perciò ti devi contraddistinguere nella carità e nella corrispondenza che gli spetta, stando sempre umiliata e abbracciata alla polvere.

793. Con la sollecitudine e l’affetto di una madre, ti voglio insegnare l’astuzia con la quale satana si sforza di distruggere questi benefici dell’Onnipotente. Da quando le creature cominciano a usare la ragione, molti demoni le seguono una per una con vigilanza e, proprio nel momento in cui esse dovrebbero innalzare la mente alla cognizione di Dio e iniziare ad esercitare le virtù ricevute, con incredibile furore e sagacia tentano di sradicare la semenza divina. Se non ci riescono, fanno in modo che questa non dia frutto, incitando gli uomini ad atti viziosi, inutili e infantili. Li distraggono con tale iniquità perché non si servano della fede, della speranza e di quanto ancora è stato loro elargito, non si ricordino che sono cristiani e non cerchino di conoscere il loro Dio, i misteri della redenzione e della vita eterna. Inoltre, questi nemici introducono nei genitori una stolta inavvertenza o un cieco amore carnale verso i propri figli e spingono i maestri ad altre negligenze, affinché non si preoccupino della maleducazione, permettano loro di corrompersi e di acquisire cattive consuetudini e di perdere le loro buone inclinazioni, avviandosi così alla rovina.

794. Il pietosissimo Signore, però, non tralascia di ovviare a questo rischio. Rinnova loro la luce interiore con altri aiuti e sante ispirazioni, con la dottrina della Chiesa attraverso i suoi predicatori e ministri, con l’uso e il rimedio efficace dei sacramenti, e con altri mezzi che servono a ricondurli sulla via della salvezza. Se nonostante questi numerosi provvedimenti sono pochi coloro che tornano alla salute spirituale, la causa di ciò sta nell’empia legge dei vizi e nelle abitudini depravate che si prendono durante la fanciullezza. Siccome è vera la sentenza: «Quali furono i giorni della gioventù, tale sarà anche la vecchiaia», i diavoli acquistano sempre più coraggio e potere sulle anime. Pensano, infatti, che, come le dominavano quando esse avevano commesso meno e minori colpe, così lo potranno fare con più facilità quando senza timore si saranno macchiate di molte altre e più gravi. Poi le muovono alla trasgressione e le colmano d’insensata audacia. Ciascun peccato compiuto da una persona toglie a questa forze interiori e la soggioga maggiormente a satana che, come tiranno, se ne impossessa e l’assoggetta a tale malvagità e meschinità da schiacciarla sotto i piedi della sua iniquità; quindi la conduce dove vuole, da un precipizio a un altro. Questo è il castigo che spetta a chi la prima volta si sottomette a lui. Così Lucifero continuamente trascina all’inferno un gran numero di uomini, sollevandosi sempre di più contro l’Altissimo nella sua superbia. Per tale via ha introdotto nel mondo la sua prepotenza, facendo dimenticare agli uomini i “novissimi”: morte, giudizio, inferno e gloria; ha gettato tante nazioni di abisso in abisso, sino a farle cadere in errori così ciechi e bestiali quanto quelli che contengono tutte le eresie e le false sette degli infedeli. Pensa, dunque, figlia mia, a un pericolo così grande e non scordarti mai dei precetti di Dio e delle verità cattoliche. Non ci sia giorno in cui tu non mediti su questo; consiglia alle tue religiose e a tutti coloro ai quali parlerai di fare lo stesso, perché il nemico, il diavolo, si affatica e veglia per oscurare il loro intelletto e deviarlo dalla legge divina, affinché l’intelligenza non indirizzi la volontà, potenza cieca, a compiere gli atti per la giustificazione, che si consegue tramite viva fede, speranza certa, amore fervente e cuore contrito e umiliato.

Rivelazione di Maria Vergine, Madre di Dio: “I mortali devono affliggere la loro carne innanzitutto perché le passioni inclini al male e ostili allo spirito si sono ribellate alla ragione”

 

Un pezzo tratto da ” La città mistica di Dio, vita della Vergine Madre di Dio ” della Venerabile Suor Maria di Ágreda.

987. L ‘Unigenito, dopo aver preso commiato da Giovanni il Battista, accompagnato dagli angeli che lo servivano come re e sovrano e lo veneravano con canti di lode per ciò che stava realizzando in ordine alla salvezza, si diresse verso il luogo prestabilito dal volere superno. Così giunse in quel posto solitario tra rupi e rocce aride e sterili, in mezzo alle quali si trovava una caverna o grotta molto nascosta, che scelse come abitazione per i giorni del digiuno. Si prostrò al suolo con profondo abbassamento, come era solito fare insieme alla sua beatissima Madre prima di pregare, e magnificò l’Onnipotente per le meraviglie compiute e soprattutto per avergli concesso quella terra così adatta per il suo ritiro; ringraziò anche lo stesso deserto per averlo accolto, dandogli la possibilità di rimanere nascosto dal mondo per tutto il tempo necessario. Poi si mise a intercedere incessantemente con le braccia distese a forma di croce mentre elevava suppliche per il riscatto dell’umanità: questa risultò essere la sua occupazione più frequente durante la sua permanenza là. Qualche volta durante tali implorazioni sudava sangue, per le ragioni che esporrò quando parlerò dell’orazione nell’orto degli Ulivi.

988. Alcune volte, mentre camminava, molti animali selvatici gli correvano intorno e con ammirevole istinto lo riconoscevano come loro creatore, e in testimonianza di ciò emettevano guaiti e si esprimevano con ogni genere di movimento. Soprattutto gli uccelli volavano dinanzi a lui e gli manifestavano il loro giubilo con diversi soavi canti, facendogli festa e omaggiandolo. A loro modo volevano anche esprimere la loro gratitudine per poter essere a lui vicini, cosicché quell’eremo venisse santificato dalla sua divina presenza. Egli cominciò l’astinenza senza prendere alcun cibo per tutti i quaranta giorni, offrendolo all’Eterno per espiare gli eccessi disordinati che i mortali avrebbero commesso col vizio della gola che era frequentemente e apertamente onorato, sebbene fosse considerato vile e abietto. Nella maniera in cui vinse questo vizio, vinse anche tutti gli altri, dando così soddisfazione delle ingiurie che il legislatore supremo riceveva con essi. Secondo quanto mi sembra di capire, egli, prima di iniziare la predicazione e la missione di maestro, redentore e mediatore presso il Padre, volle trionfare su tutti i vizi e per riparare le offese fatte a Dio esercitò le virtù contrarie: col digiuno rimediò quindi la smoderatezza della gola. Fece lo stesso per tutto il tempo della sua vita, ma specialmente destinò a tale scopo le sue opere d’infinito valore mentre era nel deserto.

989. Come un padre affettuoso, i cui numerosi figli avessero commesso grandi delitti e per questo meritassero orrendi castighi, il nostro fratello Gesù elargì i suoi favori per la nostra salvezza e pagò i nostri debiti per preservarci dalla pena dovuta. Donò la sua umiltà per compensare la nostra superbia, la povertà scelta liberamente per la nostra avarizia, l’aspra penitenza per i turpi piaceri, la mansuetudine e la carità verso i nemici per l’ira e la vendetta, l’attenzione vigilante e la sollecitudine per la nostra pigrizia e trascuratezza, la sincerità più schietta e genuina, la verità e la dolcezza per la falsità e l’invidia. Così andava placando il giusto giudice e chiedendo il perdono per gli uomini degeneri e disobbedienti. In tal modo non ottenne solo questo, ma guadagnò per noi anche nuove grazie e nuovi aiuti, perché giungessimo a godere della sua compagnia, ad essere degni di contemplare il suo volto e quello dell’Altissimo e a prender parte alla loro gloria da sempre e per sempre. Anche se egli avrebbe potuto conseguire tutto questo con la minore delle sue opere, non agì come avremmo fatto noi e il suo amore sovrabbondò in incalcolabili dimostrazioni, affinché la nostra ingratitudine e durezza di cuore non avessero scuse.

990. Alla Principessa, per avere notizia degli atti di sua Maestà, sarebbero bastate la luce divina e le continue visioni e rivelazioni che aveva, ma ella nel suo zelo inviava al suo Unigenito frequenti messaggi per mezzo degli angeli. Lo stesso Signore disponeva che ciò avvenisse attraverso questi fedeli ambasciatori, perché i sensi di entrambi udissero reciprocamente i concetti che formavano i loro animi, e puntualmente essi li riferivano a Maria con le stesse parole uscite dalla bocca di Gesù e a Gesù con quelle di Maria, sebbene tutti e due ne fossero già informati per altra via. Non appena la Regina fu al corrente del fatto che egli si era incamminato verso il deserto e delle sue intenzioni, serrò le porte di casa senza che nessuno potesse accorgersi che dimorava all’interno. Si tenne talmente nascosta che gli stessi vicini pensarono che ella pure si fosse allontanata. Si raccolse nel suo oratorio e vi rimase quaranta giorni e quaranta notti senza uscire mai e senza prendere cibo, come sapeva che stava facendo il suo diletto: entrambi intendevano osservare la stessa forma di vita e lo stesso rigoroso digiuno. Lo imitò in tutto, con la preghiera, le prostrazioni a terra e le genuflessioni senza ometterne alcuna, e la cosa più stupefacente è che le compiva simultaneamente a lui e per questo motivo tralasciò ogni altra faccenda. Oltre ai messaggi che le erano recati, era in grado, a motivo di quel beneficio di cui ho più volte riferito, di vedere le operazioni dell’anima del Verbo incarnato, sia che questi fosse presente sia che fosse assente. Inoltre, per quanto riguarda le azioni corporali, che ella percepiva attraverso i sensi quando stavano insieme, ora, essendo egli lontano, riusciva a conoscerle attraverso la visione intellettuale, oppure le erano manifestate dagli stessi esseri celesti.

991. Il nostro Maestro, finché si trattenne in quel luogo, faceva ogni giorno trecento genuflessioni e prostrazioni ed altrettante ne faceva la Vergine ; il tempo che le restava, ella lo impiegava solitamente per comporre canti di lode. Ricalcando le sue orme cooperò con lui, riportò le medesime vittorie sui vizi e riparò gli stessi con le sue eroiche virtù. Se egli, come redentore, meritò tanti favori a nostro vantaggio e pagò i nostri debiti secondo la più severa giustizia, ella, come ausiliatrice e madre nostra, misericordiosamente intercedette per noi e divenne mediatrice nella misura in cui era possibile ad una semplice creatura.

Insegnamento della Regina del cielo
992. Figlia mia, le penitenze corporali sono indispensabili: molti si sono persi per sempre e molti altri corrono lo stesso pericolo, perché hanno ignorato questo dovere e hanno dimenticato o addirittura disprezzato l’obbligo di abbracciare la croce. I mortali devono affliggere la loro carne innanzitutto perché sono stati concepiti nella colpa e con essa tutta la natura umana è diventata corruttibile, e le passioni inclini al male e ostili allo spirito si sono ribellate alla ragione; infatti, se si permette che queste seguano le proprie inclinazioni, trascinano l’anima facendola precipitare da un vizio all’altro. Se però tale fiera viene soggiogata e domata col freno dell’astinenza, perde la sua forza e l’intelligenza ha il sopravvento con la luce della verità. Il secondo motivo per il quale ci si deve mortificare è che nessuno ha cessato di peccare contro Dio. Alla trasgressione deve corrispondere inevitabilmente il castigo, o in questa vita o nell’altra, e, poiché l’anima e il corpo hanno peccato insieme, devono essere puniti entrambi secondo equità; il dolore interiore non è sufficiente, se la carne per non dover patire tenta di schivare la pena adeguata. Il debito del reo è tanto grande quanto la sua capacità di rimediare è limitata e scarsa: egli non saprà mai, quantunque si sforzi ininterrottamente, se avrà potuto riparare e rendere soddisfazione al giudice, e quindi non deve smettere di impegnarsi fino alla fine dei suoi giorni.

993. La divina clemenza è a tal punto liberale con gli uomini che, se essi cercano come possono di espiare i loro peccati con la penitenza, sua Maestà non solo si mostra compensato delle offese subite, ma anche promette loro nuove grazie e il premio eterno. È necessario che i servi fedeli e prudenti, che amano veramente il loro Signore, procurino di aggiungere altre opere volontarie, perché al debitore che pensa solamente a pagare, senza fare più di quello che deve, benché paghi, nulla avanza ed egli resta povero, senza alcun capitale. Che cosa dunque devono fare o sperare coloro che non pagano, né compiono nulla a tal fine? Il terzo motivo per il quale ci si deve maggiormente mortificare è la sequela del nostro Maestro. Egli ed io, sebbene non avessimo né macchie né passioni disordinate, ci sacrificammo e tutta la nostra esistenza terrena trascorse nella continua afflizione dei sensi. Non bisognava che il Cristo sopportasse questi oltraggi per entrare nella gloria del suo corpo e del suo nome? Ed io lo seguii in tutto. Ordunque, se noi ci siamo comportati in questo modo perché conveniente, quale diritto hanno i discendenti di Adamo di cercare un altro cammino e di condurre una vita comoda, molle, dilettevole e avida di piaceri, aborrendo e disprezzando tutte le fatiche, le ignominie, i digiuni e gli atti di compunzione? Quale argomento adducono per cui il soffrire dovrebbe essere solo per il mio Unigenito e per me, mentre coloro che si procurano la condanna se ne stanno con le mani in mano, dediti alle lussuriose inclinazioni della carne, e usano le forze spirituali, che hanno ricevuto da lui per porsi al suo servizio e ricalcare le sue orme, per appagare i loro piaceri e per servire satana che li ha fin là trascinati? Questa mostruosità, che ormai regna dappertutto, ha provocato l’ira e l’indignazione dell’Onnipotente.

994. È vero, carissima, che i tormenti di mio Figlio hanno riparato le mancanze dei meriti umani. Egli ordinò anche a me di imitare precisamente i suoi supplizi e i suoi esercizi, affinché, sebbene fossi solo una semplice creatura, cooperassi con lui facendo le veci dei mortali. Ciò però non avvenne per esonerare questi ultimi dalla penitenza, ma per incitarli ad essa; infatti, non sarebbe stato necessario patire così tanto solo per rendere soddisfazione per essi. Gesù, come vero padre e fratello, volle anche dare valore alle azioni e alle mortificazioni di chi lo avrebbe seguito, poiché le stesse sarebbero state di poco conto agli occhi dell’Altissimo senza quelle che fece lui. E se questo vale per le opere virtuose e perfette, che sarà di quelle piene di difetti comunemente fatte dagli uomini, benché siano oggetto di virtù? Infatti, anche quelle di coloro che sono progrediti spiritualmente e giusti hanno bisogno di essere integrate e migliorate. Il nostro Salvatore ne colmò tutti i vuoti e le lacune affinché queste stesse, unite alle sue, fossero accette e gradite al sommo sovrano. Chi però non ne compie alcuna e se ne sta ozioso, non può avvalersi delle opere del suo Redentore: non si trova, infatti, in lui nulla da integrare o da ritoccare, ma al contrario molto da condannare. Ora, non mi riferisco all’esecrabile errore di quei credenti che perfino nelle pratiche di penitenza hanno introdotto la sensualità e la vanità del mondo. Per essi è opportuno un maggior castigo più per questo che per le altre colpe, dal momento che uniscono alla contrizione fini vani ed imperfetti dimenticando quelli soprannaturali che danno merito alla mortificazione e pongono in stato di grazia. Se sarà utile, ti parlerò di tale argomento in un’altra occasione. Per ora piangi su una simile cecità e tieniti pronta a sopportare ogni fatica e dolore, e, se anche tu soffrissi come gli apostoli, i martiri e i confessori, faresti solo il tuo dovere. Castiga sempre il tuo corpo e moltiplica lo zelo nel farlo; pensa che ti mancano ancora molte cose, che la vita è così breve e debole è la tua capacità di retribuzione.