DIO, LA LEGGE DI GRAVITÀ DELL’AMORE, E IL PARADISO: “Ogni anima ha un appassionato desiderio di tornare alla sua fonte originale”

Lo Spirito Santo è lo spirito del Padre, com’è lo spirito del Figlio, ma più di questo lo Spirito Santo personifica ciò che il Padre e il Figlio hanno in comune. In Dio l’amore non è una qualità come avviene per noi, poiché ci sono momenti nei quali non amiamo! Ma se lo Spirito Santo è il vincolo di amore tra il Padre e il Figlio, ne consegue che sarà necessariamente anche il vincolo di amore tra gli uomini!

Ecco perché nostro Signore, la notte dell’ultima cena, disse che come Lui e il Padre erano uno nello Spirito Santo, così gli uomini sarebbero stati una cosa sola nel Suo Corpo Mistico, e per realizzare questa unione mistica Lui stesso avrebbe mandato il suo Spirito. Lo Spirito Santo è necessario alla natura di Dio perché mediante il vincolo dell’amore sussiste l’eterna armonia fra le persone divine!

Con una debole riflessione gli uomini hanno sempre riconosciuto nell’amore la forza unificante e coagulante della società umana, in quanto vedevano nell’odio la causa della sua disgregazione e del caos. Difatti, come Dio nel creare il mondo volle immettervi la forza di gravità di modo che influisse su tutta la materia, allo stesso modo fissò nel cuore dell’uomo un’altra legge di gravità, che è la legge dell’amore mediante la quale tutti i cuori sono attratti nuovamente al centro e alla fonte dell’Amore: Dio.

Sant’Agostino disse: “l’amore è la mia legge di gravità” per indicare che ogni anima ha un appassionato desiderio di tornare alla sua fonte originale, al suo divino cuore, al suo “centro di gravità” vitale. Nella natura umana il desiderio è tutto e, non senza ragione, il paradiso è stato definito una “natura piena di vita divina attratta dal desiderio”. Da ciò si comprende che il paradiso consiste propriamente nell’Amore e che esso è il definitivo approdo dell’anima.

(Fulton J. Sheen, da “Tre per sposarsi” edizioni Fede e Cultura)

LA PURIFICAZIONE DELL’ANIMA…IL FUOCO E LA FIAMMA DEL DIVINO AMORE: “Non si può immaginare ciò che l’anima soffre durante questa prova, che somiglia quasi ai tormenti del purgatorio” SAN GIOVANNI DELLA CROCE

Si noti bene: prima che il fuoco divino dell’amore s’introduca nella sostanza dell’anima e si unisca ad essa attraverso una purificazione totale e una purezza perfetta, la fiamma, che è lo Spirito Santo, ferisce l’anima, distruggendo e consumando le imperfezioni delle sue cattive abitudini. Questa è l’operazione dello Spirito Santo per predisporre l’anima all’unione divina e alla trasformazione amorosa in Dio. Infatti il medesimo fuoco d’amore, che in seguito si unirà all’anima per glorificarla, è quello che prima l’ha investita per purificarla. Ciò è quanto accade riguardo al fuoco: penetra il legno, ma prima lo avvolge e ferisce con le sue fiamme, essiccandolo e liberandolo dai suoi elementi eterogenei, fino a prepararlo con il suo calore, così che possa penetrarlo e assimilarlo. Gli spirituali chiamano questo procedimento via purgativa. In tale situazione l’anima soffre molto e avverte grandi pene spirituali, che si ripercuotono anche sui sensi, e per questo la fiamma diventa molto penosa.

In questo periodo di purificazione la fiamma non le apporta luce, ma la getta nelle tenebre. Se le dà qualche luce, è solo perché possa vedere e sentire le sue miserie e i suoi difetti. Non le procura soavità ma dolore; anche se talvolta le trasmette fervore d’amore, lo mescola a dolore e tormento. Non le offre nessuna consolazione, ma solo aridità; e se talvolta il Signore, per sua misericordia, le concede un po’ di gioia per darle forza e coraggio, prima o poi gliela fa scontare con altrettante prove. Non dà conforto né porta pace, ma consuma e rimprovera l’anima, facendola venir meno e tormentandola con la conoscenza di se stessa. Insomma, questa fiamma non le procura alcuna gloria, ma soltanto sofferenza e amarezza, inondandola di quella luce spirituale che le permette di conoscersi così com’è. Dio, nota Geremia, ha scagliato un fuoco e nelle mie ossa lo ha fatto penetrare (Lam 1,13); e Davide dice: Mi prova con il fuoco (Sal 16,3).

In questo periodo, dunque, l’anima sopporta nel suo intelletto profonde tenebre, grandi aridità e sofferenze nella volontà, amara conoscenza delle proprie miserie nella memoria, nella misura in cui il suo occhio spirituale, molto limpido, le permette la conoscenza di sé. Per di più l’anima soffre, nella sua stessa sostanza, abbandono ed estrema povertà; si sente arida e fredda, ma a tratti fervorosa; non trova sollievo in cosa alcuna, né un pensiero che la consoli o che elevi il suo cuore a Dio. Questa fiamma le è tanto dolorosa da farle dire rivolta a Dio, come Giobbe quando si trovò in una situazione simile: Sei diventato crudele verso di me (Gb 30,21). Quando l’anima soffre tutte queste cose insieme, le sembra veramente che Dio sia divenuto crudele e spietato con lei. Non si può immaginare ciò che l’anima soffre durante questa prova, che somiglia quasi ai tormenti del purgatorio.

Non saprei descrivere meglio questa sofferenza, fin dove arrivi o ciò che l’anima sente, se non con le parole pronunciate da Geremia a tale riguardo: Io sono l’uomo che ha provato la miseria sotto la sferza della sua ira. Egli mi ha minacciato, mi ha fatto camminare nelle tenebre e non nella luce. Solo contro di me egli ha volto e rivolto la sua mano. Egli ha consumato la mia carne e la mia pelle, ha rotto le mie ossa. Ha costruito sopra di me, mi ha circondato di veleno e di affanno. Mi ha fatto abitare in luoghi tenebrosi come i morti da lungo tempo. Mi ha costruito un muro tutt’intorno, perché non potessi più uscire; ha reso pesanti le mie catene. Anche se grido e invoco aiuto, egli rifiuta la mia preghiera. Ha sbarrato le mie vie con blocchi di pietra, ha ostruito i miei sentieri (Lam 3,1-9). Tutto questo e molto di più afferma Geremia nel testo citato.

Ora, poiché Dio impiega simili espedienti per curare e guarire l’anima dalle sue innumerevoli infermità e per darle la salute, è evidente che l’anima debba soffrire, a seconda delle sue malattie, sotto i colpi di tale purificazione e l’azione di questa cura. In questa situazione è simile a Tobia quando mise il cuore del pesce sulla brace per scacciare e far scomparire ogni genere di demoni (Tb 6,8). In tal modo vengono alla luce tutte le infermità dell’anima, dal momento che Dio gliele pone dinanzi agli occhi e gliele fa sentire per guarirla.

Così, ora, grazie alla luce e al calore del fuoco divino, l’anima vede e sente ormai quelle debolezze e miserie radicate e nascoste in sé, che prima non vedeva né sentiva. È un po’ come l’umidità contenuta nel legno: non la si nota finché il fuoco non attacca il legno, facendolo trasudare, fumigare e sprizzare scintille. Così si comporta l’anima imperfetta a contatto di questa fiamma. Oh, grande meraviglia! In questo periodo si sollevano nell’anima contrari contro contrari; quelli dell’anima contro quelli di Dio, che la investono; e, come dicono i filosofi, gli uni vogliono travolgere gli altri, si muovono guerra nell’unico campo che è l’anima, cercando questi di espellere quelli, e viceversa, per regnare incontrastati. Per dirla in altri termini, sono le virtù e le proprietà di Dio, estremamente perfette, che lottano contro le abitudini e le qualità che nell’anima sono estremamente imperfette; l’anima, dunque, subisce in sé questo combattimento.

Poiché questa fiamma è una luce intensissima, quando investe l’anima risplende nelle sue tenebre (Gv 1,5), anch’esse molto profonde. L’anima, allora, avverte le sue tenebre naturali e viziose, che si oppongono alla luce soprannaturale, ma non percepisce la luce soprannaturale perché non la possiede in sé, come invece le sue tenebre; però le tenebre non accolgono la luce (Gv 1,5). Per questo motivo l’anima sentirà le sue tenebre nella misura in cui sarà investita dalla luce, senza la quale non le potrebbe percepire. Ma solo quando la luce divina dissipa le tenebre, l’anima rimane illuminata e trasformata al punto di vedere la luce in sé, perché il suo occhio spirituale è stato purificato e rafforzato dalla luce divina. Una luce intensa è tenebra assoluta per occhi impuri e deboli, perché la sua potenza disturba ciò che è molto sensibile. Ciò spiega perché questa fiamma sia molto dolorosa per la vista dell’intelletto. (…)

Questa purificazione così intensa si verifica in poche anime, cioè solo in quelle che il Signore chiama all’unione più intima con lui. Difatti egli dispone la purificazione più o meno intensa per ciascun’anima, a seconda del grado a cui vuole elevarla e anche a seconda delle sue miserie e imperfezioni. Questa purificazione somiglia a un vero e proprio purgatorio. Difatti, come lì si purificano gli spiriti per poter arrivare alla chiara visione di Dio nell’altra vita, così qui, sulla terra, si purificano le anime per arrivare alla trasformazione in Dio per amore.

(San Giovanni della Croce, Dottore della Chiesa, da “Fiamma d’amor viva”)

GIOVANNI TAULERO: Non devi scoraggiarti nella sofferenza né diffidare del cuore paterno, dicendo: “Dio mi ha dimenticato, Dio mi ha abbandonato”. Sappi che Dio castiga chi ama e flagella chi elegge per figlio.

-L’abbandono nella sofferenza è davanti a Dio come un’arpa che suona dolcemente in un soave tocco di corde-

Se ti agita qualche impazienza nelle tue sofferenze, resisti e sopportati. Come Cristo, il più perfetto di tutti gli uomini, che fu così scosso dalla sua imminente passione da dire nell’angoscia del suo cuore: «L’anima mia è triste sino alla morte. E cosa dirò io? Padre, salvami». Ah, come fu scosso il suo spirito, tanto da sprizzare nella sua agonia sudore di sangue! Così nel tuo patire devi raccogliere quanto rapidamente puoi le tue facoltà, rigenerare la sofferenza nella sua origine, essa è infatti scaturita dall’amore che è Dio, offrirla spiritualmente a Dio come un’oblazione dorata, elevarla umilmente al Padre e dire:

«O Padre di ogni paternità, io, tua povera e inferma figlia, ricevo oggi dalla tua mano paterna questa sofferenza come un nobile e prezioso dono d’amore. Padre amorevole, se devo bere il calice di questa sofferenza come un malato beve una pozione amara per vincere la sua malattia, sia fatta, Padre, la tua volontà e non la mia. Ma ti prego, dammi forza di sopportarla secondo la tua volontà, perché senza di te non posso nulla».

E quando fai questo, sappi che gli occhi dell’eterno e clementissimo Padre sono aperti e rivolti alle tue necessità, per aiutarti a tempo opportuno, se vuoi aspettare. Proprio come un padre non può sopportare a lungo il suo diletto figlio nelle angustie senza venire ad aiutarlo e paternamente ricrearlo nella sua sofferenza. Non devi scoraggiarti nella sofferenza né diffidare del cuore paterno, dicendo: “Dio mi ha dimenticato, Dio mi ha abbandonato”. Sappi che Dio castiga chi ama e flagella chi elegge per figlio (Eb 12,6).

Il Padre vide il Figlio suo sudare dolorosamente sangue, lo vide flagellare alla colonna, amaramente inaridire nelle pene sulla croce come fieno, o come un orrore nella sua ignominiosa passione, e per questo non lo amò di meno; gli era così caro sulla croce come oggi in cielo nel suo seno paterno. Allo stesso modo ne è stato di tutti i suoi cari amici i quali hanno dovuto patire tutti amaramente: gli uni furono bolliti, gli altri arrostiti, i terzi ridotti in polvere, i quarti inceneriti. Così è pure per te, o nobile anima. Se vuoi piacere particolarmente a Dio ed essere amata familiarmente da lui, devi pure accettare da lui in singolare carità una particolare sofferenza. Se persevererai sino alla fine, sarai perfetta e salva, come ha detto Cristo, la bocca stessa della verità.

L’abbandono nella sofferenza è davanti a Dio come un’arpa che suona dolcemente in un soave tocco di corde. Infatti sulle sue corde -cioè sulle facoltà dell’anima- modula un così dolce canto lo Spirito Santo in intima devozione, che le loro voci penetrano soavemente nelle orecchie del Padre celeste in un misterioso e interiore silenzio. In esso si ode un doppio canto su questa cetra: le corde grosse hanno un tono basso e le piccole un tono acuto; cioè quando le facoltà del corpo sono ricolme di sofferenza, si ode un canto basso. Ma le facoltà dell’anima, piene di devozione, cantano dolcemente nel volontario e paziente abbandono. E al di sopra di questo canto a doppia voce c’è lo Spirito Santo, maestro d’organo. Le facoltà dell’anima sono le piccole e grandi canne dell’organo, e i santi angeli calcano i mantici dell’organo: essi muovono l’aria spirituale della devozione nelle facoltà, così di frequente come lo Spirito Santo vuol modulare l’acuto canto della devozione interiore su queste facoltà dell’anima e del corpo.

O com’è soave il canto dello Spirito Santo! Chi lo sente gusta una gioia interiore ed angelica e un convito di nozze celesti, ed esso è in questo tempo il preludio dello Spirito Santo del puro gaudio che c’è lassù nell’eternità. (…)

In verità se Dio ti lascia senza molte sofferenze, non sei una delle sue più care regine. Qualunque anima vuol essere la prediletta regina dello Sposo eterno, deve diventarlo attraverso infuocate e ardenti afflizioni che penetrano bruciando l’interno midollo, che ti preparano proprio come la cera è preparata dal fuoco affinché diventi ricettiva di qualunque forma l’artista voglia imprimervi. Se il supremo artefice deve imprimere in te la forma della sua deliziosa, essenziale, eterna immagine, deve cadere senza alcun dubbio la tua vecchia immagine, e per la ragione propria di questa sublime trasformazione, devi deporre in tale operazione soprannaturale la tua vecchia forma.

È impossibile infatti per natura e pure per grazia che una cosa possa ricevere una nuova e nobile forma senza che sia rigettata la vecchia e vile forma. Ed a questo cambiamento della suddetta forma nella trasformazione dell’anima, Dio ha preordinato una pura preparazione attraverso sofferenze intensissime e toccanti le interiori midolla della vita. Qualunque anima il Padre celeste vuol altamente favorire, rapire e trasformare in maniera sublime, egli non suole lavarla lievemente, ma le fa il bagno, l’immerge e la sommerge nel mare dell’amarezza, come fece gettare in mare il profeta Giona. E Davide disse: «Signore, hai condotto sopra di me tutti i tuoi flutti». (…)

La sofferenza degli eletti non è sempre una sofferenza comune. È spesso una sofferenza così inaudita che Dio permette improvvisamente nei loro riguardi, che mai hanno pensato ad una cosa simile né mai ne hanno avuto sospetto. Fatti coraggio, anima nobile e sofferente: in tutta questa amarezza Cristo, l’eletto amico del tuo cuore tra mille, sa entrare a porte chiuse, cioè quando tutte le tue facoltà sono serrate per la durezza, e donarti una nuova e non sperimentata dolcezza. E la tua amarezza soffrila come il tuo inferno e il tuo purgatorio.

Un’anima infatti veramente pura, abbandonata e paziente se ne vola nuda e immacolata dalla bocca al cielo. Là mille anni sono più brevi di un giorno. Tu quindi non devi lasciar passare infruttuosamente nessuna sofferenza, ma devi dire nel tuo cuore : “Signore, ti offro la mia meritata benché involontaria sofferenza e la metto insieme alla tua santa Passione, affinché unita alla virtù di questa, diventi accetta al tuo Padre celeste, come la sofferenza del ladrone sulla croce divenne feconda nella tua Passione”.

Guardati nella sofferenza dal disordine. Un disordine infatti ne genera un altro, e il disordine rende l’animo burrascoso; e uno spirito disordinato è interiormente per l’anima una pena più grave della sofferenza esteriore. Sii perciò ordinato nella sofferenza, perché in tal modo Dio prepara i suoi eletti. E così quando essi non sentono che ripugnante sofferenza all’esterno e insopportabile amarezza all’interno, allora opera ulteriormente la grazia di Dio in virtù della Passione, e distacca e rade esteriormente la vecchia ruggine dei peccati, e monda e purifica interiormente l’anima dalla putrida muffa delle inclinazioni animalesche. E intanto lo spirito di Dio denuda la faccia dell’anima e la trasforma di chiarità in chiarità, finché dallo stesso Spirito del Signore non è trasformata nella sua stessa immagine.

(Giovanni Taulero, da le “Divine istituzioni del Dottore Illuminato”)

PREZIOSI CONSIGLI E INSEGNAMENTI SPIRITUALI DI MADRE CATHERINE MECTILDE DE BAR “Nostro Signore cerca anime vuote per riempirle di sé, e non ne trova…Il martirio della vita interiore è senza tregua: finisce solo con la morte”

“Indubbiamente colei che istituì la Congregazione monastica delle Benedettine del SS. Sacramento è una grande maestra di vita spirituale e, per tanti aspetti, una delle più grandi, non solo nella Francia del suo secolo d’oro, ma di tutta la Chiesa”

(Don Divo Barsotti)

Caterina di Bar, in religione madre Matilde del Santissimo Sacramento (Saint-Dié-des-Vosges, 31 dicembre 1614 – Parigi, 6 aprile 1698), è stata una religiosa francese, fondatrice delle monache Benedettine dell’Adorazione Perpetua del Santissimo Sacramento.

«Quando Dio vuole possedere interamente un cuore, sa come trovare i mezzi per svuotarlo e purificarlo dall’attaccamento alle creature e dalla proprietà di noi stessi. La sua mano onnipotente opera in questo cuore una croce perpetua che si fa sentire in varie modalità di sofferenze: a volte con le tenebre, a volte con i timori, a volte con gli spaventi e le ambasce»

(Madre Catherine Mectilde de Bar “Lettera del 1665”)

ALCUNI ESTRATTI DAL LIBRO “IL SAPORE DI DIO” JACA BOOK 1977

“Le anime che desiderano il regno dell’amor puro desiderano allo stesso tempo, senza pensarvi, una guerra spaventosa che deve ridurle al niente. Ce ne sono molte che desiderano l’amor puro, ma non ce n’è quasi nessuna che voglia sostenere da parte sua assalti, fulmini, rovine, rivolgimenti. Chi parla del puro amore senza conoscerlo nelle sue conseguenze, crede che sia tutto piacere e dolcezza. Ma un’anima che lo possiede conosce benissimo per esperienza che con lui non c’è tregua. Bisogna che tutto gli ceda, e che egli immoli tutto quel che ha vita in noi, per darci vita in lui. L’amor puro non è mai senza sofferenza: la croce, il dolore, il disprezzo sono il suo alimento. Di questo egli si nutre nelle anime. E se volete trattenerlo in voi, bisogna che abbiate di che alimentarlo. Fate provvista di croci e sofferenze, altrimenti non lo terrete a lungo. La croce mantiene l’amor puro e l’amor puro sostiene la croce; sembrano inseparabili,e quando l’anima non sperimenta la croce, soffre di non soffrire. Oh come siamo ancora lontane dall’avere in noi l’amor puro!”

Quante volte purtroppo ci sentiamo spinti interiormente a lasciare tutto, a ritrarre i nostri affetti dalla terra per seguire Gesù nella sua vita povera e sofferente. Ma i nostri attaccamenti sono così forti, che è necessario alla sapienza divina mandarci sconvolgimenti, perdite e incidenti vari, per portarci via a forza quel che non vogliamo proprio dare per amore. Non senza ragione le anime illuminate chiamano le afflizioni della terra visite del Signore ed effetti del suo santo amore. Se poteste penetrare l’amore che Gesù Cristo porta alle anime e il desiderio infinito che ha di santificarle, trovereste gran piacere nelle afflizioni, croci e sofferenze, poiché nella luce della verità di Dio son gli espedienti di cui si serve il suo amore per attirare i suoi eletti e obbligarli, sotto la pressione del dolore, a ritornare a lui, separandosi dalle creature. Bisogna dunque conoscere Gesù Cristo nella vita di sofferenza nella quale egli ci ha meritato la grazia, grazia che avete ricevuto al battesimo e che ricevete attualmente. Per Gesù crocifisso voi siete quello che siete. Unitevi strettamente a lui col desiderio; non fate nulla senza di lui e fate tutto per mezzo di lui. Quando avete qualcosa da soffrire, desiderate che la grazia delle sue sofferenze renda la vostra degna di lui. Nelle umiliazioni, desiderate che la sua umiltà santifichi la vostra abiezione.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Egli ha trionfato per noi del diavolo, del mondo e di noi stessi: sono questi i nostri più crudeli nemici. Uniamoci alla sua potenza divina e diamoci a lui, affinché egli trionfi in noi, atterri i nostri nemici e soprattutto l’orgoglio della vita, come il più malizioso. Abbiamo motivo di rallegrarci nel vedere Gesù vittorioso del demonio. Ma desideriamo che egli vinca anche tutto quello che trova in noi di opposto alla santità del suo regno. Ritiriamoci con lui nel deserto per esser tentate e abbandonate, per aver fame, per restare nelle tenebre, in penitenza e in povertà estrema; in breve per patire ogni sorta di disagi, privazioni e dolori, e non aver dove posare il capo. Amiamo lo spogliamento e tutto quello che ci introduce agli stati puri e santi di Gesù Cristo. Bisogna che siamo tutte rivestite di lui: San Paolo ce lo raccomanda. Non amate che Gesù Cristo, non desiderate che lui, non stimate nulla all’infuori di lui; nulla possedete se non Gesù Cristo, non gustate null’altro che Gesù, non saziatevi che di lui, non sperate altri che lui, non vogliate null’altro che Gesù Cristo, nulla cercate all’infuori di lui; non pretendete nulla se non Gesù, non compiacetevi in nulla oltre che in Gesù, non riposate che in lui, e mettete la vostra soddisfazione nell’essere tutta riempita di lui e da lui consumata.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

La fede ci insegna che Dio è Dio, che vede tutto, che sa tutto, che può tutto, che penetra tutto; nulla può essere nascosto ai suoi occhi divini; egli ha, da tutta l’eternità, disposto e ordinato le vie della nostra santificazione. La fede ci insegna che dalle nostre teste non cade un capello senza il suo comando, che nella sua mano sono il bene e il male, l’afflizione e la gioia, il riposo e la fatica ecc.; che la sua sapientissima e amabilissima Provvidenza dispone di tutto con soavità e santità , per il bene delle anime che si abbandonano a Dio e vivono di fede. Ora qual è l’esercizio della fede? Credere a queste verità che vi ho appena detto, e a tutte le altre che sono in Dio, anche se non le conoscete affatto. Come per esempio: sono contrariata? Ricevo questa contraddizione dalla mano di Dio senza permettere al mio spirito di ragionare tanto, e mi rassegno alla sua santissima volontà con pazienza credendo che Dio me la mandi per la sua gloria e la mia salvezza. Io credo che Dio mi vede. Credo che egli è pieno di amore e di misericordia per la mia anima. Credo che egli non fa nulla che non sia giusto e santo. E nelle diverse circostanze, potete farne degli atti, come dire: «Mio Dio, credo che voi mi amate di un amore infinito, poiché siete morto per me. Credo che avete cura di tutte le mie necessità e che la vostra grazia mi condurrà a voi. Credo nella vostra santa Provvidenza e che non mi cadrà un capello dal capo senza il vostro comando. Di conseguenza, credo che voi vedete il più piccolo dei miei pensieri e che non ci sia niente di casuale per voi, che tutto quello che mi mandate è buono, e non permetterete mai nulla che non sia per la vostra gloria e per il bene dei vostri eletti, nonostante non lo comprenda affatto. Credo, mio Dio, credo in voi e nei vostri santi misteri, e in tutte le verità che avete rivelato alla vostra Chiesa»…Altre volte potrete dire: «lo lavoro, o mio Dio, perché lo volete; il peccato mi ha ridotto a questa pena, la patisco per vostro amore in spirito di penitenza». Potete bere, mangiare, dormire, e così via, in questa disposizione, facendo sempre quel che Dio vuole, evitando il peccato, perché egli lo odia. L’esercizio della fede è dunque credere in Dio e nelle sue divine parole, e lavorare nella forza di questa fede. Io non conosco altro metodo.


(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Perché andiamo all’orazione? Senza dubbio per rendere a Dio i nostri omaggi di adorazione, di sacrificio e di amore. In breve, con l’intenzione di darci tutte a Gesù Cristo, nel desiderio che abbiamo di essere rivestite del suo Spirito e di diventare una sola cosa con lui. Ora, per raggiungere il fine dell’orazione, bisogna che l’anima patisca grandi e aspri sacrifici. Bisogna che accetti di essere spogliata dalle sue abitudini e privata di tanti sostegni. In una parola, bisogna che subisca quasi un rovesciamento e poi sia tutta rinnovata . È il motivo per cui tante anime soffrono nell’orazione, a volte aridità, a volte disgusti, tenebre e mille altre pene che noi sentiamo e che ci insegnano che in queste sofferenze Dio distrugge il nostro amor proprio e stabilisce segretamente il suo regno. Ma bisogna che l’anima si abbandoni alla sofferenza e si sottometta umilmente fra le mani di nostro Signore per essere vittima del suo beneplacito. Vi ho detto una volta che dobbiamo fare sulla terra quel che i beati fanno nel cielo. Essi guardano Dio in pura contemplazione e sono consumati nel suo amore. Noi dobbiamo avere una vista attuale di Dio nella fede e tendere sempre al suo amore. Ora, il perfetto amore non consiste nell’essere commossi nei sensi, ma consiste in una conformità totale. Resa perfetta, la fede realizza l’unione attuale di amore con Dio, come per i beati, unione che noi possiamo mantenere anche nelle azioni e nel trambusto dei nostri doveri, facendo tutte le cose per amore e sottomissione a Dio. C’è molta differenza fra meditazione e orazione. La meditazione è uno studio devoto, nel quale si apprendono i misteri e le verità cristiane; l’orazione li assapora, li gusta e si riempie della grazia che contengono. La prima contempla e considera la bellezza di Dio o le sue grandezze; l’altra lo adora, lo ama e si unisce a lui. La prima è complicata da molte considerazioni, argomenti, discorsi; l’altra è più pura, più semplice e porta maggiormente a unirsi a Dio. Nella prima l’intelletto umano ha di che occuparsi: la luce, i gusti, i ragionamenti nutrono l’intelletto e spesso il nostro amor proprio. Nell’altra noi siamo immolati e la nostra attività è ridotta al niente, o per lo meno è maggiormente purificata e semplificata. In quella ci appoggiamo sul nostro lavoro; in questa riceviamo l’azione divina, aprendoci con molta semplicità, in spirito di abbandono e di consenso amoroso. Nella prima è l’intelletto che agisce; nella seconda è Dio che conduce. E se un’anima ha solo un po’ di coraggio per perseverare nell’orazione, benché si senta piena di ogni sorta di miserie, sono sicura che nostro Signore l’aiuterà e l’introdurrà nella santa unione. Ma occorre molta costanza, poiché il demonio e la natura sono nemici dell’orazione,e fanno il possibile per distoglierne l’anima. Siate perseverante, figlia mia, non patirete sempre così dure lotte, ma dovete passarne ancora. Abbiate molto coraggio; tutto è per la gloria del vostro divin maestro e per l’edificazione del suo regno in voi. Io lo supplico di sostenervi e di unirci perfettamente a lui per sempre. Un grande segreto per fare molto progresso nell’orazione è il sapere ben custodire il silenzio alla presenza di nostro Signore. Col silenzio ci si annienta davanti a questa adorabile maestà, ed è nel silenzio profondo che Dio si fa intendere in modo mirabile.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

“Da quando mi sono ridotto al nulla ho trovato che nulla mi manca” Sono le parole di un gran santo, che l’aveva ben sperimentato. Vi ingannate, mia cara figlia, la vita interiore non consiste nelle luci, ma nel puro abbandono alla guida e allo Spirito di Gesù. E’ bello vedere quel che Dio ci mostra, come la nostra miseria, il nostro nulla, la nostra impotenza, per tenerci nell’umiltà e convincerci che noi non siamo nulla se non per la sua grazia. Queste conoscenze sono buone perché ci sono date da Dio. Ma quelle che sono ricercate dall’attività, dalla forza e dalla sollecitudine del nostro spirito, sono molto aride davanti a Dio, perché non hanno l’unzione della sua grazia. L’unico mezzo per fare un grande progresso nella vita spirituale, è conoscere davanti a Dio il nostro nulla, la nostra indigenza e la nostra incapacità. In questa visuale e in questa convinzione che abbiamo tante volte sperimentata, bisogna abbandonarsi a Dio, affidandosi alla sua misericordia, per essere condotti come a lui piacerà: sia nella luce che nelle tenebre; e poi semplificare il proprio spirito senza permettergli tanto di vedere e ragionare. Bisogna che vi contentiate di quel che Dio vi dà, senza cercare di possederlo in altro modo. Non è a forza di braccia che si acquistano la grazia e l’amore divino, ma a forza di umiliarsi davanti a Dio, di confessare la propria indegnità e di contentarsi di ogni povertà e estremità. Bisogna accontentarsi di non essere nulla, e “sarete tanto più quanto meno vorrete essere”. La vita di grazia non è come la vita del secolo. Nel mondo bisogna farsi avanti e farsi conoscere per comparire ed esser qualcosa secondo la vanità; ma nella vita interiore si avanza facendosi indietro. Ossia: fate fortuna non volendo essere nulla, e comparite tanto più agli occhi di Dio, quanto meno splendore e apparenza avete agli occhi vostri e a quelli delle creature. “Per essere qualcosa in tutto bisogna essere niente del tutto”.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Siate ben contenta che Nostro Signore vi faccia la grazia di tirarvi fuori dalle tenebre della vostra ignoranza e vi faccia vedere e sentire la dipendenza attuale dalla sua bontà, e come senza il suo particolarissimo soccorso non potete far nulla. Questa verità è importante e fondamentale per il nostro edificio spirituale. La tendenza naturale che abbiamo ad elevarci, cioè alla nostra esaltazione e alla vanità, obbliga Nostro Signore a tenerci a lungo, e qualche volta per tutta la vita, nella conoscenza e nei sentimenti della nostra bassezza. E benché noi proviamo, con una esperienza fin troppo palpabile, l’abisso della nostra misera corruzione, e benché la nostra coscienza ci rimproveri a ogni istante le nostre impurità e infedeltà, siamo così attaccati alla stima di noi stessi, da non poter sopportare che ci si condanni o disprezzi. Non possiamo sostenere i rifiuti che meritiamo. Siamo abbastanza convinte di non far nulla che abbia valore; tuttavia accettiamo e abbiamo una contentezza segreta in noi, quando gli altri approvano quel che facciamo. Siamo abominevoli davanti a Dio, e spesso ce lo diciamo interiormente; eppure, nelle occasioni in cui siamo un poco disprezzate, ci sentiamo morire. È cosa molto rara vedere anime che vivano nella verità. Tutti viviamo, ma purtroppo la maggior parte conduce una vita di menzogna e si nutre di vanità. Si prende l’ombra per il corpo e dell’accessorio facciamo ciò che è principale. Deploriamo il nostro accecamento, e riconosciamo come fino ad ora voi e io siamo vissute nelle tenebre e nella menzogna. L’anima che non è nella conoscenza di sé non è nella verità. Per vivere nella verità bisogna vivere nell’umiltà, o per meglio dire nel nulla… O beata perdita, o perdita salutare! Figlia mia, perché non ci siamo perdute così da non ritrovarci più che in Dio! Se conosceste questa somma felicità, vorreste patire mille e mille morti per possederla.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Ammetto che il martirio che si soffriva anticamente era crudele; ma non era di lunga durata. La vista della ricompensa li animava. Ma il martirio della vita interiore è senza tregua: finisce solo con la morte. E bisogna avere una costanza invincibile per non scoraggiarsi e non perdersi d’animo negli assalti di tante tentazioni violente che vengono ad assalirci, sia da parte del demonio, sia da parte nostra, sia da Dio stesso per provare l’anima. Ci vuole fermezza, ci vuole pazienza; e per meglio riportar vittoria bisogna annientarsi. È una guerra in cui bisogna perdere se stessi per vincere.. Voglio che nelle vostre miserie vi separiate dalla colpa, ossia odiate le vostre debolezze, la malizia e quello che disonora Dio. Ma non vi è permesso di sottrarvi alla pena e alla umiliazione. Ecco come bisogna fare: cado in un’infedeltà? subito la natura vorrebbe rattristarsene, e io provo un po’ di amarezza nel cuore, che tenderebbe a vedermi liberata da questa malizia. Noi possiamo esser messe in queste circostanze da Dio o da noi stesse. Quanto a me, ho riconosciuto per esperienza che la maggior parte dei gemiti dell’anima sono unicamente prodotti dalla fonte del nostro amor proprio. E noi abbiamo una tendenza insaziabile a liberarci dalla croce e dall’umiliazione. A questo dobbiamo un poco fare attenzione. Non c’è niente che umilia di più un’anima che le sue frequenti cadute, poiché bisogna necessariamente che essa confessi le sue debolezze, e ammetta di aver bisogno di un soccorso più potente di quello che l’orgoglio e la sufficienza penserebbero di trovare in noi. E’ quindi assolutamente necessario sperimentare il poco che siamo da noi stessi, avere diffidenza di sé e tendere a separarci continuamente dal nostro io.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Comprendete una buona volta la fortuna racchiusa nelle vostre debolezze. Vedete se, in certo modo, le vostre miserie non siano amabili. Esse vi sono così utili che, senza i sentimenti che ne avete, non potreste mai possedere solidamente la conoscenza di voi stessa. Dovete dunque odiare le vostre infedeltà perché disonorano Dio, ma non turbarvene né inquietarvene.Odiate la colpa, ma amate con affetto la pena. Doletevi di essere contraria a Dio, ma siate contenta che questo vi umilii e vi faccia conoscere il vostro fondo cattivo. Voglio si che gemiate sotto il peso di questa carne di peccato con San Paolo, ma desidero che entriate nella sua profondissima umiltà. Giacché le miserie che egli avvertiva lo gettavano in un abbassamento così estremo, che egli si diceva un piccolo aborto e indegno del nome di apostolo. Non dice forse che si gloria nelle sue infermità? E quali sono le infermità di San Paolo? Sono i pungiglioni dei peccati che egli portava e provava continuamente in sé. E mentre ne chiedeva la liberazione, ha imparato che attraverso tutte queste miserie, la sua anima si perfezionava. Mia carissima figlia, non turbatevi, il vostro stato è buono; ma non datevene tanto pensiero. Siate più abbandonata e più fiduciosa in Dio. La vostra perfezione è opera del Cristo. Siate sicura che egli la coronerà con le sue benedizioni. Ma dovete restar ferma, accettando che il suo amore distrugga in voi tutto quello che è opposto al suo regno. Compiango la vostra anima che si tormenta nelle tenebre e nell’ignoranza. E per il fatto che non comprende la via in cui nostro Signore l’attira per farla sua, si tormenta e si affatica molto inutilmente. Diventate un bimbo piccolo, più sottomessa che mai e più semplificata nei vostri pensieri. Vi assicuro che la vostra via è buona e santa, camminate con fiducia.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

La bontà di Nostro Signore non permetterà che siate tentata al di sopra delle vostre forze. Affidatevi alla sua misericordia al di là delle vostre ripugnanze e della malizia del vostro intimo che vi ritrae, per quanto può, dal vostro caro abbandono. Non rinunciate alla lotta, non cedete se non per inabissarvi nel nulla profondo. E’ il vostro rifugio, ma non l’avete ancora ben considerato. Non vi accorgete ancora come potete vivere morendo e morire vivendo. Oh, come sono pochi quelli cui Gesù diceva nella sacra Scrittura: «Vuoi essere perfetto? Dà i tuoi beni ai poveri, rinuncia a te stesso, prendi la tua croce e seguimi». Si trova anche chi dà i propri beni ai poveri, ma non si trova quasi nessuno che segua Gesù. Felice l’anima che riconosce la sua chiamata e lo segue con fedeltà. Cosa temete? di perdere voi o le creature? Ma no, non abbiate paura, giacché questa perdita è il principio della vostra felicità eterna. Abbandonando noi stessi troviamo Dio e riceviamo la grazia di seguirlo. Non abbiate più rimpianto di perdere tutto, poiché è questo l’unico mezzo di possedere Gesu. State attenta che le creature non vi trascinino e vi sottraggano a voi stessa. Non datevi premura per alcuna cosa umana, e guardatevi bene dal preferire qualcosa a Gesù Cristo. Oh, è un gran segreto sapersi abbandonare davvero, in un profondo silenzio, davanti a nostro Signore! Rimanete in pace, nella parte superiore della vo- stra anima, e acconsentite di buon grado che Egli vi purifichi come gli piacerà. Guardatevi bene dal voler dare leggi a Dio riguardo al modo con cui vi conduce. Gli stati umilianti sono i più santi e i più utili. Se fossimo illuminate con la pura luce della fede, non vorremmo più uscire dallo stato di impotenza e di abbassamento.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Com’è bello che siate ridotta nel vostro niente senza accorgervene, come dice il profeta. L’anima annientata diviene pura capacità di Gesù Cristo, non gli si oppone più. Figlia mia, quando sarà che vi vedrò in questo annientamento? Allora vedrete diversamente tutte le cose, perché i vostri sensi non vi inganneranno più. Lasciatevi condurre in segreto e quasi a vostra insaputa, al fine di evitare gli ostacoli che potreste frammettere. La mano di Dio ha una potenza infinita per introdurvi fin là, ma non le resistete. Acconsentite a tutti gli spogliamenti che la Sapienza eterna farà in voi, sia per l’attività della vostra anima, sia per le creature che ancora possedete, alle quali potete avere attaccamenti segreti. Esponetevi in assoluto spogliamento alla forza dell’Amore divino, e sperimenterete la sua potenza. Nostro Signore cerca anime vuote per riempirle di sé, e non ne trova. Siamo così meschine nei riguardi di Dio. Quando voi gli date un piccolo istante della vostra vita, o sopportate un quarto d’ora di pena, vi sembra che egli ve ne sia molto debitore! Non avete abbastanza riconoscenza per quel che Nostro Signore ha fatto per voi, né per l’amore che vi porta. Avete anche questo di cattivo, di essere troppo umana, di voler troppo conciliare la grazia con la prudenza della carne: mirate troppo in basso, e qualche volta addirittura a niente per considerazioni o timori umani. Non semplificate abbastanza il vostro spirito e non vi abbandonate abbastanza alla guida divina. Vi smarrite nelle creature. Non siete fedele, negli eventi, a vederli nel piano di Dio e nella dispensazione divina…E’ l’esercizio che dovete praticare attualmente, tenendo dolcemente il vostro spirito alla briglia, per paura che vi sfugga, come un cavallo non domato. Umiliatevi dunque a dovere. Gradite in spirito di umiltà tutta la povertà e miseria che la Provvidenza vi fa provare. Le privazioni, le tenebre e le impotenze: tutto è buono, poiché è Dio, la sapienza eterna, che le dona. Rimanete soltanto costantemente abbandonata e non preoccupatevi affatto del resto; Dio provvederà a tutti i vostri bisogni: la vostra santificazione è opera sua.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Figliola cara, non scoraggiatevi per questo stato di morte totale di sé. Non è opera delle creature, ma opera della mano onnipotente di Dio, che vi fa entrare l’anima a misura che essa si spoglia e si spropria di tutto quel che occupa e riempie il suo intimo. E’ lo stato puro e santo che avete votato nel battesimo. È quello che ci fa cessare di essere quel che siamo per far essere e vivere Gesù Cristo in noi. Questa morte appare crudele e molto dura alla natura e ai sensi; ma è piena di sapore per lo spirito. E un’anima che ha appena un po’ di stima, amore, rispetto per Dio, sacrifica di buon cuore la vita e l’essere alla divina grandezza, per un intimo desiderio di vederlo vivere e regnare in noi, di glorificarsi in noi secondo il suo beneplacito. Più vi conosco, più sono confermata sulla vostra chiamata a questa via di purezza. Non che occorra che vi siate introdotta subito ora; ma dovete sempre conservare il desiderio di arrivarvi e tendervi secondo la vostra grazia e la vostra capacità. E se ci vediamo lontane dalle disposizioni di Gesù, non dobbiamo stancarci di aspirarvi, ma fare perciò tutto quello che la Provvidenza del nostro buon Dio ha messo in nostro potere, abbandonando tutto il resto alla sua misericordia e al suo amore. La lontananza in cui vi trovate ora da questo stato beato, procede da una luce più grande che vi manifesta le vostre miserie e indegnità. Non dovete conoscere il vostro progresso in questa via; ma dovete camminarvi nell’accecamento, sottomettendovi alla guida che Dio vi ha dato, senza permettere al vostro spirito di ripiegarsi per vedere il suo avanzamento… So bene che siete ancora lontana da questo stato; ma la pazienza e la grazia portano con sé ogni cosa, e Nostro Signore vi ci farà entrare per una via che non pensate. Restate sempre molto abbandonata. Non uscite dallo stato di sacrificio in cui vi tiene. Lasciatevi guidare dal suo Spirito divino.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Sono molto consolata dalla vostra fiducia in Dio e dalla pace e quiete che possedete nel vedere la vostra lontananza e i tanti ostacoli che incontrate in questa via di purezza. Colui che da tutta l’eternità vi ha fatto l’onore e la grazia di destinarvi a questa perfezione, sarà la vostra forza e la vostra virtù per entrarvi. Non vi scoraggiate mai. Continuate a sacrificarvi, dal momento che a questo vi sentite spinta, vedendo i vostri contrasti e le vostre croci. Ecco il tempo della fedeltà; bisogna essere costante con la costanza e fermezza di Gesù Cristo… Adorate la mano preziosa e adorabile che vi crocifigge, e state bene attenta di non considerare nulla nella condotta delle creature. Guardate tutti gli eventi nel piano di Dio e sottomettetevi con rispetto. Bisogna che la sua opera si compia. Non sarete mai una vera cristiana se non siete in croce e se non consumate su di essa la vita come il vostro divino maestro. Che cosa temete, figlia mia? Un po’ di vergogna e confusione da parte delle creature? E non temete il disprezzo che avete per Dio e la sua grazia? Per una vanità ci mettiamo in pericolo di perdere un’eternità beata? Ahimé! se le creature ci potessero santificare, bisognerebbe averle in considerazione; ma esse ci fanno perire e sono attualmente opposte alla nostra santità… Lasciamole di buon cuore, non preferiamole più all’amore di Gesù. Non possiamo servire due padroni: a Dio e a noi stessi. Bisogna necessariamente lasciare l’uno o l’altro. Non è forse giusto lasciare tutto per Gesù? Colui che non rinuncia a se stesso non è degno di essere suo discepolo. Mio Dio! figlia mia, come desidero vedervi perfettamente sottomessa alla guida di Dio e tutta ricolma del suo divino Spirito; siate molto generosa nelle vostre croci, che i timori e le considerazioni umane non vi facciano per nulla desistere dal santo proposito di essere tutta di Dio.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

L’amor puro è bello, colmo di attrattive, ma noi siamo ancora troppo impure per possederlo; non potrebbe dimorare un istante in noi. Si riposa nelle anime totalmente annientate, e fino a che voi non lo siate, sopportate con pazienza di vedervi in questa dura e crudele privazione. Dovete essere persuasa che non siete degna di possederlo; e per rendervene degna bisogna che stiate nell’abisso dell’umiliazione. Poiché, fintanto che la superbia regnerà in voi, il puro amore non vi potrà inabitare. Lasciatevi dunque distruggere, umiliare e consumare nel centro del vostro niente, e dopo vedrete l’amor puro riposarsi in voi come nel suo letto di riposo. Ma sappiate che l’amor puro non potrebbe tollerare la minima impurità, il minimo interesse personale, vanità e compiacimento. E’ amabile nel suo possesso, ma rigorosissimo nella sua operazione. È un monarca così potente che riduce tutto sotto il suo impero, e non lascia un’anima in riposo senza aver fatto in essa un capovolgimento totale. È senza pietà e senza misericordia: spezza tutto, distrugge tutto. Va ancora più in là, giacché consuma tutto. Non può tollerare la minima resistenza. Ha armi molto potenti, e arriva fino a fare dei martiri. Finalmente è un grande conquistatore. Vuole assoggettare le anime al Cristo, strappandole alla tirannia in cui il peccato le ha tenute così a lungo. Le anime che desiderano il regno dell’amor puro desiderano allo stesso tempo, senza pensarvi, una guerra spaventosa che deve ridurle al niente. Ce ne sono molte che desiderano l’amor puro, ma non ce n’è quasi nessuna che voglia sostenere da parte sua assalti, fulmini, rovine, rivolgimenti. Chi parla del puro amore senza conoscerlo nelle sue conseguenze, crede che sia tutto piacere e dolcezza. Ma un’anima che lo possiede conosce benissimo per esperienza che con lui non c’è tregua. Bisogna che tutto gli ceda, e che egli immoli tutto quel che ha vita in noi, per darci vita in lui. L’amor puro non è mai senza sofferenza: la croce, il dolore, il disprezzo sono il suo alimento. Di questo egli si nutre nelle anime. E se volete trattenerlo in voi, bisogna che abbiate di che alimentarlo. Fate provvista di croci e sofferenze, altrimenti non lo terrete a lungo. La croce mantiene l’amor puro e l’amor puro sostiene la croce; sembrano inseparabili,e quando l’anima non sperimenta la croce, soffre di non soffrire. Oh come siamo ancora lontane dall’avere in noi l’amor puro! Tuttavia abbiamo qualche motivo di consolarci, giacché egli ha già inviato i suoi ufficiali a contrassegnare i suoi appartamenti. Sono sicura ch’egli vi vuole prendere alloggio, ma bisogna ch’egli li faccia ripulire e mettere in ordine. È quello che sta facendo in voi. Lasciatevi dunque purificare. E se mi dite che non ve ne rendete conto affatto, vi rispondo che i vostri occhi sono troppo impuri per vederlo, e che Dio vuole da voi non i sensi ma la fede pura. Per questo dovete esercitarla. È molto che vi predico questa lezione. Ma il vostro spirito è talmente abituato al ragionamento, a vedere e a sentire, e questa parola di fede gli è così nuova, che non la sa accettare. Tuttavia è questa la vostra via e, se non camminate in essa, non gusterete Dio, e non lo adorerete mai in spirito e verità.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Figlia mia cara, va bene così soffrite in pace tutto quello che Dio vi manda: tenebre, oscurità, impotenze.Tutto è buono, poiché lo dà Dio: egli stesso ne farà in voi l’uso che vuole. Quando dico che vi abbandoniate, intendo dire: rimanete nella vostra miseria e impotenza, e attendete con fiducia che il Signore ve ne liberi. C’è ben altro da soffrire: non siete che agli inizi. Non vi scoraggiate, vi assicuro che Nostro Signore sarà la vostra forza e non vi abbandonerà. Nostro Signore ordinò ai suoi discepoli, dopo l’ascensione, di ritirarsi, riposare e attendere di essere rivestiti del suo Spirito Santo. Fate lo stesso, vi prego, e abbandonatevi interamente a Nostro Signore, affidatevi alla sua bontà. II vostro stato presente non sarà di lunga durata; dopo il dolore viene la gioia. Non desiderate nulla, non cercate nulla, non amate nulla se non il beneplacito di Dio in tutte le cose, accontentandovi di tutti gli stati d’animo, di tutte le disposizioni interiori, in breve di tutto quello che la divina Provvidenza vi farà provare. Siate la vittima divorata e consumata e godete di essere nelle tenebre, nell’impotenza,in prigionia: tutto questo è buono e produce buoni effetti, se continuate ad essere abbandonata. Voi non vedete quel che Dio opera in voi. Sentite il vostro dolore e il gemito della natura, ma non vedete che Dio la purifica distruggendo le vostre soddisfazioni. Oh! se la vostra anima avesse abbastanza coraggio per abbandonarsi in preda all’amor puro, quali effetti meravigliosi esso produrrebbe! Ma poiché é fa soffrire e rovina il nostro amor proprio per stabilire il suo impero divino, questo ci ritrae dal nostro abbandono e ci priva di un possesso così santo. Tutta la beatitudine e felicità dell’anima è amare Dio, ed è l’occupazione dei beati nella gloria. Perché non incominciare fin da questo mondo, giacché possiamo amare, e Dio ce lo comanda? Amiamo come Dio desidera e come vuole esser da noi amato. Ora, amarlo come si deve, è amarlo in tutti i modi, riconoscere che tutto quello che fa va bene, approvare e consentire a tutti i suoi disegni, segreti e manifesti, su di noi, sottomettere ogni nostra volontà alla sua, non preferire nulla al suo amore, guardare a lui in tutte le cose, ricevere immediatamente tutto dalla sua santa mano, gradire le nostre perdite, umiliazioni e croci; insomma è esser fatta, grazie a questo amore una cosa sola con lui, con una perdita totale di noi stessi.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Alla Croce è legata la nostra santificazione, poiché è impossibile essere santi senza essere in croce. La purezza della vita è nella croce, tutte le virtù sono nella croce, la profonda umiltà è nella croce, il sacro annientamento è nella croce, la morte è nella croce, e perfino vi si incontra la vita. O croce preziosa, o croce tanto adorabile, che mortifica, vivifica, santifica! Croce potente che ha la grazia di fare i santi, di convertire i peccatori, in una parola di consumare le anime nell’amore di Gesù. Quale anima vorrebbe esser senza croce, conoscendo la sua eccellenza? Un’anima che non volesse la croce deve rinunciare alla salvezza, poiché solo nella croce la trova. Questo nome della Croce è cosi amabile alle anime che vivono di grazia, che lo portano inciso nel cuore e, se si facessero vivere senza croce, sarebbero terribilmente crocifisse di non essere in croce. Seguiamo queste anime grandi, anche se da lontano, però secondo le nostre forze e la capacità che Gesù mette in noi. Se non avete per la croce un amore così grande, almeno non ne abbiate ripugnanza; poiché è il tesoro che Nostro Signore ha posseduto sulla terra e ha lasciato in eredità ai suoi eletti. Se abbandoniamo la nostra parte, rinunciamo alla nostra eterna felicità. Perciò vi amo nella croce e nell’amore della croce vi abbraccio, stringendovi ad essa con Gesù, e offrendovi in sacrificio per esser unita e consumata sulla croce. Là vi lascio senza separarmi da voi.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Gesù Cristo ci ama con un amore troppo santo per amarci in tal modo. Ci ama per farci aver parte alla sua gloria. Ci ama per l’eternità e per farci gustare la verità divina. Ci ama per unirci a sé e farci, con la sua grazia, una cosa sola con lui. E noi non vogliamo aver riguardo al suo amore. Perché? Perché è un amore che non soddisfa l’impurità del nostro amor proprio, il quale s’immerge nella vanità di questa vita come in una felicità eterna. L’amor proprio si sazia con tutto ciò che è umano e non stima se non quel che accontenta la natura e soddisfa il nostro spirito. La luce di verità non brilla ai nostri occhi: la vanità, la menzogna sono la fiaccola che ci guida e che insensibilmente ci conduce al peccato. Ma poiché l’amore di Gesù Cristo crocifigge i nostri sensi, non lo possiamo stimare né sopportare, e così preferiamo la creatura e il piacere del peccato alla purezza e santità dell’amore di Gesù Cristo. Figlia mia, giudicate se non siamo proprio ciechi.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

E voi, carissima, cercate di ottenermi lo Spirito Santo. Ne ho molto bisogno; lo desidero e lo temo, poiché quando egli si impossessa di un cuore lo spoglia in modo tale che non si può più parlar d’altro che di morte e di spada, di croce e di supplizio; egli dà la morte [all’anima] senza misericordia, e non dà tregua: bisogna o non accoglierlo affatto o cedergli in tutto e per tutto, perché vuole regnare da sovrano assoluto; dispone di tutto a sua discrezione e si fa obbedire per bene; ma bisogna anche dire che le sue prerogative sono così divine ed è così adorabile, così santo, che per possederlo si stima vera gloria il perdere tutto, e volentieri si accetta di essere infelici secondo il mondo, per esser felici nel possesso di un bene così inestimabile, che peraltro è invidiato solo dalle anime molto illuminate dalla sua luce divina. La natura e lo spirito umano non possono trovar piacere alcuno in tutto ciò, ma bisogna lasciarli urlare e disperarsi, perché noi dobbiamo appartenere interamente a Dio, ed essere ricolmi del suo Spirito. Io lo prego che operi in voi un così potente e divino sconvolgimento che ne siate tutta trasmutata in lui e che mi otteniate la conversione.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Lo so che Egli spesso ci conduce attraverso prove assai dolorose, ma è necessario accettarle con abbandono, o altrimenti rinunciare al cristianesimo. Ah, non pensiamo di poter mettere d’accordo il nostro amor proprio con l’amore divino: bisogna che l’uno o l’altro abbia dominio assoluto. Ora, siete troppo illuminata per non preferire Gesù e per non amare gli interessi di lui più dei vostri: davvero, dobbiamo perder tutto per guadagnare lui, perché egli non si dà interamente se non a chi si dà a lui senza riserva alcuna; e fino a quando non saremo in questo reale abbandono non sperimenteremo la pura vita della grazia, perché I’anima non può gustare veramente Dio se non ha perduto il gusto delle creature. La naturale tenerezza che nutriamo per noi ci è spesso di grande ostacolo; se non siamo capaci di immolarci in modo totale, dobbiamo almeno lasciar da parte il nostro io e far di tutto perché la nostra miseria non ci impedisca di tendere a questo abbandono assoluto. Vi prego di imprimervi fortemente nell’animo una verità essenziale: vedete tutte le cose in Dio, il bene e il male, il dolce e l’amaro, la fatica e il riposo, la perdita e il guadagno, l’inquietudine e la calma, la povertà e la ricchezza, l’indigenza e l’abbondanza, la fortuna e la sfortuna, gli onori e i disprezzi: insomma ogni cosa, tranne la malizia del peccato che in Dio non può esistere; ma tutto il resto è in lui, come la fede c’insegna, e quindi dobbiamo considerare tutto come opera della sua mano adorabile e santa. È sommamente importante porre questa convinzione come fondamento, onde stabilirci nella verità e al tempo stesso svincolarci dalle creature, che di solito nelle diverse circostanze ci invadono lo spirito e prendono il posto di Dio; dobbiamo invece ritenere lui solo autore di tutte queste cose.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Bisogna che l’anima vostra riceva tutto come in prestito dalla santa mano di Dio, e che impariate a liberarvi santamente e dolcemente da tutto quello che possedete, quasi riconsegnando di tanto in tanto ogni cosa alla potenza e alla disposizione divina perché tutto si compia secondo il suo beneplacito e non secondo i vostri desideri. Dopo aver cosi rinunziato a tutte le creature quasi riconsegnandole a Gesù, dovete riconsegnargli anche voi stessa. Ed eccoci al secondo passo nella perfezione. Ora, la piena rinuncia a se stessi è la cosa più difficile della vita interiore, poiché daremmo tutto pur di conservare il nostro io; abbiamo in noi e per noi un amore così spaventosamente disordinato che non c’è nulla al mondo che non faremmo per conservare il pieno dominio dell’io. Quest’amore di noi stessi è così astuto nella salvaguardia dell’interesse proprio, che le minime occasioni atte ad annientarlo lo fanno fremere di orrore e gli suggeriscono mille sottigliezze per sfuggire il dolore. Sa, povero infelice, di essere condannato; sa che non può essere in amicizia con Gesù Cristo; sa che deve essere distrutto, perché Dio solo ha diritto di essere e quindi l’esistenza che vorrebbe usurpare non gli sarà mai accordata: per questo appunto fa di tutto per restare in vita più che può; ma insomma si tratta di una rapina fatta a Dio, che solo è e vive in sé, senza dipendere da alcuno, mentre il nostro miserabile io pretenderebbe sussistere da sé. Bisogna perciò annientarlo, in omaggio all’Essere infinito: e proprio questo l’io non vuol sopportare, giacché la brama di essere qualche cosa è così grande e così radicata in noi che, a meno di una grazia specialissima e di un’inviolabile fedeltà, non riusciremo mai a distruggerla completamente. Oh, quanti sacrifici! quante lotte, quante agonie, quanti assalti, quante violenze: insomma, quante volte dobbiamo morire!..e alla fine si è costretti a confessare che occorrono una fede e un coraggio invincibili per venirne a capo. Ma se c’è tanta fatica, c’è anche un bene infinito come ricompensa, perché perdendo noi stessi guadagniamo Cristo Gesù. Vedete dunque che felice trasformazione e che eterna beatitudine essere Gesù con Gesù, vivere e operare solo per lui e in virtù sua. Abbiate infinitamente cara questa gloriosa trasformazione e credete che davvero non esiste sorte più sublime.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Vi trovo anche troppo timorosa dell’umiliazione. Siete troppo umana, il vostro spirito vuole troppo vedere, troppo sentire, troppo conoscere. È troppo pieno della propria luce e ha soverchia paura di perdersi e di essere privato dei suoi amici. Dovete imparare a vivere di fede e a entrare per suo mezzo nel perfetto abisso del vostro niente. Ricordatevi delle parole di nostro Signore a Nicodemo: «Se uno non rinasce, non può vedere il regno di Dio». Che cos’è il regno di Dio se non il possesso che abbiamo di lui? Che egli viva in noi e ci dia vita in lui. Conoscere Dio e Gesù Cristo, suo Figlio, da lui mandato: non è forse questa la vita eterna? Mia carissima, non potete conoscere Gesù Cristo che uscendo dalle vostre luci personali per rivestirvi della luce della fede…

Dovete amare le vostre debolezze e umiliazioni. Ora, non v’è nulla che confonda di più un’anima quanto il peccato. Dovete gloriarvi nella vostra bassezza, amare il vostro nulla, la vostra impotenza e servitù, nella misura in cui vi fa conoscere il bisogno che avete di Gesù Cristo e del soccorso della sua grazia. Essa vi fa conoscere l’attuale dipendenza che avete dalla sua bontà, senza la quale perireste ogni momento. L’umiltà speculativa è buona, ma quella che è frutto di esperienza vale molto di più. I pensieri svaniscono, ma il sentimento rimane più a lungo. Amate dunque l’annientamento che Dio vuole operare in voi. Egli, volendo farvi sentire il peso della vostra miseria, permette le vostre cadute per obbligarvi a conoscere e vedere quel che potete da voi stessa. Vuol farvi sentire per esperienza che tutta la vostra capacità sta nell’offenderlo ed essergli contraria e, dopo avervi fatto conoscere da voi stessa questa verità, egli vi attira insensibilmente in un profondo abbassamento davanti alla sua maestà. Vi fa riconoscere la vostra impotenza e tutta la vostra miseria e povertà e vi tiene bene avvinta alla sua grazia e al suo amore. E così, voi conoscete per esperienza come la creatura non è che peccato e non può altro se non essere opposta a Dio, distruggendo [in sé] il suo regno e rendendosi attualmente indegna delle sue misericordie. Le anime molto orgogliose cadono assai più spesso delle altre, perché devono gustare l’amaro della loro malizia. Altrimenti non si condannerebbero quasi mai.

Nella disposizione in cui siete, la ripugnanza che sentite a sbagliare procede da un fondo corrotto. Non è il rispetto di Dio che vi trattiene su questo punto, bensì la pena di esserne respinta e umiliata. Non conoscete abbastanza voi stessa, imparate che siete peccato, e che tutta la vostra capacità è di peccare. Se da voi stessa siete così miserabile, perché vi meravigliate tanto delle vostre miserie e infedeltà? Pensate di essere impeccabile? Purtroppo, se lo foste per un verso, la vanità vi consumerebbe dall’altro. Non turbatevi più per i vostri difetti, ma imparate a umiliarvi. Dopo essere caduta, rialzatevi come se non foste caduta e, abbassandovi davanti alla grandezza di Dio, portate alla sua presenza il peso della vostra umiliazione e sopportate che Dio distrugga, per questa via, il fondo della vostra corruzione, l’orgoglio e l’ambizione segreta, la stima e la buona opinione di voi stessa che si alimentano insensibilmente in voi. Siete fatta in tal modo che non sarete mai umile se non cadendo. Ma per evitare le grandi confusioni, umiliatevi profondamente e fate uso delle piccole, per non obbligare Dio ad abbandonare il vostro orgoglio a miserie più grandi.

San Paolo si glorifica nelle sue infermità e voi fate altrettanto. Glorificatevi, non nella malizia del peccato, ma nell’abisso del vostro nulla che vi fa vedere la vostra impotenza e come dipendete dalla grazia e bontà di Dio. Quale gioia ha un’anima, che per quanto poco appartiene a Dio, di vedere per esperienza che è sostenuta da Gesù Cristo, che non ha né forza né virtù se non in lui, che non ha in se stessa né grazia né bontà alcuna. Vi confesso che questo [mi] rapisce di gioia, poiché l’anima, quando concepisce questa verità, si perde, si abbandona e si consegna interamente a Gesù Cristo. Essa prende gran piacere nel vedere lui solo santo, lui solo grande e potente, lui solo indipendente ecc., e come la propria povertà e miseria la fa stare soggetta alla sua grazia, senza la quale non potrebbe far niente. Quando cadete esponetevi davanti a Nostro Signore nel maggior abbassamento possibile, senza turbamento. Dite con grande semplicità: «Mio Dio, ecco la mia capacità e ciò che io posso fare». E dopo, rimanete umiliata davanti a Dio, soffrendo in pace le pene che la sua misericordiosa giustizia vi imporrà, senza lamentarvi, senza ripiegarvi sulla vostra infedeltà; ma abbandonatevi alla sofferenza rimanendo nel vostro niente, senza attività.

Questo perché la maggior parte delle anime credono che, nelle loro cadute, devono fare molti atti e da parte loro usare grandissima diligenza per liberarsene e uscire dalla sofferenza che sentono. Il mio pensiero è tutto al contrario. Occorre custodire il silenzio, dopo aver confessato semplicemente il proprio fallo, e sopportare con rispetto e abbandono la penitenza che Dio ci fa fare, nella misura e per tutto il tempo che a lui piacerà. Poiché nello stato in cui siete, voi non vi appartenete più, non avete più diritti né autorità su voi stessa. Gesù Cristo è il vostro maestro e il suo Santo Spirito vi deve dirigere. E voi dovete essergli soggetta con grande umiltà, lasciandolo agire in voi come a lui piace senza trovare a ridire. Sopportate dunque che egli vi umili, che vi respinga anche talvolta, fino a sentire il peso della vostra impurità, onde conoscere il vostro nulla di essere e di peccato per esperienza personale. Siete ancora molto delicata, mia carissima sorella, nella via dello Spirito. Dovete agguerrirvi in essa in tutt’altro modo: non uccidendo il corpo, ma dandovi in preda al puro amore di Gesù Cristo. Vi prego, lasciatelo fare, soltanto acconsentite ai suoi adorabili disegni e restate ferma. Vedrete che farà meraviglie degne di lui. Bisogna che sia distrutta la tenerezza naturale che avete per voi stessa, e molte altre cose che non vedete. E’ vero che occorre soffrire un po’ poiché la natura non ama affatto la propria distruzione, ma Dio vi ha dato la ragione per farvi conoscere come la vita che egli vuole stabilire in voi è migliore della vostra, e nel battesimo vi ha dato la fede per fortificarvi e darvi vita in questa verità.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

La speranza vi deve rassicurare che Dio opera in voi, e che perció non dovete cercare nelle creature quanto la sua divina maestà si degna di comunicare direttamente alla vostra anima. Non dovete fare altro che abbandonarvi umilmente e amorosamente alla sua potenza: egli compirà dei miracoli mentre la vostra anima sarà immersa nell’abisso della sua piccolezza e del suo nulla. Tutto il segreto della vita interiore e spirituale consiste nel sapersi lasciar annientare come Dio vuole: egli ha mezzi senza numero per farlo e ne usa come gli piace, ma molto spesso sceglie quelli che non piacciono a noi; lo spirito umano non trova dove poggiare il piede, e perciò si agita e fa tanto rumore che ritrae l’anima dalla sua semplicità. Restate in pace più che mai: oso assicurarvi che è quanto il Signore desidera da voi. Non considerate più la condotta che egli usa con gli altri, e vi basti esser sicura della vostra di modo che, sempre più abbandonata, tendiate dolcemente a dargli vita in voi: ecco quel che deve fare un’anima veramente cristiana. Essa non deve risparmiarsi in nulla: si tratti di sofferenze interiori, o di pene e contraddizioni esteriori, tutto serve al Signore per compiere l’opera sua. E’ un maestro così bravo che ogni pietra gli è utile per il suo lavoro. Non v’è croce, per quanto piccola, che non contenga la sua grazia, se noi vogliamo riceverla con fede pura e semplice: tutto serve ottimamente a un’anima che non vive più per se stessa. Perciò essa è sotto la mano di Dio come un oggetto delizioso nel quale egli si compiace infinitamente. Non vi preoccupate mai troppo dei vostri interessi spirituali ed eterni: basta che siate figlia di Dio e riposiate sul suo seno, abbandonandovi alla sua amabile Provvidenza, onde faccia liberamente in voi e di voi tutto quel che le piace. Un’anima che si sacrifica così amorosamente, s’immerge nell’oceano delle divine compiacenze del suo Dio; e per questo non ha bisogno di formulare tanti atti distinti: il suo stato li comprende tutti e ne contiene anche gli effetti, se resta fedele. Tuffatevi mille volte al giorno nel cuore di Dio, che è il suo Verbo fatto carne. Egli è il vostro adorabile centro: là troverete la forza, la grazia e la virtù; perdendovi così in lui, Gesù diventa il vostro tutto e opera talmente per voi da farvi scorgere la sua virtù che vi circonda e vi sostiene, vi purifica e resiste per voi al peccato. Se qualche volta vi sembra di commetterne in tutto ciò che fate, non dovete turbarvi: la corruzione della creatura è estrema ed è impossibile preservarla da mille debolezze e imperfezioni; però queste, non essendo volontarie, non la separano da Dio. Allora la creatura lo glorifica nella propria abiezione, confessando che lui solo è santo. Lasciate ai suoi piedi tutte le vostre miserie ed egli le consumerà a suo tempo. Vi sono anime che bisogna tenere sempre in vista della loro povertà e bassezza, per timore di qualche piccola compiacenza in se stesse e di vanità nei doni di Dio. Oh, come stimo felice un’anima che conosce la sua profonda miseria e che può sostenerne la vista senza turbarsi! Molti si scoraggiano quando si vedono miserabili e pieni di debolezze e di peccati: non convinti che in ciò consista tutta la loro capacità, pretendono di trovare in se stessi la virtù che non c’è, e si credono abbastanza forti a perfezionarsi da sé, operando secondo i suggerimenti del loro proprio spirito. Povero cieco! non conosci dunque che tu vieni dal nulla e non sai che il peccato ti ha spogliato di ogni bene, grazia, virtù e capacità? Più niente tu devi cercare in te stesso, niente sperare da te: Gesù sarà il tuo divino supplemento; in lui troverai tutto quel che ti manca. Mia carissima sorella, impariamo ad allontanarci da noi stessi avvicinandoci a lui. L’anima trova la sua felicità suprema nel constatare la propria dipendenza attuale dal Suo potere e dalla Sua bontà; nel vederlo sempre e al di sopra di tutte le cose come colui dal quale riceviamo continuamente la vita e ogni respiro, la forza di operare e di soffrire. Se l’anima sa tenersi unita a questo tronco adorabile che è il suo centro e la sorgente del suo essere, sarà riempita meravigliosamente di Gesù e sperimenterà ciò che non son degna di esprimere. Oh! quali verità possiederà! quanti lumi nelle sue tenebre! quanta forza nelle sue debolezze! quanti tesori nella sua povertà; quante grazie nella sua miseria! Ma tutto questo è incomprensibile a chi non ne ha fatto l’esperienza.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Non vi confessate di mancanze nel mangiare, nel bere e così via: bisogna soddisfare con semplicità ai bisogni della natura, dal momento che lo stesso Nostro Signore li ha sofferti nella sua adorabile umanità, benché come Dio avrebbe potuto esentarsene. In queste cose si pecca solo per eccesso o per sensualità. Non crediate di potervi garantire dalle mille imperfezioni che s’infiltrano in ogni vostra azione: l’amor proprio è sempre all’erta per avere la sua parte. Purtroppo, ordinariamente, prende posto per primo e mette la mano nel piatto senza rispetto per Dio; è cosi insolente che, se non lo sorvegliate, lo vedrete spingersi fin sul trono e attirare a sé gli omaggi dovuti a Dio solo. Non si vergogna della sua pretesa di annientare Dio; tanto che, se guardiamo un po’ la nostra vita passata alla luce di Dio, ci accorgiamo come questo maledetto amor proprio ha succhiato tutta la nostra sostanza e disseccato le divine unzioni nella nostra anima, profanando tutti i doni e le grazie che la misericordia di Dio ci aveva dato come mezzi per santificarci. Vedo in me, a questo proposito, abissi spaventosi che mi devono tenere in perpetua confusione. Ma nostro Signore Gesù Cristo è così buono da non respingere un’anima che l’ha tanto misconosciuto e maltrattato; appena torna a lui la riceve e permette che il suo cuore, per quanto corrotto, non cessi di essere il divino tabernacolo di questo adorabile Salvatore, il quale ha detto di non essere venuto per i giusti, ma per i peccatori. Non dobbiamo mai perdere neanche per un momento la fiducia in Dio nonostante qualsiasi caduta, tanto più che la diffidenza gli dispiace infinitamente e ci toglie forza e coraggio di risollevarci. (…)

Continuate i vostri piccoli esercizi di pietà e la santa comunione: essa vi aiuterà non poco a uscire da voi stessa; non trovo nulla di più efficace. Ci sono anime che ricevono tanto da Gesù con la santa comunione. Proprio con questo mezzo così prezioso il Signore trasforma l’anima in sé, imprimendole la sua divina somiglianza. La comunione è un mistero che molto pochi comprendono come merita; con Dio, quanto maggiore è la semplicità, il rispetto, l’abbandono, tanto meglio è; non c’è bisogno di parlare molto: egli penetra il nostro cuore e ne vede il benché minimo movimento. Vi lascio in Dio. Pregate per la sua Chiesa e per il suo regno nelle anime. Chiedetegli la mia conversione e farete una carità di cui egli stesso sarà la ricompensa. Sono tutta vostra in Lui.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

DISPOSIZIONI PER FAR NASCERE GESÙ NELLE NOSTRE ANIME

Non potendo dormire a causa della tosse insistente, penso desideriate che trascorra un quarto d’ora con voi in spirito per dirvi alcuni piccoli pensieri sulle disposizioni che la vostra anima deve avere per ricevere in sé la nascita di Gesù. (…)

La prima è il vuoto in voi stesse delle creature. Nell’albergo non c’era posto per ospitare Gesù. Le creature hanno occupato tutti i posti e gli interessi del nostro amor proprio sono stati anteposti all’accoglienza di Gesù e della sua santissima Madre. Se desiderate che Gesù venga a nascere in voi, fategli posto nel vostro cuore, svuotatelo di tutte le creature e dei vostri interessi. La stalla di Betlemme si trova vuota, Dio vi alloggia come nel suo palazzo e vi fa la sua entrata nel mondo.

La seconda disposizione è la fede. Gesù nasce nel mezzo della notte, nelle tenebre, senza altra luce di quella della divinità. Distaccatevi dai vostri sensi e dimorate nella fede, se volete ricevere la grazia di questo mistero. Bisogna essere nelle tenebre riguardo ai vostri sensi e al vostro spirito proprio, se volete ricevere la luce divina, e Gesù nascerà spiritualmente in voi.

La terza è il silenzio. Gesù è entrato nel mondo in un tempo di pace, in un’ora in cui tutte le creature erano immerse nel silenzio per indicarci che Lui è il Re della Pace, che ama il silenzio e che solo nella calma delle nostre passioni e potenze egli si comunica all’anima raccolta nella solitudine interiore, dove egli fa sentire la sua voce divina.

Quanto è felice l’anima che ordina così bene tutte le cose in se stessa, da far sì che il suo adorabile Signore la renda il luogo della sua nascita!

Ci sono tre tipi di silenzio che dobbiamo imparare e praticare secondo le nostre capacità:

-Primo: il silenzio delle nostre passioni che è una fedeltà attuale al rinnegamento di se stessi, in modo che le passioni mortificate non facciano più rumore.

-Secondo: il silenzio dei nostri sensi, che vorrebbero sempre vedere e sentire ciò che avviene. Questi fanno rumore e turbano il riposo di un’anima che deve consistere in una profonda attenzione a Dio. E’ per questo che bisogna farli tacere senza ascoltarli, ne metterci dalla loro parte.

-Terzo: il silenzio delle potenze della nostra anima, che devono essere annientate: – l’intelligenza deve essere in silenzio, senza ragionamenti superflui e produzioni inutili che procedono solo da una ricerca di se stessi. Deve restare in silenzio, contemplando Dio con rispetto; – la memoria deve essere in silenzio, non ricevendo volontariamente alcuna immagine o ricordo di creatura, restando semplificata alla presenza di Dio; – la volontà deve essere in silenzio, senza desideri, inclinazioni, senza ardore, costrizioni, priva di affetto e attacco a qualsivoglia cosa che non sia Dio solo. In una parola la più santa e migliore disposizione verso la quale la mia anima si sente più portata è la profonda morte in noi stesse, che chiamo il “vero annientamento”.

E’ questa santa disposizione che ha tratto il Verbo dal seno del suo divin Padre per farlo incarnare nel cuore verginale di Maria. Dio si è compiaciuto dell’umiltà della sua serva, della bassezza e del nulla nel quale la SS. Vergine era annientata al di sotto di tutte le cose. Un’anima immersa nel suo nulla rapisce lo sguardo di Dio e si può dire che egli ne resta talmente invaghito che dimentica la sua grandezza e coll’abbassarsi in lei l’innalza fino a Sé. Siate in una disposizione di vuoto, di silenzio, di fede e di annientamento perché solo Dio sia. O adorabile Gesù, nascete, vivete e regnate perfettamente in noi, e tutto quello che in noi vi è contrario sia perfettamente consumato dalla potenza del vostro amore divino.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

GESÙ RIVELA ALLA BEATA CONCHITA UNA “NUOVA PENTECOSTE” NELLA CHIESA E IL TEMPO DEL REGNO DELLO SPIRITO SANTO NEI CUORI E NEL MONDO INTERO

GESÙ RIVELA ALLA BEATA CONCHITA UNA “NUOVA PENTECOSTE” NELLA CHIESA E IL TEMPO DEL REGNO DELLO SPIRITO SANTO NEI CUORI E NEL MONDO INTERO

«Mandando al mondo una nuova Pentecoste, io voglio che esso s’infiammi, che si purifichi, che sia illuminato, infiammato e purificato dalla luce e dal fuoco dello Spirito Santo. L’ultima tappa del mondo deve segnalarsi in modo del tutto speciale per l’effusione dello Spirito Santo. Egli vuole regnare nei cuori e nel mondo intero, non tanto per la gloria della sua Persona quanto per far amare il Padre e testimoniare me, benché la sua gloria sia quella di tutta la Trinità » (D. 26 gennaio 1916).

« Di’ al Papa che è mia volontà che in tutto il mondo cristiano si supplichi lo Spirito Santo, implorando la pace e il suo regno nei cuori. Solo questo Spirito Santo potrà rinnovare la faccia della terra; egli porterà la luce, l’unione e la carità nei cuori. Il mondo affonda perché si è allontanato dallo Spirito Santo e tutti i mali che lo affliggono hanno lí la loro origine. Il rimedio si trova in lui: egli è il Consolatore, l’autore di ogni grazia, il legame di unione tra il Padre e il Figlio e il supremo conciliatore poiché è carità, Amore increato ed eterno. Tutto il mondo ricorra a questo Spirito Santo perché il tempo del suo regno è arrivato: quest’ultima tappa del mondo gli appartiene in modo speciale perché egli sia onorato ed esaltato. La Chiesa lo predichi, le anime lo amino, il mondo intero gli sia consacrato, e verrà la pace insieme a una reazione morale e spirituale, piú grande del male da cui la terra è tormentata. Si cominci subito a invocare con preghiere, penitenze e lacrime questo Spirito Santo, col desiderio ardente della sua venuta. Egli verrà, io lo manderò una seconda volta in un modo evidente nei suoi effetti, che stupirà il mondo e spingerà la Chiesa alla santità » (D. 27 settembre 1918).

« Domanda questa ripresa, questa “nuova Pentecoste”, perché la mia Chiesa ha bisogno di sacerdoti santificati dallo Spirito Santo. Il mondo sprofonda nell’abisso perché manca di sacerdoti che lo aiutino a non cadervi; sacerdoti di luce per illuminare le vie del bene; sacerdoti puri per ritrarre dal fango tanti cuori; sacerdoti di fuoco che riempiano l’universo intero d’amore divino. Domanda, supplica il cielo, offri il Verbo perché tutto sia restaurato in me dallo Spirito Santo » (D. 1° novembre 1927).

« Voglio ritornare al mondo nei miei sacerdoti; voglio rinnovare il mondo delle anime facendo vedere me Stesso nei miei sacerdoti. Voglio dare un impulso potente alla mia Chiesa infondendole come in una “nuova Pentecoste” lo Spirito Santo nei miei sacerdoti» (D. 5 gennaio 1928).

« Per ottenere ciò che domando, tutti i sacerdoti devono consacrarsi allo SpiritoSanto, domandandogli, per intercessione di Maria, che egli venga a loro come in una “nuova Pentecoste”, e che li purifichi, li riempia di amore, li possieda, li unifichi, li santifichi e li trasformi in me» (D. 25 gennaio 1928).

« Un giorno non lontano, al centro della mia Chiesa, a San Pietro, avrà luogo la consacrazione del mondo allo Spirito Santo, e le grazie di questo Spirito divino si rovesceranno sul felice Papa che la farà. È mio desiderio che l’universo sia consacrato allo Spirito divino perché egli si diffonda sulla terra in una “nuova Pentecoste”» (D. 11 marzo 1928).

(Beata Conchita Cabrera de Armida, dal “Diario spirituale di una madre di famiglia” Città Nuova editrice)

I SANTI e LA PREGHIERA : Perchè preghiamo?.. Perchè Dio nasca nell’anima e l’anima rinasca in Dio…Un essere tutto intimo, tutto raccolto ed uno in Dio: questa è la Grazia, questo significa “Iddio con te”.

“Certo bisogna imparare a pregare. E a pregare si impara pregando, come si impara a camminare camminando.”

S.Teresa d’Avila ha detto:

L’orazione mentale non è altro, per me, che un intimo rapporto di amicizia, un frequente trattenimento, da solo a solo, con Colui da cui sappiamo d’essere amati. (Vita 8,5)

… la porta per cui mi vennero tante grazie fu soltanto l’orazione. Se Dio vuole entrare in un’anima per prendervi le sue delizie e ricolmarla di beni, non ha altra via che questa, perché Egli la vuole sola, pura e desiderosa di riceverlo. (Vita 8,9)

Certo bisogna imparare a pregare. E a pregare si impara pregando, come si impara a camminare camminando.

…nel cominciare il cammino dell’orazione si deve prendere una risoluzione ferma e decisa di non fermarsi mai, né mai abbandonarla. Avvenga quel che vuole avvenire, succeda quel che vuole succedere, mormori chi vuole mormorare, si fatichi quanto bisogna faticare, ma piuttosto di morire a mezza strada, scoraggiati per i molti ostacoli che si presen-tano, si tenda sempre alla méta, ne vada il mondo intero. (Cammino di perfezione 21,4)

Pensate di trovarvi innanzi a Gesù Cristo, conversate con Lui e cercate di innamorarvi di Lui, tenendolo sempre presente. (Vita 12,2)

La continua conversazione con Cristo aumenta l’amore e la fiducia. (Vita 37,5)

Buon mezzo per mantenersi alla presenza di Dio è di procurarvi una sua immagine o pittura che vi faccia devozione, non già per portarla sul petto senza mai guardarla, ma per servirsene ad intrattenervi spesso con Lui ed Egli vi suggerirà quello che gli dovete dire.

Se parlando con le creature le parole non vi mancano mai, perché vi devono esse mancare parlando con il Creatore? Non temetene: io almeno non lo credo! (Cammino di perfezione 26,9)

Non siate così semplici da non domandargli nulla! (Cammino di perfezione 28,3)

Chiedetegli aiuto nel bisogno, sfogatevi con Lui e non lo dimenticate quando siete nella gioia, parlandogli non con formule complicate ma con spontaneità e secondo il bisogno. (Vita 12,2)

Cercate di comprendere quali siano le risposte di Dio alle vostre domande.Credete forse che Egli non parli perché non ne udiamo la voce? Quando è il cuore che prega, Egli risponde. (Cammino di perfezione 24,5)

A chi batte il cammino della preghiera giova molto un buon libro.

Per me bastava anche la vista dei campi, dell’acqua, dei fiori: cose che mi ricordavano il Creatore, mi scuotevano, mi raccoglievano, mi servivano da libri. (Vita 9,5)

Per molti anni, a meno che non fosse dopo la Comunione, io non osavo cominciare a pregare senza libro. (Vita 4,9)

E’ troppo bella la compagnia del buon Gesù per dovercene separare! E’ altrettanto si dica di quella della sua Santissima Madre. (Seste Mansioni 7,13)

… fate il possibile di stargli sempre accanto. Se vi abituerete a tenervelo vicino ed Egli vedrà che lo fate con amore e che cercate ogni mezzo per contentarlo, non solo non vi mancherà mai, ma, come suol dirsi, non ve lo potrete togliere d’attorno.

L’avrete con voi dappertutto e vi aiuterà in ogni vostro travaglio. Credete forse che sia poca cosa aver sempre vicino un così buon amico? (Cammino di perfezione 26,1)

Poiché Gesù vi ha dato un Padre così buono, procurate di essere tali da gettarvi fra le sue braccia e godere della sua compagnia.

E chi non farebbe di tutto per non perdere un tal Padre? Quanti motivi di consolazione! Li lascio alla vostra intuizione! In effetti, se la vostra mente si mantiene sempre tra il Padre e il Figlio, interverrà lo Spirito Santo ad innamorare la vostra volontà col suo ardentissimo amore. (Cammino di perfezione 27, 6-7)

Quelli che sanno rinchiudersi nel piccolo cielo della loro anima, ove abita Colui che la creò e che creò pure tutto il mondo, e si abituano a togliere lo sguardo e a fuggire da quanto distrae i loro sensi, vanno per buona strada e non mancheranno di arrivare all’acqua della fonte.

Essendo vicinissimi al focolare, basta un minimo soffio dell’intelletto perché si infiammino d’amore, già disposti come sono a ciò, trovandosi soli con il Signore, lontani da ogni oggetto esteriore. (Cammino di perfezione 28,5.8)

Per cominciare a raccogliersi e perseverare nel raccoglimento, si deve agire non a forza di braccia ma con dolcezza. Quando il raccoglimento è sincero, l’anima sembra che d’improvviso s’innalzi sopra tutto e se ne vada, simile a colui che per sottrarsi ai colpi di un nemico, si rifugia in una fortezza.

Dovete saper che questo raccoglimento non è una cosa soprannaturale, ma un fatto dipendente dalla nostra volontà e che noi possiamo realizzare con l’aiuto di Dio. (Cammino di perfezione 28,6; 29,4)

Sapevo benissimo di avere un’anima, ma non ne capivo il valore, né chi l’abitava, perché le vanità della vita mi avevano bendati gli occhi per non lasciarmi vedere.

Se avessi inteso, come ora, che nel piccolo albergo dell’anima mia abita un Re così grande, mi sembra che non l’avrei lasciato tanto solo…e sarei stata più diligente per conservami senza macchia. (Cammino di perfezione 28,11)

Non si creda che nuoccia al raccoglimento il disbrigo delle occupazioni necessarie.

Dobbiamo ritirarci in noi stessi, anche in mezzo al nostro lavoro, e ricordarci di tanto in tanto, sia pure di sfuggita, dell’Ospite che abbiamo in noi, per-suadendoci che per parlare con Lui non occorre alzare la voce. (Cammino di perfezione 29,5)

Il Signore ci conceda di non perdere mai di vista la sua divina presenza! (Cammino di perfezione 29,8)

Quando un’anima… non esce dall’orazione fermamente decisa a sopportare ogni cosa, tema che la sua orazione non venga da Dio. (Cammino di perfezione 36,11)

Quando un’anima si unisce così intimamente alla stessa misericordia, alla cui luce si riconosce il suo nulla e vede quanto ne sia stata perdonata, non posso credere che non sappia anch’essa perdonare a chi l’ha offesa.

Siccome le grazie ed i favori di cui si vede inon-data le appariscono come pegni dell’amore di Dio per lei, è felicissima di avere almeno qualche cosa per testimoniare l’amore che anch’ella nutre per lui. (Cammino di perfezione 36,12)

La preghiera non è qualcosa di statico, è un’amicizia che implica uno sviluppo e spinge a una trasformazione, a una somiglianza sempre più forte con l’amico. (da L’amicizia con Cristo, cap VII)

S.  Agostino ha detto:

“Nutri la tua anima con la lettura biblica: essa ti preparerà un banchetto spirituale”.

“La preghiera muore, quando il desiderio si raffredda”.

S. Tommaso d’Aquino ha detto:

“La preghiera non viene presentata a Dio per fargli conoscere qualcosa che Egli non sa, ma per spingere verso Dio l’animo di chi prega.”

S. Girolamo ha detto:

“Chi è assiduo nella lettura della Parola di Dio, quando legge si affatica, ma in seguito è felice perché gli amari semi della lettura producono in lui i dolci frutti.”

“Studiamo ora che siamo sulla terra quella Realtà la cui conoscenza resterà anche quando saremo in cielo”.

“Preghi? Sei tu che parli allo Sposo. Leggi? E’ lo Sposo che parla a te”.

S. Ignazio di Loyola ha detto:

“Pregare è seguire Cristo che va tra gli uomini, quasi accompagnandolo”.

S. Caterina da Bologna ha detto:

La preghiera è l’estatica contemplazione dell’ Altissimo, nella sua infinita bellezza e bontà: uno sguardo semplice e amoroso su Dio”.

S. Giovanni Crisostomo ha detto:

“L’uomo che prega ha le mani sul timone della storia”.

S. Giovanni Damasceno ha detto:

“La preghiera è un’elevazione della mente a Dio”.

S. Ignazio d’Antiochia ha detto:

Procurate di riunirvi più frequentemente per il rendimento di grazie e per la lode a Dio. Quando vi radunate spesso le forze di satana sono annientate ed il male da lui prodotto viene distrutto nella concordia della vostra fede.

S. Bernardo di Chiaravalle ha detto:

“I tuoi desideri gridino a Dio. la preghiera è una pia tensione del cuore verso Dio.”

Tertulliano ha detto:

L’unico compito della preghiera è richiamare le anime dei defunti dallo stesso cammino della morte, sostenere i deboli, curare i malati, liberare gli indemoniati, aprire le porte del carcere, sciogliere le catene degli innocenti. Essa lava i peccati, respinge le tentazioni, spegne le persecuzioni, conforta i pusillanimi, incoraggia i generosi, guida i pellegrini, calma le tempeste, arresta i malfattori, sostenta i poveri, ammorbidisce il cuore dei ricchi, rialza i caduti, sostiene i deboli, sorregge i forti. (L’orazione, cap. 29)

Charles de Focauld ha detto:

“Bisogna lodare Dio. Lodare è esprimere la propria ammirazione e nello stesso tempo il proprio amore, perchè l’amore è inseparabilmente unito ad un’ammirazione senza riserve.

Dunque, lodare significa struggersi ai suoi piedi in parole di ammirazione e d’amore. Significa ripetergli che Egli è infinitamente perfetto, infinitamente amabile, infinitamente amato.

Significa dirgli che Egli è buono e che l’amiamo”.

Maestro Eckhart ha detto:

“Perchè preghiamo?.. Perchè Dio nasca nell’anima e l’anima rinasca in Dio…Un essere tutto intimo, tutto raccolto ed uno in Dio: questa è la Grazia, questo significa “Iddio con te”.

Detti dei Padri del deserto:

L’importanza della preghiera del mattino

Non appena ti levi dopo il sonno, subito, in primo luogo, la tua bocca renda gloria a Dio e intoni cantici e salmi, poiché la prima preoccupazione, alla quale lo Spirito si apprende fin dall’aurora, esso continua a macinarla, come una mola, per tutto il giorno, sia grano sia zizzania. Perciò sii sempre il primo a gettar grano, prima che il nemico getti la zizzania.

Pregare prima di ogni cosa

Un anziano diceva: “Non far nulla senza pregare e non avrai rimpianti”

Detti di S. Isidoro

“Chi vuole essere sempre unito a Dio, deve pregare spesso e leggere spesso, perché nella preghiera siamo noi che parliamo a Dio, ma nella lettura della Bibbia è Dio che parla a noi”.

“Tutto il progresso spirituale si basa sulla lettura e sulla meditazione: ciò che ignoriamo, lo impariamo con la lettura; ciò che abbiamo imparato, lo conser-viamo con la meditazione.”

“La lettura della Bibbia ci procura un duplice vantaggio: istruisce la nostra intelligenza e ci introdu-ce all’amore per Iddio distogliendoci dalle cose vane.”

“Nessuno può capire il senso della Bibbia, se non acquista consuetudine e familiarità con essa mediante la lettura”.

Detti di S. Pacomio

Mettiamo freno all’effervescenza dei pensieri che ci angosciano e che salgono dal nostro cuore come acqua in ebollizione, leggendo le Scritture e ruminandole incessantemente…e ne sarete liberati .

Detti di Arisitide l’Apologeta

“E’ per la preghiera dei cristiani che il mondo sta in piedi”.

Detti di Evagrio Pontico

“La preghiera è sorgente di gioia e di grazia”.

“Quando, dedicandoti alla preghiera, sei giunto al di sopra di ogni altra gioia, allora veramente hai trovato la preghiera.

Detti di Giovanni Climaco

“La preghiera è sostegno del mondo, riconciliazione con Dio, misura del progresso spirituale, giudizio del Signore prima del futuro giudizio”.

Detti di Barsanufio

“Anche tu, mentre resti tra gli uomini, aspettati tribolazioni, rischi e urti alla sensibilità. Ma se raggiungi il porto del silenzio, per te preparato, non avrai più paura”

“Osserva, fratello, quanto siamo meschini: parliamo soltanto con le labbra e le nostre azioni mostrano che siamo differenti da ciò che diciamo”

“Evita la collera quanto puoi, non giudicare nessuno e specialmente quelli che ti mettono alla prova. Pensandoci bene, capirai che sono loro che ti conducono alla maturità”

“Mi hai scritto chiedendo che pregassi per i tuoi peccati. Ti dirò la stessa cosa: Prega per i miei”

San Giovanni Crisostomo: “La preghiera è luce dell’anima, vera conoscenza di Dio, mediatrice tra Dio e l’uomo” “Essa è un desiderare Dio, un amore ineffabile che non proviene dagli uomini, ma è prodotto dalla grazia divina”

La preghiera è luce per l’anima – San Giovanni Crisostomo

La preghiera, o dialogo con Dio, è un bene sommo. È, infatti, una comunione intima con Dio. Come gli occhi del corpo vedendo la luce ne sono rischiarati, così anche l’anima che è tesa verso Dio viene illuminata dalla luce ineffabile della preghiera. Deve essere, però, una preghiera non fatta per abitudine, ma che proceda dal cuore. Non deve essere circoscritta a determinati tempi od ore, ma fiorire continuamente, notte e giorno.

Non bisogna infatti innalzare il nostro animo a Dio solamente quando attendiamo con tutto lo spirito alla preghiera. Occorre che, anche quando siamo occupati in altre faccende, sia nella cura verso i poveri, sia nelle altre attività, impreziosite magari dalla generosità verso il prossimo, abbiamo il desiderio e il ricordo di Dio, perché, insaporito dall’amore divino, come da sale, tutto diventi cibo gustosissimo al Signore dell’universo. Possiamo godere continuamente di questo vantaggio, anzi per tutta la vita, se a questo tipo di preghiera dedichiamo il più possibile del nostro tempo.

La preghiera è luce dell’anima, vera conoscenza di Dio, mediatrice tra Dio e l’uomo. L’anima, elevata per mezzo suo in alto fino al cielo, abbraccia il Signore con amplessi ineffabili. Come il bambino, che piangendo grida alla madre, l’anima cerca ardentemente il latte divino, brama che i propri desideri vengano esauditi e riceve doni superiori ad ogni essere visibile.

La preghiera funge da augusta messaggera dinanzi a Dio, e nel medesimo tempo rende felice l’anima perché appaga le sue aspirazioni. Parlo, però, della preghiera autentica e non delle sole parole.

Essa è un desiderare Dio, un amore ineffabile che non proviene dagli uomini, ma è prodotto dalla grazia divina. Di essa l’Apostolo dice: Non sappiamo pregare come si conviene, ma lo Spirito stesso intercede per noi con gemiti inesprimibili (cfr. Rm 8, 26b). Se il Signore dà a qualcuno tale modo di pregare, è una ricchezza da valorizzare, è un cibo celeste che sazia l’anima; chi l’ha gustato si accende di desiderio celeste per il Signore, come di un fuoco ardentissimo che infiamma la sua anima.

Abbellisci la tua casa di modestia e umiltà mediante la pratica della preghiera. Rendi splendida la tua abitazione con la luce della giustizia; orna le sue pareti con le opere buone come di una patina di oro puro e al posto dei muri e delle pietre preziose colloca la fede e la soprannaturale magnanimità, ponendo sopra ogni cosa, in alto sul fastigio, la preghiera a decoro di tutto il complesso. Così prepari per il Signore una degna dimora, così lo accogli in splendida reggia. Egli ti concederà di trasformare la tua anima in tempio della sua presenza.

Dalle Omelie di san Giovanni Crisostomo, vescovo (Om. 6 sulla preghiera; PG 64, 462-466)

Dio Padre rivela a Santa Caterina da Siena: “La gloria dei Beati e dei Santi in Paradiso!” “Oh, quanto diletto provano nel vedere me, che sono ogni bene!”

Tratto dal Dialogo della divina Provvidenza: le rivelazioni di Dio Padre a Santa Caterina da Siena

 

CAPITOLO 41

La gloria dei beati.

Parla Dio Padre:

“Anche l’anima giusta che finisce la vita in affetto di carità ed è legata a Dio nell’amore, non può crescere in virtù, poiché viene a mancare il tempo di quaggiù, ma può sempre amare con quella dilezione che la porta a Me, e con tale misura le viene misurato il premio. Sempre mi desidera e sempre mi ama, onde il suo desiderio non è vuoto; ma sebbene abbia fame, è saziato, e saziato ha fame; e tuttavia è lungi il fastidio della sazietà, come è lungi la pena della fame.

Nell’amore i beati godono dell’eterna mia visione, partecipando ognuno, secondo la sua misura, di quel bene, che io ho in me medesimo. Con quella misura d’amore con la quale sono venuti a me, con essa viene loro misurato. Essi sono rimasti nella mia carità ed in quella del prossimo; sono stati insieme uniti nella carità comune ed in quella particolare, che esce pure da una medesima carità.

Godono ed esultano, partecipando l’uno del bene dell’altro con l’affetto della carità, oltre al bene universale, che essi hanno tutti insieme. Godono ed esultano cogli angeli, coi quali sono collocati i santi, secondo le diverse e varie virtù, che principalmente ebbero nel mondo, essendo tutti legati nel legame della carità. Hanno poi una partecipazione singolare di bene con coloro coi quali si amavano strettamente d’amore speciale nel mondo, col quale amore crescevano in grazia, aumentando la virtù. L’uno era cagione all’altro di manifestare la gloria e lode del mio nome, in sé e nel prossimo. Nella vita eterna non hanno perduto questo affetto, ma l’hanno aggiunto al bene generale, partecipando più strettamente e con più abbondanza l’uno del bene dell’altro.

Non vorrei però che tu credessi che questo bene partico­lare, di cui ti ho parlato, l’avessero solo per sé: non è così, ma esso è partecipato da tutti quanti i gustatori, che sono i cittadini del cielo, i miei figli diletti, e da tutte le creature angeliche. Quando l’anima giunge a vita eterna, tutti parteci­pano del bene di quell’anima, e l’anima del bene loro. Non è che il vaso di ciascuno possa crescere, né che abbia bisogno di empirsi, poiché è pieno e quindi non può crescere; ma hanno un’esultanza, una giocondità, un giubilo, un’allegrezza, che si ravvivano in loro, per quanto sono venuti a conoscere di quell’anima. Vedono che per mia misericordia ella è tolta alla terra con la pienezza della grazia, e così esultano in me per il bene che quell’anima ha ricevuto dalla mia bontà.

E quell’anima gode pure in me, nelle altre anime, e negli spiriti beati, vedendo e gustando in loro la bellezza e dolcez­za della mia carità. I loro desideri gridano sempre dinanzi a me per la salvezza di tutto quanto il mondo. Poiché la loro vita finì nella carità dei prossimo, non hanno lasciata questa carità, ma sono passati con essa per la porta del mio Unige­nito Figliuolo, nel modo che ti dirò più sotto. Vedi dunque che essi restano con quel legame dell’amore, col quale finì la loro vita: esso resta e dura per tutta l’eternità.

Sono tanto conformi alla mia volontà, che non possono volere se non quello che io voglio; poiché il loro libero arbi­trio è legato per siffatto modo col legame della carità che, quando viene meno il tempo di questa vita alla creatura, che ha in sé ragione e che muore in stato di grazia, essa non può più peccare. Ed è tanto unita la sua volontà alla mia che, se il padre o la madre vedessero il figliolo nell’inferno, o il figlio ci vedesse la madre, non se ne curerebbero; anzi sono contenti di vederli puniti come miei nemici. In nessuna cosa si scordano di me; i loro desideri sono appagati. Desiderio dei beati è di vedere trionfare il mio onore in voi viandanti, che siete pellegrini in questa terra e sempre correte verso il termine della morte. Nel desiderio del mio onore bramano la vostra salute, e perciò sempre mi pregano per voi. Un tale desiderio è sempre adempiuto per parte mia, se voi ignoranti non recalcitraste contro la mia misericordia.

Hanno ancora il desiderio di riavere la dote della loro anima, che è il corpo; questo desiderio non li affligge al presente, ma godono per la certezza che hanno di vederlo appagato: non li affligge, perché, sebbene ancora non abbiano il corpo, tuttavia non manca loro la beatitudine, e perciò non risentono pena. Non pensare che la beatitudine del corpo, dopo la resurre­zione, dia maggiore beatitudine all’anima. Se fosse così, ne ver­rebbe che i beati avrebbero una beatitudine imperfetta, fino a che non riprendessero il corpo; cosa impossibile, perché in loro non manca perfezione alcuna. Non è il corpo che dia beatitudine all’anima, ma sarà l’anima a dare beatitudine al corpo; darà della sua abbondanza, rivestendo nel dì del giudizio la propria carne, che aveva lasciato in terra.

Come l’anima è resa immortale, ferma e stabilita in me, così il corpo in quella unione diventa immortale; perduta la gravezza della materia, diviene sottile e leggero. Sappi che il corpo glorificato passerebbe di mezzo a un muro. Né il fuoco né l’acqua potrebbero nuocergli, non per virtù sua ma per virtù dell’anima, la quale virtù è mia, ed è stata data a lei per grazia e per quell’amore ineffabile col quale la creai a mia immagine e somiglianza. L’occhio del tuo intelletto non è sufficiente a ve­dere, né l’orecchio a udire, né la lingua a narrare, né il cuore a pensare, il bene loro.

Oh, quanto diletto provano nel vedere me, che sono ogni bene! Oh, quanto diletto avranno, allorché il loro corpo sarà glorificato! E sebbene manchino di questo bene fino al giorno del giudizio universale, non hanno pena, perché l’anima è piena di felicità in se stessa. Una tale beatitudine sarà poi partecipata al corpo, come ti ho spiegato.

Ti parlavo del bene, che ritrarrebbe il corpo glorificato nell’Umanità glorificata del mio Figlio Unigenito, la quale dà a voi certezza della vostra resurrezione. Esultano i beati nelle sue piaghe, che sono rimaste fresche; sono conservate nel suo corpo le cicatrici, che continuamente gridano a me, sommo ed eterno Padre, misericordia. Tutti si conformano a lui in gaudio e giocondità, occhio con occhio, mano con mano, e con tutto il corpo del dolce Verbo, mio Figlio. Stando in me, starete in lui, poiché egli è una cosa sola con me; ma l’occhio del vostro corpo si diletterà nell’Umanità glorificata del Verbo Unigenito mio Figlio. Perché questo? Perché la loro vita finì nella dilezione della mia carità, e perciò dura loro eternamente.

Non possono guadagnare alcun nuovo bene, ma si godono quello che si sono portato, non potendo fare alcun atto meritorio, perché solo in vita si merita e si pecca, secondo che piace al libero arbitrio della vostra volontà. Essi non aspettano con timore, ma con allegrezza, il giudizio divino; e la faccia del mio Figlio non parrà loro terribile, né piena d’odio, perché sono morti nella carità, nella dilezione di me e nella benevolenza del prossimo. Così tu comprendi come la mutazione della faccia non sarà in lui, quando verrà a giudicare con la mia maestà, ma in coloro che saranno giudicati da lui. Ai dannati apparirà con odio e con giustizia; ai salvati, con amore e misericordia.”

(Dal Dialogo della divina provvidenza, Santa Caterina da Siena)

San Gregorio magno: “Colui che ama veramente Dio, ne osserva i comandamenti, e Dio entra nel suo cuore e vi rimane, perché l’amor di Dio riempie talmente il suo cuore, che al tempo della tentazione, non si muove” «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23)

Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23)

 

San Gregorio magno, Papa e Dottore della Chiesa:

Lo Spirito Santo stesso è amore. Perciò Giovanni dice: “Dio è amore” (1Gv 4,8). Chi con tutto il cuore cerca Dio, ha già colui che ama. E nessuno potrebbe amare Dio, se non possedesse colui che ama. Ma, ecco, se a uno di voi si domandasse se egli ami Dio, egli fiduciosamente e con sicurezza risponderebbe di sì. Però a principio della lettura avete sentito che la Verità dice: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola” (Gv 14,23). La prova dell’amore è l’azione. Perciò Giovanni nella sua epistola dice: “Chi dice di amar Dio, ma non ne osserva i precetti, è bugiardo” (1Gv 4,20). Allora veramente amiamo Dio, quando restringiamo il nostro piacere a norma dei suoi comandamenti. Infatti chi corre ancora dietro a piaceri illeciti, non può dire d’amar Dio, alla cui volontà poi contraddice.

«Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23). Pensate che festa, fratelli carissimi; avere in casa Dio! Certo, se venisse a casa vostra un ricco o un amico molto importante, voi vi affrettereste a pulir tutto, perché nulla ne turbi lo sguardo. Purifichi, dunque, le macchie delle opere, chi prepara a Dio la casa nella sua anima. Ma guardate meglio le parole: “Verremo e metteremo casa presso di lui”. In alcuni, cioè, Dio vi entra, ma non vi si ferma, perché questi, attraverso la compunzione, fanno posto a Dio, ma, al momento della tentazione, si dimenticano della loro compunzione, e tornano al peccato, come se non l’avessero mai detestato. Invece colui cha ama veramente Dio, ne osserva i comandamenti, e Dio entra nel suo cuore e vi rimane, perché l’amor di Dio riempie talmente il suo cuore, che al tempo della tentazione, non si muove. Questo, allora, ama davvero, poiché un piacere illecito non ne cambia la mente. Tanto più uno si allontana dall’amore celeste quanto più s’ingolfa nei piaceri terrestri. Perciò è detto ancora: “Chi non mi ama, non osserva i miei comandamenti”(Gv 14,24). Rientrate in voi stessi, fratelli; esaminate se veramente amate Dio, ma non credete a voi stessi, se non avete la prova delle azioni. Guardate se con la lingua, col pensiero, con le azioni amate davvero il Creatore. L’amor di Dio non è mai ozioso. Se c’è, fa cose grandi; se non ci sono le opere, non c’è amore.

“E le parole che avete udito, non son mie, ma del Padre che mi ha mandato” (Gv 14,24). Sapete, fratelli, che chi parla è il Verbo del Padre, perché il Figlio è Verbo del Padre.

“Lo Spirito Santo Paraclito, che il Padre manderà nel mio nome, v’insegnerà tutto e vi ricorderà tutto quello che vi ho detto” (Gv 14,26). Sapete quasi tutti che la parola greca Paraclito, significa avvocato o consolatore. E lo chiama avvocato, perché interviene presso il Padre in favore dei nostri delitti. Di questo stesso Spirito poi giustamente si dice: “V’insegnerà ogni cosa”, perché se lo Spirito non è vicino al cuore di chi ascolta, il discorso di chi insegna, non ha effetto.»

(da San Gregorio Magno, Papa, Omelie sui Vangeli, 30,1)

 

“La via del Signore si dirige al cuore quando si ascolta umilmente la predicazione della verità; la via del Signore si dirige al cuore, quando la vita si uniforma ai comandi di Dio. Per questo sta scritto: <<Se uno mi ama, osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà, e verremo a lui e dimoreremo in lui>> (Gv 14,23).

Chiunque monta in superbia, chiunque arde del fuoco di avarizia, chiunque si macchia con le lordure della lussuria, chiude la porta del cuore dinanzi alla verità, pone i serrami dei vizi all’entrata dell’anima, per impedire l’ingresso del Signore.”

(San Gregorio Magno, Papa e Dottore della chiesa, Omelie sui vangeli, VII , pag. 90)

 

STUPENDA OMELIA -VI DOMENICA DI PASQUA-

di Padre Mariano Pellegrini (dei Francescani dell’ Immacolata)

 

“Dio ci ama a tal punto da voler rimanere sempre con noi. Egli non si disinteressa delle sue creature. Con la sua grazia, Egli entra nell’anima come il sole entra attraverso il vetro e illumina l’interno di una stanza. Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo prendono dimora nel nostro cuore e noi, pertanto, diveniamo tempio della Santissima Trinità. Non c’è più distanza tra noi e Dio. Dio è in cielo e in terra, e anche nel nostro cuore, se accettiamo che Egli abiti dentro di noi, se noi lo amiamo. Gesù ce lo dice chiaramente nel Vangelo di oggi: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23).
Questo ci insegna che non siamo mai soli, se veramente vogliamo amare Dio. La vita del cristiano è una vita di comunione con Colui che ci ha creati e ci ha redenti. Anzi, diciamo di più: quanto più ci sembra di essere soli, tanto più siamo vicini al nostro Dio. Egli non fa sentire la sua presenza del chiasso e nel frastuono, ma solamente nel silenzio e nella solitudine. Questa certezza ci deve spingere a cercare, nel corso della giornata, dei momenti da dedicare a questa presenza silenziosa e misteriosa. Quando preghiamo, chiudiamo la porta della nostra stanza, chiudiamo i nostri occhi, e pensiamo che Dio è dentro di noi. Parliamogli con grande familiarità e Lui ci ispirerà sempre qualche buon proposito. Sarà soprattutto nel momento della prova che sperimenteremo la sua presenza benefica: quanto più si sarà lontani dagli aiuti umani, tanto più saremo vicini all’aiuto divino.
Il fatto, purtroppo, è che, quando preghiamo, siamo molto distratti. La nostra preghiera si riduce a una ripetizione superficiale di parole, alle quali nemmeno pensiamo. Per pregare bene, dobbiamo pensare innanzitutto che Dio è presente in noi e dobbiamo porre attenzione al senso delle parole che pronunciamo. Allora, e solo allora, la nostra preghiera non rimarrà mai senza effetto: od otterrà quello che domandiamo, oppure ci procurerà qualcosa di ancora più grande.
Dio in me e io in Lui! Certo, con un Ospite così vivo e così grande, badiamo bene di non sfigurare. Pensiamo spesso che Dio ci vede, che Dio è nel nostro cuore. Pertanto non dobbiamo offendere questa presenza in noi con il peccato. C’è, infatti, una condizione affinché Dio dimori in noi: dobbiamo amarlo. E lo ameremo veramente solo se osserveremo la sua parola, oppure, se non lo abbiamo fatto per il passato, se ci impegneremo ad osservarla. Anche queste sono parole di Gesù: «Chi non mi ama, non osserva le mie parole» (Gv 14,24). Se si ama veramente Dio, non costerà fatica fare la sua Volontà, osservare i suoi Comandamenti d’amore. Solo se faremo così, godremo della pace che Gesù è venuto a portare su questa terra. Altrimenti, nei nostri cuori, nelle nostre famiglie e nella società umana, vi sarà sempre guerra e divisione.
Il Vangelo di oggi ci parla inoltre del Paraclito, ovvero dello Spirito Santo. Paraclito significa Consolatore. Egli consola i nostri cuori nelle prove della vita e ci fa assaporare, nel segreto della preghiera, quella che sarà la gioia senza fine del Paradiso. Lo Spirito Santo è il santificatore della nostra anima. Il Padre lo ha inviato su questa terra nel giorno di Pentecoste. Nel brano del Vangelo di oggi, Gesù dice che il Paraclito ci insegnerà ogni cosa e ci ricorderà tutto ciò che Gesù ha insegnato (cf Gv 14,26).
Bisogna dunque pregarlo. Ci avviciniamo ormai alla sua festa. Proponiamoci fin d’ora di invocare la sua discesa nei nostri cuori, affinché Egli ci arricchisca con i suoi Sette Doni e ci faccia comprendere sempre di più le parole di Gesù.”

Beato John Henry Newman “Se Cristo è sulla terra, sebbene invi­sibilmente (ciò che non si può negare), è chiaro che egli vi è nella stessa condizione scelta nei giorni della sua car­ne. Voglio dire che è un Salvatore nascosto e che, se non stiamo attenti, rischiamo di avvicinarci a lui senza il ri­spetto e il timore dovuti.”

La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta (Gv 1,5).

Di tutti i pensieri che sorgono nella mente quando contempliamo la vita del Signore Gesù Cristo sulla terra, nessuno forse è più impressionante e avvincente di quello riguardante l’oscurità da cui fu circondato. Non mi riferi­sco alla sua oscura condizione, derivante dal suo essere umile; mi riferisco al nascondimento che lo avvolse e al se­greto sulla sua identità che egli mantenne. Questa caratte­ristica del suo primo avvento è sottolineata molto spesso nella Scrittura, come nel testo: La luce splende nelle tene­bre, ma le tenebre non l’hanno accolta; ed è in contrasto con quanto è stato predetto del suo secondo avvento: allo­ra ogni occhio lo vedrà. Questo implica che tutti lo rico­nosceranno, mentre, quando venne la prima volta, sebbe­ne molti lo abbiano visto, tuttavia ben pochi lo hanno ri­conosciuto. Era stato preannunziato: Noi lo vedremo e non ha bellezza alcuna che attragga i nostri sguardi; e alla fine del suo ministero pubblico disse a uno dei dodici amici scelti: Da tanto tempo sono con voi, e tu non mi hai cono­sciuto, Filippo?

Gli amici del Signore erano vissuti a lungo con lui, eppure non lo conoscevano. Non notarono alcuna diffe­renza tra lui e se stessi. Egli vestiva, mangiava, beveva co­me gli altri; andava e veniva, parlava, camminava, dormi­va come gli altri; fu un uomo come gli altri sotto tutti gli aspetti, eccetto il peccato. Anche oggi molti non sareb­bero capaci di notare questa grande differenza, perché nessuno di noi capisce quelli che sono molto migliori di noi.

2. Dico che il Cristo, il Figlio di Dio senza peccato, potrebbe oggi vivere nel mondo come un vicino di casa, e noi potremmo non riconoscerlo. E questo un pensiero sul quale sarà bene soffermarci.

Tuttavia, sebbene non tocchi a noi giudicare ma dob­biamo lasciare a Dio il giudizio, è certo che un uomo vera­mente pio, un vero santo, per quanto somigli agli altri uo­mini, ha tuttavia in sé una specie di potere segreto che at­tira e influenza quelli che hanno le stesse inclinazioni spi­rituali.

E riflettere se i santi hanno una qualche influenza su di noi, potrebbe essere una verifica per renderci conto se abbiamo le stesse loro inclinazioni. Benché ci sia dato ra­ramente di conoscere subito i santi, tuttavia in un secondo tempo lo possiamo; quando, ripensando al passato – for­se quando ormai sono morti – ci chiediamo quale potere hanno avuto su di noi nel tempo in cui li abbiamo cono­sciuti, se ci hanno attratto, influenzato; se ci hanno resi più umili, se hanno fatto ardere i nostri cuori dentro di noi. Spesso ci accorgiamo che siamo stati per molto tempo vicini a loro, abbiamo avuto la possibilità di conoscerli, e non li abbiamo conosciuti; e questo è per noi un grave mo­tivo di condanna.

La storia del Signore ci fornisce un esempio particolar­mente evidente di tale fatto, proprio perché egli era il Santo per eccellenza. Quanto più un uomo è santo, tanto meno viene compreso dalla gente di questo mondo. Quelli che hanno anche solo una scintilla di fede viva, in una cer­ta misura lo comprenderanno; e più egli è santo, più si sentiranno, almeno per la maggior parte, attratti da lui; ma coloro che servono il mondo saranno ciechi nei suoi confronti; più egli sarà santo, più avranno per lui disprez­zo e avversione. Proprio così accadde a Gesù: egli era « il Santo »; ma la luce splende nelle tenebre, e le tenebre non l’hanno accolta . I suoi parenti più prossimi non credettero in lui. Se fu così, e per la ragione a cui ho accennato, viene spontaneo chiederci se noi l’avremmo compreso me­glio di quanto non abbiano fatto loro. Se egli fosse stato il nostro vicino di casa, o anche un membro della nostra famiglia, l’avremmo saputo distinguere da qualunque altra persona corretta e semplice nell’atteggiamento, o al con­trario, pur avendo rispetto per lui (purtroppo, quale paro­la, quale linguaggio verso Dio altissimo!), non l’avremmo trovato strano, eccentrico, stravagante? Ancor meno avremmo visto qualche scintilla di quella gloria che egli aveva presso il Padre prima che il mondo fosse, e che si trovava nascosta, ma non spenta, nel tabernacolo terrestre

È questo un pensiero tremendo: perché, se egli restas­se a lungo con noi, e noi non vedessimo nulla di meravi­glioso in lui, sarebbe questa una prova evidente che non siamo suoi, perché le sue pecore conoscono la sua voce e lo seguono. […]

3. Ed eccoci portati a un altro argomento, molto se­rio, del quale vorrei parlarvi. A volte noi siamo pronti a desiderare di essere nati al tempo di Gesù, e con questo scusiamo la nostra cattiva condotta quando la coscienza ci rimprovera. Diciamo: se avessimo avuto la fortuna di vi­vere con Gesù, avremmo avuto motivazioni più forti, sa­remmo stati meglio premuniti contro il peccato.

Rispondo: le nostre abitudini di peccato non solo non sarebbero state vinte dalla presenza di Cristo, ma anzi ci avrebbero impedito di riconoscerlo. Non avremmo saputo che era presente, e anche se ci avesse detto chi era, non gli avremmo creduto. I suoi stessi miracoli, per quanto ciò possa apparire incredibile, non ci avrebbero lasciato una impressione duratura. Senza attardarci su questo tema, considerate la possibilità che Cristo sia vicino a noi, pur senza far miracoli: non ce ne accorgeremmo. E ritengo che questo sarebbe il caso per la maggior parte della gente. Ma basta su questo argomento.

Vorrei arrivare a un altro punto: vorrei invitarvi a ri­flettere sulla luce tremenda che quanto abbiamo detto get­ta sulla prospettiva della vita nell’ai di là. Noi pensiamo che il cielo sarà per noi un luogo di felicità, purché ci arri­viamo; ma secondo ogni probabilità, a giudicare da quello che accade sulla terra, un uomo malvagio, trasportato in cielo, non saprebbe di essere in cielo. Non spingo le cose più lontano; non mi domando se, al contrario, il fatto stes­so di trovarsi in cielo con il suo fardello di peccato non sa­rebbe per lui un vero supplizio e non accenderebbe dentro di lui le fiamme dell’inferno. Sarebbe questo, in verità, un modo spaventoso di accorgersi del luogo dove si trova.

Ma supponiamo un caso meno grave: supponiamo che un uomo possa stare in cielo senza esserne distrutto: ma saprebbe veramente dove si trova? Non vi vedrebbe nulla di meraviglioso.

Mai gli uomini furono tanto vicini a Dio quanto colo­ro che lo arrestarono, lo colpirono, gli sputarono addosso, lo sospinsero con violenza, lo spogliarono, stesero le sue braccia sulla croce, lo inchiodarono alla croce e ve lo innal­zarono, rimasero a guardarlo, lo schernirono, gli diedero aceto, si assicurarono che fosse morto, e infine lo colpiro­no con la lancia. Come è spaventoso pensare che l’uomo mai si è accostato a Dio in maniera più forte che con la bestemmia! Chi si avvicinò di più al Signore? san Tommaso che ebbe il permesso di stendere la mano per toccare rispettosamente le sue piaghe, san Giovanni che riposò sul suo petto o i soldati che, brutalmente, ne profana­rono ogni membro, ne torturarono ogni nervo?

In verità la sua benedetta madre si avvicinò a lui in maniera più intima; e anche noi, se siamo veri credenti, ci avviciniamo a lui ancor più profondamente, lo possediamo in modo reale, anche se spirituale, dentro di noi: que­sta però è una forma diversa, interiore, di vicinanza. Ma esteriormente gli si fecero più vicini proprio coloro che non sapevano nulla di lui. La stessa cosa accade ai peccato­ri: essi si accosterebbero al trono di Dio, lo guarderebbero senza capire, lo toccherebbero, si immischierebbero alle cose più sante, lascerebbero libero corso, non per cattivo volere, ma per una sorta di istinto insensato, alla loro indi­screta curiosità, fino a quando un fulmine vendicatore non li annientasse; e tutto ciò perché essi non hanno un senso che li possa guidare all’occorrenza. I nostri sensi corporali ci segnalano l’avvicinarsi del bene o del male sul­la terra. I suoni, i profumi, i contatti, ci informano su quello che ci circonda. Siamo coscienti quando ci esponia­mo alle intemperie, o quando ci affatichiamo troppo nel lavoro. Riceviamo degli avvertimenti, e sentiamo che non li dobbiamo trascurare. Ma i peccatori non hanno i sensi spirituali e non possono prevedere nulla; ignorano quello che accadrà loro nel momento successivo. Così continua­no ad avanzare in mezzo ai burroni senza paura, finché improvvisamente precipitano e periscono. Miserabili crea­ture! Ecco quello che il peccato fa delle anime immortali: le rende simili agli animali che vengono uccisi nel matta­toio, e intanto toccano e odorano gli stessi strumenti di morte!

4. Voi forse direte: ma in che cosa ci riguarda tutto questo? Il Cristo non è qui; quindi noi non potremmo in­sultare la sua maestà in un modo tanto grave, o pur anche minore. Rispondo: Ne siamo proprio sicuri? Certo non possiamo commettere una tale pubblica empietà, ma pos­siamo farlo in maniera ugualmente grave. Spesso i peccati più gravi sono i meno clamorosi, gli insulti più amari sono i meno scoperti, i mali più profondi sono i più sottili. Non ricordiamo quelle parole di Cristo: A chiunque parlerà ma­le del Figlio dell’uomo sarà perdonato; ma la bestemmia con­tro lo Spirito Santo non gli sarà perdonata?

Non intendo concludere se questa sentenza si applichi o meno ai cristiani di oggi; ma dobbiamo sapere che anche al presente siamo nel regno dello Spirito di cui parla il Si­gnore; e questa è una questione molto seria. Ho citato pe­rò il testo del vangelo per dimostrare che ci possono essere dei peccati non tanto più flagranti e manifesti, ma più gra­vi di quello di insultare e perseguitare la persona di Cristo, per quanto ciò possa essere strano.

Continuiamo perciò la nostra riflessione, senza però perdere di vista questo pensiero. In primo luogo Cristo è sempre sulla terra; egli dichiarò espressamente che sareb­be tornato. La venuta dello Spirito Santo è realmente an­che la sua venuta; al punto che, se neghiamo che egli è qui ora, quando è qui nel suo Spirito, possiamo altrettanto di­re che non era qui nei giorni della sua carne, quando era visibile al mondo. È un grande mistero che Dio Figlio e Dio Spirito Santo, due persone, possano essere uno, che il Cristo possa essere nello Spirito e lo Spirito in lui; ma è così.

In secondo luogo: se Cristo è sulla terra, sebbene invi­sibilmente (ciò che non si può negare), è chiaro che egli vi è nella stessa condizione scelta nei giorni della sua car­ne. Voglio dire che è un Salvatore nascosto e che, se non stiamo attenti, rischiamo di avvicinarci a lui senza il ri­spetto e il timore dovuti. […]

E c’è un’altra ragione per temere, quando consideriamo i pegni della sua presenza; essi sono di tale natura da condurre all’irriverenza tutti coloro che non sono umili e attenti. Per esempio: la Chiesa è chiamata suo corpo; quello che era il suo corpo materiale quando egli era in ter­ra, lo è oggi la Chiesa. Essa è lo strumento del suo potere divino; ad essa ci dobbiamo rivolgere per ottenere i suoi favori; e se la insultiamo, provochiamo la sua ira. Ma che cos’è la Chiesa, se non un corpo debole, che quasi provoca disprezzo e irriverenza negli uomini che non hanno fede?

E un vaso di terra più fragile di quanto lo fosse il suo corpo di carne, perché questo era puro da ogni peccato, mentre la Chiesa è macchiata nei suoi membri. Sappia­mo che i suoi ministri, anche i migliori, sono imperfetti, inclini all’errore e schiavi delle passioni come gli altri uo­mini; e tuttavia Gesù, rivolgendosi non solo agli apostoli, ma ai settantadue discepoli (ai quali i ministri cristiani so­no uguali per la funzione), disse: Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato.

Egli ha fatto dei poveri, dei deboli e degli afflitti i se­gni e gli strumenti della sua presenza; e anche qui sorge la tentazione di trascurarla e di profanarla. Come era lui, così sono i suoi discepoli scelti in quésto mondo; e come la sua condizione oscura e vulnerabile provocava gli uomi­ni a insultarlo e a maltrattarlo, alla stessa maniera tali qua­lità spingono oggi gli uomini a insultarlo nei segni della sua presenza. Quali siano poi questi segni, risulta chiara­mente da molti passi della Scrittura. Per esempio, egli dice dei fanciulli: Chiunque accoglie uno di questi piccoli in no­me mio, accoglie me. E a Saulo che perseguitava i suoi discepoli disse: Perché mi perseguiti?. E ci avverte che nell’ultimo giorno dirà ai giusti: Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito; malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi7-. E aggiunge: Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli, l’avete fatto a me.

La stessa dichiarazione la fa nelle parole rivolte ai mal­vagi. Ciò che rende questo passo terribile ma appropriato è giustamente questo, come è stato osservato, cioè che né i cattivi né i buoni sapevano quello che facevano; anche i giusti sono presentati come persone che avevano avvici­nato Cristo senza rendersene conto. Essi dicono: Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da man­giare, assetato e ti abbiamo dato da bere?. In ogni tempo, dunque, Cristo è in questo mondo, ma non più aperta­mente di quanto lo fosse nei giorni della sua vita terrena.

Un simile rilievo si applica ai suoi comandamenti, che sono senza dubbio molto semplici, ma anche intimamente legati alla sua persona. San Paolo, nella Prima Lettera ai Corinzi, dichiara come sia facile ma anche tremendo pro­fanare la Cena del Signore; lo dichiara quando rimprovera le intemperanze dei Corinzi, e le attribuisce al fatto che essi non hanno riconosciuto il corpo del Signore.

Quando Gesù nacque in questo mondo, il mondo non lo conobbe. Fu deposto in una ruvida mangiatoia tra gli animali, ma tutti gli angeli di Dio lo adorarono. Anche ora egli è presente sull’altare, in modo semplice e nasco­sto, e senza molta dignità; la fede adora, ma il mondo vi passa accanto senza badarvi.

Preghiamolo affinché illumini gli occhi della nostra mente, sì che possiamo appartenere alle schiere celesti, e non a questo mondo. Se gli spiriti carnali saranno impoten­ti a riconoscerlo anche in cielo, un cuore sensibile allo spiri­to può avvicinarlo, vederlo, possederlo anche sulla terra.

Beato John Henry Newman, in: Gesù. Pagine scelte, Paoline, Milano 1992, pp. 202-213.

(Parochial and Plain Sermons, IV, 16, pp. 239-252)