Sant’ Alfonso Maria de’ Liguori: “MORTE DEL PECCATORE MORTE DEL GIUSTO” “INFERNO, PURGATORIO, PARADISO” “SALVEZZA ETERNA DANNAZIONE ETERNA”

 “La vita presente è una continua guerra coll’inferno, nella quale siamo in continuo rischio di perdere l’anima e Dio”

(Sant’ Alfonso Maria de’ Liguori, Dottore della Chiesa)

 

“MORTE DEL PECCATORE”

PUNTO I

Al presente i peccatori discacciano la memoria e ‘l pensiero della morte, e così cercano di trovar pace (benché non la trovino mai) nel vivere che fanno in peccato; ma quando si troveranno nell’angustie della morte, prossimi ad entrare nell’eternità: «Angustia superveniente, pacem requirent, et non erit»; allora non possono sfuggire il tormento della loro mala coscienza; cercheranno la pace, ma che pace può trovare un’anima, ritrovandosi aggravata di colpe, che come tante vipere la mordono? che pace, pensando di dover comparire tra pochi momenti avanti di Gesu-Cristo giudice, del quale sino ad allora ha disprezzata la legge e l’amicizia? «Conturbatio super conturbationem veniet». La nuova già ricevuta della morte, il pensiero di doversi licenziare da tutte le cose del mondo, i rimorsi della coscienza, il tempo perduto, il tempo che manca, il rigore del divino giudizio, l’eternità infelice che si aspetta a’ peccatori: tutte queste cose componeranno una tempesta orrenda, che confonderà la mente ed accrescerà la diffidenza; e così confuso e sconfidato il moribondo passerà all’altra vita. Abramo con gran merito sperò in Dio contro la speranza umana, credendo alla divina promessa: «Contra spem in spem credidit»  (Rom.4. 18).

Ma i peccatori con gran demerito e falsamente per loro ruina sperano, non solo contro la speranza, ma ancora contro la fede, mentre disprezzano anche le minacce, che Dio fa agli ostinati. Temono essi la mala morte, ma non temono di fare una mala vita. Ma chi gli assicura di non morire di subito con un fulmine, con una goccia, con un butto di sangue? ed ancorché avessero tempo in morte da convertirsi, chi gli assicura che da vero si convertiranno? S. Agostino ebbe da combattere dodici anni per superare i suoi mali abiti; come potrà un moribondo, che sempre è stato colla coscienza imbrattata, in mezzo a i dolori, agli stordimenti della testa e nella confusione della morte fare facilmente una vera conversione? Dico «vera», perché allora non basta il dire e promettere; ma bisogna dire e promettere col cuore.

Oh Dio, e da quale spavento resterà preso e confuso allora il misero infermo, ch’è stato di coscienza trascurata, in vedersi oppresso da’ peccati e da’ timori del giudizio, dell’inferno e dell’eternità! In quale confusione lo metteranno questi pensieri, quando si troverà svanito di testa, oscurato di mente e assalito da’ dolori della morte già vicina! Si confesserà, prometterà, piangerà, cercherà pietà a Dio, ma senza sapere quel che si faccia; ed in questa tempesta di agitazioni, di rimorsi, d’affanni e di spaventi passerà all’altra vita. «Turbabuntur populi, et pertransibunt» (Iob. 34. 20). Ben dice un autoreche le preghiere, i pianti e le promesse del peccator moribondo sono appunto come i pianti e le promesse di taluno, che si vede assalito dal suo nemico, il quale gli tiene posto il pugnale alla gola per torgli allora la vita. Misero, chi si mette a letto in disgrazia di Dio, e di là se ne passa all’eternità!

Affetti e preghiere

O piaghe di Gesù, voi siete la speranza mia. Io dispererei del perdonode’ miei peccati e della mia salute eterna, se non rimirassi voi fonti di pietà e di grazia, per mezzo di cui un Dio ha sparso tutto il suo sangue, per lavare l’anima mia da tante colpe commesse. Vi adoro dunque, o sante piaghe, ed in voi confido. Detesto mille volte e maledico quei piaceri indegni, per li quali ho disgustato il mio Redentore, e miseramente ho perduta la sua amicizia. Guardando dunque voi, sollevo le mie speranze, e verso voi rivolgo gli affetti miei. Caro mio Gesù, Voi meritate che tutti gli uomini v’amino, e v’amino con tutto il loro cuore; ma io vi ho tanto offeso ed ho disprezzato il vostro amore, e Voi ciò non ostante mi avete così sopportato, e con tanta pietà mi avete invitato al perdono. Ah mio Salvatore, non permettete ch’io più vi offenda, e mi danni. Oh Dio! che pena mi sarebbe nell’inferno la vista del vostro sangue e di tante misericordie che mi avete usate! Io v’amo e voglio sempre amarvi. Datemi Voi la santa perseveranza. Staccate il mio cuore da ogni amore che non è per Voi, e stabilite in me un vero desiderio e risoluzione di amare da oggi avanti solamente Voi, mio sommo bene. O Maria Madre mia, tiratemi a Dio, e fatemi essere tutto suo, prima ch’io muoia.

PUNTO II

Non una, ma più e molte saranno le angustie del povero peccator moribondo. Da una parte lo tormenteranno i demoni. In morte questi orrendi nemici mettono tutta la forza per far perdere quell’anima, che sta per uscire diquesta vita, intendendoche poco tempo lor resta da guadagnarla, e che se la perdono allora, l’avran perduta per sempre. «Descendit diabolus ad vos habens iram magnam, sciens quod modicum tempus habet» (Apoc. 12. 12). E non uno sarà il demonio, che allora tenterà, ma innumerabili che assisteranno al moribondo per farlo perdere. «Replebuntur domus eorum draconibus» (Is. 13. 21). Uno gli dirà: Non temere che sanerai. Un altro dirà: E come? tu per tanti anni sei stato sordo alle voci di Dio, ed ora esso vorrà usarti pietà? Un altro: Come ora puoi rimediare a quelli danni fatti? a quelle fame tolte? Un altro: Non vedi che le tue confessioni sono state tutte nulle, senza vero dolore, senza proposito? come puoi ora più rifarle?

Dall’altra parte si vedrà il moribondo circondato da’ suoi peccati. «Virum iniustum mala capient in interitu» (Ps. 139. 12). Questi peccati come tanti satelliti, dice S. Bernardo,lo terranno afferrato e gli diranno: «Opera tua sumus, non te deseremus». Noi siamo tuoi parti, non vogliamo lasciarti; ti accompagneremo all’altra vita, e teco ci presenteremo all’eterno giudice. Vorrà allora il moribondo sbrigarsi da tali nemici, ma per isbrigarsene bisognerebbe odiarli, bisognerebbe convertirsi di cuore a Dio; ma la mente è ottenebrata, e ‘l cuore è indurito. «Cor durum habebit male in novissimo: et qui amat periculum, peribit in illo» (Eccli. 3. 27).

Dice S. Bernardoche il cuore, ch’è stato ostinato nel male in vita, farà i suoi sforzi per uscire dallo stato di dannazione, ma non giungerà a liberarsene, ed oppresso dalla sua malizia nel medesimo stato finirà la vita. Egli avendo sino ad allora amato il peccato, ha insieme amato il pericolo della sua dannazione; giustamente perciò permetterà il Signore che allora perisca in quel pericolo, nel quale ha voluto vivere sino alla morte. Dice S. Agostino che chi è lasciato dal peccato, prima ch’egli lo lasci, in morte difficilmente lo detesterà come deve; perché allora quel che farà, lo farà a forza: «Qui prius a peccato relinquitur, quam ipse relinquat, non libere, sed quasi ex necessitate condemnat».

Misero dunque quel peccatore ch’è duro, e resiste alle divine chiamate! «Cor eius indurabitur quasi lapis, et stringetur quasi malleatoris incus» (Iob. 41. 15). Egli l’ingrato in vece di rendersi ed ammollirsi alle voci di Dio, si è indurito come più s’indurisce l’incudine a’ colpi del martello. In pena di ciò talancora si ritroverà in morte, benché si ritrovi in punto di passare all’eternità. «Cor durum habebit male in novissimo». I peccatori, dice il Signore, mi han voltate le spalle per amore delle creature: «Verterunt ad me tergum, et non faciem, et in tempore afflictionis suae dicent: Surge, et libera nos. Ubi sunt dii tui, quos fecisti tibi? surgant, et liberent te» (Ier. 2. 27). I miseri in morte ricorreranno a Dio, e Dio loro dirà: Ora a me ricorrete? chiamate le creature che vi aiutino; giacché quelle sono state i vostri dei. Dirà così il Signore, perché essi ricorreranno, ma senz’animo vero di convertirsi. Dice S. Girolamo tener egli quasi per certo ed averlo appreso coll’esperienza che non farà mai buon fine, chi ha fatta mala vita sino alla fine: «Hoc teneo, hoc multiplici experientia didici, quod ei non bonus est finis, cui mala semper vita fuit» (In epist. Eusebii ad Dam.).

Affetti e preghiere

Caro mio Salvatore, aiutatemi, non mi abbandonate, io vedo l’anima mia tutta impiagata da’ peccati; le passioni mi fanno violenza, i mali abitimi opprimono; mi butto a’ piedi vostri; abbiate pietà di me e liberatemi da tanti mali.«In te, Domine, speravi, non confundar in aeternum».Non permettete che si perda un’anima, che confida in Voi. «Ne tradas bestiis animam confitentem tibi». Io mi pento d’avervi offeso, o bontà infinita; ho fatto male, lo confesso: voglio emendarmi ad ogni costo; ma se Voi non mi soccorrete colla vostra grazia, io son perduto. Ricevete, o Gesù mio, questo ribelle, che vi ha tanto oltraggiato. Pensate che vi ho costato il sangue e la vita. Per li meriti dunque della vostra passione e morte ricevetemi tra le vostre braccia, e datemi la santa perseveranza. Io era già perduto, Voi mi avete chiamato; ecco io non voglio più resistere, a Voi mi consagro; legatemi al vostro amore, e non permettete ch’io vi perda più, con perdere di nuovo la vostra grazia; Gesù mio, non lo permettete.

Regina Mia Maria, non lo permettete; impetratemi prima la morte e mille morti ch’io abbiada perdere di nuovo la grazia del vostro Figlio.

PUNTO III

Gran cosa! Dio non fa altro che minacciare una mala morte a’ peccatori: «Tunc invocabunt me, et non exaudiam» (Prov. 1. 18). «Nunquid Deus exaudiet clamorem eius, cum venerit super eum angustia» (Iob. 27. 9). «In interitu vestro ridebo, et subsannabo» (Prov. 1. 26). («Ridere Dei est nolle misereri», S. Gregor.). «Mea est ultio, et ego retribuam eis in tempore, ut labatur pes eorum» (Deuter. 32. 35). Ed in tanti altri luoghi minaccia lo stesso; ed i peccatori vivono in pace, sicuri come Dio avesse certamente promesso loro in morte il perdono e il paradiso. È vero che in qualunque ora si converte il peccatore, Dio ha promesso di perdonarlo; ma non ha detto che il peccatore in morte si convertirà; anzi più volte si è protestato che chi vive in peccato, in peccato morirà: «In peccato vestro moriemini» (Io. 8. 21). «Moriemini in peccatis vestris» (ibid. 24). Ha detto che chi lo cercherà in morte, non lo troverà: «Quaeretis me, et non invenietis (Io. 7. 34). Dunque bisogna cercare Dio, quando si può trovare: «Quaerite Dominum, dum inveniri potest» (Is. 55. 6). Sì, perché vi sarà un tempo che non potrà piùtrovarsi. Poveri peccatori! poveri ciechi, che si riducono a convertirsi all’ora della morte, in cui non sarà più tempo di convertirsi! Dice l’Oleastro: «Impii nusquam didicerunt benefacere, nisi cum non est tempus benefaciendi». Dio vuol salvi tutti, ma castiga gli ostinati.

Se mai alcun miserabile ritrovandosi in peccato, fosse colto dalla goccia, e stesse destituto di sensi, qual compassione farebbe a tutti il vederlo morire senza sagramentie senza segno di penitenza? qual contento poi avrebbe ognuno, se costui ritornasse in sé e cercasse l’assoluzione, e facesse atti di pentimento? Ma non è pazzo poi chi avendo tempo di far ciò, siegue a stare in peccato? o pure torna a peccare e si mette in pericolo che lo colga la morte, nel tempo della quale forse lo farà, e forse no? Spaventa il veder morire alcuno all’improvviso, e poi tanti volontariamente si mettono al pericolo di morire così, e morire in peccato!

«Pondus et statera iudicia Domini sunt» (Prov. 16. 21). Noi non teniamo conto delle grazie, che ci fa il Signore; ma ben ne tiene conto il Signore e le misura; e quando le vede disprezzate sino a certi termini, lascia il peccatore nel suo peccato, e così lo fa morire. Misero chi si riduce a far penitenza in morte. «Poenitentia, quae ab infirmo petitur, infirma est», dice S. Agostino (Serm. 57. de Temp. ). S. Geronimo dice che di centomila peccatori che si riducono sino alla morte a stare in peccato, appena uno in morte si salverà: «Vix de centum millibus, quorum mala vita fuit, meretur in morte a Deo indulgentiam unus» (S. Hier. in Epist. Euseb. de morte eiusd.). Dice S. Vincenzo Ferrerio (Serm. I. de Nativ. Virg.) che sarebbe più miracolo che uno di questi tali si salvasse, che far risorgere un morto. «Maius miraculum est, quod male viventes faciant bonum finem, quam suscitare mortuos». Che dolore, che pentimento vuol concepirsi in morte da chi sino ad allora ha amato il peccato?

Narra il Bellarminoch’essendo egli andato ad assistere ad un certo moribondo ed avendolo esortato a fare un atto di contrizione, quegli rispose che non sapea ciò che si fosse contrizione. Bellarmino procurò di spiegarcelo, ma l’infermo disse: «Padre, io non v’intendo, io non son capace di queste cose». E così se ne morì. «Signa damnationis suae satis aperte relinquens», come il Bellarmino lasciò scritto. Giusto castigo, dice S. Agostino, sarà del peccatore, che si dimentichi di sé in morte, chi in vita si è scordato di Dio: «Aequissime percutitur peccator, ut moriens obliviscatur sui qui vivens oblitus est Dei «(Serm. 10. de Sanct.).

«Nolite errare (intanto ci avverte l’Apostolo), Deus non irridetur: quae enim seminaverit homo, haec et metet; qui seminat in carne sua, de carne et metet corruptionem» (Galat. 6.7) Sarebbe un burlare Dio vivere disprezzando le sue leggi, e poi raccoglierne premio e gloria eterna; ma «Deus non irridetur». Quel che si semina in questa vita, si raccoglie nell’altra. A chi semina piaceri vietati di carne, altro non tocca che corruzione, miseria e morte eterna.

Cristiano mio, quel che si dice per gli altri, si dice anche per voi. Ditemi se vi trovaste già in punto di morte, disperato da’ medici, destituto di sentimenti e ridotto già in agonia, quanto preghereste Dio che vi concedesse un altro mese, un’altra settimana di tempo allora, per aggiustare i conti della vostra coscienza? E Dio già vi dà questo tempo. Ringraziatelo e presto rimediate al mal fatto, e prendete tutti i mezzi per ritrovarvi in istato di grazia, quando verrà la morte, perché allora non sarà più tempo di rimediare.

Affetti e preghiere

Ah mio Dio, e chi avrebbe avuta tanta pazienza con me, quanta ne avete avuta Voi? Se la vostra bontà non fosse infinita, io diffiderei del perdono. Ma tratto con un Dio, ch’è morto per perdonarmi e per salvarmi. Voi mi comandate ch’io speri, ed io voglio sperare. Se i peccati miei mi spaventano e mi condannano, mi danno animo i vostri meriti e le vostre promesse. Voi avete promessa la vita della vostra grazia a chi ritorna a Voi: «Revertimini, et vivite (Ezech. 18. 32)». Avete promesso di abbracciare chi a Voi si volta: «Convertimini ad me, et convertar ad vos» (Zach.1. 3). Avete detto che non sapete disprezzare chi s’umilia e si pente: «Cor contritum, et humiliatum, Deus, non despicies» (Ps. 50).

Eccomi, Signore, io a Voi ritorno, a Voi mi volgo, mi confesso degno di mille inferni e mi pento d’avervi offeso: io vi prometto fermamente di non volervi più offendere e di volervi sempre amare. Deh non permettete che ioviva più ingrato a tanta bontà.

Eterno Padre, per li meriti dell’ubbidienza di Gesu-Cristo, che morì per ubbidirvi, fate ch’io ubbidisca a’ vostri voleri sino alla morte. V’amo, o sommo bene, e per l’amore che vi porto, voglio ubbidirvi in tutto. Datemi la santa perseveranza, datemi il vostro amore e niente più Vi domando.

 

 “MORTE DEL GIUSTO”

PUNTO I

La morte mirata secondo il senso spaventa, e si fa temere; ma secondo la fede consola, e si fa desiderare. Ella comparisce terribile a’ peccatori, ma si dimostra amabile e preziosa a’ Santi: «Pretiosa, dice S. Bernardo, tanquam finis laborum, victoriae consummatio, vitae ianua» (Trans. Malach.). «Finis laborum», sì, la morte è termine delle fatiche e de’ travagli. «Homo natus de muliere, brevi vivens tempore, repletur multis miseriis» (Iob. 14. 1). Ecco qual’è la nostra vita, è breve ed è tutta piena di miserie, d’infermità, di timori e di passioni. I mondani che desiderano lunga vita, che altro cercano (dice Seneca) che un più lungo tormento? «Tanquam vita petitur supplicii mora» (Ep. 101).

Che cosa è il seguitare a vivere, se non il seguitare a patire? dice S. Agostino:«Quid est diu vivere, nisi diu torqueri?» (Serm. 17. de Verbo Dom.). Sì, perché (secondo ci avverte S. Ambrogio) la vita presente non ci è data per riposare, ma per faticare e colle fatiche meritarci la vita eterna: «Haec vita homini non ad quietem data est, sed ad laborem» (Ser. 43). Onde ben dice Tertulliano che quando Dio ad alcuno gli abbrevia la vita, gli abbrevia il tormento: «Longum Deus adimit tormentum, cum vitam concedit brevem». Quindi è che sebbene la morte è data all’uomo in pena del peccato, non però son tante le miserie di questa vita, che la morte (come dice S. Ambrogio) par che ci sia data per sollievo, non per castigo: «Ut mors remedium videatur esse, non poena». Dio chiama beati quei che muoiono nella sua grazia, perché finiscono le fatiche e vanno al riposo. «Beati mortui qui in Domino moriuntur… Amodo iam dicit Spiritus, ut requiescant a laboribus suis» (Apoc. 14. 13).

I tormenti che in morte affliggono i peccatori, non affliggono i Santi. «Iustorum animae in manu Dei sunt, non tanget illos tormentum mortis» (Sap. 3. 1). I Santi, questi non già si accorano con quel «Proficiscere», che tanto spaventa i mondani. I Santi non si affliggono in dover lasciare i beni di questa terra, poiché ne han tenuto staccato il cuore. «Deus cordis mei» (sempre essi così sono andati dicendo), «et pars mea, Deus, in aeternum». Beati voi, scrisse l’Apostolo a’ suoi discepoli, ch’erano stati per Gesu-Cristo spogliati de’ loro beni: «Rapinam bonorum vestrorum cum gaudio suscepistis, cognoscentes vos meliorem et manentem substantiam» (Hebr. cap. 10). Non si affliggono in lasciare gli onori, poiché più presto gli hanno abbominati e tenuti (quali sono) per fumo e vanità; solo hanno stimato l’onore di amare e d’essere amati da Dio. Non si affliggono in lasciare i parenti, perché costoro solo in Dio l’hanno amati; morendo gli lasciano raccomandati a quel Padre Celeste, che l’ama più di loro; e sperando di salvarsi, pensano che meglio dal paradiso, che da questa terra potranno aiutargli. In somma quel che sempre han detto in vita: «Deus meus, et omnia», con maggior consolazione e tenerezza lo van replicando in morte.

Chi muore poiamando Dio, non s’inquieta già per li dolori che porta seco la morte; ma più presto si compiace di loro, pensando che già finisce la vita, e non gli resta più tempo di patire per Dio e di offrirgli altri segni del suo amore, onde con affetto e pace gli offerisce quelle ultime reliquie della sua vita; e si consola in unire il sacrificio della sua morte col sacrificio, che Gesu-Cristo offrì per lui un giorno sulla croce all’Eterno suo Padre. E così felicemente muore dicendo: «In pace in idipsum dormiam, et requiescam». Oh che pace è il morire abbandonato, e riposando nelle braccia di Gesu-Cristo, che ci ha amati sino alla morte, ed ha voluto far egli una morte amara, per ottenere a noi una morte dolce e consolata!

Affetti e preghiere

O amato mio Gesù, che per ottenere a me una morte soave, avete voluto fare una morte sì acerba sul Calvario, quando sarà ch’io vi vedrò? La prima volta che mi toccherà a vedervi, io vi vedrò da mio giudice in quello stesso luogo dove spirerò. Che vi dirò io allora? Che mi direte Voi? Io non voglio aspettare a pensarvi allora, voglio ora premeditarlo. Io vi dirò così: Caro mio Redentore, Voi dunque siete quegli,che siete morto per me? Io un tempo v’ho offeso e vi sono stato ingrato, e non meritava perdono; ma poi aiutato dalla vostra grazia mi sono ravveduto, e nel resto della vita mia ho pianti i miei peccati, e Voi mi avete perdonato; perdonatemi di nuovo, ora che sto a’ piedi vostri, e datemi Voi stesso un’assoluzione generale delle mie colpe. Io non meritava d’amarvi più, per aver disprezzato il vostro amore; ma Voi per vostra misericordia vi avete tirato il mio cuore, che se non v’ha amato secondo il vostro merito, almeno v’ha amato sopra ogni cosa, lasciando tutto per dar gusto a Voi. Ora che mi dite? Vedo che ‘l paradiso e ‘l possedervi nel vostro regno è un bene troppo grande per me; ma io non mi fido di viver lontano da Voi, maggiormente ora che m’avete fatta conoscere la vostra amabile e bella faccia. Vi cerco dunque il paradiso, non per più godere, ma per meglio amarvi. Mandatemi al purgatorio per quanto vi piace. No, neppure iovoglio venire in quella patria di purità e vedermi tra quell’anime pure così sordido di macchie, come sono al presente. Mandatemi a purgarmi, ma non mi discacciate per sempre dalla vostra faccia; basta che un giorno poi, quando vi piace, mi chiamate al paradiso a cantare in eterno le vostre misericordie. Per ora via su, amato mio giudice, alzate la mano e beneditemi; e ditemi ch’io son vostro, e che Voi siete e sarete sempre mio. Io sempre vi amerò, Voi sempre mi amerete. Ecco ora vado lontano da Voi, vado al fuoco; ma vado contento, perché vo ad amarvi, mio Redentore, mio Dio, mio tutto. Vo contento sì, ma sappiate che in questo tempo, in cui starò lungi da Voi, sappiate che questa sarà la maggiore delle mie pene, lo star da Voi lontano. Vo, Signore, a contare i momenti della vostra chiamata. Abbiate pietà di un’anima, che v’ama con tutta se stessa, e sospira di vedervi per meglio amarvi.

Così spero, Gesù mio, di dirvi allora. Pertanto vi prego di darmi la grazia di vivere in modo, che possa dirvi allora quel che ora ho pensato. Datemi la santa perseveranza, datemi il vostro amore.

E soccorretemi Voi, o Madre di Dio, Maria, pregate Gesù per me.

PUNTO II

«Absterget Deus omnem lacrimam ab oculis eorum, et mors ultra non erit» (Apoc. 21. 4). Asciugherà dunque in morte il Signore dagli occhi de’ suoi servi le lagrime, che hanno sparse in questa vita, vivendo in pene, in timori, pericoli e combattimenti coll’inferno. Ciò sarà quel che più consolerà un’anima, che ha amato Dio, in udir la nuova della morte, il pensare che presto sarà liberata da tanti pericoli, che vi sono in questa vita di offender Dio, da tante angustie di coscienza e da tante tentazioni del demonio. La vita presente è una continua guerra coll’inferno, nella quale siamo in continuo rischio di perdere l’anima e Dio. Dice S. Ambrogio che in questa terra «inter laqueos ambulamus»: camminiamo sempre tra’ lacci de’ nemici, che c’insidiano la vita della grazia. Questo pericolo era quello, che facea dire a S. Pietro d’Alcantara, mentre stava morendo: Fratello, scostati (era quello un Religioso, che in aiutarlo lo toccava); scostati, perché ancora sto in vita, e sono in rischio di dannarmi. Questo pericolo ancora facea consolare S. Teresa,ogni volta che sentiva sonar l’orologio, rallegrandosi che fosse passata un’altr’ora di combattimento; poiché diceva: In ogni momento di vita io posso peccare, e perdere Dio. Ond’è che i Santi alla nuova della morte tutti si consolano, pensando che presto finiscono le battaglie e i pericoli, e stan vicini ad assicurarsi della felice sorte di non poter più perdere Dio.

Si narra nelle vite de’ Padri che un Padre vecchio, morendo nella Scizia, mentre gli altri piangevano, esso rideva; domandato, perché ridesse? rispose: E voi perché piangete, vedendo ch’io vado al riposo? «Ex labore ad requiem vado, et vos ploratis?» Parimente S. Caterina da Siena morendo disse: Consolatevi meco, che lascio questa terra di pene, e vado al luogo della pace. Se taluno abitasse (dice S. Cipriano) in una casa, dove le mura son cadenti, e ‘l pavimento e i tetti tremano, sicché tutto minaccia ruina, quanto dovrebbe costui desiderare di poterne uscire? In questa vita tutto minaccia rovina all’anima, il mondo, l’inferno, le passioni, i sensi ribelli: tutti ci tirano al peccato ed alla morte eterna. «Quis me liberabit (esclamava l’Apostolo) de corpore mortis huius?» (Rom. 7. 24). Oh che allegrezza sentirà l’anima nel sentirsi dire: «Veni de Libano, sponsa mea, veni de cubilibus leonum» (Cant. 4. 8). Vieni, sposa, esci dal luogo de’ pianti, e da’ covili de’ leoni, che cercano di divorarti, e farti perdere la divina grazia. Onde S. Paolo, desiderando la morte, dicea che Gesu-Cristo era l’unica sua vita; e perciò stimava egli il suo morire il maggior guadagno che potesse fare, in acquistar colla morte quella vita, che non ha più fine: «Mihi vivere Christus est, et mori lucrum» (Philipp. 1. 21).

È un gran favore che Dio fa ad un’anima, quand’ella sta in grazia, il torla dalla terra, dove può mutarsi e perdere la di lui amicizia: «Raptus est, ne malitia mutaret intellectum eius» (Sap. 4. 11). Felice in questa vita è chi vive unito con Dio; ma siccome il navigante non può chiamarsi sicuro, se non quando è già arrivato al porto ed è uscito dalla tempesta: così non può chiamarsi appieno felice un’anima, se non quando esce di vita in grazia di Dio. «Lauda navigantis felicitatem, sed cum pervenit ad portum», dice S. Ambrogio. Or se ha allegrezza il navigante, allorché dopo tanti pericoli sta prossimo ad afferrare il porto; quando più si rallegrerà colui, che sta vicino ad assicurarsi della salute eterna?

In oltre, in questa vita non si può vivere senza colpe almeno leggiere. «Septies enim cadet iustus» (Prov. 24. 16). Chi esce di vita finisce di dar disgusto a Dio. «Quid est mors (dicea S. Ambrogio ) nisi sepultura vitiorum?» (De Bono mort. cap. 4). Ciò ancora è quel che fa molto desiderar la morte agli amanti di Dio. Con ciò tutto si consolava morendo il Ven. P. Vincenzo Caraffa, mentre diceva: Terminando la vita, io termino d’offendere Dio. E ‘l nominato S. Ambrogiodicea: «Quid vitam istam desideramus, in qua quanto diutius quis fuerit, tanto maiore oneratur sarcina peccatorum?» Chi muore in grazia di Dio, si mette in istato di non potere, né saper più offenderlo. «Mortuus nescit peccare», dicea lo stesso Santo. Perciò il Signore loda più i morti, che qualunque uomo, che vive, ancorché santo: «Laudavi magis mortuos, quam viventes» (Eccl. 4. 2). Un certo uomoda bene ordinò che nella sua morte chi gliene avesse portato l’avviso, gli avesse detto: Consolati, perché giunto è il tempo che non offenderai più Dio.

Affetti e preghiere

«In manus tuas commendo spiritum meum; redemisti me, Domine Deus veritatis».Ah mio dolce Redentore, che sarebbe di me, se mi aveste fatto morire, quando io stava lontano da Voi? Starei già nell’inferno, dove non vi potrei più amare. Vi ringrazio di non avermi abbandonato e di avermi fatte tante grazie, per guadagnarvi il mio cuore. Mi pento di avervi offeso. V’amo sopra ogni cosa. Deh vi prego, fatemi sempre più conoscere il male che ho fatto in disprezzarvi, e l’amore che merita la vostra bontà infinita. V’amo, e desidero presto di morire (se a Voi così piace) per liberarmi dal pericolo di tornare a perdere la vostra grazia, e per assicurarmi di amarvi in eterno. Deh per questi anni che mi restano di vita, amato mio Gesù, datemi forza di fare qualche cosa per Voi, prima che venga la morte. Datemi fortezza contro le tentazioni e le passioni, specialmente contro la passione che per lo passato più mi ha tirato a disgustarvi. Datemi pazienza nelle infermità e nell’ingiurie che riceverò dagli uomini. Io ora per amor vostro perdono ognuno che mi ha fatto qualche disprezzo, e vi prego a fargli quelle grazie che desidera. Datemi forza di esser più diligente ad evitare anche le colpe veniali, circa le quali conosco d’esser trascurato. Mio Salvatore, aiutatemi, io spero tutto ne’ meriti vostri; e tutto confido nella vostra intercessione, o Madre e speranza mia Maria.

PUNTO III

La morte non solo è fine de’ travagli, ma ancora è porta della vita. «Finis laborum, vitae ianua», come dice S. Bernardo.Necessariamente dee passare per questa porta, chi vuol entrare a veder Dio. «Ecce porta Domini, iusti intrabunt in eam» (Ps. 117. 20). S. Girolamopregava la morte, e le diceva: «Aperi mihi, soror mea». Morte, sorella mia, se tu non mi apri la porta, io non posso andare a godere il mio Signore. S. Carlo Borromeo, vedendo un quadro in sua casa, dove stava dipinto uno scheletro di morto colla falce in mano; chiamò il pittore e gli ordinò che cancellasse quella falce e vi dipingesse una chiave d’oro, volendo con ciò sempre più accendersi al desiderio della morte, perché la morte è quella che ci ha d’aprireil paradiso a vedere Dio.

Dice S. Gio. Grisostomo se ‘l re avesse apparecchiata ad alcuno l’abitazione nella sua reggia, ma al presente lo tenesse ad abitare in una mandra, quanto dovrebbe colui desiderar di uscir dalla mandra, per passare alla reggia? In questa vita l’anima stando nel corpo, sta come in un carcere, per di là uscire ed andare alla reggia del cielo; perciò pregava Davide: «Educ de custodia animam meam» (Ps. 141. 8). E ‘l santo vecchio Simeone, quando ebbe tra le braccia Gesù Bambino, non seppe altra grazia cercargli che la morte, per esser liberato dal carcere della presente vita: «Nunc dimittis servum tuum, Domine». Dice S. Ambrogio: «Quasi necessitate teneretur, dimitti petit». La stessa grazia desiderò l’Apostolo, quando disse: «Cupio dissolvi, et esse cum Christo» (Philip. 1).

Quale allegrezza ebbe il coppiere di Faraone, quando intese da Giuseppe che tra breve doveva uscire dalla prigione e ritornare al suo posto! Ed un’anima che ama Dio, non si rallegrerà in sentire che tra breve deve essere scarcerata da questa terra, ed andare a godere Dio? «Dum sumus in corpore, peregrinamur a Domino» (2. Cor. 5. 6). Mentre siamo uniti col corpo, siamo lontani dalla vista di Dio, come in terra aliena, e fuori della nostra patria; e perciò dice S. Brunoneche la nostra morte non dee chiamarsi morte ma vita: «Mors dicenda non est, sed vitae principium». Quindi la morte de’ Santi si nomina il lor natale; sì perché nella loro morte nascono a quella vita beata, che non avrà più fine. «Non est iustis mors, sed translatio», S. Attanagio.A’ giusti la morte non è altro, che un passaggio alla vita eterna. O morte amabile, dicea S. Agostino,e chi sarà colui che non ti desidera, giacché tu sei il termine de’ travagli, il fine della fatica e ‘l principio del riposo eterno? «O mors desiderabilis, malorum finis, laboris clausula, quietis principium!» Pertanto con ansia pregava il Santo:«Eia moriar, Domine, ut Te videam».

Ben deve temere la morte, dice S. Cipriano,il peccatore, che dalla sua morte temporale ha da passare alla morte eterna: «Mori timeat, qui ad secundam mortem de hac morte transibit». Ma non già chi stando in grazia di Dio, dalla morte spera di passare alla vita. Nella Vita di S. Giovanni Limosinario si narra che un cert’uomo ricco raccomandò al Santo l’unico figlio che aveva, e gli diè molte limosine, affinché gli ottenesse da Dio lunga vita; ma il figlio poco tempo dopo se ne morì. Lagnandosi poi il padre della morte del figlio, Dio gli mandò un Angelo che gli disse: Tu hai cercata lunga vita al tuo figlio, sappi che questa eternamente egli già gode in cielo. Questa è la grazia, che ci ottenne Gesu-Cristo, come ci fu promesso per Osea: «Ero mors tua, o mors» (Os. 13. 41). Gesù morendo per noi fe’ che la nostra morte diventasse vita. S. Pionio Martire, mentr’era portato al patibolo, fu dimandato da coloro che lo conducevano, come potesse andare così allegroalla morte? Rispose il Santo: «Erratis, non ad mortem, sed ad vitam contendo» (Ap. Euseb. l. 4. c. 14). Così ancora fu rincorato il giovinetto S. Sinforiano dalla sua madre, mentre stava prossimo al martirio: «Nate, tibi vita non eripitur, sed mutatur in melius».

Affetti e preghiere

Oh Dio dell’anima mia, io vi ho disonorato per lo passato, voltandovi le spalle; ma vi ha onorato il vostro Figlio, sagrificandovi la vita sulla croce; per l’onore dunque che vi ha dato il vostro diletto Figlio, perdonatemi il disonore che v’ho fatt’io. Mi pento, o sommo bene, d’avervi offeso, e vi prometto da oggi avanti di non amare altro che Voi. La mia salvezza da Voi la spero. Quanto al presente ho di bene, tutto è grazia vostra, tutto da Voi lo riconosco. «Gratia Dei sum id quod sum». Se per lo passato v’ho disonorato, spero d’onorarvi in eterno con benedire la vostra misericordia. Io mi sento un gran desiderio di amarvi; questo Voi me lo date, ve ne ringrazio, amor mio. Seguite, seguite ad aiutarmi, come avete cominciato, ch’io spero da ogg’innanzi d’esser vostro e tutto vostro. Rinunzio a tutt’i piaceri del mondo. E che maggior piacere posso aver io, che dar gusto a Voi, mio Signore così amabile, e che mi avete tanto amato? Amore solamente vi cerco, o mio Dio, amore, amore; e spero di cercarvi sempre amore, amore; finchémorendo nel vostro amore, io giunga al regno dell’amore, dove senza più domandarlo sarò pieno d’amore, senza mai cessare un momento di amarvi ivi in eterno, e con tutte le mie forze.

Maria Madre mia, Voi che tanto amate il vostro Dio, e tanto desiderate di vederlo amato, fate che iol’ami assai in questa vita, acciocché io l’ami assai nell’altra per sempre.

(SANT’ ALFONSO MARIA DE’ LIGUORI da “APPARECCHIO ALLA MORTE”)

Rivelazioni di Maria Vergine, Madre di Dio, a Suor Maria di Ágreda: “In questa dottrina consiste il punto principale da cui dipende la salvezza o la perdita delle anime”

Dalla “Mistica città di Dio,Vita della Vergine Madre di Dio” rivelata alla Venerabile Suor Maria di Ágreda

Insegnamento della Regina del cielo

409. Figlia mia, carissima, considera che tutti i viventi nascono destinati alla morte. Non conoscono il termine della loro vita, ma sanno con certezza che il loro tempo è breve e l’eternità è senza fine ed in essa l’uomo raccoglierà solamente ciò che avrà seminato di cattive o di buone opere; queste daranno allora il loro frutto, di morte o di vita eterna. In un viaggio così pericoloso non vuole perciò Dio che qualcuno conosca con certezza se sia degno del suo amore o del suo disprezzo, affinché, se dotato di ragione, questo dubbio gli serva da stimolo a cercare con tutte le sue forze l’amicizia del Signore. E Dio giustifica la sua causa dal momento in cui l’anima comincia a fare uso della ragione, perché da allora accende in essa una luce, che la stimola e la inizia alla virtù; la distoglie dal peccato, insegnandole a distinguere tra il fuoco e l’acqua approvando il bene e correggendo il male, scegliendo la virtù e riprovando il vizio. Egli inoltre risveglia l’anima e la chiama a sé con ispirazioni sante, con impulsi continui e per mezzo dei sacramenti, dei comma di fede, dei precetti, dei santi angeli, dei predicatori, dei confessori, dei superiori, dei maestri; di ciò che l’anima prova in sé nelle afflizioni e nei benefici che Dio le manda; di ciò che sente nelle tribolazioni altrui, nelle morti ed in altri avvenimenti e mezzi che la sua provvidenza dispone per attirare tutti a sé, perché vuole che tutti siano salvi. Di tutte queste cose Dio fa una catena di grandi aiuti e favori, di cui la creatura può e deve usare a suo vantaggio.

410. A tutto ciò si oppone la parte inferiore e sensitiva dell’uomo che, con il fomite del peccato, inclina verso le cose sensibili e muove la concupiscenza e l’irascibilità, affinché, confondendo la ragione, trascinino la volontà cieca ad abbracciare la libertà del piacere. Il demonio, da parte sua, con inganni e con false ed inique suggestioni oscura il senso interiore e nasconde il veleno mortale che si trova nei piaceri transeunti. L’Altissimo però non abbandona subito le sue creature, anzi rinnova la sua misericordia, gli aiuti e le grazie. E se esse rispondono alla sua chiamata ne aggiunge tante altre secondo la sua equità; dinanzi alla corrispondenza dell’anima le va aumentando e moltiplicando. Così come premio, perché l’anima ha dovuto vincersi, si vanno attenuando le inclinazioni alle sue passioni ed al fomite e lo spirito si alleggerisce sempre più, potendosi sollevare in alto, molto al di sopra delle tendenze negative e del cattivo nemico, il demonio.

411. L’uomo invece che si lascia trasportare dal diletto e dalla spensieratezza porge la mano al nemico di Dio e suo; e quanto più si allontana dalla divina bontà tanto più si rende indegno delle sue grazie e sente meno gli aiuti, benché siano grandi. Così il demonio e le passioni acquistando maggiore forza e dominio sulla ragione la rendono sempre più inetta ed incapace di accogliere la grazia dell’Altissimo. O figlia ed amica mia, in questa dottrina consiste il punto principale da cui dipende la salvezza o la perdita delle anime, cioè dal cominciare a fare resistenza agli aiuti del Signore o ad accettarli. Voglio perciò che non trascuri questo insegnamento affinché tu possa rispondere alle molte chiamate che l’Altissimo ti volge. Cerca allora di essere forte nel resistere ai tuoi nemici, puntuale e costante nell’eseguire i desideri del tuo Signore, così gli darai soddisfazione e sarai attenta nel fare il suo volere, che già conosci con la sua luce divina. Un grande amore portavo ai miei genitori e le parole e la tenerezza di mia madre mi ferivano il cuore, ma, sapendo che era ordine e compiacimento del Signore che io li lasciassi, mi dimenticai della mia casa e del mio popolo, non per altro fine se non per quello di seguire il mio sposo. La buona educazione ed il buon insegnamento della fanciullezza giovano molto per il resto della vita, affinché la creatura si ritrovi più libera e già abituata all’esercizio delle virtù, incominciando così dal porto della ragione a seguire questa stella, guida vera e sicura.

Dall’ editoriale di “Radicati nella fede”: NON PREDICANO I NOVISSIMI, NON ASCOLTATELI! “Come fare per sapere se i pastori sono degni di essere ascoltati e seguiti? È semplice: se parlano ancora della salvezza eterna, se parlano dei Novissimi: Morte, Giudizio, Inferno, Paradiso. Se nel loro parlare tutto questo non compare mai, diffidate, hanno già cambiato la fede.”

 

Dall’ Editoriale di “Radicati nella fede” di Novembre

 

NON PREDICANO I NOVISSIMI, NON ASCOLTATELI!

 

 

Per la salvezza eterna dell’uomo, di ogni uomo, e non per renderlo cosciente di una salvezza già avvenuta: per questo c’è la Chiesa.

La differenza sta tutta qui. Ormai il Cattolicesimo in mezzo a noi ha preso un’altra forma, questo fatto è sotto gli occhi di tutti. La preoccupazione non è più la salvezza delle anime. Chi frequenta ancora le chiese, difficilmente sentirà predicare questo che è il cuore del cristianesimo: Nostro Signore Gesù Cristo è l’unico Redentore, occorre pentirsi e cambiare vita, essere battezzati e accostarsi ai sacramenti, occorre vivere in grazia di Dio per la salvezza dell’anima nostra. No, di tutto questo non si parla più. E lo vedremo in questo “Anno della fede”, nel quale, ahimè, si sarà preoccupati di celebrare le date della Chiesa, ma non si affermerà la preoccupazione della salvezza delle anime.

Perché tutto questo? Semplicemente perché dopo il Concilio si è di fatto prodotta una mutazione della fede cattolica, i cui tragici frutti cogliamo pienamente in questi tempi.

Hanno in testa molti, troppi, quasi tutti, che la salvezza delle anime è già avvenuta, e che ora bisogna solo rendere coscienti gli uomini di questo dono dall’alto. È una Chiesa, questa, che ha spostato tutto sull’umano, sull’antropologia, sul benessere della persona, sulla ricerca della felicità.

Ma questo è ancora Cristianesimo? Gesù non è venuto perché senza di Lui non possiamo salvarci? Non è morto in Croce per liberarci dal potere del Demonio e per riaprirci il Paradiso? Non ha comandato ai suoi discepoli di predicare il Vangelo sino agli estremi confini della terra e di battezzare?: “Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, chi non crederà sarà condannato” …non è scritto così?

Invano attenderete, nei dibattiti televisivi sul Concilio, che l’ecclesiastico di turno vi parli della questione della salvezza eterna.

Ma se non è in gioco questo, che ci sta a fare l’ecclesiastico di turno e la Chiesa stessa? Capita di vedere un Cardinale, quello di Milano, su “LA7”, sfoderare un irenismo ridicolo e cieco sulla situazione della Chiesa (“Quando visito le chiese, sono sempre piene”… “Non è vero che c’è crisi”), sentirlo parlare di un fumoso cristianesimo in un discorso che assomiglia più ad una lezione di antropologia, reagire infastidito alle chiare affermazioni del Prof. De Mattei sulla spaventosa crisi seguita al Vaticano II, mentre il laico di turno, nel caso Giuliano Ferrara, ricorda che occorre parlare anche dell’Inferno, oltre che della “pienezza umana” portata da Cristo. Siamo a questo punto: quelli fuori della Chiesa ricordano alla Chiesa l’essenziale, che essa non predica più.

Ma attenti tutto questo è più che drammatico, perché cambiare la prospettiva vuol dire cambiare tutto.

Se lo scopo è rendere migliore, più cosciente la vita di quaggiù, e non la salvezza eterna, siamo di fronte ad una modificazione profonda del Cristianesimo, siamo di fronte ad una nuova religione, che non è più quella di Nostro Signore Gesù Cristo. Siamo di fronte alla religione dell’uomo, e non alla religione di Dio.

Un grande sacerdote santo, il Père Emmanuel Andrè, chiamava tutto questo “Naturalismo”: tutto è ridotto alla natura, all’uomo. È il più grande e devastante cancro del Cattolicesimo. E lo stesso Pére Emmanuel diceva che occorre, di fronte a questo male, essere “uomini di Dio, uomini di reazione”: entrambe le cose… di Dio e di reazione. Sì: occorre PREGARE E REAGIRE, dire basta!, non avere più a che fare con coloro che stanno affossando la Chiesa e la fede Cattolica.

Sono nostri pastori coloro che custodiscono il cattolicesimo, non coloro che lo svendono trasformandolo in antropologia religiosa per entrare nei salotti culturali di questa stanca società occidentale. Come fare per sapere se i pastori sono degni di essere ascoltati e seguiti? È semplice: se parlano ancora della salvezza eterna, se parlano dei Novissimi: Morte, Giudizio, Inferno, Paradiso. Se nel loro parlare tutto questo non compare mai, diffidate, hanno già cambiato la fede.

 

Sant’Ambrogio: «Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno» (San Paolo, Fil. 1,21) “La nostra medicina è la grazia di Cristo, e il corpo mortale è il corpo nostro”

 

Dal libro «Sulla morte del fratello Satiro» di Sant’Ambrogio, vescovo
(Lib. 2, 40.41.46.47.132.133; CSEL 73, 270-274, 323-324)

 
Dobbiamo riconoscere che anche la morte può essere un guadagno e la vita un castigo. Perciò anche san Paolo dice: «Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno» (Fil 1,21). E come ci si può trasformare completamente nel Cristo, che è spirito di vita, se non dopo la morte corporale?
Esercitiamoci, perciò, quotidianamente a morire e alimentiamo in noi una sincera disponibilità alla morte. Sarà per l’anima un utile allenamento alla liberazione dalle cupidigie sensuali, sarà un librarsi verso posizioni inaccessibili alle basse voglie animalesche, che tendono sempre a invischiare lo spirito. Così, accettando di esprimere già ora nella nostra vita il simbolo della morte, non subiremo poi la morte quale castigo. Infatti la legge della carne lotta contro la legge dello spirito e consegna l’anima stessa alla legge del peccato. Ma quale sarà il rimedio? Lo domandava già san Paolo, dandone anche la risposta: «Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?» (Rm 7,24). La grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore (cfr. Rm 7,25 ss.).
Abbiamo il medico, accettiamo la medicina. La nostra medicina è la grazia di Cristo, e il corpo mortale è il corpo nostro. Dunque andiamo esuli dal corpo per non andare esuli dal Cristo. Anche se siamo nel corpo cerchiamo di non seguire le voglie del corpo.

 
Non dobbiamo, è vero, rinnegare i legittimi diritti della natura, ma dobbiamo però dar sempre la preferenza ai doni della grazia.
Il mondo è stato redento con la morte di uno solo. Se Cristo non avesse voluto morire, poteva farlo. Invece egli non ritenne di dover fuggire la morte quasi fosse una debolezza, né ci avrebbe salvati meglio che con la morte. Pertanto la sua morte è la vita di tutti. Noi portiamo il sigillo della sua morte, quando preghiamo la annunziamo; offrendo il sacrificio la proclamiamo; la sua morte è vittoria, la sua morte è sacramento, la sua morte è l’annuale solennità del mondo.
E che cosa dire ancora della sua morte, mentre possiamo dimostrare con l’esempio divino che la morte sola ha conseguito l’immortalità e che la morte stessa si è redenta da sé? La morte allora, causa di salvezza universale, non è da piangere. La morte che il Figlio di Dio non disdegnò e non fuggì, non è da schivare.
A dire il vero, la morte non era insita nella natura, ma divenne connaturale solo dopo. Dio infatti non ha stabilito la morte da principio, ma la diede come rimedio. Fu per la condanna del primo peccato che cominciò la condizione miseranda del genere umano nella fatica continua, fra dolori e avversità. Ma si doveva porre fine a questi mali perché la morte restituisse quello che la vita aveva perduto, altrimenti, senza la grazia, l’immortalità sarebbe stata più di peso che di vantaggio.

 
L’anima nostra dovrà uscire dalle strettezze di questa vita, liberarsi delle pesantezze della materia e muovere verso le assemblee eterne.
Arrivarvi è proprio dei santi. Là canteremo a Dio quella lode che, come ci dice la lettura profetica, cantano i celesti sonatori d’arpa: «Grandi e mirabili sono le tue opere, o Signore Dio onnipotente; giuste e veraci le tue vie, o Re delle genti. Chi non temerà, o Signore, e non glorificherà il tuo nome? Poiché tu solo sei santo. Tutte le genti verranno e si prostreranno dinanzi a te» (Ap 15,3-4).
L’anima dovrà uscire anche per contemplare le tue nozze, o Gesù, nelle quali, al canto gioioso di tutti, la sposa è accompagnata dalla terra al cielo, non più soggetta al mondo, ma unita allo spirito: «A te viene ogni mortale» (Sal 64,3).
Davide santo sospirò, più di ogni altro, di contemplare e vedere questo giorno. Infatti disse: «Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per gustare la dolcezza del Signore» (Sal 26,4).

 

Dio rivela a Santa Caterina da Siena: “Morte dei peccatori e loro pene in punto di morte” “Questo è quel peccato che non è perdonato né di qua né di là”

 

Tratto dal Dialogo della divina Provvidenza di Santa Caterina da Siena

 

CAPITOLO 132

Morte dei peccatori e loro pene in punto di morte.

 

O carissima figliuola, non è tanta l’eccellenza dei buoni, che non abbiano più miseria gli infelici, dei quali io ti ho parlato. Quanto è terribile e scura la loro morte! In punto di morte i demoni li accusano con tanto terrore e oscurità, e si mo­strano nella loro figura, che sai essere tanto orribile, che la creatura sceglierebbe ogni pena di questa vita, piuttosto che vederli nella loro immagine.

Inoltre gli si rinfresca lo stimolo della coscienza, che lo rode miseramente nell’intimo. Le disordinate delizie e la sen­sualità che egli si fece signora, mentre fece serva la ragione, l’accusano terribilmente, perché allora conosce la verità di quel­lo che prima non conosceva. Onde viene a grande confusione per il suo errore, essendo vissuto in vita come infedele a me, poiché l’amor proprio gli aveva velato la pupilla del lume della santissima fede. Il demonio lo tenta d’infedeltà, per farlo venire a disperazione.

Oh quanto gli è dura questa battaglia, che lo trova disar­mato, senza l’arma dell’affetto della carità. Questi peccatori, come membri del diavolo, ne sono del tutto privati. Non hanno il lume soprannaturale, né quello della scienza: non lo compresero, poiché le corna della superbia non lasciarono loro intendere la dolcezza del suo midollo; ed ora nelle grandi battaglie non sanno che si debba fare. Non sono nu­triti nella speranza, poiché non hanno sperato in me e nel Sangue, del quale li feci ministri, ma solo in se stessi e nelle dignità e delizie del mondo.

Questo misero demonio incarnato non vedeva che ogni cosa gli stava a usura, e come debitore gli toccava un giorno rendere ragione a me. Ora si trova ignudo e senza alcuna vir­tù; da qualunque lato si volga, non ode altro che rimproveri, con grande sua confusione.

L’ingiustizia, che ha esercitata in vita, l’accusa alla coscien­za, onde non s’ardisce di domandare altro che giustizia. E ti dico che tanta è quella vergogna e confusione, che essi già si dispererebbero. Se non che nella loro vita nutrono una grande presunzione, per cagione dei loro difetti: perché si può dire che vi sia più presunzione che speranza di misericordia, in colui il quale offende col braccio stesso della misericordia che gli uso. Giungendo dunque all’estremo della morte, se egli riconosce il suo peccato e scarica la coscienza nella santa confessione, vie­ne ad esser tolta la presunzione colpevole, e rimane la miseri­cordia.

Con questa misericordia possono attaccarsi alla speranza, se lo vogliono. Ché se non vi fosse questo, non vi sarebbe nes­suno che non si disperasse, e nella disperazione giungerebbe coi demoni all’eterna dannazione.

La mia misericordia questo fa: di farli sperare durante la vita nella misericordia, benché io non lo conceda perché offen­dano la misericordia, ma perché si dilatino nella carità e nella considerazione della mia bontà. Putroppo l’usano tutta in con­trario, perché con la speranza, che hanno concepita della mia misericordia, m’offendono. E nondimeno io li conservo in que­sta speranza della misericordia, perché in punto di morte ab­biano a che attaccarsi, non vengano del tutto meno nella ri­prensione che sarà loro fatta, e non giungano così a dispera­zione.

Quest’ultimo peccato della disperazione è molto più spiace­vole a me e dannoso a loro, che tutti gli altri peccati che han­no commessi. Infatti gli altri peccati li fanno con qualche dilet­to della sensualità, e talvolta se ne dolgono fino al punto che, per quel dolore, ricevono misericordia. Ma al peccato della di­sperazione non ve li muove fragilità, poiché non vi trovano al­cun piacere, ma niente altro che pena intollerabile. Nella dispe­razione l’infelice spregia la mia misericordia, stimando il suo difetto maggiore della misericordia e bontà mia. Caduto che sia in questo peccato, non si pente né ha dolore della mia offesa come dovrebbe; si duole sì del suo danno, ma non si duole dell’offesa che ha fatta a me; e così riceve l’eterna dannazione. Così tu vedi che solo questo peccato lo conduce all’inferno, e nell’inferno è tormentato da questo e da tutti gli altri difetti, che ha commessi. Se si fosse doluto e pentito dell’offesa fatta a me, e avesse sperato nella misericordia, l’avrebbe trovata; poi­ché, senza paragone alcuno, la mia misericordia è maggiore di tutti i peccati che potesse commettere qualunque creatura. Per­ciò mi dispiace molto che essi stimino maggiori i loro difetti. Questo è quel peccato che non è perdonato né di qua né di là. E poiché molto mi dispiace la disperazione, vorrei che nel punto di morte, dopo che la loro vita è passata disordinata­mente e scelleratamente, pigliassero speranza nella mia miseri­cordia. Ecco perché nella loro vita io uso il dolce inganno, di farli sperare largamente nella mia misericordia, perché, quando sono nutriti in questa speranza, se giungono alla morte, non sono così portati a lasciarla per le dure riprensioni che odono, come farebbero se non se ne fossero nutriti.

Tutto questo è dato loro dal fuoco e dall’abisso della mia inestimabile carità. Ma perché essi hanno usata la misericordia nelle tenebre dell’amor proprio, da cui è proceduto ogni loro difetto, non l’hanno conosciuta in verità; perciò è loro reputata a grande presunzione la dolcezza della misericordia, per quanto sta nel loro affetto. E questa è un’altra riprensione che dà loro la coscienza alla presenza dei demoni, rimproverando loro che il tempo e la larghezza della misericordia, nella quale sperava­no, dovevano dilatarsi in carità, in amore delle virtù, e con vir­tù spendere il tempo che io diedi loro per amore. Essi invece, mi offendevano miseramente col tempo stesso e con la speran­za larga della misericordia.

O cieco, e più che cieco! Tu sotterravi la perla e il talento che io ti misi nelle mani per guadagnare; e tu, presuntuoso come eri, non volesti fare la mia volontà, ma li nascondesti sotto la terra del disordinato amor proprio che ti rende ora frutto di morte. Oh, misero te! Quanto è grande la pena, che tu ricevi ora nell’estremo. Non ti sono occultate le tue miserie, poiché il verme della coscienza ora non dorme, ma rode. I de­moni ti gridano e ti rendono il compenso che essi usano di rendere ai loro servi: confusione e rimprovero. Vogliono che tu giunga alla disperazione, affinché tu nel punto della morte non esca loro dalle mani, e perciò ti dànno la confusione; così ti renderanno poi quello che essi hanno per sé.

Oh misero! La dignità, nella quale ti posi, ti si presenta lu­cida come ella è. E per tua vergogna, conoscendo che tu hai tenuti e usati in tanta tenebra di colpa i beni della santa Chie­sa, ti presenta come un ladro e un debitore, poiché dovevi ren­dere il dovuto ai poveri e alla santa Chiesa. Allora la coscienza ti mette avanti quel che hai speso e dato alle pubbliche meretri­ci, quello con cui hai allevato i figliuoli, arricchiti i parenti, o te lo sei cacciato giù per la gola, procurando l’ornamento della casa e i molti vasi d’argento, mentre dovevi vivere in povertà volontaria.

La tua coscienza ti presenta l’ufficio divino, che lasciavi senza curartene, sebbene cadessi in colpa di peccato mortale; oppure, se lo dicevi con la bocca, il tuo cuore era lungi da me. Verso i sudditi dovevi avere la carità e la fame nutrendoli di virtù, dando loro esempio di vita, battendoli con la mano della misericordia e con la verga della giustizia; ma perché tu facesti il contrario, la coscienza te ne rimprovera al cospetto orribile dei demoni. E se tu, prelato, hai dato ingiustamente le prela­zioni o la cura d’anime a qualche tuo suddito, senza badare a chi e come abbia dato tali uffici, ti si presenta alla coscienza il pensiero che tu dovevi darli non per parole lusinghevoli, né per piacere alle creature, né per doni, ma solo con riguardo alla virtù, al mio onore e alla salute delle anime. E poiché non l’hai fatto, ne sei ripreso: così, a maggiore tua pena e confusione hai dinnanzi alla coscienza e al lume dell’intelletto quello che hai fatto e non dovevi fare, e quello che dovevi fare e non hai fatto.

Sappi, carissima figliuola, che il bianco si conosce meglio se si pone allato al nero, e il nero allato al bianco, che separati l’uno dall’altro. Così avviene a questi miseri in particolare e a tutti gli altri in generale, che si vedono presentata la loro vita scellerata nel punto della morte, in cui l’anima comincia a ve­dere di più i suoi guai, e il giusto la sua beatitudine.

Non vi è bisogno che alcuno la ponga dinanzi al misero peccatore, perché la sua coscienza da se stessa si pone dinanzi i peccati commessi, e le virtù che doveva esercitare. Perché le virtù? Per maggiore sua vergogna; perché essendo allato il vi­zio e la virtù, per la virtù conosce meglio il vizio, e quanto più lo conosce, maggiore è la vergogna che ne ha. Parimente, per il suo difetto, conosce meglio la perfezione della virtù, onde ha maggiore dolore, vedendo che nella sua vita è stato fuori d’o­gni virtù. E devi sapere che nel conoscere la virtù e il vizio, essi vedono davvero il bene che segue all’uomo virtuoso dalla virtù, e la pena che segue a chi è giaciuto nelle tenebre del peccato mortale.

Io do questo conoscimento, perché egli venga non alla di­sperazione, ma al perfetto conoscimento di sé e alla vergogna del suo difetto, unita alla speranza; affinché con la vergogna e con questo conoscimento sconti i suoi difetti e plachi l’ira mia, dimandando umilmente misericordia. Il virtuoso cresce nel gau­dio e nel conoscimento della mia carità, perché riporta a me, non a sé, la grazia d’aver seguito le virtù, e d’essere andato per la dottrina della mia Verità; perciò esulta in me. Con que­sto vero lume e conoscimento gusta e riceve il dolce fine suo, nel modo che io ti ho detto in altro luogo. Sicché l’uno, che è vissuto con ardentissima carità, esulta in gaudio, e l’iniquo te­nebroso si confonde in pena.

A1 giusto non nuocciono le tenebre e la vista dei demoni, né egli teme, poiché solo il peccato è quello che teme e gli dà nocumento. Ma quelli che hanno menata la loro vita lasciva­mente e con molte miserie, ricevono danno e timore al vedere i demoni. Non il danno che proviene dalla disperazione, a meno che essi stessi lo vogliano, ma quello che proviene dalla pena della riprensione, dal rinfrescamento della coscienza, dalla pau­ra e timore al loro aspetto orribile.

Or vedi, carissima figliuola, quanto siano differenti la pena e la battaglia che ricevono nella morte il giusto e il peccatore; e quanto sia differente la loro fine. Una piccola particella te ne ho narrato e mostrato all’occhio dell’intelletto; ed è sì piccola per rispetto a quella che è veramente, cioè alla pena che riceve l’uno e al bene che riceve l’altro, che è quasi un niente.

Vedi quanta sia la cecità dell’uomo, e specialmente di que­sti miserabili, poiché quanto più hanno ricevuto da me e più sono illuminati dalla santa Scrittura, tanto maggiormente mi sono obbligati e maggiore è la pena intollerabile che ricevono. E siccome ebbero maggiore conoscenza della santa Scrittura nella loro vita, conoscono di più in morte i grandi difetti commessi, e sono collocati in maggiori tormenti che gli altri, come pure i buoni sono posti in maggiore eccellenza.

A costoro avviene come al falso cristiano, che nell’inferno è posto in maggiore tormento che un pagano, perché egli ebbe il lume della fede e vi rinunziò, mentre l’altro non l’ebbe. Così questi miseri avranno più pena d’una medesima colpa che gli altri cristiani, per il ministero che io loro affidai, dando loro ad amministrare il Sole del santo Sacramento, e perché ebbero il lume della scienza, per poter discernere la verità per sé e per gli altri, se avessero voluto. E perciò giustamente ricevono maggiori pene.

Ma i miseri non lo conoscono; ché, se avessero un minimo di considerazione del loro stato, non verrebbero in tanti mali, ma sarebbero quello che devono essere, e non sono. È vero: tutto il mondo è corrotto, ma essi fanno peggio che i secolari nel loro grado. Onde con le loro immondezze lordano la faccia delle loro anime, corrompono i sudditi e succhiano il sangue alla Sposa mia, che è la santa Chiesa. Per i loro difetti la im­pallidiscono, poiché l’amore e l’affetto della carità, che dovreb­bero avere a questa Sposa, l’hanno posto in se stessi, e non at­tendono ad altro che a piluccarla e a trarne le prelazioni e le grandi rendite, mentre dovrebbero cercare anime. Così, per la loro malavita, i secolari giungono alla irriverenza e disobbe­dienza alla santa Chiesa, benché non dovrebbero farlo. Né il loro difetto è scusato dal difetto dei ministri.

Rivelazioni della Vergine Madre di Dio a Suor Maria: “In questa dottrina consiste il punto principale da cui dipende la salvezza o la perdita delle anime”

 

Dalla “Mistica città di Dio,Vita della Vergine Madre di Dio” rivelata alla Venerabile Suor Maria di Ágreda

Insegnamento della Regina del cielo

 

409. Figlia mia, carissima, considera che tutti i viventi nascono destinati alla morte. Non conoscono il termine della loro vita, ma sanno con certezza che il loro tempo è breve e l’eternità è senza fine ed in essa l’uomo raccoglierà solamente ciò che avrà seminato di cattive o di buone opere; queste daranno allora il loro frutto, di morte o di vita eterna. In un viaggio così pericoloso non vuole perciò Dio che qualcuno conosca con certezza se sia degno del suo amore o del suo disprezzo, affinché, se dotato di ragione, questo dubbio gli serva da stimolo a cercare con tutte le sue forze l’amicizia del Signore. E Dio giustifica la sua causa dal momento in cui l’anima comincia a fare uso della ragione, perché da allora accende in essa una luce e sinderesi, che la stimola e la inizia alla virtù; la distoglie dal peccato, insegnandole a distinguere tra il fuoco e l’acqua approvando il bene e correggendo il male, scegliendo la virtù e riprovando il vizio. Egli inoltre risveglia l’anima e la chiama a sé con ispirazioni sante, con impulsi continui e per mezzo dei sacramenti, dei comma di fede, dei precetti, dei santi angeli, dei predicatori, dei confessori, dei superiori, dei maestri; di ciò che l’anima prova in sé nelle afflizioni e nei benefici che Dio le manda; di ciò che sente nelle tribolazioni altrui, nelle morti ed in altri avvenimenti e mezzi che la sua provvidenza dispone per attirare tutti a sé, perché vuole che tutti siano salvi. Di tutte queste cose Dio fa una catena di grandi aiuti e favori, di cui la creatura può e deve usare a suo vantaggio.

410. A tutto ciò si oppone la parte inferiore e sensitiva dell’uomo che, con il fomite del peccato, inclina verso le cose sensibili e muove la concupiscenza e l’irascibilità, affinché, confondendo la ragione, trascinino la volontà cieca ad abbracciare la libertà del piacere. Il demonio, da parte sua, con inganni e con false ed inique suggestioni oscura il senso interiore e nasconde il veleno mortale che si trova nei piaceri transeunti. L’Altissimo però non abbandona subito le sue creature, anzi rinnova la sua misericordia, gli aiuti e le grazie. E se esse rispondono alla sua chiamata ne aggiunge tante altre secondo la sua equità; dinanzi alla corrispondenza dell’anima le va aumentando e moltiplicando. Così come premio, perché l’anima ha dovuto vincersi, si vanno attenuando le inclinazioni alle sue passioni ed al fomite e lo spirito si alleggerisce sempre più, potendosi sollevare in alto, molto al di sopra delle tendenze negative e del cattivo nemico, il demonio.

411. L’uomo invece che si lascia trasportare dal diletto e dalla spensieratezza porge la mano al nemico di Dio e suo; e quanto più si allontana dalla divina bontà tanto più si rende indegno delle sue grazie e sente meno gli aiuti, benché siano grandi. Così il demonio e le passioni acquistando maggiore forza e dominio sulla ragione la rendono sempre più inetta ed incapace di accogliere la grazia dell’Altissimo. O figlia ed amica mia, in questa dottrina consiste il punto principale da cui dipende la salvezza o la perdita delle anime, cioè dal cominciare a fare resistenza agli aiuti del Signore o ad accettarli. Voglio perciò che non trascuri questo insegnamento affinché tu possa rispondere alle molte chiamate che l’Altissimo ti volge. Cerca allora di essere forte nel resistere ai tuoi nemici, puntuale e costante nell’eseguire i desideri del tuo Signore, così gli darai soddisfazione e sarai attenta nel fare il suo volere, che già conosci con la sua luce divina. Un grande amore portavo ai miei genitori e le parole e la tenerezza di mia madre mi ferivano il cuore, ma, sapendo che era ordine e compiacimento del Signore che io li lasciassi, mi dimenticai della mia casa e del mio popolo, non per altro fine se non per quello di seguire il mio sposo. La buona educazione ed il buon insegnamento della fanciullezza giovano molto per il resto della vita, affinché la creatura si ritrovi più libera e già abituata all’esercizio delle virtù, incominciando così dal porto della ragione a seguire questa stella, guida vera e sicura.

Beata Elisabetta della Trinità : “Non c’è che una via, quella della croce. Fuori di questa, non c’è salvezza. Ma ciò costa alla natura.E’ duro mortificare i sensi, romperla con le cattive abitudini …” ” Bisogna morire con Cristo, cioè morire a tutto per non vivere che di Lui”

 

 ” Dio in me, io in lui ” , sia questo il nostro motto!

 

PENSIERI DI BEATA ELISABETTA DELLA TRINITA’:

1. Umile Gesù, divino esemplare, sarò fedele agnello del tuo gregge, ti seguirò portando la mia croce, non ascoltando che la tua parola!

2. Senza di te, lo sai, non valgo niente, ma se tu mi fortifichi, Signore, sarò capace di ogni sacrificio.

3. Della tua fiamma incandescente e pura brucia l’anima mia, Spirito Santo, consumala nel tuo divino amore!

4. Incrollabile è la mia fiducia nella tua divina Provvidenza… Gesù, a te completamente m’abbandono.

5. Profonda solitudine, lontana dai rumori del mondo, come in alto l’ani ma mia sollevi, fino ai cieli!

6. La preghiera è il vincolo delle anime.

7. Che tristezza lasciare il tabernacolo, congedarsi dall’Ospite divino! Ma sei sempre con me, sei nel mio cuore … unico mio Diletto.

8. Oggi ho avuto la gioia di offrire a Gesù molti sacrifici per vincere il mio difetto predominante. Mi sono costati tanto e riconosco perciò tutta la mia debolezza.

9.Come è breve la vita! E’ un attimo. Il bambino, vedendo i capelli bianchi del vecchio, le sue spalle curve, si chiede: quando sarò anch’io così ? E quel giorno gli sembra tanto lontano. In realtà la vita è come un torrente impetuoso verso un immenso oceano… verso l’eternità.

10. Quanto desidero di riportare anime a Gesù! Darei la mia vita solo per contribuire al riscatto di una di quelle anime che Gesù ha tanto amato.

11. O Gesù, mio amore, mia vita, mio Sposo diletto, la tua croce, ti supplico, dammi la tua croce, voglio portarla insieme con te. Tu hai sofferto abbastanza per me, voglio ora consolarti. Mi carico dei peccati del mondo. Non vedere che me, non colpire che me!

12. Troveremo la sorgente della pietà nella santa Comunione, da cui attingeremo luce e forza.

13. Tu sai, Gesù, quanto desidero progredire per essere da te più amata. Sì, mio Gesù, sono gelosa del tuo amore e, per parte mia, ti amo tanto che, in certi momenti, mi sembra di morire!

14. Mio Dio, voi sapete che se io soffro, se soprattutto desidero soffrire tanto, non è perchè penso alla mia eternità, ma solo per consolarvi, per ricondurre a voi le anime, per mostrarvi il mio amore.

15. Quando ricevo un’osservazione ingiusta, mi sento come ribollire il sangue nelle vene, tutto il mio essere si ribella! … Ma Gesù è con me, odo la sua voce in fondo al cuore, e allora mi sento disposta a sopportare tutto per amore di lui.

16. Poiché mi è quasi impossibile impormi altre sofferenze, devo pure persuadermi che la sofferenza fisica e corporale non è che un mezzo, prezioso del resto, per arrivare alla mortificazione interiore e al pieno distacco da se stessi.

17. Farò tutti gli sforzi per essere fedele a questa mia decisione di rinunciare sempre a me stessa. Non è sempre così facile, ma con te, o Gesù, mia forza, mia vita, non è forse sicura la vittoria?

18. Con quanto slancio ho pregato, supplicato Dio onnipotente per i poveri peccatori! Con quanta passione gli ho rinnovato il sacrificio della mia vita, offrendomi in olocausto, a somiglianza di Gesù, mio Sposo diletto!

19. Bisogna amare le anime, ricercarle con vera passione. E’ grande la loro bellezza. Se avessimo visto la bellezza di un’anima pura, crederemmo di aver visto Dio.

20. Chiedete e riceverete. La preghiera è infallibile, bisogna pregare.
Dio lo ha detto formalmente. Non è un consiglio, ma un ordine.

21. Dio è buono. Anche la nostra anima è dotata di una squisita bontà. Sa amare, donarsi, sacrificarsi.

22. La vita possiamo riassumerla così: molti dolori, molte lacrime, molte illusioni, la speranza di una felicità sempre attesa e mai raggiunta. Tuttavia ci si attacca a questa vita. Che pazzia!

23. Ho tanta sete di soffrire, di ricondurre anime a Dio. Sono avida di sacrifici e benedico tutti quelli che incontro nel corso delle mie giornate.

24. La morte viene a colpirci nel momento che meno ce l’ aspettiamo.
Dio stesso l’ha detto. Quante morti improvvise! Domani, questa notte, ci risparmierà. la morte come ha fatto oggi?

25. La penitenza è una tavola di salvezza che Gesù ci porge nel mare di questa vita. Afferriamoci ad essa!

26. Che la mia vita sia d’ora in poi un tormento continuo,. ma possa consolarti, o Gesù, e dimostrarti tutto il mio amore. Le anime, le anime! Che io possa conquistarne tante. “O soffrire, o morire! “.

27. La preghiera è così potente sul cuore di Dio! Pregare con perseveranza, senza scoraggiarsi, anche se dovessimo morire senza essere esauditi.

28. Spesso una buona parola, mormorata a proposito, può fare tanto bene. Non trascuriamo mai di dirne una, se si presenta l’occasione.

29. Se il cattivo esempio è cosa tanto terribile e funesta, quanto bene può fare il buon esempio! E’ più eloquente d’ogni predica. Spesse volte, quanti si sono convertiti a contatto con persone sante, fossero pure delle donnette!

30. Stiamo pronti sempre, per non temere la morte, per poterla anzi invocare a gran voce come la liberazione definitiva da questa terra d’esilio e l’inizio dell’unione eterna con Dio, che amiamo al di sopra di tutto.

31. L’ impurità. è il vizio più vergognoso, quello che più dispiace a Gesù. Grazie, mio Diletto, d’ aver conservato puro questo cuore, che è tutto tuo ! Maria, madre mia, vegliate sempre su di me!

32. La sofferenza è la scala che ci conduce a Dio, al cielo.

33. Il timore è l’inizio della sapienza, ma colui che agirà solo per timore, non farà. un passo avanti in questa virtù. Bisogna pensare all’amore, alla misericordia di Dio.

34. Questo mondo non può soddisfarmi. Languisco, soffro, piango, perché cerco te, mio Diletto.

35. Quale attrattiva nella sofferenza, quando si accetta e si desidera! Che abbondante sorgente di merito ! Non esiste una via più sicura della croce. Dio stesso l’ha scelta.

36. Se la preghiera è una cosa tanto bella e consolante, se lavorare per Iddio è ammirevole, nulla tuttavia può eguagliare il merito e la bellezza della sofferenza. In essa non vi è traccia di amor proprio.

37. La carità è indispensabile. Il cristiano si riconosce dalla sua carità.

38. Dio ci ha indicato le armi contro la tentazione: Vegliate e pregate!

39. Come è difficile sopportare i differenti caratteri! Un santo ha detto che questo è il fiore della carità.

40. L’anima che medita ha la salvezza assicurata. La meditazione consiste nel riflettere stando alla presenza di Dio, e il demonio fa di tutto per distoglierne le anime. Egli sa bene quanto è efficace questo mezzo per avanzare nelle virtù.

41. Quante persone “devote”, che al mattino fanno la Comunione e poi cadono in giudizi temerari e in ogni sorta di maldicenze, più o meno abilmente celate !

42. Mi piace vedere la Madonna nell’atto di contemplare il suo Gesù morto e giacente tra le sue braccia. Che cosa non ha sofferto questo cuore di Madre?

43. Non c’è che una via, quella della croce. Fuori di questa, non c’è salvezza. Ma ciò costa alla natura.

E’ duro mortificare i sensi, romperla con le cattive abitudini …

44. L’umiltà è la sorgente delle grazie. Colui che si crede vile e miserabile, Dio lo colma dei suoi favori.

45. Lo Scapolare è l’insegna di Maria. Un’anima che lo porta e che, bene inteso, fa tutti gli sforzi per salvarsi, non può cadere nell’inferno, è impossibile.

46. Gesù mi vuole tutta per se, per amare, pregare, soffrire.

47. Si deve sentire, entrando nelle nostre case, che Dio vi è presente, che egli vi è amato e rispettato.

48. Essere umili significa essere molto amati da Gesù. I superbi non li può vedere. Ciò lo possiamo comprendere riflettendo all’antipatia che ci ispirano le persone altezzose e soddisfatte di sé. Il mondo non le può sopportare e le critica. Neppure Dio le può amare.

49. L’anima abituata al peccato veniale finisce per non scorgere più il limite che la separa dalla colpa grave.

50. La pietà deve essere guidata dall’amore e non dal timore. Si lavora sempre con passione per colui che si ama.

51. Non scoraggiarsi mai. E’ più difficile liberarsi dallo scoraggiamento che dal peccato. Non inquietarsi se non si costatano progressi nello stato della propria anima. Spesso Dio permette questo per evitare un sentimento di orgoglio. Egli sa vedere i nostri progressi e contare ogni nostro sforzo.

52. Il Rosario è la catena che ci unisce a Maria. Con la pratica della recita del Rosario… Maria ci tende la mano Maria dirige la nostra barchetta sulle onde agitate di questa vita… siamo sicuri di arrivare al porto della salvezza eterna.

53. Dobbiamo assistere alla santa Messa con i sentimenti che avrebbero riempito il nostro cuore sul Calvario.

54. Come vorrei farti dimenticare, o Signore, con la piena del mio amore,tutte le ingratitudini del mondo! .Non sentirti solo, io t’amerò per quelli che ti dimenticano. Lo so, sono troppo povera e cattiva per aspirare a tanto, ma ti amo, o Gesù, ti amo fino alla morte!

55. L’ Eucaristia è il colmo dell’amore divino. Qui Gesù non ci dà solo i suoi meriti e i suoi dolori, ma tutto se stesso.

56. Ti renderò amore per amore, sangue per sangue, o mio Sposo diletto!
Sei morto per me, ebbene, ogni giorno
morirò a me stessa, ogni giorno affronterà nuove sofferenze, ogni giorno sopporterà un nuovo martirio. Tutto per te, solo per te, che amo tanto!

57. Guardo il mondo, gli oggetti del mondo come cose tra le quali devo solo passare, non vi attacco per nulla il cuore.

58. Quando qualcosa mi costa, quando resto esitante, Gesù insiste in modo che mi è impossibile opporgli un rifiuto.

59. Non bisogna essere egoisti nei nostri affetti!

60. Quando penso a tutte le mie debolezze, alla mia tiepidezza verso di te, la tua bontà mi confonde. Piango allora, o Gesù, ma quelle lacrime sono così dolci!

61. Che io non cerchi nulla fuori di te, o Gesù,perchè tu solo puoi contentare il mio cuore.

62. Solitudine e silenzio … Al di dentro si può sempre essere così, perché quando il cuore è preso, nulla al mondo potrebbe distrarlo. I rumori sfiorano la superficie, nel profondo non c’è altri che Gesù.

63. Che bella cosa pregare l’uno per l’altro, darsi appuntamento presso il buon Dio, dove non esiste più ne distanza ne separazione!

64. Mio Diletto, mentre i carnefici foravano i tuoi piedi e le tue mani, mentre subivi mille torture sulla croce, vedevi le mie colpe senza numero e tutte le mie infedeltà!

65. Ci sono delle cose che pedono il loro profumo non appena sono esposte all’aria. Così ci sono dei pensieri intimi che non possono tradursi nel linguaggio della terra senza perdere subito il loro significato profondo e celeste.

66. Mio Gesù, riceverti ogni giorno, e poi, da una Comunione all’altra vivere unita a te. Oh, quest’intimità è il paradiso sulla terra!

67. La preghiera deve essere umile, fiduciosa, perseverante, continua. Sì,
continua,perchè offrendo tutte le nostre azioni a Dio, non operando che per lui, vivendo nell’unione con nostro Signore, anche le azioni più semplici diventano
meritorie davanti a Dio.

68. Sento in questo istante suonare le campane e mi sembra che m’invitino a salire più in alto, al di sopra di questa terra, nelle regioni infinite dove non c’è che Dio.

69. Cristo è la sorgente, andiamo a dissetarci presso il nostro prediletto.
Lui solo può saziare il nostro cuore.

70. Signore, che la mia vita sia un’orazione continua, che nulla mai possa distrarmi da te, ne le preoccupazioni, ne i piaceri, ne la sofferenza. Che sia inabissata in te, che faccia tutto sotto il tuo sguardo.

71. Restiamo in raccoglimento accanto a Colui che è, accanto all’Immutabile, la cui luce risplende sempre su di noi. Noi siamo coloro che non sono.

72. ” Amore “. Questa parola racchiude, mi sembra, tutta la santità. Amiamolo dunque il nostro Diletto, ma di un amore calmo e profondo!

73. Come è bello perdersi, sparire in Dio! Si sente bene che non si è più che uno strumento, che è lui che agisce, che è tutto.

74. E’ duro far soffrire quelli che si amano, ma è per Gesù. Se egli non mi sostenesse, in certi momenti mi domando che cosa diventerei; ma egli è con me e con lui si può tutto.

75. Che sistemi Iddio tutte le cose secondo il suo beneplacito, non voglio che quello che lui vuole, non desidero che quello che lui desidera. Non gli chiedo che una cosa: amarlo con tutta l’anima, ma di un amore vero, forte, generoso.

76. Non ci resta che fare il vuoto, staccarci da tutto perchè non ci sia che Cristo, lui solo … e non siamo più noi a vivere, ma lui viva in noi. Ai piedi della croce si sente così bene questo vuoto delle creature, questa sete infinita di lui.

77. La festa di Natale parla tanto all’anima e mi sembra che inviti a morire a tutto per rinascere ad una vita nuova, una vita tutta d’amore. Oh, se potessi essere piccola come Gesù e poi crescere al suo fianco mettendo i piedi sulle orme dei suoi passi divini!

78. Anche in mezzo al mondo si può ascoltare Dio nel silenzio di un cuore che non vuole essere che suo.

79. Fare la volontà del Signore è ciò che vi è di più bello.

80. Mi sembra che nulla possa distrarre da Dio quando non si agisce che per lui, sempre sua sua santa presenza, sotto quello sguardo divino che penetra nel più intimo dell’anima.

81. O dolce vita nella Trinità, tutta luce, tutta amore!

82. Gesù appare sempre di più al mio pensiero come l’aquila divina. Noi siamo la preda del suo amore. Ci afferra, ci pone sulle sue ali e ci porta lontano ad altezze sublimi dove l’anima e il cuore amano perdersi! Lasciamoci prendere e portare dove egli vuole.

83. Bisogna morire con Cristo, cioè morire a tutto per non vivere che di lui.

84. Unire, identificare la nostra volontà con quella di Gesù: allora si è sempre felici, sempre contenti.

85. Lasciamoci crocifiggere con il nostro Diletto. E’ così bello soffrire per lui! Attraverso questa sofferenza cresce in noi la sua somiglianza. così gli restituiamo un po’ di amore e non c’è cosa più bella che dare qualche cosa a chi si ama.

86. ” Dio in me, io in lui “, sia questo il nostro motto.

87. Che importa il sentimento ? Forse Dio è anche più vicino quando meno lo sentiamo. E’ qui, nel fondo dell’anima, che amo cercarlo. Preoccupiamoci di non lasciarlo mai solo e che la nostra vita sia una continua preghiera.

88. E’ là, ai piedi della croce, che ci si sente la fidanzata di Cristo. Tutte le oscurità, tutte le nostre sofferenze finiscono per attaccarci al nostro unico Tutto. Ci purificano l’anima per condurci all’unione.

89. In cielo non potremo più soffrire per colui che amiamo. Approfittiamo perciò ora di ognuna delle nostre sofferenze per consolare il nostro Diletto!

90. Che gioioso mistero la presenza di Dio dentro di noi, in questo intimo santuario delle nostre anime, dove semprelo possiamo trovare, anche quando non avvertiamo più sensibilmente la sua presenza!

91. Andiamo a Gesù attraverso la pura fede.

92. Quanto grande è la bontà del divino Fidanzato e quanto più viva sembra rifulgere nell’ oscurità della prova ! Si direbbe che proprio allora ci è più vicino, che più intima è l’unione con lui. Non siamo le sue vittime? Egli ci segna con il suggello della croce perchè gli rassomigliamo di più.

93. Certe volte ho nostalgia del cielo. Come vorrei andarmene lassù, accanto a Dio!

94. Non è forse sempre Gesù che ci presenta la gioia e il dolore, la salute o la malattia, la consolazione o la croce? Sì, amiamo, benediciamo la volontà tutta amore che ci manda queste sofferenze.

95. Io lo sento, il Diletto mi chiama a vivere in quelle regioni dove l’uno con lui si consuma.

96. Gesù sia talmente in me che lo si senta avvicinandomi e si pensi a lui! Noi s.iamo le sue ostie viventi, i suoi piccoli cibori.

97. Amiamo, amiamo con quell’amore calmo, generoso, profondo, che non retrocede davanti a nessuna sofferenza, restiamo ai piedi della croce dove ci chiama il nostro Diletto e quando non ne possiamo più, limitiamoci a guardarlo.

98. Il buon Dio non restringe il cuore di coloro che si danno a lui. Al contrario lo dilata. Dietro le grate non si dimenticano quelli che si sono lasciati. Più si è vicini al buon Dio, più si ama.

99. Amo tanto questo mistero della santissima Trinità: è un abisso in cui mi perdo!

100. Rimaniamo unite sempre ai piedi della croce, immobili e silenziose presso il divin Crocifisso, ad ascoltarlo e penetrare tutti i suoi segreti. Ci svelerà tutto, è lui che ci condurrà al Padre.

101. Forse non ci rivedremo mai più sulla terra. Oh, come sarà bello ritrovarsi lassù per non più lasciarci!

102.E’ tanto bello sentire che il nostro unico Tutto è qui con noi, e non c’è che lui, nient’altro che lui.

103. Ho trovato il mio cielo sulla terra in questa cara solitudine del Carmelo dove sono sola con Dio solo. Fo’ tutto con lui e a tutto vado con una gioia divina. O che spazzi, o che la vori, o che sia all’orazione, tutto trovo bello e delizioso,perchè è il mio. Maestro che vedo dappertutto!

104. Dopo la Comunione, possediamo tutto il cielo nella nostra anima, eccetto la visione.

105. Mi piace tanto guardare questa cara Santa [santa Maddalena] ai piedi del Maestro. Oh come è bello restare là silenziosa… e non vedere più e non udire più altro che lui!

106. Il Carmelo non è ancora il cielo, ma non è più neppure la terra. Come è buono Dio ad avermi presa qui!

107. Si può pregare il buon Dio lavorando: basta pensare a lui. Allora tutto diventa dolce e facile,perché non si è soli ad agire, vi è Gesù.

108. Non c’è da temere che la mia felicità passi,perchè Dio ne è l’unico oggetto ed egli non cambia!

109. Tutto è delizioso al Carmelo: si trova il buon Dio al bucato come all’orazione. Non c’è che lui dappertutto! Lo si vive, lo si respira.

110. Tutti i tesori che sono rinchiusi nell’anima del Cristo sono miei. Mi sento così tanto ricca. Con quanta felicità vado ad attingere a questa sorgente per tutti coloro che amo e che mi hanno fatto del bene!

111. Mi metto lì, davanti alla nostra finestrella con il mio Crocifisso e tiro l’ago con ardore, mentre l’anima mia resta accanto a lui.

112. Il cuore della Vergine. E’ un cuore che ha conosciuto tutti i tormenti e tutti gli strazi, eppure seppe conservarsi sempre calmo e forte,perchè appoggiato a quello del Cristo.

113. Non essere più che uno con il buon Dio significa possedere il cielo nella fede, aspettando la visione faccia a faccia.

114. Mi sembra che la mia preghiera sia onnipotente,perchè non sono io che prega, ma il mio Cristo che prega in me.

115. Domando a Dio di rivelarti le dolcezze della sua presenza e di fare della tua anima un santuario in cUi egli possa venire a consolarsi.

116. La fede è il faccia a faccia nelle tenebre.

117. Pur essendo Marta, si può restare come Maddalena sempre accanto al Maestro contemplandol.o con uno sguardo amorosissimo.

118. Offri a Dio tutto quello che ferisce il tuo cuore, confidagli tutto. Pensa che giorno e notte hai qualcuno nella tua anima, che non ti lascia mai sola.

119. Dio è il consolatore supremo e ci ama di un amore che noi non potremo mai comprendere.

120. Gesù dà la sua croce ai suoi veri amici per accostarsi sempre più ad essi.

121. La giornata del giovedl santo, trascorsa vicino a lui, è stata veramente bella e vi avrei passato anche la notte, ma il Maestro ha voluto che mi riposassi. In fondo che importa? Lo si trova tanto nel sonno quanto nell’orazione, perché è lui in tutto, dappertutto e sempre!

122. Dio ha disegni che noi non comprendiamo sempre, ma che dobbiamo adorare.

123. Viviamo con Dio come con un amico, rendiamo viva la nostra fede allo scopo di comunicare con Dio attraverso tutto ciò che fa i santi. Noi portiamo in noi il nostro cielo, poiché colui che sazia i glorificati nella luce della visione, si dà a noi nella fede e nel mistero.

124. Guardiamo troppo a noi stessi, vorremmo vedere e corllprendere, e non abbiamo abbastanza fiuucia in Colui che ci avvolge con il suo cuore.

125. Egli affascina. Egli rapisce. Sotto lo sguardo di Cristo l’orizzonte diviene così bello, così vasto, così luminoso! L’amo appassionatamente e in lui ho tutto! E’ attraverso di lui, al riflesso della sua luce che devo guardare ogni cosa, andare a tutto!

126. Non bisogna arrestarsi davanti alla croce e guardarla in se stessa, ma, raccogliendosi nella luminosità della fede, bisogna salire più in alto e pensare che
essa è lo strumento che obbedisce all’amore di Dio.

127. L’abbandono, ecco ciò che ci affida a Dio. Quando tutto s’ingarbuglia, quando il presente è così doloroso e l’avvenire mi appare più scuro, chiudo gli occhi e mi abbandono come un bambino nelle braccia di quel Padre che è nei cieli.

128. Una carmelitana è un’ anima che ha fissato il Crocifisso, che l’ha visto offrirsi come vittima al Padre per le anime, e raccogliendosi in questa grande visione della carità. del Cristo, ha capito la passione d’amore della sua anima e ha voluto donarsi come lui.

129. Io vorrei essere tutta silenziosa, tutta adorante per poter penetrare sempre più nel Diletto ed essere tanto piena di lui da poterlo donare mediante la preghiera a quelle povere anime che ignorano il dono di Dio!

130. Non c’ è altro legno capace come quello della croce per far divampare nell’anima il fuoco dell’amore!

131. Il Maestro è sempre con te, non lasciarlo mai. Attraverso le tue azioni, le tue sofferenze, anche quando il corpo è spezzato, rimani sotto il suo sguardo; bada al presente, vivendo dentro la tua anima.

132. Gesù ha pianto quand’era sulla terra; unisci le tue lacrime a quelle divine di lui, adora con lui la volontà del Padre che non ferisce se non perché ama.

133. In tutto e per tutto viviamo ogni nostro momento in comunione con questo divino Verbo Incarnato, con Gesù che abita in noi e vuole svelarci ogni suo mistero.

134. Nel silenzio, nella solitudine, in una orazione che non termina mai perché si continua in tutto, la carmelitana vive già come in cielo ” di Dio solo “.

135. Dio è il principio e il vincolo indissolubile di ogni vera e profonda amicizia.

136. Gesù Cristo è sempre vivo in noi, sempre operante nella nostra anima. Lasciamoci costruire da lui e sia l’anima della nostra anima, la vita della nostra vita, affinché possiamo dire con san Paolo: Per me vivere è Cristo.

137. Mi sento immersa nel mistero della carità di Cristo e quando mi metto a guardare indietro, vedo come una divina persecuzione d’amore sulla mia anima.

138. Le nostre anime si uniscono
per consolare il Maestro. Quante offese riceve nel mondo e come è dimenticato! Apriamogli noi la porta e non lasciamolo mai solo in quel santuario che è la nostra anima.

139. Mi sembra che bisognerebbe avvicinarsi tanto al Maestro, avere tanta comunione con la sua anima, accordarsi in tutto ai suoi movimenti e poi andare come lui a compiere la volontà del Padre.

140. Come sarà bello quando il velo cadrà, finalmente, e godremo l’eterno ” faccia a faccia ” con Colui che unicamente amiamo. Nell’attesa vivo nell’amore, mi ci getto dentro e mi ci perdo. E’ l’ Infinito, quell’ Infinito di cui è affamata l’anima mia.

141. Il sacerdote e la carmelitana possono irradiare Dio, donarlo alle anime solo se restano a contatto con le sorgenti divine.

142. Durante la quaresima vorrei, come dice san Paolo: Seppellirmi con Cristo in Dio, perdermi in quella Trinità che sarà un giorno la nostra visione e, sotto il suo divino fulgore, sprofondarmi nell’abisso del mistero.

143. Se siamo fedeli nel vivere della vita del Cristo, se ci immedesimiamo con tutti i moti dell’anima del Crocifisso, con tutta semplicità, allora non abbiamo più da temere le nostre debolezze: egli sarà la nostra forza, nessuno ci potrà separare da lui.

144. Ora non ho più che un desiderio: amare il Crocifisso, amarlo in ogni momento, zelare il suo onore e formare la sua felicità come una vera sposa, renderlo contento preparandogli una dimora e un rifugio nella mia anima dove fargli dimenticare, a forza di amore, tutte le ingiurie e il male della terra!

145. E’ così bella la fede! E’ il cielo nelle tenebre, ma un giorno il velo cadrà e contempleremo nella sua luce Colui che amiamo.

146. Amo tanto la mia cara clausura e qualche volta mi sono domandata se non amassi troppo questa cara celletta dove si sta così bene ” sola con il Solo “.

147. Aspettando il ” Veni ” dello Sposo, bisogna spendersi, soffrire per lui e soprattutto amarlo molto.

148. Dentro di me c’è una solitudine dove Cristo dimora, e questa nessuno me la potrà rapire.

149. Mi sembra che nulla ci dica l’amore che è nel cuore di Dio più dell’Eucaristia. E’l’unione consumata, è lui in noi e noi in lui.

150. Quanto si è felici quando si vive nell’intimità col buon Dio, quando si fa della propria vita un cuore a cuore con lui, un continuo scambio d’amore, quando si sa trovare il Maestro in fondo alla propria anima. Allora non si è più soli mai, si sente il bisogno della solitudine per gioire della presenza dell’Ospite adorato.

151. Avviciniamoci alla Vergine tutta pura, tutta luminosa, affinché ci introduca in colui che essa penetra così profondamente, e la nostra vita divenga così una continua continua comunione, tutta un moto spontaneo verso Dio.

152. Il nostro motto deve essere questa parola di san Paolo: La nostra vita è nascosta con Cristo in Dio.

153. La salute non le permette di stare occupata. Ma può restare con il Signore. Lo renda vivo con la sua fede, pensi che dimora dentro di lei, gli faccia sempre compagnia.

154. Per me la cella è qualcosa di sacro, è il santuario intimo dello Sposo, nulla che non sia per lui e la sua piccola sposa. Ci stiamo così bene tutti e due. Io taccio e ascolto … Che gioia non udire altra voce che la sua. Io l’amo! E continuo ad amarlo pur tirando l’ago e lavorando in questo ruvido saio che tanto ho desiderato indossare.

155. Dio è così buono che bisogna tutto sperare dal suo amore.

156. Che importa l’occupazione in cui [Dio] mi vuole? Dal momento che egli è sempre con me, l’orazione, il cuore a cuore non può averne fine mai. Lo sento così vivo nella mia anima, non ho che da raccogliermi per incontrarlo dentro di me e qui sta tutta la mia felicità.

157. La Professione [religiosa] nonè che un’aurora ed ogni giorno la mia ” vita di sposa ” mi appare più bella, più luminosa, più immersa nella pace e nell’amore.

158. Compresi che il mio cielo cominciava sulla terra, il cielo della fede, con la sofferenza e l’immolazione per colui che amo.

159. AI Carmelo gustiamo la calma, la pace di Dio. Apparteniamo a lui e stiamo sotto la sua protezione.

160. Gesù ha messo nel mio cuore una sete d’infinito e un bisogno così grande di amare che lui solo lo può saziare. Perciò vado a lui come il bambino alla mamma, affinché egli mi riempia di sé, m’invada, mi prenda e porti fra le sue braccia. Mi sembra che occorra essere semplici così col buon Dio.

161. La Regola è là, dal mattino alla sera, per esprimerci istante per istante, la volontà del buon Dio. Come amo questa Regola, che è la forma nella quale egli mi vuole santa!

162. Come è bello dare quando si ama! ed io l’amo tanto quel Dio che è geloso di avermi tutta per se. Sento tanto amore intorno alla mia anima. E’ come un oceano in cui mi getto e mi perdo.

163. Il sacrificio è un sacramento che ci dà Dio. Egli lo invia a quelli che ama e che vuole vicini a se.

164, Bisogna separarsi da tutto per possedere Colui che è tutto.

165. Noi siamo così deboli, anzi non siamo altro che miseria; ma il Signore lo sa bene, ed ama perdonarci. risollevarci e poi rapirci con se, nella sua purità, nella sua santità infinita.

166. Non ho che da amare Dio e lasciarmi amare, ad ogni istante, in ogni cosa: svegliarmi nell’amore, muovermi nell’amore, addormentarmi nell’amore, con l’anima nella sua anima, il cuore nel suo cuore, gli occhi nei suoi occhi, affinché attraverso il contatto egli mi purifichi, mi liberi dalla mia miseria.

167. Sono ” Elisabetta della Trinità “, cioè Elisabetta che scompare, si perde nei Tre e si lascia invadere da loro.

168. Mi sembra che i santi siano delle anime che ad ogni istante ” si dimenticano “, che si perdono in Colui che amano, senza ritorni su se stesse, senza rimpianti delle creature.

169. Quando viene la sera, dopo un dialogo d’amore che non è mai cessato nel nostro cuore, addormentiamoci ancora nell’amore. Forse vedremo dei difetti, delle infedeltà: abbandoniamole all’amore.E’ un fuoco che consuma. Facciamo così il nostro purgatorio nell’amore!

170. E’così bello essere bambini del buon Dio, lasciarsi portare sempre da lui, riposare nel suo amore.

171. E’ tutta la Trinità. che dimora in noi e sarà la nostra visione nel cielo.

172. Se guardo le cose dal lato terreno, vedo la solitudine ed anche il vuoto, perchè non posso dire che il mio cuore non abbia sofferto. Ma se il mio sguardo rimane sempre fisso su Cristo, mio astro luminoso, allora tutto il resto scompare ed io mi perdo in lui come una goccia d’acqua nell’oceano, in una calma e serenità sconfinata: la stupenda pace di Dio.

173. Lo Sposo divino scava abissi nella mia anima, abissi che lui solo può riempire. Per questo mi conduce dentro un silenzio profondo dal quale non vorrei uscire mai più.

174. C’è tanto da espiare, tanto da domandare e credo che per venire incontro a tante necessità bisogna diventare una preghiera continua ed amare molto: è così grande la potenza di un’anima abbandonata all’amore.

175. Eccomi divenuta una rispettabile zia … Non ho ancora visto la nipotina altro che in fotografia; me la devono condurre al primo raggio di sole ed è per me una gioia adorare la santissima Trinità in questa animuccia divenuta il suo tempio col battesimo: che che mistero!

176. Quale potenza esercita sulle anime l’apostolo che resta sempre unito alla sorgente delle acque vive! Allora la sua anima può traboccare e riversare tutt’intorno la vita senza vuotarsi mai, perchè comunica coll’Infinito.

177. Dio si china su di noi con tutta la sua carità, di giorno e di notte, per comunicarci, infonderci la sua. vita divina allo scopo di trasformarci in creature deificate che lo riflettano dovunque.

178. Lasciamoci invadere dalla linfa divina, che il Maestro sia la vita della nostra vita, l’anima della nostra anima e restiamo consapevolmente, giorno e notte, sotto la sua protezione divina.

179. Mi pare che le anime sulla terra e i glorificati nella luce della visione siano così vicini gli uni agli altri, perchè tutti sono in comunione con uno stesso Dio, con un medesimo Padre, che si dona agli uni nella fede e nel mistero, e sazia gli altri dei suoi splendori divini, ma è pur sempre lo stesso Dio che portiamo dentro di noi.

180. Gesù è il mio tutto, il mio unico tutto. Che gioia, che pace dona all’anima questo pensiero!

181. Non sono mai sola: il mio Cristo è qui, sempre orante in me, ed io mi unisco alla sua preghiera.

182. L ‘anima ha bisogno di silenzio
per adorare.

183. Che cosa vi può essere di più dolce che donare a Colui che si ama?

184. E’ la legge di quaggiù: il sacrificio accanto alla gioia. Il buon Dio vuol ricordarci che ancora non siamo arrivati al termine della felicità, ma vi siamo orientati e lui stesso vuole guidarci nelle sue braccia.

185. Una carmelitana deve essere una silenziosa, ma se la sua penna tace, la sua anima e il suo cuore dimenticano lo spazio per portarsi accanto a quelli a cui essa rimane profondamente unita.

186. E’ qualche cosa di così grande, di così divino la sofferenza! Mi sembra che se i Beati in cielo potessero invidiarci qualcosa, c’invidierebbero questo tesoro. E’ una leva così potente sul cuore del buon Dio!

187. Se tu conoscessi il Maestro, la preghiera non ti annoierebbe più. In realtà. è un riposo, una distensione. E’ un andare con tutta semplicità da colui che si ama.

188. Viviamo d’amore, d’adorazione, d’oblio di noi stessi, in una pace tutta gioia e confidenza, perchè noi siamo di Cristo e Cristo è di Dio.

189. Gesù è ancora e sempre vivo. Vivo nell’adorabile sacramento del tabernacolo, vivo nelle nostre anime … Poiché vive in noi, teniamogli compagnia come l’amico all’amico!

190. I santi, loro avevano appreso la vera scienza: quella che ci fa evadere dalle cose create, e soprattutto da noi stessi, per lanciarci in Dio e non vivere che di lui!

191. La vita del Carmelo è una comunione con Dio dal mattino alla sera e dalla sera al mattino. Se non fosse lui a riempire le nostre celle e i nostri chiostri, come tutto sarebbe vuoto! Ma noi lo scorgiamo in tutto perchè lo portiamo in noi, e la nostra vita è un cielo anticipato.

192. Il buon Dio talvolta fa attendere, ma la sua provvidenza paterna governa tutto.

193. Cerchiamo di essere per Cristo in certo modo un’umanità supplementare in cui egli possa realizzare tutto il suo mistero. lo l’ho pregato di stabilirsi in me come adoratore, come riparatore, come salvatore e non so dire quanta pace mi dà il pensiero che egli supplisce alle mie impotenze.

194. Se io cado ad ogni istante che passa, Gesù è pronto a rialzarmi e portarmi più avanti nella sua intimità, nell’abisso di quella essenza divina che abitiamo già. per la grazia e nella quale vorrei seppellirmi a tale profondità, che nulla potesse più farmene uscire.

195. Mio Dio, Trinità che adoro, aiutatemi a dimenticarmi interamente per stabilirmi in voi, immobile e’ quieta come se la mia anima fosse già nell’eternità; che nulla possa turbare la mia pace o farmi uscire da voi, mio immutabile bene, ma che ogni istante mi porti più addentro nella profondità del vostro mistero.

196. Sforziamoci di essere delle anime sacrificate! Vale a dire, delle anime sincere nel loro amore.

197. O Verbo eterno, Parola del mio Dio, voglio passare la mia vita ad ascoltarvi, voglio farmi tutta docilità per imparare tutto da voi. Poi, attraverso tutte le notti, tutti i vuoti, tutte le impotenze, voglio fissare sempre voi e restare sotto la vostra grande luce.

198. O Spirito d’ amore, scendete sopra di me, aflinche si faccia nella mia anima come un’ incarnazione del Verbo ed io sia per lui un’aggiunta d’umanità nella quale egli rinnovi tutto il suo mistero.

199. Mio Dio, pacificate la mia anima, fatene il vostro cielo, la vostra dimora preferita e il luogo del vostro riposo; che io non vi lasci mai solo, ma sia là tutta quanta, tutta desta nella mia fede, tutta in adorazione, tutta abbandonata alla vostra azione creatrice!

200. Sento la mia impotenza, o mio amato Gesù, e vi chiedo di rivestirmi di voi stesso, di immedesimare la mia anima con tutti i movimenti della vostra anima, di sommergermi, di invadermi, di sostituirvi a me, affinche la mia vita non sia che un’irradiazione della vostra vita.

201. Quando si fissa lo sguardo in questo mondo divino che ci avvolge fin da questo esilio e nel quale possiamo già muoverci, come si dileguano le cose di quaggiù!

202.E’ l’unione tutta intima con il Signore che forma la nostra vita al Carmelo, ne costituisce l’essenza e ci rende tanto cara la nostra solitudine.

203. Ci sono due parole che per me riassumono tutta la santità, tutto l’apostolato: ” unione, amore “.

204. Santifichiamoci per le anime: poiché siamo tutti membra d’un solo corpo, nella misura in cui possediamo la vita divina, potremo comunicarla e diffonderla
nel grande organismo della Chiesa.

205. Chiediamo al Bambino Gesù che ci consumi nella sua fiamma divina, in quel fuoco che è venuto a portare sulla terra.

206. Tutto consiste nel fare la volontà del buon Dio.

207. Perché Dio sia veramente il nostro re, eclissiamoci, dimentichiamoci, siamo soltanto la lode della sua gloria, secondo la bella espressione dell’ Apostolo.

208. Dio è il santo ed abita in noi allo scopo di salvarci, di purificarci, di trasformarci in lui.

209. Mi ha amato e si è sacrificato per me. Mi sembra che tutta la dottrina dell’amore, quello vero e forte, sia racchiusa in queste poche parole.

210. Ama sempre la preghiera… e quando dico la preghiera, non intendo tanto l’imporsi una quantità di preghiere vocali ogni giorno, ma quella elevazione dell’anima a Dio attraverso tutte le cose, che ci mette in una specie di continua comunione con la santissima Trinità, così semplicemente, facendo tutto sotto il suo sguardo.

211. Un’anima unita a Gesù è un vivente sorriso che lo riflette e lo dona.

212. La vita È una sequela di sofferenze e credo che i beati di questo mondo siano coloro che hanno scelto la croce come loro porzione di eredità, e l’hanno fatto per amore di Cristo.

213. Dobbiamo accettare tutto come se ci arrivasse direttamente dalla mano divina del Padre celeste che ci ama e si serve di tutte le cose per unirci più intimamente a lui.

214. Solo per la via della rinunzia si perviene al traguardo divino.

215. La morte non è altro che il sonno del bambino che si addormenta sul cuore della mamma. Finalmente la notte dell’esilio sarà tramontata per sempre, ed entreremo nel possesso dell’eredità dei Santi nella luce.

216. La mia anima: santuario interiore nel quale vivo giorno e notte con colui che è l’Amico di tutti i momenti.

217. Qui, sulla terra, tutto si compie nel sacrificio.

218. Che il Dio tutto amore sia la sua immutabile dimora, la sua cella e il suo chiostro in mezzo al mondo! Si ricordi ch’egli abita nel centro più intimo dell’ anima come in un santuario dove vuol essere amato senza posa fino all’adorazione.

219. Mi piace contemplare la croce. Essa mi rivela gli eccessi d’amore del mio Maestro e mi dice che l’amore non si paga che con l’amore.

220. Anche il matrimonio è una vocazione. Quanti Santi vi hanno glorificato Dio!

221. Più si dà a Dio, più egli si dà a noi.

222. Che mistero inafferrabile è la morte e, al tempo stesso, che atto semplice per chi è vissuto di fede!

223. Sono convinta che la carmelitana attinga realmente tutta la sua felicità a questa sorgente divina: la fede.

224. Uno solo È il segreto della nostra purezza verginale: restare nell’amore, cioè in Dio.

225. Guardi ad ogni sofferenza e ad ogni prova come ad una prova d’amore che le viene direttamente da parte del buon Dio per unirla a lui.

226. Credo che il segreto della pace e della felicità sia quella di dimenticarsi, di disinteressarsi di se stessi.

227. Mi sembra che l’ anima più debole, perfino la più colpevole, sia quella che ha più margine di speranza e l’atto che essa compie, per dimenticarsi e gettarsi nelle braccia di Dio, lo glorifichi più che tutti i ripiegamenti su se stessa.

228. Nulla deve sembrare un ostacolo per andare a Dio.

229. Sembrerà difficile dimenticarsi. Invece è tanto semplice. Basta pensare a Dio che abita in noi come nel suo tempio.

230. Non è guardando alla nostra miseria che saremo purificati, ma guardando a Colui che È tutto purezza e santità.

231. Facciamo il vuoto nella nostra anima perchè Cristo possa slanciarsi in essa e comunicarle quell’ eterna vita che è la sua.

232. La vita del sacerdote, come quella della carmelitana, è un avvento che prepara l’Incarnazione nelle anime.

233. Domandiamo a Gesù di renderci veri nel nostro amore, cioè di trasformarci in vittime di sacrificio,perchè mi sembra che il sacrificio non sia altro che l’amore tradotto in azione.

234. Ascoltiamo il Maestro nel silenzio dell’orazione! Egli È il Principio, che parla al di dentro di noi.

235. [Gesù] ad ogni istante del giorno voglio uscir da me stessa e, sotto il tuo sguardo soltanto, immolarmi in silenzio.

236. Beata l’anima che è arrivata al distacco totale! Essa ama veramente.

237. Il buon Dio ha tanto bisogno di sacrifici per compensare tutto il male che si fa, ed è una cosa, questa, così poco compresa nel mondo.

238. Forse andrò presto a perdermi nel focolare dell’amore. In cielo o in terra, che importa? Viviamo nell’amore e per glorificare l’Amore!

239. Il buon Dio mi fa comprendere nella sua luce quale tesoro è la sofferenza e non capiremo mai abbastanza fino a che punto egli ci ama quando ci prova.

240. Quando il velo cadrà, con quale gioia mi innabisserò fin nel segreto del volto divino! E’ qui che passerò la mia eternità. Nel seno di questa Trinità che già fu la mia dimora quaggiù nella terra.

241. Se hai da soffrire, pensa che sei più amato ancora e canta sempre ” grazie! “.

242. Vediamo nel Vangelo che il buon Dio vuole talvolta farci attendere, ma non rifiuta nulla alla fede, alla confidenza, all’amore. Bisogna “prenderlo dalla parte del cuore “, diceva una piccola carmelitana, morta in odore di santità! … [Santa Teresa di Lisieux].

243. La croce è un pegno dell’amore di Dio.

244. Nella solitudine della mia piccola infermeria, siamo cosi felici tutti e due. E’ un cuore a cuore [con Dio]
che dura notte e giorno. E’ così delizioso!

245. Prepariamo la nostra eternità, viviamo con Dio,perchè lui solo ci può accompagnare ed aiutare in questo grande passaggio.

246. E’ un segno di predilezione e di misericordia da parte del Maestro l’aver inviato questa malattia alla sua piccola sposa.

247. Il Signore ama i cuori forti e generosi.

248. Solo in Dio tutto È puro, bello e santo. Fortunatamente, fin da questo, esilio possiamo vivere in lui! E pertanto la felicità del mio Maestro basta a rendermi felice e mi abbandono ìn lui perchè faccia in me quello che desidera.

249. Quant’è dolce vivere nell’attesa dello Sposo!

250. Ah, come sarei felice se Dio volesse far cadere il velo e la mia anima potesse slanciarsi in lui e contemplare la sua bellezza in un eterno faccia a faccia! In questa prospettiva, vivo nel cielo della fede, al centro della mia anima, e mi studio di essere la felicità del Maestro, cercando di essere già sulla terra la lode della sua gloria.

251. Quali che siano i disegni del Maestro sopra di lei, viva con lui al di dentro.

252. Da vera figlia di santa Teresa, desidero essere apostolo per dare la più grande gloria a Colui che amo.

253. Sia fedele alla sua risoluzione, si eserciti nella via del sacrificio e della rinuncia,perchè questa dev’essere la grande legge per ogni vita cristiana.

254. La prospettiva di andare a vedere Colui che amo nella sua ineffabile bellezza, e di inabissarmi in quella Trinità che È stata il mio cielo già qui sulla terra, mi mette nell’anima una gioia immensa. Oh, quanto mi costerebbe tornare sulla terra! Mi sembra cosi vuota quando esco dal mio bel sogno.

255. Si ritiri nell’intimo della sua anima e vi troverà il suo Diletto pronto a farle tante grazie.

256. L’amore deve culminare nel sacrificio.

257. Quanto è soave e dolce la morte per le anime che non hanno amato che Dio, che, secondo il linguaggio di san Paolo, non hanno ricercato le cose visibili perchè sono passeggere, ma le cose invisibili perchè durano eterne!

258. Sono sempre qui sul mio lettino [di ammalata], completamente abbandonata nelle mani del Maestro, serena e contenta in anticipo per tutto quello che a lui piacerà.

259. Come in cielo non si dimenticano quelli che sono sulla terra, cosi io penso a quelli che ho lasciato e prego perloro.

260. Pensa che la tua anima è il tempio di Dio, ad ogni istante del giorno e della notte le tre Persone Divine abitano in te. Quando si ha coscienza di questo, si entra in una intimità davvero adorabile, non si è più soli mai.

261. La caratteristica dell’amore è di dare sempre e di sempre ricevere.

262. Oh, come sarei felice se il mio Maestro volesse anche che versassi il sangue per lui! Ma se non posso essere martire del sangue, voglio esserlo dell’amore.

263. Amare è tanto semplice, è l’abbandono a tutte le volontà del Maestro, come lui si è abbandonato a quelle del Padre; è dimorare in lui,perchè il cuore che ama non vive piùin se stesso, ma in colui che forma l’oggetto del suo amore; è soffrire con lui, raccogliendo con gioia ogni sacrificio, ogni immolazione che ci permettono di dare gioia al suo cuore.

264. Ci si immagina talvolta che nel chiostro non si sappia più amare, ma è vero tutto il contrario! Per parte mia non ho avuto mai più affettto di ora;
mi sembra che il mio cuore si sia dilatato.

265. Quale opera di distruzione sento in tutto il mio essere! E’la via del calvario che si è aperta ed io sono felicissima di camminarvi come una sposa accanto al divino Crocifisso.

266. La caratteristica dell’amore è di non ricercare mai se stesso, di non riservarsi nulla, ma di dare tutto a Colui che si ama.

267. Non perdiamo un solo sacrificio, ce ne sono tanti da raccogliere in una giornata!

268. Che importa ciò che sentiamo? Dio è l’immutabile, colui che non cambia mai. T’ ama oggi come t’amava ieri, come t’amerà domani, anche se lo hai fatto soffrire.

269. Sarebbe così bello ed io non me ne sento degna: partecipare alle sofferenze del mio Sposo Crocifisso ed andare incontro con lui alla mia passsione, per essere come lui redentrice.

270. Amo tanto la solititdine con Dio solo e conduco una piccola vita eremitica davvero deliziosa. Essa È lontana dall’essere esente da impotenze: ho bisogno anch’io di cercare il mio Maestro che sa nascondersi, ma allora risveglio la mia fede e sono piùcontenta di non godere della sua presenza, per far godere lui del mio amore.

271. Con quale pace, con quale raccoglimento Maria si avvicinava ad ogni cosa, faceva ogni cosa! Come anche le cose più banali erano da lei divinizzate! In tutto e per tutto la Vergine restava in adorazione del dono di Dio. E questo non le impediva di prodigarsi al di fuori, quando si trattava di esercitare la carità.

272. Una ” lode di gloria ” È una anima di silenzio, che si tiene come una lira sotto il tocco dello Spirito Santo per farne uscire delle armonie divine. Essa sa che la sofferenza È una corda che produce dei suoni piùbelli ancora ed ama farsene il suo strumento per commuovere più deliziosamente il cuore di Dio.

273. La Trinità, ecco la nostra dimora, la nostra casa, la casa paterna dalla quale non dobbiamo uscire più. Il Signore l’ha detto un giorno: Lo schiavo non dimora sempre nella casa, ma il figlio vi dimora sempre.

274. E’ così semplice l’intimità con Dio e riposa piùche stancare, come un bambino si riposa sotto lo sguardo della mamma.

275. Una ” lode di gloria ” è una anima che dimora in Dio, che lo ama di un amore puro e disinteressato, senza ricercare se stessa nella dolcezza di questo amore, che lo ama al di sopra di tutti i suoi doni come se nulla avesse ricevuto, fino a desiderare il bene dell’oggetto così amato.

276. Se sapessimo apprezzate il valore della sofferenza, ne saremmo affamati.

277. Le ricchezze immense che Dio ha per natuta, noi le possiamo conquistare mediante I’amote, che fa vivere Dio in noi e noi in Dio.

278. Una ” lode di gloria ” È uno specchio che tiflette Dio in tutto ciò che egli è, è come un abisso senza fondo in cui egli può fluire ed espandersi.

279. Come soddisfare le esigenze dello sguardo divino, se non restando semplicemente e amotosamente volti verso di lui,perchè possa riflettere in noi
la sua immagine, come il sole si riflette attraverso un limpido cristallo?

280. La forma dell’ anima è Dio, che deve imprimersi in lei come il sigillo sulla cera, come la matca sul proprio oggetto.

281. Con calma e forza, insieme con il divino Crocifisso, saliremo anche noi il calvario cantando nel profondo delle nostre anime e facendo salire verso il Padre un inno di ringraziamento, perchè quelli che camminano per questa via dolorosa sono proprio coloro che egli ha conosciuto e predestinato per essere conformi all’immagine del Figlio suo divino, il Crocifisso per amore.

282. L’amore, ecco ciò che attira, che trascina Dio alla sua creatura. Non un amore di sensibilità, ma quell’amore forte come la morte e che le grandi acque non possono estinguere.

283. Finchè la nostra anima ha dei capricci estranei all’unione divina, delle fantasie di si e no, restiamo allo stato d’infanzia, non camminiamo a passi di gigante nell’amore,perchè il fuoco non ha ancora bruciato tutta la scoria, l’oro non è puro, siamo ancora i cercatori di noi stessi, Dio non ha consumato tutta la nostra ostilità a lui.

284. Quotidie morior. Muoio ogni giorno. Diminuisco, rinunzio ogni giorno più a me stessa,perchè il Cristo cresca e sia esaltato in me.

285. Dimorate in me! E’il Verbo di Dio che dà quest’ordine, che esprime questa volontà. Dimorate in me non per qualche istante, qualche ora che deve passare, ma dimorate in modo permanente, abituale. Dimorate in me, pregate in me, adorate in me, amate in me, soffrite in me, lavorate, agite in me.
Dimorate in me per essere presenti ad ogni persona e ad ogni cosa.

286. Saremo glorificati nella misura in cui saremo stati conformi all’immagine del Figlio divino. Contempliamo perciò quest’ Immagine adorata, teniamoci senza posa sotto la luce che da lei emana, affinchè s’imprima in noi. Poi andiamo a tutte le cose con quell’atteggiamento dell’anima col quale vi andava il nostro Maestro santo.

287. Mai ,l’umile collocherà Dio troppo in alto o se stesso troppo in basso.

288. Si scires donum Dei! Vi è una creatura, Maria, che conobbe questo dono di Dio, una creatura che non ne perdette neppure una goccia, una creatura che fu tanto pura e luminosa da sembrare la luce stessa. “Speculum iustitiae “: una creatura la cui vita fu così semplice e perduta in Dio, che è quasi impossibile parlarne.

289. Adoriamo Dio in spirito, cioè, teniamo il cuore e il pensiero fissi in lui, lo spirito pieno della sua conoscenza, mediante il lume della fede. Adoriamolo in verità, cioè, con le nostre opere, perchè è soprattutto attraverso le nostre azioni che siamo veri. Ciò equivale a far sempre quello che piace al Padre, di cui siamo figli.

290. Aiutami a preparare la mia eternità: sembra che la strada non sia più tanto lunga.

291. Oh, non l’ho mai tanto amata come ora la santa Vergine! Piango di gioia pensando che questa creatura tutta serena, tutta luminosa, È mia madre.

292. poiché è l’amore che unisce l’anima a Dio, più intenso è l’amore, più essa entra profondamente in Dio e si concentra in lui.

293. Ogni circostanza, ogni avvenimento, ogni sofferenza come ogni gioia, è un sacramento che ci dà Dio.

294. Nell’ attesa che il Padre mi glorifichi, voglio essere la lode incessante della sua gloria.

295. Con il Maestro divino si accomoda tutto tanto facilmente.

296. Guardando lassù, è un riposo per l’anima, se si pensa che il cielo È la casa del Padre, che vi siamo attesi come figli tanto amati che tornano al focolare dopo un periodo di esilio, e che per condurci a quella meta Dio stesso si è fatto nostro compagno di viaggio.

297. So bene che il buon Dio esaudisce le preghiere dei piccoli ed io sono la sua bambina. Egli si comporta con me come una mamma piena di tenerezza.

298. La beatitudine mi attira sempre di più. Ormai tra il Maestro e me non si tratta che di questo e tutta la sua occupazione non mira che a prepararmi alla vita eterna.

299. Desid’ererei tanto che il Padre potesse riconoscere in me l’immagine del Crocifisso per amore, poiché san Paolo, il mio caro Santo, dice che Dio nella sua prescienza ci ha predestinato a questa rassomiglianza e conformità.

300. Ah, come vorrei dire a tutte le anime quali sorgenti di forza, di pace e anche di felicità troverebbero se acconsentissero a vivere in questa intimità [col Signore]. Esse però non sanno aspettare. Se Dio non si dà loro in maniera sensibile, abbandonano la sua santa presenza, e, quando egli arriva armato di tutti i suoi doni, non trova nessuno: l’anima è al di fuori, nelle cose esteriori, non abita più nel proprio intimo.

301. Che gioia credere che Dio ci ama fino al punto di abitare in noi, di farsi il compagno del nostro esilio, il confidente, l’amico di tutti i momenti!

302. Se cado ad ogni istante, nella fede, con piena confidenza, da Gesù mi farò rialzare. So che mi petdonerà e cancellerà tutto con cura gelosa, soprattutto mi spoglierà e libererà da tutte le mie miserie, di quanto in me si oppone all’azione di Dio.

303. L’ anima che, attraverso la profondità del suo sguardo interiore, contempla in tutte le cose Dio nella semplicità che da tutto la separa, è un’anima ” risplendente “, è un giorno che trasmette al giorno il messaggio della sua gloria.

304. Ecco una verità tanto consolante. Le mie impotenze, i miei disgusti, le mie oscurità, le mie stesse colpe narrano la gloria dell’ Eterno. Anche le mie sofferenze dell’anima e del corpo narrano la gloria del mio Maestro.

305. E’ la fede, la bella luce della fede che m’ illumina. Essa sola deve rischiarare il mio cammino incontro allo Sposo.

306. L’anima che conserva ancora qualche cosa nel suo dominio interiore, le cui potenze non sono tutte ” incluse ” in Dio, non può essere una perfetta ” lode di gloria “, non è in grado di cantare senza interruzione quel canticum magnum di cui parla san Paolo.

307. L’ anima che vuole servire Dio notte e giorno nel suo tempio, voglio dire il santuario interiore di cui parla San Paolo quando dice: Il tempio di Dio è santo, e voi siete questo tempio, quest’anima deve essere decisa a prendereparte, realmente, alla passione del suo Maestro.

308. Anche la preghiera della vergine, come quella di Cristo, fu sempre questa: Ecce Eccomi! Chi? L’ ancella del Signore, l’ultima delle sue creature, lei, la sua Madre! Fu cosi
vera nella sua umiltà,perchè fu sempre dimentica, ignara, libera di se stessa.

309. Un’anima che discute sul proprio io, che s’occupa delle sue sensibilità, che tien dietro ad un pensiero inutile, ad un qualunque desiderio, quell’anima disperde le sue forze, non è tutta ordinata a Dio … la sua lira non vibra all’unisono, e quando il Maestro la tocca, non può cavarne armonie divine. Vi è ancora troppo d’umano, È come stonata.

310. Quando sarò totalmente identificata con questo divino esemplare [il Crocifisso], tutta passata in lui, e lui in me, allora adempirò la mia vocazione eterna, quella per la quale Dio mi ha scelta in Cristo ” in principio “, quella che seguirà” in aeternum “, allorche, lanciata
nel seno della mia Trinità, sarò l’incessante lode della sua gloria.

311. La mia anima È sempre tra le mie mani. Sono le parole che risuonavano nell’anima del Maestro, ed ecco perché , in mezzo a tutte le angosce, egli restava sempre il Mite, il Forte. La mia anima è sempre tra le mie mani … che altro significano queste parole se non il perfetto possesso di se alla presenza del Dio della pace, del Re Pacifico?

312. La Vergine conservava queste cose nel suo cuore. Tutta la sua vita si può riassumere in queste poche parole. Viveva nel suo cuore, a tale profondità, che lo sguardo umano non la può seguire. Quando leggo nel Vangelo che Maria percorse in tutta fretta le montagne della Giudea, per andare a compiere il suo ufficio di carità presso la sua cugina Elisabetta, la vedo passare così bella, così calma e maestosa, tutta raccolta dentro di sé col Verbo di Dio.

313. Nescivi. – Non so più niente! , non voglio sapere più niente al di fuori della conoscenza di lui, della comunione alle sue sofferenze, della conformità alla sua morte.

314. L’adorazione È una parola del cielo più che della terra. Mi sembra che si possa definire l’estasi dell’amore. E’ l’amore schiacciato dalla bellezza, dalla forza, dalla grandezza immensa dell’oggetto amato, che cade in una specie di deliquio, in un silenzio pieno e profondo … È la lode piùbella,perchè È quella che si canta in seno alla beata Trinità.

315. Fissiamo il Maestro, e questo sguardo di fede semplice e amoroso ci separi da tutto e metta come una nube tra noi e le cose di quaggiù.

316. Se tu sapessi il dono di Dio e chi È colui che ti crocifigge! E’ l’Amore!

317. Mi sembra di aver trovato la mia abitazione: È quest’immenso dolore che fu quello del Maestro, in una parola, È lui stesso, l’Uomo dei dolori.

318. Se il buon Dio non mi guarisce, è perchè questo È il suo beneplacito: vedere la sua piccola ostia in stato di immolazione.

319. Tutta la Trinità: abita nell’anima che ama nella verità, cioè custodendo la sua parola.

320. Ah, non disprezziamo la nostra felicità! Senza dubbio la natura può avere le sue angosce di fronte alla sofferenza. Il Maestro ha voluto Conoscere quest’umiliazione, ma la volontà deve intervenire per dominare ogni impressione e dire al Padre: Sia fatta la tua volontà e non la mia!

321. Alla luce dell’eternità, l’anima vede le cose al punto giusto. Oh, come tutto ciò che non è stato fatto per Iddio e con Dio è vuoto!

322. La vita è una cosa tanto seria: ogni minuto ci è stato dato per radicarci di più in Dio, secondo l’espressione di San Paolo,perchè sia più sorprendente la nostra somiglianza col nostro divino modello, più intima l’unione. Ma per realizzare questo piano, che è quello di Dio stesso, ecco ii segreto: ” dimenticarsi, mettersi in disparte “, non tener conto di se, guardare al Maestro, non guardare che a lui, ricevere in egual modo, come direttamente provenienti dal suo amore, la gioia o il dolore, questo colloca l’anima ad altezze tanto serene.

323. La sposa appartiene allo sposo. Il mio Gesù mi ha presa. Vuole che sia per lui una ” umanità aggiunta ” nella quale egli possa ancora soffrire per la gloria del Padre, per correre incontro ai bisogni della sua Chiesa.

324. Oh, come comprendo il valore della sofferenza! Non credevo che tanta dolcezza si nascondesse nel fondo del calice e vado ripetendo che la felicità, che ho trovato al Carmelo, così grande, così vera, aumenta in proporzione della sofferenza.

325. Non ho paura della mia debolezza. Da qui deriva la mia confidenza perchè il Forte è in me e la sua virtù è onnipotente. Essa opera, dice l’ Apostolo, al di là di ciò che possiamo operare noi.

326. Dio ha tanto amato la compagnia del dolore che l’ha scelta per il suo Figlio e il Figlio si è coricato su questo letto e si è accordato con il Padre in questo amore.

327. Mai il cuore del Maestro fu così traboccante d’amore come nell’istante supremo in cui stava per lasciare i suoi!
Mi sembra che accada qualche cosa di analogo nella sua piccola sposa, alla sera della sua vita, ed io sento come un’onda che sale dal mio cuore fino al suo! …

328. Un’ anima che vive unita a Dio non fa che del soprannaturale, e le azioni più banali, anziché separarla da lui, la ravvicineranno invece sempre di più.

329. E’ il buon Dio che si compiace di immolare la sua piccola ostia, ma questa messa che egli celebra insieme con me e di cui il suo amore è il sacerdote, Può durare molto tempo ancora: la piccola vittima non trova lungo il tempo tra le mani di colui che la sacrifica e può dire che, se attraversa il sentiero della sofferenza, molto più ancora si trova sulla strada della felicità, del vero, di colui che nessuno le potrebbe rapire.

330. La sofferenza mi attira sempre di più, questo desiderio la vince quasi su quello del cielo, che pure era fortissimo.

331. Mi sembra che felici in questo mondo siano coloro che hanno abbastanza disprezzo e dimenticanza di sé per scegliere la croce come loro eredità.

332. Ad ogni nuova sofferenza bacio la croce del mio Maestro e gli dico: ” grazie, non ne sono degna “,perchè penso che la sofferenza fu la compagna della sua vita ed io non merito di essere trattata come lui dal Padre suo.

333. L’orgoglio si pasce dell’amore di sé. Ebbene, bisogna che l’amore di Dio sia così forte, da spegnere ogni amore di noi stessi.

334. Il Maestro mi ha ricordato che egli è la mia dimora e non spetta a me scegliere le mie sofferenze. Mi getto perciò con lui nel mare del dolore con tutte le sue paure e le sue angosce.

335. Che splendido ideale la morte per coloro che Dio ha custodito per se e che non hanno ricercato le cose visibili, perchè sono passeggere, ma le cose invisibili,perchè sono eterne!

336. Mi sento cosi disfatta, cosi sfinita che vorrei gettare un grido! Ma l’Essere che è la pienezza dell’amore mi viene a visitare e mi fa compagnia concedendomi la sua intimità e facendomi comprendere che non mi risparmierà sofferenze fino a tanto che sarò sulla terra.

337. Sento che il Maestro incalza. Non mi parla più che dell’eternità d’amore, in tono sempre più grave, più serio: vorrei vivere cosi intensamente ogni minuto!

338. Noi non dovremmo avere altro ideale che di conformarci a questo modello divino [Gesù Crocifisso]. Quale ardore ci porterebbe al sacrificio, al disprezzo di noi stessi, se avessimo sempre gli occhi del cuore orientati verso di lui!

339. Come è bello vivere qui al Carmelo! Credo che lo lascerò presto per il cielo, ma il passaggio mi sembra tanto semplice e l’attesa tanto dolce per la sposa che aspira a vedere nella sua grande luce Colui che ama!

340. Sulla mia croce, dove gusto gioie sconosciute, comprendo che il dolore è la rivelazione dell’amore ed io mi ci precipito. E’ la mia residenza prediletta, è là che trovo la pace e il riposo, là dove sono sicura di incontrare il Maestro e di dimorare in lui.

341. Prima di morire, sogno di essere trasformata in Gesù Crocifisso e questo mi dà tanta forza nella sofferenza.

342. Mai la mia felicità È stata così grande, così vera come dopo che Dio si è degnato associarmi ai dolori del divino Crocifisso, perchè soffra nella mia carne quel che manca alla sua passione, come diceva san Paolo.

343. Non posso dire di amare la sofferenza in se stessa, ma l’amo perchè mi rende conforme a colui che è il mio Sposo e il mio amore.

344. Come si vive di fede al Carmelo e come l’immaginazione e il sentimento sono esclusi dai nostri rapporti con Dio!

345. Oh, se tu sapessi come la sofferenza è necessaria perchè si compia nell’anima l’opera di Dio!

346. E’una gioia cosi grande per il buon Dio vedere un’anima riconoscere la propria incapacità.

347. Ho compassione profonda per le anime che non vivono più su dellaterra e delle sue banalità. Penso che sono delle schiave e vorrei dir loro: Scuotete questo giogo che pesa su di voi, che ne fate di questi ceppi che v’ incatenano a voi stesse e a cose inferiori a voi?

348. Il buon Dio ha un desiderio immenso di arricchirci delle sue grazie, ma siamo noi che ne fissiamo la misura nella proporzione in cui ci lasciamo immolare da lui, immolare nella gioia, nel rendimento di grazie, come il Maestro, dicendo con lui: Non berrò il calice, che il Padre mio mi ha preparato?

349. Bisogna prendere coscienza che Dio si trova nel più intimo di noi ed affrontare tutto con lui. Allora non si è mai banali, neppure facendo le azioni più ordinarie,perchè non si vive in queste cose, ma si va al di là di esse.

350. Quando si sa porre la propria gioia nella sofferenza, che pace deliziosa!

351. Come sono felice al pensiero che il Maestro verrà presto a prendermi!

352. Sono tutta presa dalla Passione e quando si vede tutto ciò che il Maestro ha sofferto nel cuore, nell’anima, nel corpo, si sente come il bisogno di ricambiargli tutto questo: sembra che si desidererebbe soffrire tutto quello che egli ha sofferto.

353. L’amore sia il suo chiostro e lo porti così sempre con se e troverà la solitudine in mezzo al rumore e alla folla.

354. Nutri la tua anima dei grandi pensieri della fede, che le rivelano tutta la sua ricchezza e il fine per il quale Dio l’ha creata.

355. Un’anima soprannaturale non tratta mai con le cause seconde, ma solo con Dio. Allora È veramente grande, veramente libera,perchè essa ha incluso la sua volontà in quella di Dio.

356. Penso di andare presto in seno alla luce e all’amore.

357. Un’anima che vivesse nella fede, sotto lo sguardo di Dio, che avesse quell’occhio semplice di cui parla il Cristo nel Vangelo, cioè quella purezza d’ intenzione che non mira che a Dio, quell’ anima, mi sembra, vivrebbe anche nell’umiltà e saprebbe riconoscere i doni che egli le ha elargito,perchè l’umiltà è verità. Non s’approprierebbe di nulla, ma tutto riferirebbe a Dio, come faceva la santa Vergine.

358. Quando ci si presenta una grande sofferenza o un minimo sacrificio, oh, pensiamo immediatamente che è la
nostra ora, l’ora in cui ci disponiamo a dare la prova del nostro amore a Colui, che ci ha amato troppo.

359. Mi sembra che l’anima più libera sia quella piùdimentica di sé. Se mi si chiedesse il segreto della felicità, direi che sta nel non tenere più conto di se, nel negarsi ogni momento. Ecco un buon modo di far morire l’orgoglio. E’ come un prenderlo per fame.

360. Ogni anima gettata nella sofferenza vive a fianco del Maestro; essa abita con Gesù Cristo quell’ immensità del dolore che ha cantato il profeta: è la dimora dei predestinati, di coloro che il Padre ha conosciuto e che vuole conformi al suo divin Figlio, il Crocifisso

361. Vorrei gridare a tutte le anime e dir loro la vanità, il nulla di tutto quello che passa senza essere fatto per Iddio

362. Mi rifugio interamente nella preghiera del Maestro e resto piena di fiducia nella sua vlrtù onnipotente

363. Mi sembra che in cielo la mia missione sarà quella di attirare le anime aiutandole ad uscire da se $tesse per aderire a Dio, con un moto tutto spontaneo e pieno d’amore, e di tenerle in quel grande silenzio interno, che permette a Dio d’imprimersi in loro, di trasformarle in lui stesso.

364. La mia mano non può più tenere la penna … E’ arrivato, credo, il grande giorno, cosi ardentemente desiderato, del mio incontro con lo Sposo, uncamente amato, adorato.

365. In quest’ultima ora del mio esilio, in questa bella sera della mia vita, come tutto mi appare nella sua importanza alla luce che viene dall’eternità!

366. A Dio, lo ringrazi per me, perchè la sua bontà È immensa. Le dò appuntamento nell’eredità dei Santi.

367. Viviamo d’amore per morire d’amore e glorificare il Dio tutto amore!

 

Padre Aldo Trento : Solo l’ubriaco dimentica che «verrà la morte e avrà i tuoi occhi» Guarda che l’unica cosa che serve per vivere e per morire è Cristo!

 

Di Padre Aldo Trento

Mentre i disorientati giocavano a fare Halloween, noi che ancora amiamo e usiamo la ragione ci apprestavamo a vivere il giorno di Ognissanti e la commemorazione dei defunti. Due date differenti: 1 e 2 novembre. Due giorni dedicati agli estinti, ma ontologicamente una cosa sola. Perché? Chi sono i santi? Sono tutti quei defunti che hanno vissuto la loro vita con la coscienza più o meno chiara della loro relazione con il Mistero. Quei defunti che hanno preso sul serio la loro umanità, il loro cuore, inteso non come metro di misura del mondo, ma come finestra aperta sulla realtà. I santi sono coloro che hanno raggiunto, superando la barriera della morte, la visione piena di Dio, che nel vecchio catechismo si chiamava paradiso. La Chiesa attraverso questa doppia festività vuole ricordarci, e risvegliare in ciascuno di noi, il destino. La Chiesa, nella sua vocazione divina, è chiamata a dirci che la morte restituisce all’essere umano la verità della vita, il destino ultimo per cui siamo stati creati. Il 2 novembre, giorno dei morti, a meno di non aver anestetizzato il raziocinio, non possiamo non porci tutti davanti alla realtà della morte, guardandola dritta in faccia.

Solo lo sciocco può eliminarla, solo “l’ubriaco” può scordare quanto scritto nella bella poesia di Cesare Pavese: «Verrà la morte e avrà i tuoi occhi». I tuoi occhi, non quelli della fidanzata o del fidanzato, dello sposo o della sposa, degli amici, dei tuoi parenti, degli altri. No, no, no. Avrà i tuoi occhi, avrà il tuo nome, il tuo cognome, e si porterà via tutto ciò che hai, quello che hai idolatrato, ciò in cui hai riposto la tua fiducia, la tua ragione di vita. Ti strapperà via dalla tua casa, portandoti dove il tuo corpo ritornerà ad essere terra. Nella confusione che molte volte ci domina, la morte mette in chiaro tutto.

Non si tratta di un’affermazione bensì di un fatto, senza “se” e senza “ma”: perché ci mette davanti all’eterno e ci pone una domanda alla quale non possiamo sfuggire, che non possiamo evitare, se non venendo meno alla natura del nostro cuore: cosa supera la barriera della morte? Risposta: solo ciò che è vero.Per questo la morte porta in sé un giudizio su ciò che realmente vale e su ciò che è inutile, e questo è l’ultimo gesto di amicizia che una persona che se ne va ci offre. È come se dicesse a tutti: «Attenzione, tutto ciò che non supera questa barriera non vale, non serve». Pertanto la morte è l’invito più potente che il Mistero può porgerci per vivere di fronte all’eterno. Possiamo scegliere di guardare alla morte come a una disgrazia, invece è la porta che ci apre definitivamente all’incontro con l’Amato, con l’oggetto unico al quale aspira e anela il nostro cuore. Quando una persona amata se ne va, è come se ci dicesse: «Guarda che l’unica cosa che serve per vivere e per morire è Cristo. È l’unica opzione risolutiva, l’unica capace di accompagnarci nella vita e di accompagnarci alla morte. Tutto quello che non contiene questa finalità non ci fa vivere, e nemmeno serve per morire».

Cosa ho io più delle bestie?

Osservando ogni giorno, nella clinica Divina Providencia “San Riccardo Pampuri”, morire di Aids o di tumore davanti ai miei occhi spesso ragazzi giovanissimi, mi viene sempre in mente la frase di san Gregorio Nazianzeno: «Se non fossi tuo, mio Cristo, mi sentirei una creatura finita. Sono nato e mi sento dissolvere. Mangio, dormo, riposo e cammino, mi ammalo e guarisco, mi assalgono senza numero brame e tormenti, godo del sole e di quanto la terra fruttifica. Poi io muoio e la carne diventa polvere come quella degli animali che non hanno peccati. Ma io cosa ho più di loro? Nulla, se non Dio. Se non fossi tuo, Cristo mio, mi sentirei creatura finita». Che bomba, che provocazione nella vita di un uomo che sia impegnato seriamente con la sua vita, queste parole più dense del piombo e più vere dell’aria che respiriamo! Quando ero piccolo, i miei genitori e i miei professori erano soliti ripetermi come un ritornello: «Ricorda che un giorno morirai. Come e quando non ti è dato saperlo. Però sai che la morte è certa e che la vita è breve. Hai soltanto un’anima, e se la perdi che ne sarà di te?». Queste parole mi spaventavano, però col tempo mentre crescevo in consapevolezza ho capito la profondità del loro contenuto, il che mi ha permesso di prendere sul serio la vita, di cercare ciò che vale la pena, ciò che è eterno e non si corrompe, e a domandarmi: cosa può colmare davvero il mio cuore? A cosa serve all’uomo conquistare il mondo, se perde se stesso?

Non possiamo dimenticare che la stessa filosofia nacque come umano tentativo di risolvere il problema della morte. E non esiste tra gli uomini esperienza religiosa che non abbia portato in seno questa idea, e quella conseguente di premio o castigo in ciò che ci aspetta dopo la morte. Censurarlo è negare l’uomo, è eliminare la sua razionalità che si esprime con queste domande chiare e precise: qual è il senso ultimo della vita? Perché esiste il dolore? Cosa c’è dopo la morte? Solo gli idioti censurano questa verità primigenia, che nasce con la ragione non appena un bambino comincia a rendersi conto della realtà. Tragicamente, oggi si cerca di eliminare il fatto che «verrà la morte e avrà i tuoi occhi». La medicina totalmente ideologizzata, il culto del corpo, i funerali come manifestazioni sociali dove tra ciarle e bevute si finge di condividere il dolore altrui, sono tutte prove evidenti del caos in cui è caduta la società, il caos della ragione.

Come un ladro nella notte

Finché non arriva la morte cerchiamo disperatamente di ridurla a spettacolo, a commedia. Sarebbe sufficiente entrare in uno di questi “postriboli” che sono le veglie funebri per renderci conto che questa è la realtà: tutto è organizzato per non pensare, per non farsi provocare dalla verità che «verrà la morte e avrà i tuoi occhi». Il poeta inglese Thomas Stearns Eliot qualche decina di anni fa affermava che la Chiesa è odiata perché ricorda al mondo la verità della morte, la verità del destino ultimo dell’uomo. E Gesù lo ripete molte volte nel Vangelo quando avverte: «Vigilate, perché non sapete il giorno né l’ora», o ancora: «Quel giorno (quello della morte) verrà come un ladro». O nella parabola del ricco proprietario terriero che avendo raccolto il quadruplo dell’anno precedente abbatte i granai che già possiede per costruirne uno più grande, e godendo per tanta ricchezza comincia a dirsi: «Anima mia, hai molti beni conservati per molti anni, riposati, mangia, bevi, rifocillati». Però nella notte una voce gli dice: «Sciocco, questa notte verranno a chiederti la tua anima. E tutto quello che hai messo da parte, di chi sarà?».

L’ansia di fuggire

Mentre Halloween è l’anestesia della ragione, che si annulla in pazzia, la festa di Ognissanti e la commemorazione dei defunti rappresentano l’evidenza della ragione nel suo massimo splendore. È inutile il tuo tentativo di fuggire la morte rifugiandoti nell’orgia del potere, del sesso, dell’avarizia, perché tutto passa, e «verrà la morte e avrà i tuoi occhi»: i miei, i tuoi, quelli di Lugo (presidente del Paraguay, ndr), dei suoi ministri, dei suoi parlamentari, dei ricchi, dei poveri. Il problema è: come fare a prepararsi alla morte, e affrontare il giudizio di Dio? Signori ministri della Corte, voi che in modo arrogante maneggiate il futile potere che avete, tenete a mente che la morte è a lato delle vostre scrivanie e che presto vi porterà con sé? E che ne sarà di quelli che molte volte, spinti dalla superficialità e dall’ansia di potere e di denaro, hanno perso la dignità chiamando giustizia ciò che semplicemente e razionalmente era ingiustizia? Si ricordano del giudizio di Dio, che userà con loro lo stesso metro di misura che oggi adoperano? Ma non ci sarà più nessuno che potrà aiutarli e men che meno difenderli, perché il giudizio di Dio è inappellabile. Ciascuno raccoglie ciò che semina. In questo mondo la giustizia divina si chiama misericordia, dopo la morte si chiama semplicemente giustizia. Vale a dire che ognuno ha quel che si merita.

E vale ancora l’antico detto: «Memorare novissima et in aeternum non pecabis» (ricorda le verità ultime della vita – morte, giudizio, inferno, paradiso – e non peccherai mai). Nei miei quasi quarant’anni di sacerdozio non ho visto nessuno, neanche tra gli orgogliosi atei (si definiscono così mentre hanno la pancia piena e tutto funziona molto bene a livello materiale, però poi…), che accostandosi alla morte non abbia tremato davanti a ciò che essa è e significa.

PADRE ALDO TRENTO: Che bello poter chiamare la morte nostra sorella! Novissimi: morte, giudizio, inferno e paradiso

 

di Padre Aldo Trento

«Verrà e avrà i tuoi occhi» signor magistrato, che ti prostituisci al denaro e al potere illudendoti di poter comprare la felicità degli altri. «Verrà e avrà i tuoi occhi» signor avvocato, poco scrupoloso e avido di denaro che inganni l’orfano e la vedova e pretendi da chi è nel bisogno quello che non hai seminato. «Verrà e avrà i tuoi occhi» signor capo del governo, signori ministri, parlamentari, consiglieri, che invece di cercare il bene comune delle persone umili creando leggi che nascono dalla voce della realtà e dalle vere necessità del popolo, imponete le vostre ideologie, favorendo i vostri interessi personali o quelli dei potenti. Voi che vendete la cultura del nostro popolo che invece è ancora legata alla concezione dell’uomo maschio e femmina, al diritto esclusivo e inderogabile dei genitori all’educazione dei figli e che crede nella famiglia monogamica ed eterosessuale. Voi che cancellate la nostra tradizione sostituendola con proposte legislative inumane e irrazionali, che pervertono l’ordine antropologico e cosmico stabilito dal Creatore. «Verrà e avrà i tuoi occhi» signor contadino senza terra o che abiti nel pantano e che invece di lasciarti educare preferisci rimanere in quella deplorevole ignoranza. continuando a mendicare e approfittando degli altri. «Verrà e avrà i tuoi occhi» monsignore, reverendo, che approfitti della tua condizione e del tuo ministero, che hai perseguito la carriera, il potere, gli interessi personali invece di essere un appassionato amministratore dei misteri divini, dimenticando quello che, nel momento in cui un cardinale è eletto Papa, canta la millenaria tradizione della Chiesa: «Sic transit gloria mundi» (Così passa la gloria di questo mondo). «Verrà la morte e avrà i tuoi occhi» caro sacerdote che hai abbandonato la tua vocazione a favore della politica o del potere, convinto che ciò che neppure Cristo ha potuto fare sia invece alla tua portata.

Il grido di Pavese

«Verrà la morte e avrà i tuoi occhi» diceva il poeta Cesare Pavese. Quanto è realistico, quanto è saggio in questo mese, in cui la Chiesa propone la commemorazione dei defunti, poter guardare in faccia la morte senza paura, ma con sincerità, in un mondo che vive nell’illusione di superare questo limite. E infine – forse presto, vista l’età – arriverà anche la mia morte e tutto quel che ho fatto finirà e se, invece di cercare la gloria di Dio, ho cercato la mia, che il Signore abbia pietà di me. «Memento mori» (ricorda che morirai) era il modo in cui si auguravano il buon giorno i certosini, i monaci dei monasteri di clausura, che vivevano completamente per il Signore. E con la consapevolezza di questa indiscutibile verità crearono la civiltà dell’Europa e delle Riduzioni gesuitiche perché non c’è nulla, quanto la familiarità con la morte, che risvegli il dinamismo della ragione trasformandola in operatività, in lavoro. La morte rimanda all’eternità, e come affermava il grande architetto Gaudí: «L’uomo lavora soltanto quando la sua prospettiva è l’eternità». La filosofia stessa è nata come tentativo della ragione di risolvere il problema della morte, con tutti gli interrogativi nati da questa verità che nemmeno i peggiori atei possono negare. Nel corso della storia umana questo è stato l’enigma più crudele, più difficile da risolvere e nessun essere umano, neppure la genialità della filosofia greca, è riuscito a dare una risposta chiara, definitiva, che darà soltanto il Mistero attraverso l’incarnazione di suo Figlio. I miti, l’immaginazione, i diversi tentativi di rispondere a questo dramma che questa realtà ha suscitato anche nei geni dell’antichità, sono stati un interessante punto di arrivo della ragione umana, dato che tutti riconoscono l’esistenza di un aldilà cui tutti siamo destinati. Tutti hanno affermato che l’essere umano non può finire nel nulla, tutti hanno riconosciuto che il cuore, l’intelligenza umana hanno come scopo l’Infinito, senza il quale l’esistenza stessa sarebbe assurda e il suicidio sarebbe il gesto più logico del mondo. Ma non soltanto i geni del passato, anche la stessa filosofia e letteratura contemporanea hanno sottolineato in vari modi la necessità di spiegare il senso della vita, della quale la morte rappresenta un passaggio necessario, per incontrare quel Mistero che la struttura stessa dell’Io riconosce come propria consistenza, propria ragione.

La sfida di Prometeo

Scrive Montale, Nobel per la letteratura: «Sotto l’azzurro fitto del cielo qualche uccello di mare se ne va; né sosta mai: perché tutte le immagini portano scritto: “più in là”». E il poeta Ungaretti afferma: «Chiuso tra cose mortali (anche il cielo stellato finirà), perché bramo Dio?». Soltanto gli stolti, dice un Salmo, non riconoscono questa verità, questo grido dell’uomo. E senza dubbio non la riconosce la cultura nichilista di oggi, frutto del razionalismo, ossia dell’uomo che – come un novello Prometeo che vuole sfidare Dio, sostituendolo come padrone del mondo – è dominato da questa stoltezza che ogni giorno riesce ad anestetizzare la ragione e il cuore di tutti. L’uomo, inebriato dall’orgoglio, dalla sete di potere, può censurare la morte, ma arriverà sempre il momento in cui si ritroverà faccia a faccia con lei e l’incontro sarà drammatico. Il dolore rappresenta già un preludio di questo incontro. «Verrà la morte e avrà i tuoi occhi». E quel momento si rivelerà come l’ultima possibilità di riconoscere la presenza del Mistero, e quindi il senso della vita nella sua dimensione eterna. Diversamente, si precipiterà nell’abisso del nulla, che oggi ha le sembianze dell’eutanasia o del suicidio. Il mondo, l’uomo di oggi con il suo orgoglio non vuole nemmeno pensare a questa verità, accolta da san Francesco come nostra sorella morte corporale, e per questo vive annullato, omologato nella sua personalità. Guardiamo quelli che ci camminano a fianco, o noi stessi: sembriamo zombie manovrati dal potere dominante. La Chiesa stessa ha dimenticato di parlare dei Novissimi: morte, giudizio, inferno e paradiso. Ha dimenticato quello che recita ogni domenica alla fine del Credo: «Credo la risurrezione della carne, la vita eterna. Amen». Ma che genere di sentimento e consapevolezza risveglia in noi questa affermazione? Influisce in qualche modo sulla vita quotidiana oppure tutto rimane tranquillo e piatto? Quando ero piccolo, il pensiero della morte mi era familiare. I miei genitori e la Chiesa mi ricordavano ogni giorno i Novissimi, e da questa educazione è nata la libertà e il rispetto per i defunti. Quante volte sono stato testimone della nascita di un bambino in una stanza, mentre nell’altra moriva un membro della famiglia. I sorrisi per la nascita si mescolavano alle lacrime di dolore per la persona cara che era andata in cielo. La maestosità della morte determinava l’atmosfera di tutto il villaggio. Quando ascoltavamo il rintocco delle campane, molto diverso da quello della festa, ci rendevamo conto della morte di un compaesano e recitavamo la preghiera dei defunti. Il giorno del funerale, dopo la Messa solenne, tutto il paese andava a piedi dietro la croce con i chierichetti e il parroco, fino al cimitero dove il parroco lo salutava dandogli l’ultima benedizione. La morte non causava traumi. La grazia più grande che Dio mi ha concesso, oltre a questa educazione, è stata la clinica per malati terminali che ho dedicato a san Riccardo Pampuri. Pochi la visitano e invece è il motivo della mia gioia, del mio dinamismo, perché assistendo chi muore vedo la presenza dolce e amorosa di Cristo risuscitato. Il bel volto di un giovane che muore, o quello rugoso e non meno bello di un anziano, mi permette di non vivere anestetizzato e di sentire fortemente la presenza del Paradiso. «Memento mori!». Amici, è inutile tentare di sfuggire alla morte. Ricordate il famoso film di Bergman Il settimo sigillo? Il protagonista, spaventato perché inseguito dalla morte, la sfida a una partita a scacchi illudendosi di poterla battere. La morte accetta l’orgogliosa provocazione del cavaliere medievale, ma nonostante l’infantile tentativo di ingannarla con un imbroglio la morte vince e se lo porta via. La Chiesa in novembre ci ricorda questa verità, che culmina nella vita eterna. Che consapevolezza dimostrava san Francesco ringraziando il Signore per nostra sorella morte corporale! Noi invece viviamo come idioti, convinti che la vita dipende da noi. Nessuno dimentichi ciò che ci ha trasmesso la tradizione della Chiesa:

«Memorare novissima tua et in aeternum non peccabis» (ricordati della tua fine e non peccherai in eterno).