GESÙ ALLA BEATA CONCHITA: “CHIEDO PUREZZA! IL PECCATO D’IMPURITÀ È SPAVENTOSAMENTE DILAGATO, STRAZIANDO IL MIO CUORE!”

Chiunque s’innamora della purezza e la possiede, verrà trasformato, entrerà cioè in quegli stadi fecondi e ascendenti di trasformazione in Gesù. Si deve insistere molto nella vita interiore, e questa vita aprirà i cuori sacerdotali per ricevere il Sole divino, e insieme a Lui, la purezza che è necessaria per la loro trasformazione. Questa purezza implica il sacrificio dell’uomo vecchio insieme alle concupiscenze che porta con sé; ma allora nascerà e rinascerà il sacerdote santo, capace di darmi gloria.

Un sacerdote non puro nel corpo e nell’anima potrà pure fare molto chiasso, ma non possiederà e, quindi, non potrà donare Gesù, la stessa purezza, né a sé né alle anime. Dio può irradiarsi soltanto in ciò che è puro, e il Figlio non può riflettersi senza riflettere il Padre e lo Spirito Santo. E ciò che un sacerdote, per santificarsi e per santificare gli altri, deve avere è sempre e soprattutto la purezza del cuore in cui Dio si riflette, si comunica e salva.

Quanto è importante la purezza per il sacerdote! È il fondamento della santità, perché mediante la purezza si vede Dio, si sente Dio e si comunica con Dio. Questo è il primo dovere del sacerdote: vedere Dio, sentire Dio e comunicare Dio tramite Me, Gesù. E non puó vedere, sentire, e comunicare luce chi non riflette Dio, chi non vede Dio con gli occhi limpidi e puri della sua anima. Soltanto i puri, soltanto i casti riflettono in se stessi il candore eterno, colui che è Luce da Luce, il divino Sole che riscalda, illumina e santifica, purificando.

Ma ci sono molti gradi di purezza come ci sono molti gradi di luce. La purezza è proporzionale all’intensità dell’amore, e l’amore si accende con la vita interiore, le virtù e la preghiera, che sono le lenti attraverso le quale soltanto si può vedere Dio e l’unico mezzo per ripulire il candido specchio delle anime. E se questo è vero per tutte le anime che vivono nel mondo, quanto più per coloro che hanno il sacro e imprescindibile dovere di essere puri? Fate di tutto per impetrare in unione con Me la conversione, la crescita spirituale, la trasformazione dei sacerdoti in Me, offrendomi al Padre e offrendovi. Fatelo con impegno santo, se volete procurarmi sollievo, consolazione, cioè offrirmi tutti i sacerdoti trasformati in Me. Solamente in cielo si capirà cosa è la purezza, perché solamente in cielo si contemplerà Dio senza veli. (…)

Coloro che hanno a che fare con la mia Chiesa, immacolata e senza macchia, devono essere puri! I cuori di coloro che la formano devono avere il candore della neve, una limpidezza maggiore di quella degli angeli! Le mani che mi toccano e le labbra che pronunciano le parole divine della Consacrazione devono essere purificate da ogni macchia! Quelle mani devono spargere benefici! Quelle labbra non devono aprirsi se non per glorificarmi sugli altari e nelle anime! E soprattutto quei cuori devono, come tersi cristalli, far trasparire la Trinità: devono essere più preziosi delle pissidi che mi contengono. Devono essere altri Me, immacolati e puri, limpidi e santi, profondamente uniti alla Trinità!

Per questo i sacerdoti, più di ogni altro, devono ricorrere molto frequentemente al sacramento della penitenza, poiché in ogni atto del loro ministero devono essere come angeli, e così puri di cuore da riflettere quel Dio che rappresentano. Quale profonda emozione Io provo nel sognare una legione di sacerdoti che realizzino questi ideali del mio Cuore! Se saranno altri Me, il Padre mio li ascolterà compiaciuto, e gli sorriderà, perché in ognuno vedrà Me; e invece di fare loro la volontà di Dio, sarà Dio a fare la loro, poiché allora vi sarà un’unica volontà, un solo volere e amore in Lui!

È dunque indispensabile che tutti i sacerdoti prendano sul serio la propria trasformazione in Me in questo momento della storia nella quale, più che mai, devono somigliarmi! Quanto è necessaria la loro unità: questa deve fare di loro un insieme di cuori puri, di mani immacolate che mi innalzano verso il cielo, implorando misericordia! Questa schiera di sacerdoti santi, con la loro unione a Me e con la purezza dei loro cuori sarà in grado di trasformare il mondo. Ho sete di quella purezza che fa diventare più simili a Me. Ho sete di sacrifici che, uniti al mio Sacrificio, vengano offerti al Padre come incenso di espiazione infinita. Voglio che i miei sacerdoti, dimentichi di se stessi, puri e vittime con Me Vittima, mi offrano e si offrano per la salvezza del mondo.

Chiedo e imploro oggi dai miei vescovi e dai sacerdoti che diano, con l’aiuto di Maria, un nuovo impulso alla loro ricerca di purezza, per la mia Chiesa e per la gloria della Trinità vergine. Chiedo purezza!… Chiedo purezza! Potranno negarmela i cuori dei miei, che Io amo con la tenerezza di mille madri, con il candore di un Dio? Per il mio Sangue, per la loro sublime vocazione, per quella predilezione ineffabile che ho per loro, chiedo loro purezza e Unità nella Trinità. Chiedo loro che ravvivino nella propria anima l’amore per la mia Chiesa, e che la sostengano, la difendano, la proteggano e diano ad essa gloria insieme a migliaia di anime pure.

II peccato d’impurità è spaventosamente dilagato, straziando il mio Cuore. Per questo invoco: purezza, purezza! E a chi devo chiederla in primo luogo, se non ai miei, sui quali ho diritti d’amore e di predilezione?

(Beata Conchita Cabrera de Armida, da “Sacerdoti di Cristo” Città Nuova Editrice)

Sant’Anselmo d’Aosta: “E’ indispensabile che, chiunque desideri che Dio dimori in lui, abbia la purezza del cuore” “Chiunque desideri ottenere il perdono delle colpe commesse, è indispensabile che ne provi dolore.” ESORTAZIONE DELLA MENTE A CONTEMPLARE DIO

Gesù: “Beati i puri di cuore perché vedranno Dio” (Mt 5,8)

“Non può l’uomo scorgere il cuore dell’uomo, poiché <<nessuno conosce i segreti dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui>> (1 Cor 2,11). Al contrario Dio, al quale nulla rimane nascosto, scorge senza impedimento il cuore dell’uomo e ciò a cui tende. Chi l’avrà puro, potrà vedere Dio; chi invece non l’avrà puro, senza dubbio non potrà vederlo in alcun modo. E allora è indispensabile che, chiunque desideri che Dio dimori in lui, abbia la purezza del cuore. Nessuno la potrà avere, se non libererà il suo cuore dalle brame terrene, e non si sforzerà di ardere d’amore celeste. Nella misura in cui amerà il mondo, nella stessa misura sarà privato dell’amore celeste. E tanto più ciascuno abbandona Cristo, quanto più col peccare si allontana dalla giustizia di Dio. ( … )

Chi pertanto vuol divenire dimora dello spirito del Signore, conservi la purezza del cuore, allontani i desideri della carne. ( … ) La nostra volontà sia pertanto pura, per essere chiamata ed essere sposa di Dio; né macchia alcuna d’impurità la deturpi, per non divenire adultera. Finché s’accorda al volere di Dio, è pura, è sposa; quando invece discorda dal suo volere, si guasta, s’insozza, si prostituisce.”

(Sant’Anselmo d’Aosta, Dottore della Chiesa, I detti di Anselmo, cap. 14, pag. 269, 271.)

“… nell’ora della tentazione prima di dar compimento alla colpa, non si deve mai pensare alla misericordia di Dio, ma alla sua giustizia e al suo giudizio, alla sua ira e al suo sdegno. Ciò si deve ponderare, ciò portare davanti agli occhi della mente, ciò prendere sovente in considerazione con gran spavento. Quando uno è tentato, non deve dire: <<la misericordia>> di Dio <<è grande>> (Sal 86,85,13); ben si dire: <<E’ terribile cadere nelle mani del Dio vivente>> (Eb 10,31). Quando la brama di lussuria agita chicchessia, non pensi che, in qualsiasi momento il peccatore li deplori, tutti i suoi peccati non saranno più ricordati, ma piuttosto, ripensandovi di frequente, consideri che, chiunque pecchi sperando, è maledetto. Pure questo: <<Guai, gente peccatrice, popolo carico di iniquità! Razza di scellerati, figli corrotti!>> (Is 1,4).

( … ) Nell’ora della tentazione, deve ciascuno sforzarsi in tutti i modi per non essere vinto, perché, sebbene Dio abbia garantito il perdono a chi pecca, non ha però promesso di dare a chi pecca il desiderio di pentirsi.”

(Sant’Anselmo d’Aosta, Dottore della Chiesa, I detti di Anselmo, cap.1, pag.185)

“Quando la suggestione del peccato colpisce un animo che dall’amore per le cose presenti tende verso i beni eterni, lo lascerà subito andare, se quell’animo si mantiene fermamente nel suo proposito. Ma se rivolgendo la sua attenzione alla suggestione, quest’animo le consentirà di entrare dentro di sé, e quasi eccitandola la rimugina col pensiero, essa lo inquieterà sempre più frequentemente pur non procurandogli ferite, perché di semplice tentazione si tratta per sempre.

Ma se l’animo la culla troppo a lungo, il cane pesante si trasforma nel cagnetto, ossia la suggestione diventa piacere, il quale attacca con più accanimento e se non è scacciato prontamente ferisce l’anima. Ecco perché, non appena comincia a insorgere, l’anima sposa di Cristo deve respingerlo, pensando come le sarebbe ignominioso comparire al suo cospetto insozzata da un piacere così vergognoso. Se infatti l’anima non respingerà il piacere, il cagnetto si trasforma nell’enorme mastino, ossia il piacere si fa consenso che impossessandosi dell’anima, se essa non vi reagisce con grande energia, la uccide. Ma, non appena cerca di aggredire l’anima, questa deve opporsi con grande energia, cioè annientandolo in sé opponendogli un grandissimo timore della morte eterna.

Dunque non prestiamo nessuna attenzione alla suggestione, reprimiamo prontamente il piacere, opponiamoci con forza al consenso. E così sforziamoci di custodire il nostro cuore affinché il diavolo non sia messo in condizione di violarlo neppure con un solo pensiero superfluo.”

(Sant’Anselmo d’Aosta, Dottore della Chiesa, SUI COMPORTAMENTI UMANI MEDIANTE SIMILITUDINI, De Humanis moribus, capitolo 40, pag.47)

“Chiunque desideri ottenere il perdono delle colpe commesse, è pertanto indispensabile che ne provi dolore.”

“Vi sono infatti taluni i quali ammettono di essere peccatori, ma non ne provano dolore alcuno. E’ indispensabile che costoro si dolgano, se vogliono meritare il perdono; poiché non conta che uno si riconosca peccatore, se non ne prova dolore. Se uno infatti peccasse contro il suo signore e non se ne dolesse, cosa pensi che direbbe di lui il signore? Come rimettergli l’offesa, finché sapesse che lui non se ne duole per nulla? Più che altro parrebbe buffo il suo chiedere perdono di cosa della quale non si duole.

Chiunque desideri ottenere il perdono delle colpe commesse, è pertanto indispensabile che ne provi dolore. Viene poi la confessione, perché deve il peccatore confessare in che modo conosce se stesso e se ne duole.”

(Sant’Anselmo d’Aosta, Dottore della Chiesa, I detti di Anselmo, cap.1, pag.177)

 

Sant’ Anselmo d’Aosta – Esortazione della Mente a Contemplare Dio

dal Proslogion di Anselmo d’Aosta

 

1. Orsù, omuncolo, abbandona per un momento le tue occupazioni, nasconditi un poco ai tuoi tumultuosi pensieri. Abbandona ora le pesanti preoccupazioni, rimanda i tuoi laboriosi impegni. Per un po’ dedicati a Dio e riposati in Lui. «Entra nella camera» del tuo spirito, escludi da essa tutto, all’infuori di Dio e di ciò che ti possa giovare a cercarlo, e, «chiusa la porta», cercalo (Mt 6, 6). Di’ ora, o «mio cuore» nella tua totalità, di’ ora a Dio: «Io cerco il tuo volto; il tuo volto, o Signore, io cerco» (Sal 27, 8).

2. Orsù, dunque, o Signore Dio mio, insegna al mio cuore dove e come possa cercarti e dove e come possa trovarti. O Signore, se non sei qui, dove te assente cercherò? E se invece sei ovunque, perché non ti vedo presente? Ma certo tu abiti «una luce inaccessibile» (1 Tm 6,16). E dov’è la luce inaccessibile? E come mi avvicinerò a questa luce inaccessibile? E chi mi condurrà e mi introdurrà in essa, affinché in essa io ti veda? Per mezzo di quali segni, di quale immagine ti cercherò? Non ti ho mai visto, o Signore Dio mio, non conosco il tuo volto. Che cosa farà, o altissimo Signore, che cosa farà codesto tuo esule lontano? Che cosa farà il tuo servo ansioso del tuo amore e gettato lontano «dal tuo volto» (Sal 51,13)? Anela di vederti ed è troppo lontano dai tuo volto. Desidera di avvicinarsi a te e il luogo dove tu abiti è inaccessibile. Brama di trovarti e non conosce dove tu stai. Fa di tutto per cercarti e ignora il tuo volto. O Signore, tu sei il mio Dio e sei il mio Signore e non ti ho mai visto. Tu mi hai fatto e rifatto e mi hai dato tutti i miei beni e io ancora non ti conosco. In breve: sono stato fatto per vederti e non ho ancora fatto ciò per cui sono stato fatto.

3. O misera sorte dell’uomo, che ha perduto ciò per cui è stato fatto! O dura e crudele quella caduta! Ohimè, che cosa ha perduto e che cosa ha trovato, che cosa è scomparso e che cosa è rimasto! Egli ha perso la beatitudine per la quale fu fatto e ha trovato la miseria per la quale non fu fatto. E’ scomparso ciò senza cui nessuno è felice ed è rimasto ciò che di per sé è soltanto misero. Allora «l’uomo mangiava il pane degli angeli» (Sal 78,25), di cui ora ha fame; ora mangia «il pane di dolore» (Sal 127,2), che allora non conosceva. Ohimè, lutto di tutti gli uomini, universale pianto dei figli di Adamo! Egli ruttava di sazietà, noi sospiriamo per fame. Egli era nell’abbondanza, noi mendichiamo. Egli felicemente possedeva e ha miseramente abbandonato ciò che possedeva, noi infelicemente abbiamo bisogno e miserevolmente desideriamo e, ohimè, restiamo senza! Perché Dio non ci ha conservato, pur potendolo facilmente fare, ciò di cui così gravemente sentiamo la mancanza? Perché Dio ci ha tolto la luce e ci ha avvolto nelle tenebre? Perché ci ha tolto la vita e ci ha inflitto la morte? Donde, pieni di miserie, siamo stati cacciati, dove siamo stati spinti! Donde siamo precipitati, dove siamo rovinati! Siamo stati cacciati dalla patria nell’esilio, dalla visione di Dio alla nostra cecità; dalla giocondità della immortalità all’amarezza e all’orrore della morte. Misero mutamento! Da quanto bene in quanto male! Grave danno, grave dolore, grave tutto.

4. Ma, ohimè, io misero, uno dei miseri figli di Eva lontani da Dio, che cosa ho intrapreso, che cosa ho condotto a termine? Dove ero diretto, dove sono giunto? A che cosa tendevo e di che cosa sospiro? «Ho cercato i beni» (Sal 122,9) «ed ecco il turbamento» (Ger 14,19)! Tendevo a Dio e ho urtato in me stesso. Cercavo riposo in me stesso e «ho trovato tribolazione e dolore» (Sal 116,3) nell’intimo mio. Volevo ridere per la gioia della mia mente e sono costretto a «ruggire per il gemito del mio cuore» (Sal 38,9). Speravo letizia ed ecco invece che si moltiplicano i miei sospiri!

5. «Ma tu, o Signore, fino a quando?» (Sal 6,4). «Fino a quando, o Signore, ti dimenticherai di noi, fino a quando ci nasconderai il tuo volto?» (Sal 13,1). Quando ci guarderai e ci esaudirai? Quando illuminerai i nostri occhi e ci mostrerai «il tuo volto» (Sal 80,4)? Quando ti restituirai a noi? Guardaci, o Signore, esaudiscici, illuminaci, mostraci te stesso. Restituisciti a noi, affinché il bene sia con noi, poiché senza di te solo il male è con noi. Abbi pietà delle nostre fatiche e dei nostri sforzi verso di te, poiché senza di te non possiamo nulla. Poiché ci inviti, «aiutaci» (Sal 79,9).

6. Ti supplico, o Signore, che io non disperi sospirando, ma che io respiri sperando. Ti supplico, o Signore il mio cuore è amareggiato per la sua desolazione, addolciscilo con la tua consolazione. Ti supplico, o Signore, ho incominciato a cercarti affamato, fa’ che io non desista di cercarti digiuno di te. Mi sono avvicinato famelico, fa’ che non mi allontani senza aver mangiato. Povero sono venuto al ricco, misero al misericordioso, fa’ che non ritorni senza nulla e disprezzato. E se «prima di mangiare debbo sospirare» (Gb 3,24), dammi almeno, dopo i sospiri, da mangiare. O Signore, incurvato non posso guardare altro che in basso: raddrizzami, affinché possa volgere lo sguardo in alto. «Le mie iniquità, che hanno superato il mio capo», mi avvolgono tutto e mi appesantiscono «come un grave carico» (Sal 38,5). Disseppelliscimi, alleggeriscimi, affinché «l’abisso» delle mie iniquità «non chiuda su di me la sua bocca» (Sal 69,16). Mi sia permesso di guardare la tua luce anche se da lontano o dal profondo. Insegnami a cercarti e mostrati a me che ti cerco, poiché non posso cercarti, se tu non me lo insegni, e non posso trovarti, se tu non ti mostri. Che io ti cerchi desiderandoti e ti desideri cercandoti. Che io ti trovi amandoti e ti ami trovandoti.

7. Riconosco, o Signore, e te ne ringrazio, che hai creato in me questa tua immagine affinché, memore di te, ti pensi e ti ami. Ma questa immagine è così cancellata dallo sfregamento dei vizi ed è così offuscata dal fumo dei peccati, che non può fare ciò per cui è stata fatta, se tu non la rinnovi e la riformi. Non tento, o Signore, di penetrare la tua profondità, poiché in nessun modo metto con essa a confronto il mio intelletto; ma desidero intendere in qualche modo la tua verità, quella che il mio cuore crede e ama. Non cerco infatti di intendere per poter credere, ma credo per poter intendere. In verità credo in questo: «se non avrò creduto, non potrò intendere» (Is 7,9).

(Sant’ Anselmo d’Aosta, Dottore della chiesa)

San Lorenzo Giustiniani, Elogio della Continenza “Senza la purezza di cuore e la continenza, è impossibile iniziare a vedere Dio nella vita terrena (con gli occhi interiori della fede) e andare in Paradiso per contemplarlo nell’eternità.”

San Lorenzo Giustiniani, Elogio della Continenza:

“Chi la possederà, avrà pace nella sua coscienza, luce nella sua mente, gioia nel suo volto e nella sua anima, sicurezza in punto di morte e parte nella beata eternità.”

 

“( … ) la virtù della continenza è così simile alle virtù degli Angeli, da rendere l’uomo in certo qual modo uguale a loro. Essa supera le debolezze della condizione umana e assimila gli uomini alla spiritualità degli Angeli.

( … ) Chi è continente è anche dimora amabile e splendida di Gesù Cristo. Infatti, chi potrà mirare una bellezza più radiosa di un cuore puro, amato dal Re Cielo, giudicato degno dal Giudice divino, un cuore donato al Signore consacrato a Dio? E’ questa virtù che conserva all’uomo il suo onore e la sua dignità. E onore dell’uomo è la libertà della sua volontà, per cui può scegliere di volere o di non volere quanto apprende per via d’intelletto.

Senza la continenza, nell’uomo, come nelle bestie, regna la schiavitù dell’istinto, che si contrappone alla libertà dello spirito: non appena si avverte il piacere, subito si scatena il desiderio e non c’è alcun modo di placarlo. E’ giusto quindi che chi segue la carne, tutto rivolto al suo ventre e alla sua libidine, sia considerato come un irragionevole animale da soma, come si legge nelle Scritture: “L’uomo nella prosperità non comprende, è come gli animali che periscono” (Sal 49,21).

( … ) Questa virtù ci dispone inoltre alla contemplazione di Dio. La continenza è un amore che ci svincola dalla passione per ogni bellezza inferiore e ci eleva solo all’amore della bellezza suprema. Volendo salire alle vette della contemplazione, non c’è nulla che si debba fuggire più dei piaceri dei sensi, che costituiscono la massima eccitazione all’intemperanza.

( … ) La continenza poi colpisce tremendamente satana. Sta scritto infatti: “Non seguire le passioni; poni un freno ai tuoi desideri. Se ti concedi la soddisfazione della passione, essa ti renderà oggetto di scherno ai tuoi nemici” (Sir 18,30).

Questi ultimi tentano ogni mezzo per strapparci alla continenza, e ci insidiano con desideri peccaminosi, spengono ogni buona ispirazione, ci derubano dei primi atti virtuosi e si affrettano a demolire sul nascere ogni sacra intenzione, ben sapendo di non poterla annientare se è già radicata nell’anima.

La continenza inoltre spegne il bruciore dei vizi della carne; e per raggiungerla più facilmente, chi ama la castità medita spesso sul disfacimento che attende il cadavere nel sepolcro. Nulla è più capace di domare gli assalti dei desideri carnali, come il pensiero assiduo, per virtù di continenza, dei disastri che la morte compie su quanto ci attrae oggi, nel fulgore della vita.

La continenza trionfa sempre gloriosa nelle sue battaglie. E fra tutte le battaglie dei cristiani, le più dure sono certamente quelle della castità. Sradicare dalla propria carne l’istinto della lussuria è un miracolo superiore all’esorcismo.

Questa virtù custodisce inoltre puro il nostro cuore, come sta scritto: “Perché questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione: che vi asteniate dall’impudicizia, che ciascuno sappia mantenere il proprio corpo con santità e rispetto” (1 Ts 4,3-4). Questo significa che dobbiamo conservare per Dio questo cuore così puro, che nessuna macchia o peccato carnale lo infanghi, ma splenda luminoso per la sua integrità e castità.

( … ) Chi la possederà, avrà pace nella sua coscienza, luce nella sua mente, gioia nel suo volto e nella sua anima, sicurezza in punto di morte e parte nella beata eternità.”

(San Lorenzo Giustiniani, da “L’albero della vita”, cap. 3-2, pag. da 49 a 52.)

 

“Non ci sono parole per l’indecenza della libidine, che non solo inebetisce la mente, ma snerva anche il corpo; e non contamina solo il cuore, ma tutta la nostra persona. Ci esponiamo prima ad affanni e volgarità, poi a fetore e immondezza, quindi a dolore e rimorso; e la brevità fuggente del piacere non è motivo di pace, ma di tormento. L’ora della voluttà infatti è breve, perché quanto più avidamente si è bevuto, tanto prima quel calice ci dà la nausea.

( … ) E’ poi la stessa indecenza del piacere a smorzarne l’ardore. Osservate bene chi si dà ai piaceri della carne, il cui appetito non procura che ansia, e la soddisfazione nausea: non si capisce quale vera gioia ci sia in quei loro ebbri sussulti. Che il risultato sia solo un’indicibile amarezza, questo lo si sa: basta il ricordo di come si concludono quelle sconcezze.

A dirla proprio tutta, costoro dovrebbero ammettere di non essere stati altro che bestie. No, la lussuria non è degna della fede cristiana; per un’anima votata a Cristo non è decoroso deliziarsi dei piaceri carnali, quando si sa che Cristo, in tante Sue creature, non ha neppure il pane per sfamarsi. Invano quindi si fregia del nome di cristiano chi, peccando di lussuria, non imita l’esempio di Cristo. Non basta vantarsi del Suo nome: se ci preme davvero essere cristiani, allora dobbiamo comportarci in modo degno dei cristiani. Solo così potremo giustamente gloriarci di questo nome.”

(San Lorenzo Giustiniani, da “L’albero della vita”,cap. 3-3, pag. 53-54)

 

“Il godimento di questi piaceri non solo si accompagna a innumerevoli dolori, ma deve anche essere espiato con numerose e tremende pene.

( … ) E’ poi la molteplicità dei piaceri uno dei principali motivi che ce ne impongono il freno e la distruzione. L’anima, attratta dal piacere, non potendo più saziarsi di nessun bene da quando si è allontanata dal cuore di Dio e dall’amore fraterno, si affanna a trovare soddisfazione rinnovando continuamente gli oggetti del suo desiderio passando dall’uno all’altro, senza trovare mai felicità né pace. Moltiplica i suoi desideri, cambia i suoi programmi, escogita le più diverse forma di piacere, illudendosi di potersi saziare: ma non potrà comunque placare fino in fondo la sua sete. E’ impossibile che la luce risplenda nella tenebre e che la dolcezza si accomuni all’amarezza; allo stesso modo è assurdo e contro natura pretendere di trovare nei beni terreni e nei piaceri della carne una piena felicità e pace.

( … ) I mali che ci provengono dai piaceri della carne sono infatti innumerevoli. Prima di tutto ci si trova costretti in un’atroce schiavitù, con la carne in rivolta contro lo spirito; per cui, se si accende il desiderio e si accondiscende anche solo una volta alle sue bramosie, la lotta diventa impari, come di due contro uno, e la solidità della nostra coscienza ne viene irrimediabilmente compromessa

( … ) Quando il corpo si adagia nella mollezza, infatti, lo spirito si infiacchisce: la voluttà è pulsione della carne, mentre il nutrimento dell’anima sono la disciplina e l’austerità. La carne si accende alle provocazioni, divenendo sempre più smaniosa; mentre l’anima si allena e si rinforza nell’asprezza della mortificazione, che la rende sempre più pura.

( … ) La carne induce sempre a desideri peccaminosi, che sono fugaci, ma che devono essere subito stroncati; perché, se non sono controllati da una rigorosa disciplina interiore, possono renderci inclini a tendenze pericolose. Non c’è nemico che sia mai stato tremendo per qualcuno, come lo sono per noi le nostre pulsioni carnali. Accade che ci si immerga volentieri in piaceri, che si trasformano in cattive abitudini e non possono più essere sradicate, neppure in caso di disgrazia o di calamità.

( … ) Così si diventa schiavi del piacere, invece di goderne; più che saziati, si è bruciati, al punto da amare le proprie stesse piaghe: raggiungendo così il colmo dell’infelicità.

( … ) E ancora: questi piaceri ci precludono la salvezza, ci inducono alla dimenticanza di Dio, distraggono la nostra mente dalla vera sapienza, rendono vane le nostre opere buone, ci privano di ogni forza d’animo, rendono il nostro cuore insofferente e lo allontanano da ogni dolcezza mistica. Le consolazioni di Dio sono così lievi e delicate, che non possono essere date ad anime che godano di altre gioie. E chi è sempre immerso nei piaceri della carne può forse attendere nel suo cuore la venuta del consolatore?

Se è impossibile che il fuoco si accenda con l’acqua, è assurdo e contro natura che i piaceri di questo mondo convivano con la compunzione del cuore e con le gioie dello spirito. Si tratta di valori antitetici, che si elidono a vicenda: gli uni portano al pudore, gli altri alla libidine; i primi purificano il cuore e lo elevano, i secondi lo condannano.”

“Egli, la Sapienza incarnata, non poteva ingannarSi: se ha scelto di quanto più odioso e molesto alla carne, lo dobbiamo scegliere anche noi, come il bene più utile e prezioso. E se qualcuno vuole persuaderci del contrario, guardiamocene bene, perché è un seduttore del maligno.

Chi vuole regnare in eterno con Cristo deve essere dunque puro da ogni macchia, senza un solo pensiero peccaminoso; e chi ama la castità deve vivere secondo l’insegnamento di Cristo, se anela al consorzio dei Santi, purificando il suo cuore da ogni desiderio e pensiero indecente, perché il Cielo non potrà accogliere se non anime sante, giuste, semplici, innocenti e pure.”  

(San Lorenzo Giustiniani, da “L’albero della vita”, cap. 3-3, pag. 53.)

 

“Coloro che sono ancora soggetti alla violenza della perversione e che cedono ancora ai piaceri della carne non possono prendersi responsabilità di governo: Solo quando avranno dominato ogni moto interiore, e conquistato saldamente la virtù della continenza, potranno assumersi l’onere della salvezza altrui, senza mettere in pericolo la propria, perché un superiore non può rimproverare liberamente le colpe dei suoi discepoli, se nella sua stessa vita non ne è assolutamente privo. Purifichi quindi prima il suo cuore, chi si accinge ad occuparsi al cuore altrui. E solo la virtù della continenza rende l’uomo obbediente a Dio, e dunque giustamente degno di essere elevato a guida degli altri.

( … ) la continenza è un amore che si conserva integro e incontaminato davanti al Signore. Significa non nutrire alcun desiderio, di cui poi ci si debba pentire, né fare mai eccezione alla legge della moderazione, nonché sottomettere alla ragione ogni pulsione carnale. Consiste inoltre nell’attitudine sempre onesta e casta del proprio corpo, conquistata con l’esercizio del dominio su ogni passione malvagia.”

(San Lorenzo Giustiniani, da “L’albero della vita”, III , pag. 48-49)

Sant’Anselmo d’Aosta: “è indispensabile che, chiunque desideri che Dio dimori in lui, abbia la purezza del cuore” “Chiunque desideri ottenere il perdono delle colpe commesse, è indispensabile che ne provi dolore.”

 

“Beati i puri di cuore perché vedranno Dio. (Mt 5,8)”

 

“Non può l’uomo scorgere il cuore dell’uomo, poiché <<nessuno conosce i segreti dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui>> (1 Cor 2,11). Al contrario Dio, al quale nulla rimane nascosto, scorge senza impedimento il cuore dell’uomo e ciò a cui tende.

Chi l’avrà puro, potrà vedere Dio; chi invece non l’avrà puro, senza dubbio non potrà vederlo in alcun modo. E allora è indispensabile che, chiunque desideri che Dio dimori in lui, abbia la purezza del cuore. Nessuno la potrà avere, se non libererà il suo cuore dalle brame terrene, e non si sforzerà di ardere d’amore celeste. Nella misura in cui amerà il mondo, nella stessa misura sarà privato dell’amore celeste. E tanto più ciascuno abbandona Cristo, quanto più col peccare si allontana dalla giustizia di Dio.

( … ) Chi pertanto vuol divenire dimora dello spirito del Signore, conservi la purezza del cuore, allontani i desideri della carne. ( … ) La nostra volontà sia pertanto pura, per essere chiamata ed essere sposa di Dio; né macchia alcuna d’impurità la deturpi, per non divenire adultera. Finché s’accorda al volere di Dio, è pura, è sposa; quando invece discorda dal suo volere, si guasta, s’insozza, si prostituisce.”

(Sant’Anselmo d’Aosta, Dottore della Chiesa, I detti di Anselmo, cap. 14, pag. 269, 271.)

 

“… nell’ora della tentazione prima di dar compimento alla colpa, non si deve mai pensare alla misericordia di Dio, ma alla sua giustizia e al suo giudizio, alla sua ira e al suo sdegno. Ciò si deve ponderare, ciò portare davanti agli occhi della mente, ciò prendere sovente in considerazione con gran spavento.

Quando uno è tentato, non deve dire: <<la misericordia>> di Dio <<è grande>> (Sal 86,85,13); ben si dire: <<E’ terribile cadere nelle mani del Dio vivente>> (Eb 10,31). Quando la brama di lussuria agita chicchessia, non pensi che, in qualsiasi momento il peccatore li deplori, tutti i suoi peccati non saranno più ricordati, ma piuttosto, ripensandovi di frequente, consideri che, chiunque pecchi sperando, è maledetto. Pure questo: <<Guai, gente peccatrice, popolo carico di iniquità! Razza di scellerati, figli corrotti!>> (Is 1,4). ( … ) Nell’ora della tentazione, deve ciascuno sforzarsi in tutti i modi per non essere vinto, perché, sebbene Dio abbia garantito il perdono a chi pecca, non ha però promesso di dare a chi pecca il desiderio di pentirsi.”

(Sant’Anselmo d’Aosta, Dottore della Chiesa, I detti di Anselmo, cap.1, pag.185)

 

“Quando la suggestione del peccato colpisce un animo che dall’amore per le cose presenti tende verso i beni eterni, lo lascerà subito andare, se quell’animo si mantiene fermamente nel suo proposito. Ma se rivolgendo la sua attenzione alla suggestione, quest’animo le consentirà di entrare dentro di sé, e quasi eccitandola la rimugina col pensiero, essa lo inquieterà sempre più frequentemente pur non procurandogli ferite, perché di semplice tentazione si tratta per sempre.

Ma se l’animo la culla troppo a lungo, il cane pesante si trasforma nel cagnetto, ossia la suggestione diventa piacere, il quale attacca con più accanimento e se non è scacciato prontamente ferisce l’anima. Ecco perché, non appena comincia a insorgere, l’anima sposa di Cristo deve respingerlo, pensando come le sarebbe ignominioso comparire al suo cospetto insozzata da un piacere così vergognoso. Se infatti l’anima non respingerà il piacere, il cagnetto si trasforma nell’enorme mastino, ossia il piacere si fa consenso che impossessandosi dell’anima, se essa non vi reagisce con grande energia, la uccide.

Ma, non appena cerca di aggredire l’anima, questa deve opporsi con grande energia, cioè annientandolo in sé opponendogli un grandissimo timore della morte eterna. Dunque non prestiamo nessuna attenzione alla suggestione, reprimiamo prontamente il piacere, opponiamoci con forza al consenso. E così sforziamoci di custodire il nostro cuore affinché il diavolo non sia messo in condizione di violarlo neppure con un solo pensiero superfluo.”

(Sant’Anselmo d’Aosta, Dottore della Chiesa, SUI COMPORTAMENTI UMANI MEDIANTE SIMILITUDINI, De Humanis moribus, capitolo 40, pag.47)

 

“Chiunque desideri ottenere il perdono delle colpe commesse, è pertanto indispensabile che ne provi dolore.”

 

“Vi sono infatti taluni i quali ammettono di essere peccatori, ma non ne provano dolore alcuno. E’ indispensabile che costoro si dolgano, se vogliono meritare il perdono; poiché non conta che uno si riconosca peccatore, se non ne prova dolore. Se uno infatti peccasse contro il suo signore e non se ne dolesse, cosa pensi che direbbe di lui il signore? Come rimettergli l’offesa, finché sapesse che lui non se ne duole per nulla? Più che altro parrebbe buffo il suo chiedere perdono di cosa della quale non si duole. Chiunque desideri ottenere il perdono delle colpe commesse, è pertanto indispensabile che ne provi dolore.

Viene poi la confessione, perché deve il peccatore confessare in che modo conosce se stesso e se ne duole.”

(Sant’Anselmo d’Aosta, Dottore della Chiesa, I detti di Anselmo, cap.1, pag.177)

Sant’Agostino: “E’ la purezza del cuore che fa vedere te, o Signore” «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5,8)

«Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5,8)

 

“Che io impari a desiderarti, Signore; che io impari a prepararmi per poterti vedere. Beati i puri di cuore perché ti vedranno…

E ti vedranno non perché sono poveri di spirito, né perché sono mansueti o piangenti o famelici e sitibondi della giustizia o misericordiosi, ma perché sono puri di cuore…

Buona è l’umiltà per avere il regno dei cieli, buona la mansuetudine per possedere la terra, buono il pianto per essere consolati, buona la fame e la sete della giustizia per essere saziati, buona la misericordia per ottenere misericordia, ma è la purezza del cuore che fa vedere te, o Signore (Sr 53, 7.9).

Io ti voglio vedere: è buona, è grande la cosa che voglio…Aiutami a purificare il mio cuore… perché puro è ciò che io voglio vedere, e impuro è il mezzo con cui lo voglio vedere…

Purificami, Signore, con la tua grazia, purifica il mio cuore con i tuoi aiuti e i tuoi conforti.

Aiutami a produrre per tuo mezzo e in unione con te frutti abbondanti di opere buone, di misericordia, di benignità, di bontà (Sr 261, 4.9)”

(Sant’ Agostino)

 

“Chi sono i puri di cuore?”

I puri di cuore sono quelli che non hanno alcun affetto al peccato e ne stanno lontani, e schivano soprattutto ogni sorta di impurità.

(San Pio da Pietrelcina)

Sant’Agostino: “A Dio si ascende amando con un cuore puro”

 

A DIO SI ASCENDE AMANDO CON CUORE PURO

 

Quando l’amore impuro infiamma un cuore, lo sollecita a desiderare le cose della terra e a cercare ciò che, destinato a perire, conduce l’anima alla stessa rovina: la precipita in basso, la sommerge nelle profondità dell’abisso. Analogamente è dell’amore santo. Eleva alle cose del cielo, infiamma per i beni eterni, desta l’anima a bramare le cose immutabili e immortali, solleva l’uomo dalle profondità dell’inferno alle sommità del cielo. In una parola, ogni amore è dotato di una sua forza e, quand’è in un cuore innamorato, non può restarsene inoperoso: deve per forza spingere all’azione.

 

Vuoi vedere come sia il tuo amore? Osserva a che cosa ti spinge. Non vi esortiamo, quindi, a non amare, ma a non amare il mondo, affinché possiate amare con libertà colui che ha creato il mondo. Un’anima irretita dall’amore terreno è come se avesse del vischio nelle penne: non può volare. Quando invece è pura da quegli affetti luridi che l’attaccano al mondo, può – per così dire – volare con ambedue le ali spiegate: le sue ali sono libere da ogni impedimento, dove per “ali” intendo i due comandamenti dell’amore di Dio e dell’amore del prossimo.

 

E dove [volerà] se non verso Dio? Sì, è verso di lui che volando ascenderà, poiché in effetti amando ascende. Prima però di potersi elevare e mentre ne sente in cuore il desiderio, geme per essere ancora sulla terra e dice: Chi mi darà le ali, come di colomba, e volerò e mi riposerò? Per dove spiccherà il suo volo se non per un luogo lontano dagli scandali in mezzo ai quali gemeva la persona che pronuncia le parole or ora ricordate? Vuol volare lontano dagli scandali; lontano dai cattivi ai quali è mescolato; vuol separarsi dalla paglia in mezzo alla quale si trova il buon grano. Giunto alla meta, non dovrà più soffrire per la mescolanza e la compagnia di alcun malvagio ma potrà vivere nella santa società degli angeli, cittadini dell’eterna Gerusalemme.

 

Sant’Agostino, Sul Salmo 121

Il domenicano Padre Angelo, risponde: “Perché la vita intima con Dio, è così strettamente legata alla purezza, e al vivere bene la propria sessualità?”

 

Il domenicano Padre Angelo, risponde

 

Perché la vita intima con Dio, è così strettamente legata alla purezza, e al vivere bene la propria sessualità?

 

Quesito

Caro Padre  Angelo,   un altro problema  riguarda la sessualità   Il “problema”, è che nell’esercizio sbagliato della  propria sessualità non è visibile un danno tangibile a qualcuno, come può  essere ad esempio un omicidio o un furto. Per cui si pensa “E ma non faccio  male a nessuno”, per cui peccare contro il proprio corpo non è vista come  una cosa sbagliata, tanto che una ragazza cattolica praticamente mi ha detto  “E ma se due si amano e non sono sposati non si può chiamare disordinato  l’atto sessuale che hanno” (e sinceramente a questa risposta ci sono  rimasto amareggiato..). Cosa potrei rispondere? Considerando anche che non  basta rispondere “c’è questa enciclica che dice” o “il Papa ha  detto così..” perché purtroppo ho notato una certa sfiducia nei confronti  del Magistero e relative Verità di fede.   La domanda che più mi preme è questa però: perché la vita  intima con Dio, è così strettamente legata alla purezza, e al vivere bene la  propria sessualità?   La  ringrazio tantissimo per l’eventuale risposta! Francesco


Risposta del sacerdote

Caro Francesco, 1. neanche quando uno bestemmia è visibile il danno. E neanche quando si tralascia di santificare la festa. Ma il più delle volte non è visibile neanche quando si compie  un adulterio… Allora identificare il peccato solo con i suoi effetti visibili  è sbagliato. Forse solo nel caso dell’omicidio e del furto gli effetti sono  visibili. Ma i comandamenti non sono due, bensì dieci.

2. Il peccato porta un disordine nel fondo di se stesso,  nell’orientamento del proprio io.   Il peccato, come lo definisce Sant’Agostino, consiste  essenzialmente “nell’allontanarsi da Dio e nel rivolgersi in maniera  disordinata alle creature”. Ecco il male. Le creature che Dio ci ha dato perché  ci parlino di Lui, ci portino a Lui e ci uniscano a Lui, diventano il nostro Dio.   Ma le creature non possono saziare il bisogno di felicità  dell’uomo, perché questo bisogno è infinito, mentre le creature sono tutte  finite, limitate.   Con ragione Sant’Agostino diceva: “Tu Dio ci hai fatti per te e il nostro cuore è inquieto finché non riposi in te”  (Confessioni, 1,1).   Il male del peccato non è anzitutto un male materiale, ma di  ordine morale. Consiste in un disorientamento di fondo della propria vita,  un destinarsi all’infelicità nella vita presente e alla perdita irrevocabile di  Dio in quella futura.

3. “E… ma se due si amano e non sono sposati non si può  chiamare disordinato l’atto sessuale che hanno”.   Sì, è disordinato perché quell’atto ha un duplice significato:  di donarsi all’altro in totalità anche temporalmente. Ora fuori del matrimonio  la totalità del dono non è ancora stata sancita, non è irrevocabile, ognuno può  ancora tornare indietro, è libero, non appartiene per sempre ad un’altra  persona.   Inoltre la contraccezione manifesta ulteriormente  un’alterazione del disegno divino sulla sessualità perché non si vuole che  raggiunga il suo obiettivo intrinseco.   Ti pare ordinato darsi a uno che non  è ancora tuo, quando quel gesto significa  invece proprio quello?   Ti pare ordinato “usarsi” a vicenda e poi lasciarsi?   Ti pare ordinato compiere un gesto che rimane sempre  potenzialmente procreativo e talvolta lo è nonostante tutti gli artifizi?   Il dare il proprio corpo anche nella dimensione genitale è  proprio la stessa cosa che darsi la mano?

4. “Se due di amano”. Quest’espressione è soggetta ad ambiguità.   Talvolta si tratta di vero amore. E allora se due persone si  amano in maniera vera non falsificano un gesto che di suo ha degli obiettivi  ben precisi: donazione totale di sé e apertura alla vita. Si amano e si  rispettano in tutti i sensi.   Talvolta invece per amore s’intende semplicemente l’attrazione  erotica. Allora ci si può domandare se sia sufficiente l’attrazione erotica per  giustificare l’atto sessuale? È ancora vero amore quello in cui ci si usa per  un attimo e per sfogare la propria libidine e poi ci si lascia?

5. Certo, se svanisce Dio e il senso ultimo della nostra vita  non ha più senso parlare di bene e di male. San Paolo dice: “Se i morti  non risorgono, mangiamo e beviamo, perché domani moriremo” (1 Cor 15,31).   Stupisce che una ragazza che si dice cattolica abbia un modo  di pensare che non solo non è cattolico, ma neanche da credenti in Dio.   Comprendo la tua amarezza.   Ma viene da ricordare quanto Benedetto XVI ha detto ai  giornalisti mentre si recava a Fatima nel 2010: “Quando si parla di credenti si  da per presupposto che ci sia la fede, ma spesso questa non c’è”. Se per fede s’intende sapere che Dio c’è, ebbene questa fede  ce l’hanno anche i demoni.   Aver fede invece significa orientare la propria vita a Dio e  obbedire a Dio.

6. Infine mi chiedi: “perché la vita intima con Dio, è  così strettamente legata alla purezza, e al vivere bene la propria sessualità?” Perché la sessualità, come rileva Giovanni Paolo II “non è  affatto qualcosa di puramente biologico, ma riguarda  l’intimo nucleo della persona umana come tale” (Familiaris consortio 11).   Ne va di mezzo la disposizione di fondo di se stessi.

7. La santificazione è legata alla carità, e cioè alla  maniera di amare di Dio.   L’impurità è tutto il contrario: non porta ad amare col  cuore di Dio, a desiderare e a donare all’altro quello che Dio gli vuole  donare, ma porta a usare dell’altro.   L’impurità non è vero amore e non è senza conseguenze perché  “la carne ha desideri contrari allo spirito, e lo spirito ha desideri contrari  alla carne” (Gal 5,16-17).   L’impurità, in qualunque modo si esprima, spegne il gusto  delle cose di Dio.

8. Sentirai nella seconda lettura di domenica prossima (2a  del tempo ordinario b): “Il corpo non è  per l’impurità, ma per il Signore” 1 Cor 6,13) e ancora: “State lontani dall’impurità! Qualsiasi  peccato l’uomo commetta, è fuori del suo corpo; ma chi si dà all’impurità,  pecca contro il proprio corpo. Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo, che è in voi? Lo  avete ricevuto da Dio e voi non appartenete a voi stessi”(1 Cor 6,18-19).   Desidero ricordare anche quanto ha detto il Signore nel suo  primo discorso, quello della montagna: “Beati i puri di cuore perché vedranno  Dio” (Mt 5,8). Quando impera  l’impurità, Dio non interessa più.   Anzi si può giungere a quanto San Paolo diceva piangendo:  “Perché molti – ve l’ho già detto più volte e ora, con le lacrime agli occhi,  ve lo ripeto – si comportano da nemici della croce di Cristo. La loro sorte  finale sarà la perdizione, il ventre è il loro dio. Si vantano  di ciò di cui dovrebbero vergognarsi e non pensano che alle cose della  terra”  (Fil 3,19).

Non vado oltre perché non si finirebbe più.   Ti saluto, ti assicuro la mia preghiera e ti benedico.   Padre Angelo


Pubblicato 02.10.2012

http://www.amicidomenicani.it/index.php

Papa Paolo VI: “SUBLIMITÀ DELLO STATO DI GRAZIA” “È la grazia una Presenza divina, che piove nell’anima, fatta tempio dello Spirito; è una straordinaria permanenza del Dio vivente nell’Anima, nella nostra vita, folgorata da un’ineffabile illuminazione divina”

 

PAPA PAOLO VI

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 14 agosto 1968

 

I mirabili doni della scienza soprannaturale

LA PERSONALITÀ DEL SEGUACE DI CRISTO

Diletti Figli e Figlie!

In queste conversazioni Noi andiamo cercando qualche nota caratteristica del cristiano; Noi vogliamo individuare qualche elemento che qualifica il seguace di Cristo in quanto tale, e che definisce intimamente la sua nuova personalità. Vi è una differenza esistenziale fra il cristiano ed uno che non lo è? Certamente. Vi è una differenza che lo caratterizza profondamente; ed è appunto il «carattere» cristiano, quell’impronta spirituale, che, in vario grado, tre sacramenti stampano indelebilmente nell’anima di chi li riceve, come ognuno sa: il battesimo, che consacra il fedele con un certo potere sacerdotale al culto di Dio e lo fa membro del Corpo mistico di Cristo (cfr. 1 Petr. 2, 5); la cresima, che lo abilita alla professione e alla milizia cristiana (cfr. Act. 8, 17; S. Th. 3, 72, 5); e l’ordine sacro, che lo assimila al sacerdozio potestativo di Cristo e lo fa suo qualificato ministro (cfr. Presb. Ord., n. 2). Il carattere comporta una prerogativa originale, propria del cristiano, che così segnato acquista una data qualificazione incancellabile, con un certo potere spirituale di compiere date azioni in ordine ai rapporti con Dio e conseguentemente nella comunità ecclesiale (cfr. S. Th. 3, 63, 2). S. Agostino ne parlò più volte, polemizzando con i Donatisti (cfr. Contra Epist. Parmeniani, II, 28); il Concilio di Firenze dapprima (cfr. Denz. Sch. 1310; 695), poi il Concilio di Trento tradussero in termini dogmatici l’insegnamento tradizionale della Chiesa al riguardo (cfr. Denz.-Sch. 1609; 852-1797; 960).

IMPEGNO ALLA FEDELTÀ AL RISCHIO ALLA TESTIMONIANZA

Una meditazione sarebbe da farsi su questo «segno distintivo», impresso nel cristiano, il quale sigillo si sovrappone all’immagine divina, già delineata, per via di natura, nell’anima razionale dell’uomo, e vi configura, sempre più marcato, il volto di Cristo, che diventa il volto del cristiano insignito da tale mistica impressione. È questa una stupenda antropologia, della quale spesso non si fa abbastanza caso nella concezione dell’uomo diventato cristiano. Anzi oggi la tendenza alla secolarizzazione, o alla trascuranza dei valori e dei doveri religiosi, porta a negligere la fisionomia cristiana modellata dal carattere sacramentale, così che sovente essa viene mascherata (perché cassare non si può) da sembianze profane, quasi per farle riprendere un profilo puramente naturale o anche pagano, dimenticando che la qualifica cristiana non è semplicemente nominale, ma reale, e comporta un?inserzione in Cristo, decisiva per il destino di chi gli è seguace, impegnandolo a fondo, se non vuol tradire l’onore del suo titolo, alla fedeltà, al rischio, alla testimonianza (cfr. Act. 11, 26; 1 Phil. 4, 16).

SUBLIMITÀ DELLO STATO DI GRAZIA

Ma vi è di più. Vi è la grazia, lo stato di grazia, cioè quella luce, quella qualità di cui l’anima è rivestita, anzi profondamente investita e imbevuta, quando il nuovo, soprannaturale rapporto, al quale Dio ha voluto elevare l’uomo che a Lui si abbandona, si stabilisce nello sforzo da parte dell’uomo della conversione, della disponibilità fiduciosa, e nell’accettazione della sua Parola, mediante la fede, in umile implorante amore, al quale subito l’Amore infinito, ch’è Dio stesso, risponde col fuoco dello Spirito Santo, vivificante nell’uomo la forma di Cristo. È la grazia una Presenza divina, che piove nell’anima, fatta tempio dello Spirito; è una straordinaria permanenza del Dio vivente nell’ Anima, nella nostra vita, folgorata da un’ineffabile illuminazione divina. Lo stato di grazia non ha termini sufficienti per essere definito: è un dono, è una ricchezza, è una bellezza, è una meravigliosa trasfigurazione dell’anima associata alla vita stessa di Dio, per cui noi diventiamo in certa misura partecipi della sua trascendente natura, è una elevazione all’adozione di figli del Padre celeste, di fratelli di Cristo, di membra vive del Corpo mistico mediante l’animazione dello Spirito Santo. È un rapporto personale: ma pensate: fra il Dio vivente, misterioso e inaccessibile per la sua infinita pienezza, e la nostra infima persona. È un rapporto che dovrebbe diventare cosciente; ma solo i puri di cuore, i contemplativi, quelli che vivono nella cella interiore del loro spirito, i santi ce ne sanno dire qualche cosa. Anche i teologi ci possono bene istruire. Perché è un rapporto ancora segreto; non è evidente, non cade nell’ambito dell’esperienza sensibile, sebbene la coscienza educata acquista una certa sensibilità spirituale; avverte in sé i «frutti dello spirito», di cui San Paolo fa un lungo elenco: «la carità, il gaudio, la pace» (questi specialmente: una gioia interiore, e poi la pace, la tranquillità della coscienza), e poi: la pazienza, la bontà, la longanimità, la mansuetudine, la fedeltà, la modestia, la padronanza di sé, la castità (Gal. 5, 22): pare d’intravedere il profilo d’un santo. Questa è la grazia; questa è la trasfigurazione dell’uomo che vive in Cristo.

Nessuna meraviglia se tale condizione, di per sé forte e permanente («nulla ci potrà separare dalla carità di Dio», dice ancora San Paolo [Rom. 8, 39]), è tuttavia delicata ed esigente; essa proietta sulla vita morale dell’uomo doveri particolari, sensibilità finissime; e fortunatamente infonde anche energie nuove e proporzionate, affinché l’equilibrio di questa soprannaturale posizione sia fermo e gioioso. Ma resta il fatto ch’esso può essere turbato e rovesciato, quando noi disgraziatamente lo disprezziamo e preferiamo scendere al livello della nostra natura animale e corrotta; quando commettiamo un volontario distacco dall’ordine a cui Dio ci ha associato, dalla sua vita fluente nella circolazione della nostra, cioè un peccato vero e volontario, che perciò, quando è grave, chiamiamo mortale.

LA TRISTE DEVIAZIONE DEL PECCATO

È strano vedere come molti cristiani oggi hanno un comportamento molto discutibile rispetto a tale condizione soprannaturale della nostra vita: da un lato cercano di minimizzare il concetto di peccato, coonestando anche gravi infrazioni della norma morale e quindi della condizione indispensabile della nostra relazione con Dio, come fosse senza importanza, e come fosse necessario, per francare la coscienza da possibili eccessivi timori, da scrupoli imbarazzanti e fantastici, non dare sufficiente peso alla rovina che il peccato produce; dall’altro, attribuiscono a sé la guida dello Spirito Santo, conferendo ai propri pensieri e alla propria condotta un gratuito e spesso fallace carisma di sicurezza e d’infallibilità. È una tendenza di moda, questa; e spesso in tacita polemica con l’economia propria della grazia, che esige ordinariamente l’intervento sacramentale per essere stabilita, conservata e alimentata e, se occorre, ristabilita.

I SUPREMI FULGORI: LA PAROLA DI DIO, L’AZIONE SACRAMENTALE, LA CHIESA

Ricordiamo, Figli carissimi, che durante la nostra vita temporale a noi non è dato «vedere» le realtà divine (cfr. Io. 20, 29); è dato «sapere»; ed anche questo sapere deriva non da una conoscenza naturale e normale, ma dalla fede; l’uomo credente procede «come se vedesse l’invisibile» (Hebr. 11, 27; cfr. Loew, Comme s’il voyait l’invisible, riferito all’apostolato); e la sicurezza., in via ordinaria, gli è data da segni, da certi segni sacri, simbolo e causa strumentale di ciò che rappresentano, i sacramenti. Il mistero della salvezza a noi è comunicato mediante due vie: quella obiettiva della Parola di Dio, cioè soggettivamente della fede; e quella dell’azione sacramentale. Alle quali vie una terza possiamo aggiungere, quella della Chiesa, quel grande sacramento che tutti gli altri contiene e dispensa, e che stilizza cristianamene la nostra vita e ci offre l’atmosfera dello Spirito, di cui essa è anima e che a noi, se fedeli, fa respirare.

Sì, è questa scienza soprannaturale dell’uomo un mondo difficile, un regno insolito ed arduo; ma è il vero mondo della nostra vocazione umana e cristiana; un regno che i violenti, cioè i violenti, forti e risoluti, conquistano e rapiscono (Matth. 11, 12); ma un regno vicino (Luc. 9, 10), un regno che già ci circonda, fino ad essere già fra noi, dentro di noi (Luc. 17, 21); un regno che i poveri, gli umili, i semplici, i fanciulli, i puri di cuore possono facilmente possedere. A tanto Cristo vi invita, e a ciò vi conduca anche la Nostra Benedizione Apostolica.

 

San Gregorio di Nissa: “Calunnia dunque il nome di Cristo chi se ne appropria senza però testimoniare nella sua vita le virtù” “Cristo non può non essere giustizia, purezza, verità e allontanamento da ogni male; così non può non essere cristiano autentico chi prova la presenza in sé di quei nomi”

 

Dai Trattati sull’ideale del perfetto cristiano di san Gregorio di Nissa.

De Instituto christiano. PG 46, 291. De professione christiana. PG 46, 242-246.

 

Dal vangelo secondo Matteo.

Gesù ammaestrava le folle dicendo: “Voi siete la luce del mondo”.

 

Come mai il Signore dice: Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli? Perché egli ordina a chi obbedisce ai comandamenti di Dio di pensare a lui in ogni sua azione e di cercare di piacere soltanto a lui, senza andare a caccia della gloria umana. Occorre rifuggire dalle lodi degli uomini e dall’ostentazione, però farsi riconoscere come autentici cristiani tramite la vita e le opere, affinché tutti ne diventino spettatori.

Il Signore non ha detto: “Perché tutti ammirino chi le mette in mostra”, ma: Perché rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli. Cristo ci ordina di far risalire ogni gloria a colui che tiene in serbo il premio delle azioni virtuose, e di compiere ogni azione secondo il suo volere.

Aspira quindi alle lodi di lassù, ripetendo le parole di Davide: Sei tu la mia lode. Io mi glorio nel Signore [Sal 21,26; Sal 33,3].

 

La Divinità, libera da qualsiasi vizio, trova espressione nei nomi delle virtù: ella è quindi giustizia, sapienza, potenza, verità, bontà, vita, salvezza, incorruttibilità, immutabilità e inalterabilità. E Cristo si identifica con tutti i concetti elevati indicati da tali nomi e riceve da essi i suoi appellativi.

Se dunque nel nome di Cristo si possono pensare compresi tutti i concetti più alti, possiamo forse arrivare a comprendere il significato del termine «cristianesimo». Come abbiamo ricevuto il nome di cristiani perché siamo divenuti partecipi di Cristo, così, di conseguenza, dobbiamo entrare in comunione con tutti i nomi più alti.

Chi tira a sé il gancio estremo di una catena attira anche tutti gli anelli attaccati strettamente gli uni agli altri; allo stesso modo, dato che nel nome di Cristo sono strettamente uniti anche i termini che esprimono la natura beata, ineffabile e molteplice della divinità, chi ne afferra uno, non può non trascinarne assieme anche gli altri.

Calunnia dunque il nome di Cristo chi se ne appropria senza però testimoniare nella sua vita le virtù che si contemplano in esso; è come se costui facesse indossare a una scimmia una maschera priva di vita, che di umano ha solo la forma.

 

Cristo non può non essere giustizia, purezza, verità e allontanamento da ogni male; così non può non essere cristiano autentico chi prova la presenza in sé di quei nomi. Per esprimere con una definizione il concetto di cristianesimo, diremo che esso consiste nell’imitazione della natura divina. La primitiva conformazione dell’uomo imitava infatti la somiglianza a Dio; e la professione cristiana consiste nel far ritornare l’uomo alla primitiva condizione fortunata.

Supponiamo che un pittore riceva l’ordine di raffigurare l’immagine del re per quanti risiedono in zone lontane. Se, dopo aver delineato su una tavola una figura brutta e deforme, chiamasse immagine del re questo sconveniente dipinto, non attirerebbe su di sé l’ira delle autorità? A causa del suo brutto dipinto, infatti, le persone ignare penserebbero che, se è brutto il quadro, brutto è anche l’originale.

Se il cristianesimo è definito imitazione di Dio, chi non ha ancor accolto il senso del mistero, crede erroneamente che la nostra vita imiti quella di Dio e che a immagine e somiglianza della nostra vita sia la Divinità.

 

Se chi ancora non crede vedrà in noi esempi di tutte le virtù, reputerà che quel Dio che adoriamo sia buono. Se invece uno sarà vizioso e poi dichiarerà d’essere cristiano, mentre tutti sanno che questo implica l’imitazione di Dio, farà che a causa della sua vita il nostro Dio sia disprezzato dai non credenti. Per questo la Scrittura pronunzia contro questi tali una spaventosa minaccia, dicendo: Guai a quelli per i quali il mio nome è stato disprezzato fra le nazioni [Cf Is 52,5].

Mi pare che proprio questo il Signore voleva far capire ai suoi uditori, dicendo: Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste [Mt 5,48]. Chiamando Padre il Padre dei credenti, il Signore vuole che anche quanti sono da lui generati si avvicinino ai beni perfetti che si contemplano in lui.

Tu mi chiederai: Come può la piccolezza umana raggiungere la beatitudine che si vede in Dio? La nostra impotenza non risulta chiara proprio dal comandamento? Come può un essere terreno somigliare a chi sta in cielo, se la diversità di natura mostra impossibile l’imitazione? È comunque chiaro che il vangelo non parla di somiglianza di natura, ma di opere buone, per cui noi secondo la nostra possibilità ci facciamo simili a Dio.

 

Sant’ Alberto Magno : “L’UNIONE CON DIO” Il fine della nostra vita

SANT’ ALBERTO MAGNO
(1193-1280)
vescovo dell’Ordine dei Predicatori, maestro di San Tommaso d’Aquino, Dottore della Chiesa

L’UNIONE CON DIO

Alcuni capitoli 

CAPITOLO I

LA MASSIMA PERFEZIONE SPIRITUALE E’ POSSIBILE ALL’UOMO MEDIANTE IL DISTACCO DELLA INTELLIGENZA E DELLA VOLONTA’ DA TUTTE LE COSE

 

 

Perché l’autore scrive questo opuscolo

Ho pensato di scrivere un’ultima parola (per quanto mi è possibile nei languori di questo esilio e pellegrinaggio) sul distacco completo da tutte le cose; e sull’unione libera, sicura, assoluta e totale con Dio. Il fine della perfezione cristiana, infatti, non è altro che la carità che a Dio ci unisce (1).

 

L’unione con Dio quale s’impone a tutti gli uomini

L’uomo che vuol giungere a salvezza è obbligato a questa unione di carità, e deve per conseguenza praticare i divini precetti e conformarsi alla divina volontà.

Tale vita escluderà tutto ciò che ripugna all’essenza della virtù della carità, cioè il peccato mortale.

 

L’unione con Dio quale si impone ai religiosi

Ma i religiosi si sono votati inoltre alla perfezione evangelica e alle opere di supererogazione e di consiglio, per arrivare più facilmente al loro fine ultimo che è Dio (2). Per cui essi evitano ciò che potrebbe impedire l’atto e il fervore della carità e ostacolare il loro slancio verso Dio.

Essi hanno rinunciato a tutti i beni del corpo e dell’ingegno e non osservano che il voto della loro professione religiosa (3).

 

Condizioni dell’unione perfetta con Dio

Dio è spirito, e coloro che l’adorano devono adorarlo “in spirito e verità” (4), devono cioè adorarlo con una conoscenza e un amore, una intelligenza e una volontà spogli da ogni illusione terrena.

Infatti il Vangelo dice: “Quando adorate, entrate nella vostra casa” ossia nell’intimo del vostro cuore e “dopo aver chiusa la porta” dei vostri sensi, con cuore puro, con coscienza senza rimproveri e con fede senza finzione “pregate il Padre in spirito e verità, nel segreto della vostra anima” (5).

L’uomo saprà realizzare questo ideale quando sarà disinteressato e spogliato di tutto, quando sarà interamente raccolto in se stesso, quando avrà messo da parte e dimenticato l’universo intero per mantenersi nel silenzio in presenza di Gesù Cristo, mentre la sua anima purificata eleverà con sicurezza e confidenza i suoi desideri a Dio, e con tutto lo slancio del suo cuore e del suo amore si dilaterà, s’inabisserà, s’infiammerà, si immedesimerà in lui, fino nel più intimo del suo essere, con una sincerità e una pienezza senza limiti.

 

CAPITOLO II

SI POSSONO DISPREZZARE TUTTE LE COSE TERRENE PER TENDERE ALL’UNIONE INTIMA CON DIO

 

Per raggiungere l’unione perfetta con Dio, bisogna disprezzare i beni terrestri

Ma l’uomo che intende raggiungere realmente tale stato di perfezione ed entrarvi, deve assolutamente chiudere occhi e sensi; non preoccuparsi, non turbarsi, non inquietarsi, non curarsi per nulla delle creature.

 

Raccogliersi in se stessi e attaccarsi a Cristo

Bisogna ch’egli rinunzi completamente a tutte le cose di questo mondo come inutili, nocive, funeste (6); che si raccolga in se stesso, e la sua anima non abbia altro pensiero che per il Cristo doloroso.

Egli dovrà fare ogni sforzo e serbare tutta la sua perseveranza per arrivare a lui per mezzo di lui: cioè a Dio per mezzo dell’Uomo­Dio, all’intimo della sua divinità per mezzo delle piaghe della sua umanità.

 

Bisogna anche abbandonarsi alla Divina provvidenza

Egli dovrà infine con tutta semplicità e confidenza abbandonare senza restrizione ogni cosa alla infinita provvidenza di Dio, secondo le parole di S. Pietro: “Deponete in Lui tutte le vostre angustie, perché Egli si prende cura di voi” (7). E altrove è detto “Non inquietatevi di nulla” (8); “Affida al Signore le tue cure: ed egli sarà il tuo tutore” (9); “Mi fan lieto, o Signore, le opere tue” (10); “Sempre io tengo il Signore innanzi a me” (11); “Incontrai l’amato del mio cuore” (12) e “mi venne ogni bene insieme” (13) con lui.

 

Bisogna infine cercare di esplorare il tesoro celeste

Ecco il tesoro celeste e nascosto, la pietra preziosa che si deve preferire a tutto, e cercare con umile fiducia e con sforzo costante, nella tranquillità del silenzio, con la massima energia dell’anima, dovesse pur costarci la perdita del benessere corporale, della lode, dell’onore.

Se così non fosse, per qual motivo ci faremmo religiosi? “Che gioverebbe a un uomo guadagnare tutto il mondo se perdesse l’anima sua?” (14).

Che importa lo stato, la santità della professione, l’abito dei perfetti, la testa tosata, tutto l’esteriore di una vita separata dal mondo, se poi manca lo spirito d’umiltà e di verità dove soltanto abita il Cristo per mezzo della fede e della carità? Dice S. Luca: “Il regno di Dio è dentro di voi” (15) ed è appunto il Cristo.

 

 

 

CAPITOLO III

LA LEGGE DELLA PERFEZIONE DELL’ UOMO IN QUESTA VITA

 

L’unione con Dio è proporzionata al distacco dalle cose terrestri

Più lo spirito è assorbito dal pensiero e dalle cure delle cose di questo mondo, più perde l’intimità della sua devozione e s’allontana dalle cose celesti. Al contrario, più si darà premura di allontanare le sue facoltà dal ricordo, dall’amore, dal pensiero delle cose inferiori per fissarle nelle cose superiori, più sarà perfetta la sua devozione, e più diventerà pura la sua contemplazione.

E’ impossibile che l’anima possa applicarsi, perfettamente a due oggetti nello stesso tempo, quando essi sono dissimili come il giorno e la notte (16).

Chi vive unito a Dio abita nella luce, chi si attacca al mondo vive nelle tenebre.

 

In che consiste la più alta perfezione in questo mondo

La più alta perfezione dell’uomo in questa vita consisterà dunque nel raggiungere una tale intimità con Dio, da procurare che tutte le facoltà e potenze dell’anima rimangano raccolte in lui e formino come un medesimo spirito con lui (17) e l’anima non ricordi che Dio, non senta e non comprenda che Dio, che tutti i suoi affetti, uniti nella gioia dell’amore, non trovino riposo che nel possesso del Creatore.

L’immagine di Dio, impressa nell’anima, è infatti costituita dalla ragione, della memoria e dalla volontà; ma fino a quando queste facoltà non portano l’impronta perfetta di Dio, non gli rassomigliano come nei giorni della prima creazione dell’uomo (18).

 

L’immagine di Dio deve essere impressa negli atti dell’uomo

La forma dell’anima è Dio, che deve imprimersi in essa come il sigillo sulla cera, come la marca sul proprio oggetto (19).

E ciò si realizza pienamente soltanto quando la ragione è completamente illuminata dalla conoscenza di Dio, verità suprema, e la volontà è interamente incatenata all’amore dell’eccelso bene, e quando la memoria è pienamente assorta nella contemplazione e nel godimento della felicità eterna e nel soave, dolce riposo di tale felicità. E siccome la gloria dei Beati in cielo, non è altro che il possesso di questo stato, è chiaro che l’iniziato possesso del medesimo, costituirà la perfezione dell’uomo nella vita presente.

 

 

CAPITOLO IV

L’UOMO DEVE OPERARE SECONDO LA SUA INTELLIGENZA E NON SECONDO I SENSI

 

Bisogna purificare l’anima dalle illusioni e preoccupazioni terrene

Beato colui che allontana da sé assiduamente le illusioni e le immaginazioni, e che orienta ed eleva la sua anima verso Dio. Fortunato colui che riesce ad obliare le apparenze e opera interiormente, dirigendo con purezza e semplicità la propria intelligenza e volontà verso il purissimo Dio!

Sforzatevi di allontanare dalla vostra anima le illusioni, le apparenze, le immaginazioni, insomma tutto ciò che non è Dio (20).

E’ necessario che tutto ciò che voi fate per Iddio derivi da una intelligenza, da una affezione, da una volontà egualmente purificate.

In poche parole, fine di tutte le vostre azioni deve essere di tendere verso Dio e di trovare in lui il riposo intimo, per mezzo di una intelligenza perfettamente pura e di una volontà completamente a lui consacrata, esente da rappresentazioni e preoccupazioni umane.

 

Non si arriva a Dio per mezzo dei sensi

Non con gli organi materiali né coi sensi esterni si arriva a Dio, ma con ciò che caratterizza l’essere umano, vale a dire con l’intelligenza e la volontà (21). Per conseguenza fino a che l’uomo s’indugia e si diverte in cose che interessano l’immaginazione e i sensi, è evidente che non ha ancora superato gli istinti e i limiti di ciò che vi è di animale in lui, di ciò che egli ha in comune coi bruti.

L’animale irragionevole non comprende, e non è impressionato che nella immaginazione e nei sensi, perché non ha facoltà più nobili. Ben altrimenti accade all’uomo, dotato di intelligenza, di volontà, di libero arbitrio, e creato ad immagine e somiglianza di Dio. Soltanto dunque per mezzo di queste facoltà, senza altri intermediari, egli deve tendere a lui e fissarsi in lui (22).

 

Il demonio ci tenta per mezzo dei sensi per impedire la nostra unione con Dio

Il demonio fa tutto il possibile per impedire questo santo esercizio.

Egli vede in esso un principio, un dolce preludio di vita eterna e ne è invidioso; si sforza dunque, con una tentazione o con l’altra, di allontanare l’anima da Dio. Eccita le passioni, provoca agitazioni inutili, preoccupazioni. indiscrete, turbamenti, conversazioni sregolate, irragionevoli curiosità.

Seduce per mezzo della lettura di libri vani, di relazioni pericolose, con l’agitazione e con le novità; ricorre alle dure prove, alle avversità, ecc.

 

Le preoccupazioni terrestri, anche se oneste possono essere di ostacolo alla nostra unione con Dio

Può anche darsi che tutte queste cose non siano talvolta che colpe leggere, o non siano neppure colpe; è nondimeno fuori di dubbio che rappresentino sempre un grande ostacolo all’opera di unione con Dio.

Dobbiamo dunque concludere che quand’anche tutto ciò sembrasse utile o, se si vuole, necessario, conviene 1iberarne i sensi, come di un male, si tratti di grandi o di piccole cose.

Ciò che in qualsiasi modo si è udito o fatto, o detto, non deve lasciare in noi alcuna preoccupazione, o effervescenza dell’immaginazione. Né prima, né dopo, né durante, dobbiamo attaccarvi i sensi interni o esterni al punto da esserne turbati.

 

Risultati del distacco dalle cose terrene

Quando le rappresentazioni sensibili non agitano più la memoria né lo spirito, allora l’uomo non è più disturbato nelle sue preghiere, nelle meditazioni, nella recita del divino ufficio, in nessuno insomma dei suoi esercizi spirituali.

Non vi saranno più in lui quei ricordi del passato che generano le distrazioni.

Voi potrete allora, senza difficoltà e con sicurezza, nel silenzio e nella pace, affidare voi stessi e quanto vi appartiene all’infallibile e salda Provvidenza. Iddio allora combatterà per voi, vi darà una libertà e delle consolazioni migliori, più nobili, più dolci di quelle che avreste goduto abbandonandovi giorno e notte alle corse folli della immaginazione, alle vane agitazioni lusinghiere della vostra anima, che sarebbe stata sacrificata, senza ragione, col vostro corpo, il vostro tempo, le vostre forze (23).

 

Non bisogna impressionarsi di nulla

Bisogna dunque che ogni avvenimento, qualunque ne sia l’origine, sia accettato in silenzio, nella pace e tranquillità dello spirito. Essi ci vengono sempre dalla mano patema della Provvidenza.

Allontaniamo dunque con molta cura le preoccupazioni materiali, per quanto ce lo permette la nostra professione.

Purifichiamo pensieri ed affetti, per fissarci in Colui al quale ci siamo votati così frequentemente e così totalmente.

Non vi siano più intermediari fra lui e la nostra anima.

Allora soltanto noi potremo senza indugi e inciampi, passare direttamente dalle piaghe dell’umanità di Gesù Cristo alla luce della sua divinità.

 

 

CAPITOLO V

DOBBIAMO RICERCARE LA PUREZZA DI CUORE PIÙ D’OGNI ALTRA COSA

 

Si trova la purezza del cuore riunendo le proprie affezioni in Dio

Voi dunque che desiderate percorrere il sentiero più breve e più sicuro per arrivare un giorno alla patria celeste, alla grazia, alla gloria eterna, mettete ogni vostra cura a mantenere il cuore in una inviolabile purezza, l’anima in libertà, i sensi nella quiete.

Raccogliete tutte le affezioni del vostro cuore per gettarle in seno a Dio.

Bisogna, quanto più è possibile, liberarsi dalle preoccupazioni inutili

Staccatevi, per quanto è possibile, dalle vostre conoscenze e da tutto ciò che potrebbe ostacolare i vostri propositi.

Cercate ardentemente e continuamente il luogo, il tempo, il modo di godere la pace e la contemplazione. Non amate nulla più del segreto della solitudine, evitate i discorsi mondani sempre pronti ad ostacolarvi, fuggite le turbolenze di un mondo incessantemente agitato e rumoroso (24).

Sforzatevi costantemente di purificare, di illuminare e pacificare il vostro cuore, chiudete le porte dei sensi carnali, per raccogliervi abitualmente in voi stessi, e fate in modo che il vostro cuore resti chiuso, per quanto è possibile, a tutto ciò che può venirvi dalla terra.

 

Importanza della purezza di cuore

Fra tutti gli esercizi spirituali la purezza del cuore tiene il primo posto.

Essa è il fine e la ricompensa di tutto il lavoro spirituale e non appartiene che a colui il quale vive veramente secondo lo spirito e da buon religioso.

Mettete dunque ogni vostra cura, ogni vostra capacità e ogni energia per liberare il vostro cuore, i vostri sensi e le vostre affezioni da tutto ciò che potrebbe ostacolarne la libertà, incatenarvi e rendervi schiavi.

Combattete costantemente per riunire tutte le affezioni disordinate del vostro cuore nell’amore della sola e pura verità e del bene supremo.

 

Effetti della purezza di cuore

L’anima vostra allora potrà ancorarsi tenacemente in Dio e nelle cose divine, voi sdegnerete le frivolezze della terra e il vostro cuore si verrà trasformando, fino nella più intima fibra, in Nostro Signore Gesù.

Quando avrete incominciato a spogliarvi e a liberarvi di ciò che è terrestre, a semplificare e tranquillizzare con fiducia il cuore e lo spirito in Dio, per bere ed assaporare con tutte le vostre potenze i flutti dei favori divini, e a fissare la vostra volontà ed intelligenza in Dio, allora non vi sarà più necessario ricorrere agli insegnamenti della divina Scrittura per apprendervi l’amor di Dio e del prossimo: lo Spirito Santo vi istruirà e dirigerà (25).

 

Non bisogna trascurare nulla per uscire da se stessi

Non risparmiate dunque nessuno sforzo, nessuna fatica, nessuno slancio, per purificare il vostro cuore, per fissarvi immobili e tranquilli in Dio, come se fosse già spuntato per voi il giorno dell’eternità che è il giorno di Dio.

Per amore di Gesù plasmate in voi stessi un’anima pura, una coscienza serena e una fede sincera, e di fronte a tutte le prove, a tutti gli eventi, confidate in Dio senza restrizione, non curandovi d’altro che di obbedire assolutamente alla sua volontà e ai suoi desideri.

Per arrivare a questo, dovete rientrare frequentemente in voi stessi e rimanervi il più possibile, onde effettuare in voi il distacco da ogni cosa terrena.

Serbate la vostra anima nella purezza e nella calma; preservate la vostra intelligenza dalla polvere di quaggiù, proteggete la libertà della vostra volontà, attaccatevi con ardente amore al bene supremo, tenete la vostra memoria al disopra delle cose di questo mondo, per fissarla nel bene essenziale e increato.

 

L’unione di intelligenza e d’amore con Dio è la suprema perfezione sulla terra

La vostra anima con tutte le sue facoltà e potenze sia raccolta in Dio in modo da formare con lui un solo spirito. In questo consiste tutta la perfezione possibile all’uomo sulla terra.

Tale unione d’intelligenza e d’amore per cui l’uomo si conforma in tutto alla volontà eterna e suprema, ci permette di diventare, per grazia, ciò che Dio è per natura (26).

Non dimentichiamolo: nello stesso istante in cui l’uomo, con l’aiuto di Dio riesce a vincere la sua volontà, vale a dire, riesce ad allontanare da sé ogni amore, ogni preoccupazione disordinata, per lanciarsi decisamente, con tutte le sue miserie, nel seno di Dio, diventa immediatamente così gradito a Dio che ne riceve il dono della grazia.

La grazia poi gli comunica la carità e l’amore; la carità mette termine a tutte le esitazioni, a tutti i timori, ed egli confida soltanto in Dio.

E’ dunque ben vero che la più grande felicità consiste nel porre tutta la nostra fiducia in Colui che non può mancarci. Fino a quando resterete in voi stessi, sarete vacillanti e instabili. Gettatevi con confidenza sul cuore di Dio, egli vi riceverà, vi guarirà, vi salverà (27).

 

La felicità dell’unione con Dio

Se saprete riflettere frequentemente su queste verità, troverete in esse più felicità e gioia per la vita che non in tutte le ricchezze, in tutti gli onori, in tutte le delizie; non solo, ma persino più che in tutta la sapienza e la scienza di questo mondo menzognero e ripieno di corruzione, anche se possedeste tali beni in copia maggiore di quanta ne ebbero coloro che vi hanno preceduti.

 

CAPITOLO VI

L’UOMO CHE VUOLE ACQUISTARE LA VERA PIETA’ DEVE PURIFICARE LA PROPRIA INTELLIGENZA E I PROPRI AFFETTI

 

Il distacco interiore fa gustare le cose del cielo

E’ fuor di dubbio che più voi sarete liberi dalle occupazioni e dai ricordi esteriori e mondani, più la vostra anima riacquisterà forza e capacità per gustare le cose del cielo. Imparate perciò a staccarvi dalle cose terrene.

Dio ama molto tale rinuncia. Le sue delizie sono di stare coi figlioli degli uomini (28) cioè con coloro che dopo avere allontanato le distrazioni e le passioni, sanno, con cuore puro e retto, tendere, donarsi e attaccarsi a lui.

Se la memoria, l’immaginazione, i pensieri strisciano spesso a terra, accadrà necessariamente che gli avvenimenti nuovi, i ricordi del passato e molte altre cose, inevitabilmente vi preoccuperanno e distrarranno. Lo Spirito Santo è assente da questi pensieri che mancano di saggezza.

Il vero amico di Gesù Cristo deve dunque essere talmente unito con la propria intelligenza e buona volontà alla volontà e alla bontà divina, da togliere alle passioni ogni appiglio su lui e da evitare di indagare se è schernito, amato o considerato come persona da poco. La buona volontà può arrivare a tutto, può dominare ogni cosa.

 

Suscita nell’anima il disinteresse per le miserie personali

Se la volontà è buona e pienamente conforme e unita alla volontà di Dio, come consiglia l’intelligenza, poco importa che la carne, i sensi, l’uomo esteriore, siano inclini al male e fiacchi per il bene, oppure che l’uomo interiore si trovi senza amore per le cose spirituali (29). Importa soltanto che per la fede e la buona volontà l’uomo resti unito a Dio con tutta l’anima.

Egli vi riuscirà, se riconoscerà la propria imperfezione e il proprio nulla; se comprenderà che il proprio bene non si trova che nel suo Creatore; se abbandona a Lui se stesso con tutte le sue potenze, le sue forze e le creature tutte, per nascondersi interamente in seno a lui con pieno slancio, per dirigere ogni sua azione verso Dio, senza cercare nulla all’infuori di Dio; se riconosce d’aver trovato in lui tutto il bene e tutta la felicità della perfezione.

 

Divinizza l’uomo

L’uomo allora, giunto a questo stato di perfezione, sarà, in certo qual modo, trasformato in Dio; non potrà più pensare, amare, comprendere, ricordare che Dio o le cose di Dio; non vedrà più se stesso e le altre creature se non in Dio; non avrà altro amore che per Iddio; le creature e se stesso si presenteranno alla sua memoria solo più nella luce di Dio.

 

Rende l’anima veramente umile

Simile conoscenza della verità, rende sempre l’anima umile, severa verso se stessa e non verso gli altri; mentre la saggezza mondana rende l’anima superba, frivola, piena d’orgoglio e d’alterigia.

 

La libertà interiore è necessaria per elevarsi a Dio

E’ dunque necessario considerare come dottrina fondamentale e veramente spirituale quella che ci mostra quanto sia chimerico aspirare di giungere alla conoscenza, al servizio, alla familiarità con Dio e al suo pieno possesso, se non si è prima distaccato il proprio cuore dalle affezioni terrene, non solamente dalle persone, ma da ogni altra creatura o cosa; se non si riesce a tendere verso il Creatore con tutto il cuore, liberamente, senza secondi fini, senza timori né esitazioni, con fiducia illimitata nella sua universale provvidenza (30).

CAPITOLO XII

EFFICACIA DELL’AMORE DI DIO

 

Importanza dell’amore di Dio

Tutto ciò che abbiamo detto nei capitoli precedenti, tutto ciò che è necessario alla salvezza, non può ricevere che dall’amore il suo più intimo e salutare perfezionamento.

L’amore supplisce a tutto ciò che potrebbe mancarci per la nostra salvezza; racchiude in sé l’abbondanza di ogni bene e non gli manca neppure la presenza dell’oggetto supremo dei nostri desideri.

Soltanto per l’amore noi ci orientiamo verso Dio, aderiamo a Dio, siamo uniti a Dio, per diventare uno stesso spirito con lui e ricevere da lui e per lui la felicità, quaggiù nella grazia e lassù nella gloria.

L’amore non trova riposo che nel bene amato, ossia nel suo possesso pacifico e completo.

 

L’amore conduce a Dio

L’amore, o la carità, è la via che conduce Dio all’uomo e l’uomo a Dio.

Dio non può stare ove non c’è la carità.

Chi ha la carità, possiede Dio, perché “Dio è carità ”.

Non vi è nulla di più acuto, sottile, penetrante della carità.

Essa non ha riposo fino a che non ha esplorato tutta la potenza e la profondità dell’oggetto amato. Essa vorrebbe immedesimarsi in lui, e, se lo potesse, essere con lui una cosa sola.

Ecco perché non può sopportare intermediari fra lei e il suo oggetto che è Dio: essa si slancia violentemente verso di lui e non ha pace fino a quando ha superato tutto per giungere a lui.

L’amore ha la virtù di unire e di trasformare; trasforma l’amante nell’amato e l’amato nell’amante. Nei limiti del passibile, l’uno diventa l’altro.

 

L’amore crea l’unione fra l’amante e l’amato

E anzitutto con quale perfezione d’intelligenza trasporta la persona amata in colui che ama!

Con quale dolcezza e soavità l’una vive nel ricordo del secondo! Colui che ama, si sforza di sapere, non in maniera superficiale, ma fino all’intimo, ciò che riguarda la persona amata e di penetrare, per quanto gli è possibile, addentro nella sua vita!

Dopo viene la volontà.

Essa trasporta la persona amata nel soggetto che ama.

Quindi, le due persone, amante e amata, sono unite in una amorosa compiacenza, in una dolce e intima gioia procurata loro dal reciproco possesso.

Inoltre, colui che ama si trova nella persona amata anche per la sua conformità di desideri, di attrazioni e di ripugnanze, di gioie e di tristezze. Si direbbe che è propria una cosa sola con lui.

Poiché “l’amore è forte come la morte” (57), porta l’amante fuori di se stesso e fino nell’intimo dell’amato fortemente ve lo incatena.

L’anima è molto più presente là dove ama che non dove è principio di vita, perché essa è nella persona amata con la sua propria natura, con la ragione e la volontà, mentre nell’essere da essa vivificata è presente soltanto per dargli l’esistenza, ciò che accade anche negli animali (58).

 

Soltanto l’amore di Gesù Cristo può distoglierci da ciò che non è Lui

Bisogna dunque concludere che una cosa sola può distoglierci dagli oggetti esteriori, per ricondurci prima in noi stessi e in seguito nella divina intimità con Gesù Cristo. Essa è l’amore a Gesù e il desiderio delle sue soavità che ci permettono di sentire, comprendere e gustare la presenza della sua divinità.

La forza dell’amore è la sola capace di trasportare l’anima dalla terra alle altezze del cielo.

Nessuno può pervenire alla suprema beatitudine, se l’amore e il desiderio non gli danno le ali.

L’amore è la vita dell’anima, la sua veste nuziale, la sua perfezione (59).

“La legge, le profezie, i precetti del Signore dipendono da esso” (60). Per questo l’Apostolo diceva ai Romani: “Il compimento della legge è l’amore” (61) e nella prima Epistola a Timoteo: “Fine della legge è la carità” (62).