Dio Padre rivela a Santa Caterina da Siena: “La gloria dei Beati e dei Santi in Paradiso!” “Oh, quanto diletto provano nel vedere me, che sono ogni bene!”

Tratto dal Dialogo della divina Provvidenza: le rivelazioni di Dio Padre a Santa Caterina da Siena

 

CAPITOLO 41

La gloria dei beati.

Parla Dio Padre:

“Anche l’anima giusta che finisce la vita in affetto di carità ed è legata a Dio nell’amore, non può crescere in virtù, poiché viene a mancare il tempo di quaggiù, ma può sempre amare con quella dilezione che la porta a Me, e con tale misura le viene misurato il premio. Sempre mi desidera e sempre mi ama, onde il suo desiderio non è vuoto; ma sebbene abbia fame, è saziato, e saziato ha fame; e tuttavia è lungi il fastidio della sazietà, come è lungi la pena della fame.

Nell’amore i beati godono dell’eterna mia visione, partecipando ognuno, secondo la sua misura, di quel bene, che io ho in me medesimo. Con quella misura d’amore con la quale sono venuti a me, con essa viene loro misurato. Essi sono rimasti nella mia carità ed in quella del prossimo; sono stati insieme uniti nella carità comune ed in quella particolare, che esce pure da una medesima carità.

Godono ed esultano, partecipando l’uno del bene dell’altro con l’affetto della carità, oltre al bene universale, che essi hanno tutti insieme. Godono ed esultano cogli angeli, coi quali sono collocati i santi, secondo le diverse e varie virtù, che principalmente ebbero nel mondo, essendo tutti legati nel legame della carità. Hanno poi una partecipazione singolare di bene con coloro coi quali si amavano strettamente d’amore speciale nel mondo, col quale amore crescevano in grazia, aumentando la virtù. L’uno era cagione all’altro di manifestare la gloria e lode del mio nome, in sé e nel prossimo. Nella vita eterna non hanno perduto questo affetto, ma l’hanno aggiunto al bene generale, partecipando più strettamente e con più abbondanza l’uno del bene dell’altro.

Non vorrei però che tu credessi che questo bene partico­lare, di cui ti ho parlato, l’avessero solo per sé: non è così, ma esso è partecipato da tutti quanti i gustatori, che sono i cittadini del cielo, i miei figli diletti, e da tutte le creature angeliche. Quando l’anima giunge a vita eterna, tutti parteci­pano del bene di quell’anima, e l’anima del bene loro. Non è che il vaso di ciascuno possa crescere, né che abbia bisogno di empirsi, poiché è pieno e quindi non può crescere; ma hanno un’esultanza, una giocondità, un giubilo, un’allegrezza, che si ravvivano in loro, per quanto sono venuti a conoscere di quell’anima. Vedono che per mia misericordia ella è tolta alla terra con la pienezza della grazia, e così esultano in me per il bene che quell’anima ha ricevuto dalla mia bontà.

E quell’anima gode pure in me, nelle altre anime, e negli spiriti beati, vedendo e gustando in loro la bellezza e dolcez­za della mia carità. I loro desideri gridano sempre dinanzi a me per la salvezza di tutto quanto il mondo. Poiché la loro vita finì nella carità dei prossimo, non hanno lasciata questa carità, ma sono passati con essa per la porta del mio Unige­nito Figliuolo, nel modo che ti dirò più sotto. Vedi dunque che essi restano con quel legame dell’amore, col quale finì la loro vita: esso resta e dura per tutta l’eternità.

Sono tanto conformi alla mia volontà, che non possono volere se non quello che io voglio; poiché il loro libero arbi­trio è legato per siffatto modo col legame della carità che, quando viene meno il tempo di questa vita alla creatura, che ha in sé ragione e che muore in stato di grazia, essa non può più peccare. Ed è tanto unita la sua volontà alla mia che, se il padre o la madre vedessero il figliolo nell’inferno, o il figlio ci vedesse la madre, non se ne curerebbero; anzi sono contenti di vederli puniti come miei nemici. In nessuna cosa si scordano di me; i loro desideri sono appagati. Desiderio dei beati è di vedere trionfare il mio onore in voi viandanti, che siete pellegrini in questa terra e sempre correte verso il termine della morte. Nel desiderio del mio onore bramano la vostra salute, e perciò sempre mi pregano per voi. Un tale desiderio è sempre adempiuto per parte mia, se voi ignoranti non recalcitraste contro la mia misericordia.

Hanno ancora il desiderio di riavere la dote della loro anima, che è il corpo; questo desiderio non li affligge al presente, ma godono per la certezza che hanno di vederlo appagato: non li affligge, perché, sebbene ancora non abbiano il corpo, tuttavia non manca loro la beatitudine, e perciò non risentono pena. Non pensare che la beatitudine del corpo, dopo la resurre­zione, dia maggiore beatitudine all’anima. Se fosse così, ne ver­rebbe che i beati avrebbero una beatitudine imperfetta, fino a che non riprendessero il corpo; cosa impossibile, perché in loro non manca perfezione alcuna. Non è il corpo che dia beatitudine all’anima, ma sarà l’anima a dare beatitudine al corpo; darà della sua abbondanza, rivestendo nel dì del giudizio la propria carne, che aveva lasciato in terra.

Come l’anima è resa immortale, ferma e stabilita in me, così il corpo in quella unione diventa immortale; perduta la gravezza della materia, diviene sottile e leggero. Sappi che il corpo glorificato passerebbe di mezzo a un muro. Né il fuoco né l’acqua potrebbero nuocergli, non per virtù sua ma per virtù dell’anima, la quale virtù è mia, ed è stata data a lei per grazia e per quell’amore ineffabile col quale la creai a mia immagine e somiglianza. L’occhio del tuo intelletto non è sufficiente a ve­dere, né l’orecchio a udire, né la lingua a narrare, né il cuore a pensare, il bene loro.

Oh, quanto diletto provano nel vedere me, che sono ogni bene! Oh, quanto diletto avranno, allorché il loro corpo sarà glorificato! E sebbene manchino di questo bene fino al giorno del giudizio universale, non hanno pena, perché l’anima è piena di felicità in se stessa. Una tale beatitudine sarà poi partecipata al corpo, come ti ho spiegato.

Ti parlavo del bene, che ritrarrebbe il corpo glorificato nell’Umanità glorificata del mio Figlio Unigenito, la quale dà a voi certezza della vostra resurrezione. Esultano i beati nelle sue piaghe, che sono rimaste fresche; sono conservate nel suo corpo le cicatrici, che continuamente gridano a me, sommo ed eterno Padre, misericordia. Tutti si conformano a lui in gaudio e giocondità, occhio con occhio, mano con mano, e con tutto il corpo del dolce Verbo, mio Figlio. Stando in me, starete in lui, poiché egli è una cosa sola con me; ma l’occhio del vostro corpo si diletterà nell’Umanità glorificata del Verbo Unigenito mio Figlio. Perché questo? Perché la loro vita finì nella dilezione della mia carità, e perciò dura loro eternamente.

Non possono guadagnare alcun nuovo bene, ma si godono quello che si sono portato, non potendo fare alcun atto meritorio, perché solo in vita si merita e si pecca, secondo che piace al libero arbitrio della vostra volontà. Essi non aspettano con timore, ma con allegrezza, il giudizio divino; e la faccia del mio Figlio non parrà loro terribile, né piena d’odio, perché sono morti nella carità, nella dilezione di me e nella benevolenza del prossimo. Così tu comprendi come la mutazione della faccia non sarà in lui, quando verrà a giudicare con la mia maestà, ma in coloro che saranno giudicati da lui. Ai dannati apparirà con odio e con giustizia; ai salvati, con amore e misericordia.”

(Dal Dialogo della divina provvidenza, Santa Caterina da Siena)

San Gregorio magno: “Colui che ama veramente Dio, ne osserva i comandamenti, e Dio entra nel suo cuore e vi rimane, perché l’amor di Dio riempie talmente il suo cuore, che al tempo della tentazione, non si muove” «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23)

Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23)

 

San Gregorio magno, Papa e Dottore della Chiesa:

Lo Spirito Santo stesso è amore. Perciò Giovanni dice: “Dio è amore” (1Gv 4,8). Chi con tutto il cuore cerca Dio, ha già colui che ama. E nessuno potrebbe amare Dio, se non possedesse colui che ama. Ma, ecco, se a uno di voi si domandasse se egli ami Dio, egli fiduciosamente e con sicurezza risponderebbe di sì. Però a principio della lettura avete sentito che la Verità dice: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola” (Gv 14,23). La prova dell’amore è l’azione. Perciò Giovanni nella sua epistola dice: “Chi dice di amar Dio, ma non ne osserva i precetti, è bugiardo” (1Gv 4,20). Allora veramente amiamo Dio, quando restringiamo il nostro piacere a norma dei suoi comandamenti. Infatti chi corre ancora dietro a piaceri illeciti, non può dire d’amar Dio, alla cui volontà poi contraddice.

«Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23). Pensate che festa, fratelli carissimi; avere in casa Dio! Certo, se venisse a casa vostra un ricco o un amico molto importante, voi vi affrettereste a pulir tutto, perché nulla ne turbi lo sguardo. Purifichi, dunque, le macchie delle opere, chi prepara a Dio la casa nella sua anima. Ma guardate meglio le parole: “Verremo e metteremo casa presso di lui”. In alcuni, cioè, Dio vi entra, ma non vi si ferma, perché questi, attraverso la compunzione, fanno posto a Dio, ma, al momento della tentazione, si dimenticano della loro compunzione, e tornano al peccato, come se non l’avessero mai detestato. Invece colui cha ama veramente Dio, ne osserva i comandamenti, e Dio entra nel suo cuore e vi rimane, perché l’amor di Dio riempie talmente il suo cuore, che al tempo della tentazione, non si muove. Questo, allora, ama davvero, poiché un piacere illecito non ne cambia la mente. Tanto più uno si allontana dall’amore celeste quanto più s’ingolfa nei piaceri terrestri. Perciò è detto ancora: “Chi non mi ama, non osserva i miei comandamenti”(Gv 14,24). Rientrate in voi stessi, fratelli; esaminate se veramente amate Dio, ma non credete a voi stessi, se non avete la prova delle azioni. Guardate se con la lingua, col pensiero, con le azioni amate davvero il Creatore. L’amor di Dio non è mai ozioso. Se c’è, fa cose grandi; se non ci sono le opere, non c’è amore.

“E le parole che avete udito, non son mie, ma del Padre che mi ha mandato” (Gv 14,24). Sapete, fratelli, che chi parla è il Verbo del Padre, perché il Figlio è Verbo del Padre.

“Lo Spirito Santo Paraclito, che il Padre manderà nel mio nome, v’insegnerà tutto e vi ricorderà tutto quello che vi ho detto” (Gv 14,26). Sapete quasi tutti che la parola greca Paraclito, significa avvocato o consolatore. E lo chiama avvocato, perché interviene presso il Padre in favore dei nostri delitti. Di questo stesso Spirito poi giustamente si dice: “V’insegnerà ogni cosa”, perché se lo Spirito non è vicino al cuore di chi ascolta, il discorso di chi insegna, non ha effetto.»

(da San Gregorio Magno, Papa, Omelie sui Vangeli, 30,1)

 

“La via del Signore si dirige al cuore quando si ascolta umilmente la predicazione della verità; la via del Signore si dirige al cuore, quando la vita si uniforma ai comandi di Dio. Per questo sta scritto: <<Se uno mi ama, osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà, e verremo a lui e dimoreremo in lui>> (Gv 14,23).

Chiunque monta in superbia, chiunque arde del fuoco di avarizia, chiunque si macchia con le lordure della lussuria, chiude la porta del cuore dinanzi alla verità, pone i serrami dei vizi all’entrata dell’anima, per impedire l’ingresso del Signore.”

(San Gregorio Magno, Papa e Dottore della chiesa, Omelie sui vangeli, VII , pag. 90)

 

STUPENDA OMELIA -VI DOMENICA DI PASQUA-

di Padre Mariano Pellegrini (dei Francescani dell’ Immacolata)

 

“Dio ci ama a tal punto da voler rimanere sempre con noi. Egli non si disinteressa delle sue creature. Con la sua grazia, Egli entra nell’anima come il sole entra attraverso il vetro e illumina l’interno di una stanza. Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo prendono dimora nel nostro cuore e noi, pertanto, diveniamo tempio della Santissima Trinità. Non c’è più distanza tra noi e Dio. Dio è in cielo e in terra, e anche nel nostro cuore, se accettiamo che Egli abiti dentro di noi, se noi lo amiamo. Gesù ce lo dice chiaramente nel Vangelo di oggi: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23).
Questo ci insegna che non siamo mai soli, se veramente vogliamo amare Dio. La vita del cristiano è una vita di comunione con Colui che ci ha creati e ci ha redenti. Anzi, diciamo di più: quanto più ci sembra di essere soli, tanto più siamo vicini al nostro Dio. Egli non fa sentire la sua presenza del chiasso e nel frastuono, ma solamente nel silenzio e nella solitudine. Questa certezza ci deve spingere a cercare, nel corso della giornata, dei momenti da dedicare a questa presenza silenziosa e misteriosa. Quando preghiamo, chiudiamo la porta della nostra stanza, chiudiamo i nostri occhi, e pensiamo che Dio è dentro di noi. Parliamogli con grande familiarità e Lui ci ispirerà sempre qualche buon proposito. Sarà soprattutto nel momento della prova che sperimenteremo la sua presenza benefica: quanto più si sarà lontani dagli aiuti umani, tanto più saremo vicini all’aiuto divino.
Il fatto, purtroppo, è che, quando preghiamo, siamo molto distratti. La nostra preghiera si riduce a una ripetizione superficiale di parole, alle quali nemmeno pensiamo. Per pregare bene, dobbiamo pensare innanzitutto che Dio è presente in noi e dobbiamo porre attenzione al senso delle parole che pronunciamo. Allora, e solo allora, la nostra preghiera non rimarrà mai senza effetto: od otterrà quello che domandiamo, oppure ci procurerà qualcosa di ancora più grande.
Dio in me e io in Lui! Certo, con un Ospite così vivo e così grande, badiamo bene di non sfigurare. Pensiamo spesso che Dio ci vede, che Dio è nel nostro cuore. Pertanto non dobbiamo offendere questa presenza in noi con il peccato. C’è, infatti, una condizione affinché Dio dimori in noi: dobbiamo amarlo. E lo ameremo veramente solo se osserveremo la sua parola, oppure, se non lo abbiamo fatto per il passato, se ci impegneremo ad osservarla. Anche queste sono parole di Gesù: «Chi non mi ama, non osserva le mie parole» (Gv 14,24). Se si ama veramente Dio, non costerà fatica fare la sua Volontà, osservare i suoi Comandamenti d’amore. Solo se faremo così, godremo della pace che Gesù è venuto a portare su questa terra. Altrimenti, nei nostri cuori, nelle nostre famiglie e nella società umana, vi sarà sempre guerra e divisione.
Il Vangelo di oggi ci parla inoltre del Paraclito, ovvero dello Spirito Santo. Paraclito significa Consolatore. Egli consola i nostri cuori nelle prove della vita e ci fa assaporare, nel segreto della preghiera, quella che sarà la gioia senza fine del Paradiso. Lo Spirito Santo è il santificatore della nostra anima. Il Padre lo ha inviato su questa terra nel giorno di Pentecoste. Nel brano del Vangelo di oggi, Gesù dice che il Paraclito ci insegnerà ogni cosa e ci ricorderà tutto ciò che Gesù ha insegnato (cf Gv 14,26).
Bisogna dunque pregarlo. Ci avviciniamo ormai alla sua festa. Proponiamoci fin d’ora di invocare la sua discesa nei nostri cuori, affinché Egli ci arricchisca con i suoi Sette Doni e ci faccia comprendere sempre di più le parole di Gesù.”

Don Dolindo Ruotolo, Il Sacramento del perdono: “Il Cuore di Gesù è il medico dell’umana infermità, e chi va a Lui è risanato, risale all’altezza della sua nobiltà, e la stessa sua miseria gli si muta in bene ed in merito.”

 

-Il Sacramento del perdono- Don Dolindo Ruotolo:

“Il mondo non è che un immenso ospedale di infermità, la cui radice è sempre nel peccato maledetto, perché ogni male morale o fisico deriva solo dal peccato.

Dio ha fatto tutto nell’ordine, e quello che è uscito dalle sue mani è perfetto nel genere suo; il peccato, essendo l’allontanamento della creatura da Dio, la sostituzione della creatura a Dio, non può portare con sé che il disordine, ed allora l’uomo perde quella forza dominatrice che ha ricevuta, cade in un ordine inferiore, e con lui trascina anche tante creature che domina o che hanno con lui una relazione più o meno prossima.

Le leggi della provvidenza non sono turbate, per la potenza di Dio che si serve anche del male per ritrarne il bene, ma l’uomo risente in tanti modi gli effetti della sua caduta. L’ordine della provvidenza per lui è veramente turbato, ed egli non trova più pace, è agitato internamente, è sopraffatto anche esternamente dai malanni e dal dolore.

Il Cuore di Gesù è il medico dell’umana infermità, e chi va a Lui è risanato, risale all’altezza della sua nobiltà, e la stessa sua miseria gli si muta in bene ed in merito. La tribolazione, per l’anima che vive di Lui ed in Lui, si muta in vita, perché diventa un complemento della sua passione nell’anima stessa. E in Lui che tutto rifluisce e tutto si trasforma.

Abbiamo mai considerato il mistero della remissione del peccato? Come è che il peccato che è un fatto storico, un fatto che è sempre reale nell’infinità di Dio, come è che è annullato e perdonato? Cerchiamo di meditarlo e di capire questo grande mistero.

Quando l’uomo ritorna a Dio per la penitenza, non fa che rimettere in Gesù Redentore il triste fardello delle sue colpe. E’ la Passione di Cristo Gesù che trasforma ed assorbe queste miserie, ed il fatto storico del male diventa fatto storico della sua Passione. Gesù ha caricato sopra di Sé tutte le iniquità umane, fino alle ultime che si consumeranno sulla terra, ed in Sé le ha annientate per l’amore; le ha mutate, per il sacrifizio, in un’armonia di giustizia e di riparazione.

Noi, per il Sacramento della penitenza ci congiungiamo a Lui, e diventiamo veramente una parte del suo corpo immolato; logicamente, quindi, il peccato, in questo modo, non è solo coperto, ma è annientato nel Sangue e nell’amore di Cristo. Il fatto storico che è incancellabile diventa una delle attività della sua Passione, quindi rimane come fatto storico, ma rimane in Lui, rimane come attività del suo amore.

Questo è il grande segreto del mistero della espiazione del peccato e della sua remissione. Alcuni eretici dissero che il peccato era solo coperto; ignoravano completamente la natura ed il valore del sacrifizio di Gesù.

Per intendere questa grande verità, immaginiamo una macchina che è capace di trasformare ogni cosa putrefatta nei suoi elementi puri. Noi vi gettiamo dentro una carogna di animale e la macchina lavora, tritura quell’ammasso impuro, geme essa stessa e raccoglie il fetore di quella carogna; ma da essa non viene fuori poi che un elemento chimico puro.

Finché la carogna è fuori della macchina, mette orrore; ma basta che si congiunga alla macchina, che subito la stessa sua putrefazione si trasforma, e quello che prima nauseava, ecco diventa un bene. Allora l’animale morto non esiste più storicamente, ma diventa materia prima del lavoro della macchina. Così succede nella remissione dei peccati. L’uomo pecca ed è un ammasso di disordine; è un fatto reale il suo peccato, ed il fatto non può cancellarsi.

L’uomo si pente; il suo dolore ha reso già il peccato un’occasione per rivolgersi a Dio; esso non è più il male che divideva da Dio, ma è la spinta che risolleva a Dio! E’ la base della umiltà che fa riconoscere alla creatura il suo nulla. Il peccatore riceve il Sacramento della penitenza e si congiunge alla passione di Gesù; il suo peccato era stato già da Lui raccolto e trasformato in amore nel suo Cuore; il peccatore, quindi, nel congiungersi con Lui, non trova più la miseria, ma la sua attività espiatrice, che è solo amore a Dio; ed ecco che non rimane più il peccato, ma rimane la giustizia, e l’uomo è giustificato e vive in Lui e per Lui.

Il pentimento naturale del male fatto non porta la pace nell’anima, mentre l’assoluzione sacramentale ci porta la gioia. Questa gioia, questa soddisfazione non è la gioia effimera di chi si libera da un segreto dell’anima, perché spesso con tanti si confessano le proprie colpe; a tanti si confidano, ed in tanti modi, le proprie miserie, senza averne pace; quella soddisfazione è la percezione precisa, spesso subcosciente di un bene, di una ricchezza ricevuta… è la soddisfazione dell’anima che non sente più il peso del peccato perché il peccato è giustificato in Gesù Redentore, si è mutato, è stato trasformato. L’uomo si sente giusto, non ha più rimorso, ha la pace, perché Gesù accolse il suo fango, e lo mutò nel suo Sangue in ricchezza luminosa di cristallini lucenti nell’infinito sole.

Quale meraviglia è dunque la remissione di un accenno soltanto di questa meraviglia, un peccato! che in realtà sarà oggetto di eterna contemplazione, poiché in Cristo appariranno tutti i peccati del mondo, trasformati in amore. Questo è il glorioso trionfo di Dio sul male; questo è il debellamento completo di satana.

I nostri peccati e gli atti della penitenza sono, diciamo, la materia del Sacramento della Penitenza. Oh, come la Chiesa è sublime e precisa in ogni suo insegnamento! La materia prima che Gesù lavora, che con la formula nuova si trasforma per Lui ed in Lui e diventa ricchezza, amore e pace. La penitenza che a noi impone la Chiesa è parte integrante del Sacramento, perché è diretta al nostro utile, a completare quella piena unione col Cristo, che è rara tra i fedeli, a risanare le piaghe nostre.

Così, quando l’acqua di un pantano si è cristallizzata, soffia il vento benefico e gelido, che spazza via gli ultimi miasmi che ancora ammorbavano l’infetta palude. Oh, quali miracoli di amore in una sola assoluzione! Noi possiamo sempre confessare i peccati più gravi passati, anzi in ogni confessione li confessiamo con un’accusa generale, recitando il Confiteor. Che cosa produce questa confessione di peccati già rimessi? Noi li depositiamo novellamente in Cristo Redentore, e questo è un novello atto di fiducia che aggiunge novella grazia alla giustificazione già avuta, perché rende più intimo il nostro amore e la nostra unione con Lui. Ricordando i peccati passati noi ci umiliamo, e facciamo fiorire l’anima nostra di novelli fiori, e raccogliamo come una folata di vento e di profumo dalla sua attività redentrice.

Oh, l’amore di Dio quanto è grande nella giustificazione di un’anima! Se meditiamo questa parola intenderemo quanto Egli ci ha amati e quanto ci ama!”

(Don Dolindo Ruotolo)

San Lorenzo Giustiniani, il peccato originale e la redenzione di Cristo: “Adamo, per colpa tua tutta la tua stirpe è stata miseramente ferita; per il tuo peccato è stata degradata e avvilita questa nostra umanità!…Ma venne l’Unigenito di Dio.”

San Lorenzo Giustiniani, il peccato originale e la redenzione di Cristo.

 

“In principio Dio aveva creato il paradiso felice e vi aveva posto l’uomo, plasmato con le Sue stesse mani (Gen 2, 8). Ma questi disprezzò l’ordine del Signore, acconsentì alla tentazione della donna e si rese colpevole di disobbedienza ai comandi divini, subendo così, di conseguenza, mali e sventure senza fine.

Con suo grande disonore fu scacciato da quel luogo di delizie, dov’era stato collocato in piena dignità, e di colpo fu privato di quella vita che possedeva in totale libertà e quasi del tutto di quella luce intellettuale che aveva ricevuto, in modo superbo, per conoscere Dio, se stesso e il mondo, senza più quel primato d’obbedienza di cui godeva, come un signore, su tutte le creature. Così, miserabile, gravato da tante calamità, mentre prima, obbediente, poteva essere annoverato fra gli spiriti angelici, disobbedendo si ritrovò in una condizione bestiale.

Tentò di divenire simile a Dio e fu invece condannato all’umiliazione di essere meno di un animale da soma. Sì, giustizia volle che tanto fosse castigata l’umana presunzione e tremendamente punita tanta vana superbia, che pretese di varcare i confini della sua natura e perdette anche quello che di proprio questa natura aveva non intese assoggettarsi alle leggi di Dio e fu così incatenata alle passioni della carne.

Quanto fu folle la sua presunzione, quanto cieca la sua superbia! Potrà mai essere la creatura pari al suo Creatore? O potrà I’ uomo, a suo capriccio, essere come Dio? Che la ragione umana non abbia previsto tanta assurdità, che la sua intelligenza proprio non l’abbia capito? Ma perché non ha pensato alla triste eredità che lasciava ai suoi figli? Perché non ha temuto di perdere tutti quei doni e quei benefici? Ah, Adamo, per colpa tua tutta la tua stirpe è stata miseramente ferita; per il tuo peccato è stata degradata e avvilita questa nostra umanità! Ora siamo tutti schiavi come di un implacabile tiranno.

Così ebbero origine tutte le infermità, tutte le lacrime, i pianti, i dolori, le fatiche, le schiavitù, le lotte, le discordie, l’avarizia e la lussuria, vale a dire tutto quanto è in contrasto con Dio. Di un attimo fu il cedimento; ma il danno fu senza fine. Ah, chi potrebbe mai narrare tutti gli affanni, tutti i mali che per causa tua, nostro primo padre, vennero inflitti a noi mortali? Ti dobbiamo certo molto, perché in te fummo creati; ma è di gran lunga maggiore quanto con te abbiamo perduto!

E quale beneficio avremmo tratto dal nascere alla vita, se poi non fossimo stati liberati dalla dannazione eterna?

Rendiamo quindi grazie a Dio e a Gesù, nostro Signore, che per la Sua carne, che assunse dalla nostra stirpe, ci elevò ancora alla gloria di un tempo; anzi, ad una gloria immensamente maggiore. In Lui infatti la natura umana è stata innalzata ad eccelsa dignità, oltre la stessa natura angelica. Non sarebbe mai giunta al trono di tanta grandezza, se non per la mediazione del Verbo incarnato. Con le sue forze non si sarebbe mai redenta, né avrebbe raggiunto la gloria del Cielo.

Ma venne l’Unigenito di Dio, prese da noi carne mortale e nel Suo immenso amore ci donò la Sua vita. Venne il signore, che nella Sua umiltà ci liberò dal giogo del nostro perfido aguzzino e fondò questo paradiso dello spirito, la Santa Chiesa, per collocarvi ancora l’uomo, che si era perduto (Sap 18,15). E per fondare tale Chiesa, purificarla, santificarla e perfezionarla, Egli stesso scese dal Suo trono regale e si donò completamente, versando per amor di lei anche il Suo sangue. E innalzò un muro a sua difesa: : i cori degli Angeli.

Vi piantò alberi e fronde: i santi sacramenti, del cui cibo si nutrono i suoi predestinati fedeli. E vi pose l’albero della scienza del bene e del male: la sacra rivelazione. E da questo luogo di delizie fece sgorgare un fiume, la grazia dello Spirito Santo, perché lo irrigasse e lo fecondasse (Gen 2,6); e nel mezzo di quel fiume pose l’Albero delle vita: il sacro dono del timore di Dio, eterno nei secoli (Sal 19,10), carico di dodici sorta di frutti.

Lo si legge verso la fine dell’Apocalisse: <<Mi mostrò poi un fiume d’acqua viva limpida come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell’Agnello. In mezzo alla piazza della città e da una parte e dall’altra del fiume si trova un albero di vita che dà dodici raccolti e produce frutti ogni mese; le foglie dell’albero servono a guarire le nazioni>> (Ap 22,1-2).

Albero prezioso, albero di salvezza, di cui si dice che sorge nel mezzo di quel fiume e di cui il Salmista canta: <<L’onda impetuosa del fiume rallegra la città di Dio>> (Sal 46,5). Nessuno può ragionevolmente dubitare che il dono del timore sia veramente grazia dello Spirito Santo! Ne è testimone Isaia: <<Si compiacerà del timore del Signore>> (Is 11,3). Ed è perciò da tale timore, che procede dallo Spirito vivificante, che giustamente prende nome di Albero della vita il timore medesimo; per cui la sua radice è santa, poiché è radicato nella fede dell’unico vero Dio. Come sta scritto che i suoi frutti sono dodici, perché, sebbene in esso abbiano cardine tutte le virtù, non potrebbero affatto sussistere al di fuori della sua azione, dodici sono le virtù proprie che vi sorgono e si sviluppano, e cioè: la continenza, la giustizia, la prudenza, la carità, la pazienza, l’obbedienza, la speranza, la perseveranza, la povertà, la sobrietà, l’umiltà e la preghiera o contemplazione.”

(San Lorenzo Giustiniani, L’ALBERO DELLA VITA, Prefazione, pag. 1-2-3)

Sant’ Efrem il Siro: Lotta contro le tentazioni “Più tu combatti e resti fedele nel servizio del Signore, più i tuoi sensi e i tuoi pensieri verranno purificati” “Il Signore ama e appoggia col suo aiuto coloro che sono zelanti e lavorano per ottenere la salvezza dell’anima”

 

Sant’ Efrem il Siro

 

Lotta contro le tentazioni:

“Se ti viene in mente un cattivo pensiero, grida, con lacrime al Signore: «Signore, sii buono con me peccatore! Perdonami, o amico degli uomini. Signore, allontana il male da noi!».

Certo, il Signore conosce i cuori: sa quali pensieri sorgono da un animo cattivo, ma sa anche quali pensieri vengono in noi versati dalla stizza amara dei demoni. Tuttavia sappilo: più tu combatti e resti fedele nel servizio del Signore, più i tuoi sensi e i tuoi pensieri verranno purificati. Infatti, nostro Signore Gesù Cristo ha detto: Ogni ramo che in me porta frutto, io lo purificherò, perché porti frutto maggiore (Gv 15,2). Solo abbi la più sincera volontà di farti santo! Il Signore ama e appoggia col suo aiuto coloro che sono zelanti e lavorano per ottenere la salvezza dell’anima.

Senti ora un esempio, che ti illustra i cattivi pensieri. Quando l ’uva vien colta dalla vite, gettata nel torchio e pigiata, produce il suo mosto, che viene raccolto in vasi. E questo mosto, all’inizio, fermenta tanto forte, come se bollisse al fuoco più acceso in una caldaia; anche i vasi migliori non riescono a contenerne la forza, ma si rompono per il suo calore. Ciò avviene con i pensieri degli uomini, quando essi si elevano da questo mondo vano, e dalle sue cure, alle realtà celesti. Allora gli spiriti cattivi che non ne possono sopportare il fervore, conturbano in mille modi la mente dell’uomo, cercando di suscitarvi una tetra burrasca, per rovinare e squarciare il vaso, cioè l’anima, riempiendola di dubbi e rendendola infedele.”

(Sant’ Efrem il Siro, Da “Ammonimento ai monaci egiziani, 10,2”) 

 

Come reprimere i moti carnali:

“Quando sorge in te la ribellione della carne, non aver paura e non perderti d’animo, perché altrimenti incoraggeresti contro di te il nemico, che instillerebbe in te i suoi pensieri, dicendoti: «Ti è impossibile spegner l’ardore, che ti tormenta, senza soddisfare queste brame». Se egli in questo modo ti ferisse, presto ti supererebbe e deriderebbe poi la tua debolezza. Ma tu, pieno di fiducia, resta unito al Signore ed effondi dinanzi alla sua bontà le tue lacrime e le tue preghiere; egli ti ascolterà, sollevandoti dalla fossa infelice dei pensieri impuri e dalla palude delle fantasie vergognose, ponendo i tuoi piedi sulla roccia salda della castità. Così vedrai venire a te il suo aiuto.

Persevera dunque in pazienza, non addormentarti nei tuoi pensieri, non stancarti di attingere l’acqua abbondante, perché il porto della vita è vicino. Mentre ancora parlerai, Dio ti dirà: «Eccomi, sono qui!». Egli attende a osservare la tua battaglia, per vedere se tu al peccato sai resistere fino alla morte. Non scoraggiarti, dunque, perché egli non ti abbandona. Ma anche il coro dei santi angeli, e la schiera tetra degli spiriti cattivi osservano la tua battaglia: gli angeli, se vinci, ti porgono una corona; gli spiriti cattivi, se tu vieni travolto, ti coprono di insulti. Gli angeli combattono con zelo per te, ma anche gli spiriti cattivi ce la mettono tutta contro di te, amico di Cristo. Sta’ dunque all’erta, non contrastare i tuoi amici e non farti amico dei tuoi nemici: chiamo amici tuoi i santi angeli; tuoi nemici, invece, gli spiriti impuri.

Nessun luogo è celato agli occhi di Dio, ai suoi occhi non vi è tenebra alcuna, o fratello. Non lasciarti perciò ingannare dall’avversario perché tu sei sempre vicino ai piedi del Signore. Non essere indifferente. Sta scritto infatti: Il cielo è il mio trono, e la terra lo sgabello dei miei piedi (Is 66,1). Non essere dunque trascurato nel tuo intimo, ma fatti coraggio, perché chi ti aiuta è vicino. Ascolta come dice il profeta: Tutti i popoli mi avevano circondato, ma nel nome del Signore mi sono difeso da loro. Mi avevano circondato come api il favo, avevano divampato come fuoco tra le spine, ma nel nome del Signore mi sono difeso da loro. Ero stato colpito e urtato, perché cadessi, ma il Signore mi ha sorretto e accolto. Mia forza e mia lode è il Signore, egli è stato la mia salvezza (Sal 117,10-15).

Persisti dunque coraggioso nella battaglia, per venir trovato desto e vigilante, e ottenere la corona della vita che il Signore ha promesso a coloro che lo amano.”

(Sant’ Efrem il Siro, Da “La vigilanza, 3,1”)

Pseudo-Macario (San Macario il Grande) : Con un cuore umile e povero “Il Peccato, la Grazia e il Libero Arbitrio”

 

PSEUDO-MACARIO (SAN MACARIO IL GRANDE) : CON UN CUORE UMILE E POVERO “IL PECCATO, LA GRAZIA E IL LIBERO ARBITRIO”

1. Il vaso prezioso dell’anima si trova a grande profondità, come è detto da qualche parte: Egli scruta l’abisso e il cuore. Quando l’uomo infatti si fu allontanato dal comandamento e si trovò sotto una sentenza di collera, il peccato lo ridusse in suo potere, e il peccato è come un abisso di amarezza, sottile e profondo; penetrato nell’uomo, prese possesso dei pascoli dell’anima fin nei più profondi recessi. Potremmo paragonare l’anima e il peccato unito ad essa a un albero enorme dai molti rami, le cui radici sono immerse nelle profondità della terra; allo stesso modo il peccato, penetrando nell’anima, ne ha occupato i più profondi recessi, è diventato abitudine e predisposizione, è cresciuto con ciascuno dall’infanzia sviluppandosi con lui e insegnandogli il male.

2. Quando l’energia della grazia divina ricopre l’anima nella misura della fede di ciascuno e questa accoglie l’aiuto dall’alto, la grazia ricopre l’anima ancora parzialmente. Nessuno pensi che tutta l’anima sia illuminata. Dentro di essa resta ancora molto spazio per il peccato e sono necessarie all’uomo molta pena e fatica per accordarsi alla grazia che ha ricevuto. Per questo motivo la grazia divina iniziò a visitare l’anima parzialmente, pur potendo purificare l’uomo e portare a compimento la sua opera in un istante; fa così per mettere alla prova la libera volontà dell’uomo e vedere se mantiene integro l’amore di Dio e in nulla si unisce al malvagio, ma consegna tutto se stesso alla grazia. E così l’anima, che nel tempo ha dato buona prova di sé e non ha contristato in nulla la grazia, né le ha arrecato offesa, a poco a poco riceve aiuto. E la grazia stessa prende posto nell’anima e si radica nelle regioni e nei pensieri più profondi quando l’anima offre molteplici e buone prove e corrisponde alla grazia, finché viene tutta avvolta dalla grazia celeste che finalmente regna in essa.

3. Ma se uno non possiede una grande umiltà, viene consegnato a Satana e spogliato della grazia divina venuta a lui, e subisce la prova di numerose tribolazioni, e allora appare manifesta la sua presunzione perché egli resta ignudo e miserabile. Chi è ricco della grazia di Dio deve custodirsi in grande umiltà e contrizione di cuore e ritenersi un povero, uno che nulla possiede. Ciò che ha, infatti, non gli appartiene, un altro glielo ha dato e, quando vuole, glielo toglie. Chi si umilia in questo modo davanti a Dio e agli uomini può custodire la grazia che gli è stata data, come dice il Signore: Chi si umilia sarà innalzato. Anche se è un eletto di Dio, si consideri riprovato e, pur essendo fedele, si reputi indegno. Tali anime infatti sono gradite a Dio e sono vivificate nel Cristo, al quale è gloria e potenza nei secoli dei secoli. Amen.

Sforzati dunque di piacere al Signore attendendolo sempre dentro di te (…). E vedi come viene a te e stabilisce la sua dimora presso di te. Quanto più unifichi il tuo cuore per la ricerca di lui, tanto più egli è costretto dalla sua compassione e dalla sua bontà a venire a te e a riposare in te. Egli sta a guardare il tuo cuore, i tuoi pensieri, i tuoi sentimenti (…).

 
(Tratto da PSEUDO-MACARIO, Spirito e fuoco, ed. Qiqaion a cui si rimanda vivamente per l’approfondimento)

 

 

Pseudo Macario, Consigli spirituali:

“Il Cristianesimo è cibo e bevanda; quanto più uno se ne nutre, tanto più dalla sua dolcezza la mente è attratta trovandosene sempre insaziabilmente bisognosa. In verità lo Spirito è cibo e bevanda che mai dà sazietà.

Quando il pittore è intento a fare il ritratto del re ne deve avere davanti Il volto, cosicchè quando il re posa davanti a lui con abilità e grazia lo ritrae: ma se il re è girato dalla parte opposta, il pittore non può compiere l’opera sua, perchè il suo occhio non ne vede il volto. Così Cristo, pittore perfetto, dipinge i lineamenti del suo volto di uomo celeste su quei fedeli che sono verso di Lui costantemente orientati. Se qualcuno non lo fissa di continuo, disprezzando ogni cosa a Lui contraria, non avrà in se stesso l’immagine del Signore disegnata dalla sua luce.

Il nostro volto sia sempre in Lui fisso, con fede e amore, trascurando tutto per essere solo in Lui intenti, affinchè nel nostro intimo si imprima la sua immagine, e così portando in noi Cristo possiamo giungere alla vita senza fine.”

(Pseudo Macario, Consigli spirituali)

 

« La sua casa siamo noi » (Eb 3, 6)

Il Signore si stabilisce in un’anima fervente. Fa di essa il suo trono di gloria, vi si siede e vi dimora… Come la casa abitata dal suo padrone è tutta grazia, ordine e bellezza, così l’anima con la quale e nella quale il Signore dimora è tutta ordine e bellezza. Possiede il Signore e tutti i suoi tesori spirituali. Egli ne è l’abitante, ne è il capo.

Invece, orrenda è la casa il cui padrone è assente, il cui Signore è lontano ! Va in rovina, crolla, si riempie di sozzure e di disordine. Diventa, secondo la parola del profeta, un covo di serpenti e di demoni (Is 34, 14). La casa abbandonata si riempie di gatti, di cani, di immondizie. Com’è infelice quell’anima che non può rialzarsi dalla sua caduta funesta, che si lascia trascinare e giunge ad odiare il suo sposo e strappare i suoi pensieri da Gesù Cristo !

Ma quando il Signore la vede raccogliersi e cercare giorno e notte il suo Signore, gridare verso di lui com’egli stesso la invita : « Pregate sempre, senza stancarvi », allora « Dio le farà giustizia » (Lc 18, 1.7) – l’ha promesso – e la purificherà da ogni cattiveria. La farà sua sposa « senza macchia, né ruga » (Ef 5, 27). Credi nella sua promessa ; è verità. Guarda se la tua anima ha già trovato la luce che rischiarerà i suoi passi e il Signore che è suo cibo e bevanda. Queste cose ti mancano ancora ? Cercale giorno e notte, le troverai.

(Pseudo-Macario,Omelia 33 ; PG 34, 741-743)

Noi siamo crocifissi al mondo e Cristo è crocifisso in noi: “A Cristo crocifisso appartiene solo chi ha crocifisso nel suo corpo i piaceri carnali e vive santamente per il Vangelo”

La croce nell’anima

“Quando parlo della croce, non penso al legno, ma al dolore. In effetti questa croce si trova nella Britannia, in India e su tutta la terra. Cosa dice il Vangelo? Se non portate la mia croce e non mi seguite ogni giorno… (Lc. 14, 27). Notate cosa dice! Se un animo non è affezionato alla croce, come io alla mia per amor vostro, non può essere mio discepolo. Felice colui che porta nel suo intimo la croce, la risurrezione, il luogo della nascita e dell’ascensione di Cristo! Felice chi ha Betlemme nel suo cuore, nel cui cuore, Cristo nasce ogni giorno! Che significa del resto “Betlemme”? Casa del pane. Siamo anche noi una casa del pane, di quel pane che è disceso dal cielo. Ogni giorno Cristo vien per noi affisso alla croce.

Noi siamo crocifissi al mondo e Cristo è crocifisso in noi. Felice colui nel cui cuore Cristo risuscita ogni giorno, quando egli fa penitenza per i suoi peccati anche i più lievi. Felice chi ascende ogni giorno dal monte degli ulivi al regno dei cieli, ove crescono gli ulivi rigogliosi del Signore, ove si eleva la luce di Cristo, ove si trovano gli uliveti del Signore. Sono come un olivo fecondo nella casa di Dio (Sal. 51, 10). Accendiamo anche la nostra lampada con l’olio di quell’olivo e subito entreremo con Cristo nel regno dei cieli.”

(San Girolamo, Commento al Salmo 95)

“Anche l’apostolo Pietro, a proposito di questo mistero della croce, cioè dei dolori di Cristo, ricorda che coloro i quali a lui si consacrano devono cessar di peccare. Dice infatti: Poiché dunque Cristo patì nella carne, anche voi armatevi del medesimo pensiero, che chi ha patito nella carne l’ha finita col peccato, per vivere, nel tempo che gli rimane di vita corporale, non ai piaceri umani, ma alla volontà di Dio… (1 Pt. 4, 1 s.).

Con ciò mostra, rettamente, che a Cristo crocifisso, il quale ha patito nella carne, appartiene solo chi ha crocifisso nel suo corpo i piaceri carnali e vive santamente per il Vangelo.”

(Sant’Agostino, La fede e le opere, 9, 14-10, 15)

“Abbracciare la croce è uccidere le cupidigie, annientare i vizi, allontanarsi dalla vanità e rinunciare ad ogni errore. Nessun impudico infatti, nessun lussurioso, nessun superbo né avaro celebra la Pasqua del Signore.”

(San Leone Magno, Sermoni)

“Non devi quindi tracciare semplicemente il segno della croce con la punta delle dita, ma prima devi inciderlo nel tuo cuore con fede ardente. Se lo imprimerai in questo modo sulla tua fronte, nessuno dei demoni impuri potrà restare accanto a te, in quanto vedrà l’arma con cui è stato ferito, la spada da cui ha ricevuto il colpo mortale. Se la sola vista del luogo dove avviene l’esecuzione dei criminali fa fremere d’orrore, immagina che cosa proveranno il diavolo e i suoi demoni vedendo l’arma con cui Cristo sgominò completamente il loro potere e tagliò la testa del dragone (cf. Ap. 12, 1 ss.; 20, 1 ss.).”

(San Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di san Matteo)

“La grazia di Cristo è il dono gratuito che Dio ci fa della sua vita, infusa nella nostra anima dallo Spirito Santo per guarirla dal peccato e santificarla” “Quanto più si ama la grazia, tanto più si odia il peccato”

 

SUBLIMITÀ DELLO STATO DI GRAZIA

Ma vi è di più. Vi è la grazia, lo stato di grazia, cioè quella luce, quella qualità di cui l’anima è rivestita, anzi profondamente investita e imbevuta, quando il nuovo, soprannaturale rapporto, al quale Dio ha voluto elevare l’uomo che a Lui si abbandona, si stabilisce nello sforzo da parte dell’uomo della conversione, della disponibilità fiduciosa, e nell’accettazione della sua Parola, mediante la fede, in umile implorante amore, al quale subito l’Amore infinito, ch’è Dio stesso, risponde col fuoco dello Spirito Santo, vivificante nell’uomo la forma di Cristo. È la grazia una Presenza divina, che piove nell’anima, fatta tempio dello Spirito; è una straordinaria permanenza del Dio vivente nell’ Anima, nella nostra vita, folgorata da un’ineffabile illuminazione divina. Lo stato di grazia non ha termini sufficienti per essere definito: è un dono, è una ricchezza, è una bellezza, è una meravigliosa trasfigurazione dell’anima associata alla vita stessa di Dio, per cui noi diventiamo in certa misura partecipi della sua trascendente natura, è una elevazione all’adozione di figli del Padre celeste, di fratelli di Cristo, di membra vive del Corpo mistico mediante l’animazione dello Spirito Santo. È un rapporto personale: ma pensate: fra il Dio vivente, misterioso e inaccessibile per la sua infinita pienezza, e la nostra infima persona. È un rapporto che dovrebbe diventare cosciente; ma solo i puri di cuore, i contemplativi, quelli che vivono nella cella interiore del loro spirito, i santi ce ne sanno dire qualche cosa. Anche i teologi ci possono bene istruire. Perché è un rapporto ancora segreto; non è evidente, non cade nell’ambito dell’esperienza sensibile, sebbene la coscienza educata acquista una certa sensibilità spirituale; avverte in sé i «frutti dello spirito», di cui San Paolo fa un lungo elenco: «la carità, il gaudio, la pace» (questi specialmente: una gioia interiore, e poi la pace, la tranquillità della coscienza), e poi: la pazienza, la bontà, la longanimità, la mansuetudine, la fedeltà, la modestia, la padronanza di sé, la castità (Gal. 5, 22): pare d’intravedere il profilo d’un santo. Questa è la grazia; questa è la trasfigurazione dell’uomo che vive in Cristo.

Nessuna meraviglia se tale condizione, di per sé forte e permanente («nulla ci potrà separare dalla carità di Dio», dice ancora San Paolo [Rom. 8, 39]), è tuttavia delicata ed esigente; essa proietta sulla vita morale dell’uomo doveri particolari, sensibilità finissime; e fortunatamente infonde anche energie nuove e proporzionate, affinché l’equilibrio di questa soprannaturale posizione sia fermo e gioioso. Ma resta il fatto ch’esso può essere turbato e rovesciato, quando noi disgraziatamente lo disprezziamo e preferiamo scendere al livello della nostra natura animale e corrotta; quando commettiamo un volontario distacco dall’ordine a cui Dio ci ha associato, dalla sua vita fluente nella circolazione della nostra, cioè un peccato vero e volontario, che perciò, quando è grave, chiamiamo mortale.

(Papa Paolo VI)

 

“Quanto più si ama la grazia, tanto più si odia il peccato”

C’è da notare come la dottrina della grazia richiama la dottrina del peccato. Questo è molto vero, anche sul piano della vita spirituale. Oggi si dice molto spesso che l’uomo ha perso il senso del peccato. Ciò si collega con l’indifferenza nei confronti dell’importanza della grazia.

Infatti quanto più si ama la grazia, tanto più si odia il peccato. E viceversa, quanto più ci si rende conto della gravità del peccato, tanto più si apprezza il valore della grazia.

Si può dire anche che oggi si è perso il senso del peccato, perchè si è indifferenti nei confronti del problema di Dio e quindi della grazia. Infatti, che cos’è il peccato se non il rifiuto di Dio? Queste due realtà – il senso del peccato e il senso del Dio della grazia – si perdono sempre insieme: se si sa chi è Dio, o almeno si intravede lontanamente chi è Dio, allora si ha orrore del peccato. Se invece si è indifferenti nei riguardi del divino, anche il peccato diventa una cosa irrilevante.

 (Padre Giovanni Cavalcoli)

 

GRAZIA E GIUSTIFICAZIONE, DAL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA

 

ARTICOLO 2
GRAZIA E GIUSTIFICAZIONE

I. La giustificazione

1987 La grazia dello Spirito Santo ha il potere di giustificarci, cioè di mondarci dai nostri peccati e di comunicarci la giustizia di Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo 219 e mediante il Battesimo: 220

« Se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che Cristo risuscitato dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di lui. Per quanto riguarda la sua morte, egli morì al peccato una volta per tutte; ora invece per il fatto che egli vive, vive per Dio. Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù » (Rm 6,8-11).

1988 Per mezzo della potenza dello Spirito Santo, noi prendiamo parte alla passione di Cristo morendo al peccato, e alla sua risurrezione nascendo a una vita nuova; siamo membra del suo corpo che è la Chiesa, 221 tralci innestati sulla Vite che è lui stesso: 222

« Per mezzo dello Spirito, tutti noi siamo detti partecipi di Dio. […] Entriamo a far parte della natura divina mediante la partecipazione allo Spirito […]. Ecco perché lo Spirito divinizza coloro nei quali si fa presente ». 223

1989 La prima opera della grazia dello Spirito Santo è la conversione, che opera la giustificazione, secondo l’annuncio di Gesù all’inizio del Vangelo: « Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino » (Mt 4,17). Sotto la mozione della grazia, l’uomo si volge verso Dio e si allontana dal peccato, accogliendo così il perdono e la giustizia dall’alto. « La giustificazione […] non è una semplice remissione dei peccati, ma anche santificazione e rinnovamento dell’uomo interiore ». 224

1990 La giustificazione separa l’uomo dal peccato che si oppone all’amore di Dio, e purifica il suo cuore dal peccato. La giustificazione fa seguito all’iniziativa della misericordia di Dio che offre il perdono. Riconcilia l’uomo con Dio. Libera dalla schiavitù del peccato e guarisce.

1991 La giustificazione è, al tempo stesso, accoglienza della giustizia di Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo. Qui la giustizia designa la rettitudine dell’amore divino. Insieme con la giustificazione, vengono infuse nei nostri cuori la fede, la speranza e la carità, e ci è accordata l’obbedienza alla volontà divina.

1992 La giustificazione ci è stata meritata dalla passione di Cristo, che si è offerto sulla croce come ostia vivente, santa e gradita a Dio, e il cui sangue è diventato strumento di propiziazione per i peccati di tutti gli uomini. La giustificazione è accordata mediante il Battesimo, sacramento della fede. Essa ci conforma alla giustizia di Dio, il quale ci rende interiormente giusti con la potenza della sua misericordia. Ha come fine la gloria di Dio e di Cristo, e il dono della vita eterna: 225

« Ora, indipendentemente dalla legge, si è manifestata la giustizia di Dio, testimoniata dalla legge e dai profeti; giustizia di Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che credono. E non c’è distinzione: tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, in virtù della redenzione realizzata da Cristo Gesù. Dio lo ha prestabilito a servire come strumento di espiazione per mezzo della fede, nel suo sangue, al fine di manifestare la sua giustizia, dopo la tolleranza usata verso i peccati passati, nel tempo della divina pazienza. Egli manifesta la sua giustizia nel tempo presente, per essere giusto e giustificare chi ha fede in Gesù » (Rm 3,21-26).

1993 La giustificazione stabilisce la collaborazione tra la grazia di Dio e la libertà dell’uomo. Da parte dell’uomo essa si esprime nell’assenso della fede alla parola di Dio che lo chiama alla conversione, e nella cooperazione della carità alla mozione dello Spirito Santo, che lo previene e lo custodisce:

« Dio tocca il cuore dell’uomo con l’illuminazione dello Spirito Santo, in modo che né l’uomo resti assolutamente inerte subendo quell’ispirazione, che certo può anche respingere, né senza la grazia divina, con la sua libera volontà, possa incamminarsi alla giustizia dinanzi a Dio ». 226

1994 La giustificazione è l’opera più eccellente dell’amore di Dio, manifestato in Cristo Gesù e comunicato tramite lo Spirito Santo. Sant’Agostino ritiene che « la giustificazione dell’empio è un’opera più grande della creazione del cielo e della terra », perché « il cielo e la terra passeranno, mentre la salvezza e la giustificazione degli eletti non passeranno mai ». 227 Pensa anche che la giustificazione dei peccatori supera la stessa creazione degli angeli nella giustizia, perché manifesta una più grande misericordia.

1995 Lo Spirito Santo è il maestro interiore. Dando vita all’« uomo interiore », 228 la giustificazione implica la santificazione di tutto l’essere:

« Come avete messo le vostre membra a servizio dell’impurità e dell’iniquità a pro dell’iniquità, così ora mettete le vostre membra a servizio della giustizia per la vostra santificazione […]. Ora, liberati dal peccato e fatti servi di Dio, voi raccogliete il frutto che vi porta alla santificazione e come destino avete la vita eterna » (Rm 6,19.22).

II. La grazia

1996 La nostra giustificazione viene dalla grazia di Dio. La grazia è il favore, il soccorso gratuito che Dio ci dà perché rispondiamo al suo invito: diventare figli di Dio, 229 figli adottivi, 230 partecipi della natura divina, 231 della vita eterna. 232

1997 La grazia è una partecipazione alla vita di Dio; ci introduce nell’intimità della vita trinitaria. Mediante il Battesimo il cristiano partecipa alla grazia di Cristo, Capo del suo corpo. Come « figlio adottivo », egli può ora chiamare Dio « Padre », in unione con il Figlio unigenito. Riceve la vita dello Spirito che infonde in lui la carità e forma la Chiesa.

1998 Questa vocazione alla vita eterna è soprannaturale. Dipende interamente dall’iniziativa gratuita di Dio, poiché egli solo può rivelarsi e donare se stesso. Supera le capacità dell’intelligenza e le forze della volontà dell’uomo, come di ogni creatura. 233

1999 La grazia di Cristo è il dono gratuito che Dio ci fa della sua vita, infusa nella nostra anima dallo Spirito Santo per guarirla dal peccato e santificarla. È la grazia santificante o deificante, ricevuta nel Battesimo. Essa è in noi la sorgente dell’opera di santificazione: 234

« Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove. Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo » (2 Cor 5,17-18).

2000 La grazia santificante è un dono abituale, una disposizione stabile e soprannaturale che perfeziona l’anima stessa per renderla capace di vivere con Dio, di agire per amor suo. Si distingueranno la grazia abituale, disposizione permanente a vivere e ad agire secondo la chiamata divina, e le grazie attuali che designano gli interventi divini sia all’inizio della conversione, sia nel corso dell’opera di santificazione.

2001 La preparazione dell’uomo ad accogliere la grazia è già un’opera della grazia. Questa è necessaria per suscitare e sostenere la nostra collaborazione alla giustificazione mediante la fede, e alla santificazione mediante la carità. Dio porta a compimento in noi quello che ha incominciato: « Egli infatti incomincia facendo in modo, con il suo intervento, che noi vogliamo; egli porta a compimento, cooperando con i moti della nostra volontà già convertita »: 235

« Operiamo certamente anche noi, ma operiamo cooperando con Dio che opera prevenendoci con la sua misericordia. Ci previene però per guarirci e anche ci seguirà perché da santi diventiamo pure vigorosi, ci previene per chiamarci e ci seguirà per glorificarci, ci previene perché viviamo piamente e ci seguirà perché viviamo con lui eternamente, essendo certo che senza di lui non possiamo far nulla ». 236

2002 La libera iniziativa di Dio richiede la libera risposta dell’uomo; infatti Dio ha creato l’uomo a propria immagine, dandogli, con la libertà, il potere di conoscerlo e di amarlo. L’anima può entrare solo liberamente nella comunione dell’amore. Dio tocca immediatamente e muove direttamente il cuore dell’uomo. Egli ha posto nell’uomo un’aspirazione alla verità e al bene che soltanto lui può soddisfare. Le promesse della « vita eterna » rispondono, al di là di ogni speranza, a tale aspirazione:

« Il riposo che prendesti al settimo giorno, dopo aver compiuto le tue opere molto buone, sebbene le avessi fatte senza fatica, è una predizione che ci fa l’oracolo del tuo Libro: noi pure, compiute le nostre opere buone assai, certamente per tuo dono, nel sabato della vita eterna riposeremo in te ». 237

2003 La grazia è innanzi tutto e principalmente il dono dello Spirito che ci giustifica e ci santifica. Ma la grazia comprende anche i doni che lo Spirito ci concede per associarci alla sua opera, per renderci capaci di cooperare alla salvezza degli altri e alla crescita del corpo di Cristo, la Chiesa. Sono le grazie sacramentali, doni propri ai diversi sacramenti. Sono inoltre le grazie speciali chiamate anche carismi con il termine greco usato da san Paolo, che significa favore, dono gratuito, beneficio. 238 Qualunque sia la loro natura a volte straordinaria, come il dono dei miracoli o delle lingue, i carismi sono ordinati alla grazia santificante e hanno come fine il bene comune della Chiesa. Sono al servizio della carità che edifica la Chiesa. 239

2004 Tra le grazie speciali, è opportuno ricordare le grazie di stato che accompagnano l’esercizio delle responsabilità della vita cristiana e dei ministeri in seno alla Chiesa:

« Abbiamo pertanto doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi. Chi ha il dono della profezia la eserciti secondo la misura della fede; chi ha un ministero attenda al ministero; chi l’insegnamento all’insegnamento; chi l’esortazione all’esortazione. Chi dà, lo faccia con semplicità; chi presiede, lo faccia con diligenza; chi fa opere di misericordia, le compia con gioia » (Rm 12,6-8).

2005 Appartenendo all’ordine soprannaturale, la grazia sfugge alla nostra esperienza e solo con la fede può essere conosciuta. Pertanto non possiamo basarci sui nostri sentimenti o sulle nostre opere per dedurne che siamo giustificati e salvati. 240 Tuttavia, secondo la parola del Signore: « Dai loro frutti li potrete riconoscere » (Mt 7,20), la considerazione dei benefici di Dio nella nostra vita e nella vita dei santi ci offre una garanzia che la grazia sta operando in noi e ci sprona ad una fede sempre più grande e ad un atteggiamento di povertà fiduciosa.

Si trova una delle più belle dimostrazioni di tale disposizione d’animo nella risposta di santa Giovanna d’Arco ad una domanda subdola dei suoi giudici ecclesiastici: « Interrogata se sappia d’essere nella grazia di Dio, risponde: “Se non vi sono, Dio mi vuole mettere; se vi sono, Dio mi vuole custodire in essa” ». 241

 

2010 Poiché nell’ordine della grazia l’iniziativa appartiene a Dio, nessuno può meritare la grazia prima, quella che sta all’origine della conversione, del perdono e della giustificazione. Sotto la mozione dello Spirito Santo e della carità, possiamo in seguito meritare per noi stessi e per gli altri le grazie utili per la nostra santificazione, per l’aumento della grazia e della carità, come pure per il conseguimento della vita eterna. Gli stessi beni temporali, quali la salute e l’amicizia, possono essere meritati seguendo la sapienza di Dio. Tutte queste grazie e questi beni sono oggetto della preghiera cristiana. Questa provvede al nostro bisogno di grazia per le azioni meritorie.

2011 La carità di Cristo è in noi la sorgente di tutti i nostri meriti davanti a Dio. La grazia, unendoci a Cristo con un amore attivo, assicura il carattere soprannaturale dei nostri atti e, di conseguenza, il loro merito davanti a Dio e davanti agli uomini. I santi hanno sempre avuto una viva consapevolezza che i loro meriti erano pura grazia:

« Dopo l’esilio della terra, spero di gioire fruitivamente di te nella Patria; ma non voglio accumulare meriti per il cielo: voglio spendermi per il tuo solo amore […]. Alla sera di questa vita comparirò davanti a te con le mani vuote; infatti non ti chiedo, o Signore, di tener conto delle mie opere. Tutte le nostre giustizie non sono senza macchie ai tuoi occhi. Voglio perciò rivestirmi della tua giustizia e ricevere dal tuo amore l’eterno possesso di te stesso… ». 246

 

IV. La santità cristiana

2012 « Sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio […]. Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli; quelli poi che ha predestinati li ha anche chiamati; quelli che ha chiamati li ha anche giustificati; quelli che ha giustificati li ha anche glorificati » (Rm 8,28-30).

2013 « Tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità ». 247 Tutti sono chiamati alla santità: « Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste » (Mt 5,48):

« Per raggiungere questa perfezione, i fedeli usino le forze ricevute secondo la misura del dono di Cristo, affinché […], in tutto obbedienti alla volontà del Padre, con tutto il loro animo si consacrino alla gloria di Dio e al servizio del prossimo. Così la santità del popolo di Dio crescerà apportando frutti abbondanti, come è splendidamente dimostrato, nella storia della Chiesa, dalla vita di tanti santi ». 248

2014 Il progresso spirituale tende all’unione sempre più intima con Cristo. Questa unione si chiama « mistica », perché partecipa al mistero di Cristo mediante i sacramenti – « i santi misteri » – e, in lui, al mistero della Santissima Trinità. Dio chiama tutti a questa intima unione con lui, anche se soltanto ad alcuni sono concesse grazie speciali o segni straordinari di questa vita mistica, allo scopo di rendere manifesto il dono gratuito fatto a tutti.

2015 Il cammino della perfezione passa attraverso la croce. Non c’è santità senza rinuncia e senza combattimento spirituale. 249 Il progresso spirituale comporta l’ascesi e la mortificazione, che gradatamente conducono a vivere nella pace e nella gioia delle beatitudini:

« Colui che sale non cessa mai di andare di inizio in inizio; non si è mai finito di incominciare. Mai colui che sale cessa di desiderare ciò che già conosce ». 250

2016 I figli della santa Chiesa nostra Madre sperano giustamente la grazia della perseveranza finale e la ricompensa di Dio loro Padre per le buone opere compiute con la sua grazia, in comunione con Gesù. 251 Osservando la medesima regola di vita, i credenti condividono « la beata speranza » di coloro che la misericordia divina riunisce nella « città santa, la nuova Gerusalemme » che scende « dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo » (Ap 21,2).

(219) Cf Rm 3,22.

(220) Cf Rm 6,3-4.

(221) Cf 1 Cor 12.

(222) Cf Gv 15,1-4.

(223) Sant’Atanasio di Alessandria, Epistula ad Serapionem, 1, 24: PG 26, 585-588.

(224) Concilio di Trento, Sess. 6a, Decretum de iustificatione, c. 7: DS 1528.

(225) Cf Concilio di Trento, Sess. 6a, Decretum de iustificatione, c. 7: DS 1529.

(226) Concilio di Trento, Sess. 6a, Decretum de iustificatione, c. 5: DS 1525.

(227) Sant’Agostino, In Iohannis evangelium tractatus, 72, 3: CCL 36, 508 (PL 35, 1823).

(228) Cf Rm 7,22; Ef 3,16.

(229) Cf Gv 1,12-18.

(230) Cf Rm 8,14-17.

(231) Cf 2 Pt 1,3-4.

(232) Cf Gv 17,3.

(233) Cf 1 Cor 2,7-9.

(234) Cf Gv 4,14; 7,38-39.

(235) Sant’Agostino, De gratia et libero arbitrio, 17, 33: PL 44, 901.

(236) Sant’Agostino, De natura et gratia, 31, 35: CSEL 49, 258-259 (PL 44, 264).

(237) Sant’Agostino, Confessiones, 13, 36, 51: CCL 27, 272 (PL 32, 868).

(238) Cf Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 12: AAS 57 (1965) 16-17.

(239) Cf 1 Cor 12.

(240) Cf Concilio di Trento, Sess. 6a, Decretum de iustificatione, c. 9: DS 1533-1534.

(241) Santa Giovanna d’Arco, Dictum: Procès de condamnation, ed. P. Tisset (Paris 1960) p. 62.

(242) Prefazio dei santi, I: Messale Romano (Libreria Editrice Vaticana 1993) p. 363; cf « Doctor gratiae », Sant’Agostino, Enarratio in Psalmum 102, 7: CCL 40, 1457 (PL 37, 1321).

(243) Cf Concilio di Trento, Sess. 6a, Decretum de iustificatione, c. 16: DS 1546.

(244) Cf Concilio di Trento, Sess. 6a, Decretum de iustificatione, c. 16: DS 1548.

(245) Sant’Agostino, Sermo 298, 4-5: SPM 1, 98-99 (PL 38, 1367).

(246) Santa Teresa di Gesù Bambino, Atto di offerta all’Amore Misericordioso: Preghiere: Opere complete (Libreria Editrice Vaticana 1997) p. 942-943.

(247) Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 40: AAS 57 (1965) 45.

(248) Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 40: AAS 57 (1965) 45.

(249) Cf 2 Tm 4.

(250) San Gregorio di Nissa, In Canticum, homilia 8: Gregorii Nysseni opera, ed. W. Jaeger-H. Langerbeck, v. 6 (Leiden 1960) p. 247 (PG 44, 941).

(251) Cf Concilio di Trento, Sess. 6a, Decretum de iustificatione, canone 26: DS 1576.

(252) Cf Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 40: AAS 57 (1965).

(253) San Gregorio di Nissa, De vita Moysis, 1, 5: ed. M. Simonetti (Vicenza 1984) p. 10 (PG 44, 300).

FONTE:  http://www.vatican.va/archive/catechism_it/p3s1c3a2_it.htm

Santa Maria Maddalena de’ Pazzi: “Vita vitale, dolce e amabile! O amore, vieni ad abitare dentro al mio petto. Accendimi tutta di te, sì che amar ti possa. Vieni amore. O amore, se tu ti riposi in quelli che cercano l’amore e l’onor tuo, che mai altro io cerco?”

Dagli Scritti di Santa Maria Maddalena de’ Pazzi

 

«Jesu, dolce amore,

transformaci in Te

e transforma Te in noi,

acciò che così transformati

e uniti in Te

possiamo adempire

perfettamente

la volontà tua».

 

«Vita vitale, dolce e amabile! O amore, vieni ad abitare dentro al mio petto. Accendimi tutta di te, sì che amar ti possa. Vieni amore. O amore, se tu ti riposi in quelli che cercano l’amore e l’onor tuo, che mai altro io cerco? Perciò affretta il passo, e vieni amore!»

«Creati da Dio per amore e con amore, è per tale via che dobbiamo ritornare a lui […] O felice quell’anima che sta unita con te, Verbo, e che si pasce e nutrisce di te, Verbo, e non trova quiete e non si contenta se non in te, Verbo. Solo l’amore di te, Verbo, ci può far quieti, perché siam creati per amare e posseder te. Quanto più ti trovo, tanto più sono assetata di cercarti»

«Vedevo dal Costato di Gesù anzi nel Cuore, una grandissima fornace d’amore, che di continuo mandava saette e per questo essa era posta in razzi infocati nei cuori dei suoi eletti, e tanto era la grandezza e preziosità di quell’anima, e l’amore che Dio infondeva in lei e essa cooperando a esso amore, riamava Dio d’amor puro […] Vedevo lo Spirito Santo stare in continuo moto, per dire a nostro modo, non però che egli si movesse donde era; ma vedevo che esso continuamente mandava razzi, frecce e saette d’amor puro nei cuori delle creature»

“Vita vitale, dolce e amabile! O amore, vieni ad habitare dentro al mio petto. Accendimi tutta di te, sì che amar ti possa. Vieni amore. O amore, se tu ti riposi in quelli che cercano l’amore e l’honor tuo, che mai altro io cerco? Però affretta il passo, e vieni amore! Se tu, amore, ti riposi nel sen del Padre, e io fui ab eterno nella mente sua. Tu mi dirai che sei l’istesso Dio, e io son fatta a inmagine e similitudine tua. Se tu riposi ne’ vaselli puri, eccone uno che non ha mai desiderato altro che purità. Ti concedo, sì, che l’ho macchiata, e dico mia colpa; ma ricevo sì spesso il Sangue del Verbo che lieva via ogni macchia. Se tu habiti nelle spose sua, mi glorierò in questo, che lui mi chiamò e io udi’ la voce sua e li risposi. Lui mi sposò, e io stesi il dito; e però vieni, amore! Amore, tu di’ che ti cibi di Sangue; questo non te lo posso dare, ma ti offerirò quel del Verbo, e m’è testimonio il mio Christo chiovellato in croce che mi glorierei di lassarmi tagliare ogni hora mille volte a membro a membro per poter dare il mio sangue. E però vieni, amore. Amore, se io sapessi un’anima che totalmente possedessi amore, hor hora andrei a trovarla; ma perché non la so, chiamerò te, amore. Che intendi tu amore che io chiegga quando io chieggo di esser transformata in te? Ti chieggo che tu mi porti sopra le tua ale e mi congiunga a quel Verbo divino” (PRO II, 99-100).

“Mi pareva intendere ancor poi che l’Amore per tre cose univa con seco tanto strettamente l’anima: prima, perché essa era creata per amore; seconda, perché essa facci per quello che è creata, che è amar l’Amore; terza, perché essa in eterno ha a godere esso amore e inseparabilmente essere con seco unita. Et di questa unione, che tutte riescono in una, vedevo che nessuna, nessuna creatura ne può esser capace, ma solamente esso Dio e lo stesso Amore Unitivo, che è mezzo fra l’anima e Dio.”

“E questo è il nome di Jesu che è in cielo, in terra e ancora nell’inferno: in cielo è per gloria e per eternità; nell’inferno per giustitia e per potentia; et in terra per carità e per misericordia; et nella anima è ancora per purità e amore”

“Il morire a sé e perdersi in Dio è un sicuro impegno per l’eternità”

 

Santa Maria Maddalena de’ Pazzi

Sant’Ilario di Poitiers: L’eucaristia “Perciò come non si dovrebbe pensare che dimori in noi con la sua natura colui che, fatto uomo, assunse la natura della nostra carne ormai inseparabile da lui, e unì la natura della propria carne con la natura divina nel sacramento che ci comunica la sua carne?”

 

L’eucaristia: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui» (Gv 6, 56).

 

E’ indubitabile che il Verbo si è fatto carne (Gv 1, 14) e che noi con il cibo eucaristico riceviamo il Verbo fatto carne. Perciò come non si dovrebbe pensare che dimori in noi con la sua natura colui che, fatto uomo, assunse la natura della nostra carne ormai inseparabile da lui, e unì la natura della propria carne con la natura divina nel sacramento che ci comunica la sua carne? In questo modo tutti siamo una cosa sola, perché il Padre è in Cristo, e Cristo è in noi.

 Dunque egli stesso è in noi per la sua carne e noi siamo in lui, dal momento che ciò che noi siamo si trova in Dio.

 In che misura poi noi siamo in lui per il sacramento della comunione del corpo e del sangue, lo afferma egli stesso dicendo: E questo mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete; poiché io sono nel Padre e voi in me e io in voi (cfr. Gv 14, 17-20).

 Se voleva che si intendesse solo l’unione morale o di volontà, per quale ragione avrebbe parlato di una graduatoria e di un ordine nell’attuazione di questa unità? Egli è nel Padre per natura divina. Noi siamo in lui per la sua nascita nel corpo. Egli poi è ancora in noi per l’azione misteriosa dei sacramenti.

Questa è la fede che ci chiede di professare. Secondo questa fede si realizza l’unità perfetta per mezzo del Mediatore. Noi siamo uniti a Cristo, che è inseparabile dal Padre. Ma pur rimanendo nel Padre resta unito a noi. In tal modo arriviamo all’unità con il Padre. Infatti Cristo è nel Padre connaturalmente perché da lui generato. Ma, sotto un certo punto di vista, anche noi, attraverso Cristo, siamo connaturalmente nel Padre, perché Cristo condivide la nostra natura umana. Come si debba intendere poi questa unità connaturale nostra lo spiega lui stesso: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui» (Gv 6, 56).

 Nessuno sarà in lui, se non colui nel quale egli stesso verrà, poiché il Signore assume in sé solo la carne di colui che riceverà la sua.

 Il sacramento di questa perfetta unità l’aveva già insegnato più sopra dicendo: «Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me» (Gv 6, 7). Egli vive in virtù del Padre. E noi viviamo in virtù della sua umanità così come egli vive in virtù del Padre.

 Dobbiamo rifarci alle analogie per comprendere questo mistero. La nostra vita divina si spiega dal fatto che in noi uomini si rende presente Cristo mediante la sua umanità. E, mediante questa, viviamo di quella vita che egli ha dal Padre.

 

 Dal trattato «Sulla Trinità» di Sant’Ilario di Poitiers, vescovo