San Claudio La Colombière: “non vedo «devozione» dove non c’è mortificazione” “Il turbamento nasce sempre da una causa non buona o da scarsa virtù. La vera virtù invece dà vita, coraggio”

 

Insegnamenti spirituali di S. Claudio La Colombière

S. Claudio La Colombière (1641 †1682), gesuita, maestro di illuminata spiritualità, fu direttore spirituale di S. Margherita Maria Alacoque e con lei fu il più grande diffusore della devozione al S. Cuore di Gesù.

 

I TURBAMENTI E L’ORAZIONE DISTRATTA

Lettera a Suor M. Emerenziana Rosselin

Londra, 1677

 

Cara Sorella,

225. – … Nella sua prima lettera mi informa che non è affatto contenta di se stessa e che, delle volte, le passa per la mente di attribuire questo suo stato penoso a cause misteriose… Anche se avesse commesso qualche infedeltà, si ricordi che abbiamo a che fare con un Signore buono, e invece di scoraggiarsi, dovrebbe essere per lei motivo di maggior fervore per riparare questa debolezza.

226. – Se questi timori e scrupoli giungessero a turbarla, si guardi bene dal credere che ciò sia una virtù. È necessario servire Dio con tutto il cuore, non trascurare nulla per non offenderLo, ma bisogna far tutto con gioia, con cuore aperto e pieno di confidenza, nonostante le debolezze che avvertiamo e le colpe che commettiamo. Il turbamento nasce sempre da una causa non buona o da scarsa virtù. La vera virtù invece dà vita, coraggio, e spinge sempre sulla via del progresso. Il virtuoso trova magari, e a ragione, che fa poco e niente, ma non per questo perde la pace interiore. Tutte le emozioni che la inquietano e affievoliscono in lei la speranza di conquistare la santità, provengono sempre dallo spirito cattivo.

227. – Temo che, in effetti, lei sia un po’ pigra e paurosa. Vuol sapere se lo è? Eccole i segni. È tentata di rimandare ad altra data ciò che deve fare o ha promesso di fare? Si stanca facilmente dopo aver cominciato a fare qualcosa di buono? Cambia spesso il metodo e le pratiche di devozione? Immagina che esistono dei traguardi superiori alle sue forze e riservati alle grandi sante? Omette di far qualcosa per rispetto umano, per paura di importunare le superiore o di condannare e mortificare le altre? Mantiene una coraggiosa sincerità con le persone alle quali deve manifestare il suo interno? È persuasa che deve accontentarsi di un fervore mediocre? È convinta che in fatto di obbedienza esistono cose trascurabili?

Ed eccole i rimedi: non si perdoni nulla; non dia retta a nessuna ripugnanza; cerchi di vincersi in tutte le occasioni; sia più che convinta che per fare o non fare una cosa ci dev’essere sempre un gran motivo; tenga presenti le difficoltà e le inclinazioni, sempre supposto che non si faccia nulla contro l’obbedienza.

228. – Se fossi certo che lei si comporta così, non starei troppo in pena per la sua orazione, di cui si lamenta nella seconda lettera. Cara sorella, è un grande inganno, purtroppo comune, immaginarsi di aver poca o molta virtù secondo le poche o molte distrazioni nella preghiera. Ho conosciuto delle religiose, che, giunte ad un alto grado di contemplazione avevano spesso distrazioni dal principio alla fine della loro orazione.

La maggior parte delle persone che soffrono tanto per questi smarrimenti di spirito, sono anime tutte piene di amor proprio, che non riescono a sopportare la vergogna che provano davanti a Dio e agli uomini; non sanno soffrire la noia e la fatica che cagionano loro gli esercizi di pietà, e vorrebbero essere ricompensate delle loro mortificazioni con delle consolazioni sensibili. Eppure, cara sorella, anche se lei fosse rapita in estasi ventiquattro volte al giorno e io avessi ventiquattro distrazioni in una sola Ave Maria, se però io fossi umile e mortificato come lei, non vorrei cambiare le mie distrazioni involontarie con le sue estasi senza merito. In una parola, non vedo «devozione» dove non c’è mortificazione.

Si faccia continua violenza, specie del suo mondo interiore; non tolleri mai che la natura diventi sua padrona, che il suo cuore si attacchi a qualsiasi cosa, per qualsiasi motivo, e io la canonizzerò senza domandarle nemmeno come va la sua preghiera.

229. – Sono contentissimo che lei ami molto la sua vocazione; non so quali prove ne abbia; ma un buon segno è questo: quando stima l’esatta osservanza di una regola o di una minima prescrizione quanto i suoi voti.

230. – Della sua pensione o non ne ho mai inteso parlare o me ne sono dimenticato. Io, al suo posto, ne userei come se fosse la pensione di un altro, che non ho mai visto e conosciuto… La beatitudine della povertà quando mio Dio, verrà conosciuta e amata quanto Tu ami coloro che l’amano? A che cosa mi serve l’aver fatto il voto di essere povero, se poi temo che mi venga a mancare qualcosa? Se pretendo che mi si dia sicurezza che non mi mancherà niente come ai ricchi? Le confesso che non riesco a comprendere che razza di povertà sia questa e quale merito si possa avere nel praticarla.

231. – L’amicizia dei parenti è buona, quando però è in Gesù Cristo; ciò vuol dire: quando non genera affanno, turbamento e interesse, quando cioè niente si riceve e niente si regala…

 

Tratto da

CLAUDIO LA COLOMBIÈRE, “Lettere Spirituali”

Edizioni AdP