LEON BLOY diceva nei primi del ‘900 : “Siamo alla bancarotta delle anime, al deficit irreparabile della coscienza cristiana.” “Un corpo vigoroso e fiorente può essere il tabernacolo di un’anima putrefatta. Nulla è meno vero di quest’orribile realtà.” “E’ spaventoso pensare che viviamo in mezzo a una folla di morti che crediamo essere vivi”

 

Morti che crediamo essere vivi

 

Rimarrà la putrefazione universale.
E’ necessario richiamare alla memoria l’importanza infinita d’un’anima viva; importanza tale, che, l’indomani d’un cataclisma, un solo uomo risparmiato basterebbe a rappresentare provvisoriamente una generazione. Questo, non c’è bisogno di dirlo, dev’essere inteso in senso spirituale. La popolazione del globo è valutata da mille e quattro a mille e cinquecento milioni d’individui. Quante anime realmente vivono in questo brulichìo d’esseri umani? Una ogni centomila, forse, od una ogni cento milioni. Non si sa. Vi sono uomini superiori, uomini anche di genio, se volete, la cui anima non è stata investita dal soffio della vita e che muoiono senza aver vissuto. Un cuore semplice dirà ogni giorno, piangendo d’angoscia: «In che rapporti sono io con lo Spirito di Dio, con lo Spirito Santo? Vivo io veramente o sono un morto da portare alla sepoltura?». E’ spaventoso pensare che viviamo in mezzo a una folla di morti che crediamo essere vivi; che l’amico, il compagno, il fratello forse, che ho visti questa mattina e che rivedrò questa sera, hanno una vita soltanto organica, una sembianza di vita, una caricatura d’esistenza, e che in realtà essi si distinguono appena da coloro i quali si squagliano nelle tombe.

E’ intollerabile ammettere, ad esempio, che si possa esser nati da un padre e da una madre che non erano vivi; che questo prete, qui all’altare, non è forse molto diverso da un morto, e che il Farmaco d’immortalità, il Pane che egli ha consacrato affinché la vostra anima ne riceva la vita eterna, egli sta per darvelo con una mano di cadavere, pronunziando con voce defunta le sante parole della liturgia! Eppure si muovono e agiscono, tutti questi fantasmi, con una regolarità perfetta. La messa di questo prete è valida quanto quella d’un santo. L’assoluzione che egli dà ai peccatori è certa. La forza del suo ministero soprannaturale perdura fino a tanto che la morte non abbia definitivamente trionfato su di lui. E così è per tutti i mezzi morti che ci vanno d’attorno e che noi siamo costretti a chiamare, anticipatamente, defunti. Si continua meccanicamente ad agire e finanche a pensare con un’anima priva di vita. Un corpo vigoroso e fiorente può essere il tabernacolo di un’anima putrefatta. Nulla è meno vero di quest’orribile realtà. Si sa di santi che ebbero il terrificante privilegio di distinguere all’odore le anime. La pastora della Salette, Melania, ne fu soffocata, si dice, tutta la vita. Penitenza infernale che ella accettò e che non si può considerare senza spavento.

La putrefazione universale, conseguenza dei paurosi castighi che spopolerebbero una parte della terra, s’intenda dunque come putrefazione delle anime. Qualche raro amico di Dio deve sentire già fin da adesso qualche cosa dell’orribile odore. Certamente questa guerra interminabile provocata dai demoni ha talmente avvilito i caratteri, che si può dire che tutti i cuori striscino per terra. Mentre gli uni si fanno massacrare, a fine di salvare quanto è possibile del patrimonio dei secoli, gli altri, in numero infinito, si costruiscono, con i grumi disseccati del sangue delle vittime, case comode e agiate. L’avarizia più feroce, la cupidigia più insolente si sono insediate così integralmente in luogo di tutto quel che costituiva l’onore del popolo, che ci si gloria di far fortuna assassinando la patria già mutilata. Viene rispettato tutto quello che è materialmente vantaggioso. Il tradimento stesso, attuato con profitto dai furbi, è un’aureola; e la ghigliottina piange. Bisognerebbe esser privi di ragione quanto di fiuto per non sentire che il corpo sociale tutto quanto è una carogna simile a quella di Beaudelaire, «da cui uscivano neri battaglioni di larve» e di cui « il lezzo era sì forte che, sull’erba, l’amata credette di svenire». Quest’abominio, che non può più essere scongiurato che col fuoco, aumenta ogni giorno con paurosa rapidità. E ci si avvezza: la vigliaccheria degli uni si fa complice della scellerataggine degli altri, mentre coloro che dovrebbero esserne più inorriditi si rassegnano in silenzio, incrociando le braccia, al sudiciume e alla corruzione. Siamo alla bancarotta delle anime, al deficit irreparabile della coscienza cristiana. E’ dunque più che evidente che Dio sarà presto costretto a rinnovare ogni cosa, perché così, in verità, non è più possibile vivere a lungo. Tutti quelli fra i nostri morti che sono entrati da vittoriosi nella vita eterna e tutti i vecchi santi della Francia, ove da tanti secoli sono onorati, non tollererebbero che si compisse l’intossicazione di una terra che fu data a Gesù Cristo in dote specialissima. Essi intraprenderebbero non so che cosa. Vedremmo cose da fare tremare o piangere d’amore, cose certamente inaudite e che nessuno avrebbe potuto prevedere, indizi certi dell’avvento inimmaginabile.

Leon Bloy, Nelle tenebre, La putrefazione

 

LEON BLOY: DUE POESIE-PREGHIERE STUPENDE

 

O Dio dell’imprevisto,
fa’ ch’io non tema mai
l’imprevisto
l’inconsueto
l’impensato
poiché proprio Tu fosti tutto ciò
e feristi il cuore degli uomini
con la tua assoluta Novità.

Scioglimi il cuore
perché anch’io sappia
sorprendermi e sorprendere
per diversità di pensiero
novità di vita
fantasia d’amore
prontezza di fronte al male.

Fa’ che un pochino almeno ti somigli,
o Dio dell’imprevisto,
che nel tuo Figlio
desti il giro ad un mondo rappreso
e senza senso.

Fa’ ch’io diventi immagine e strumento
della tua Buona Novità.

Preghiera dell’imprevisto

Léon Bloy

 

Dopo Gesù Cristo il popolo di Dio siamo tutti noi: io, il falegname, il fabbro, l’impiegato, lo spazzino, il poeta.
Il popolo di Dio è tutto ciò che è povero, tutto ciò che soffre, tutto ciò che è profondamente umile.
E’ l’immenso gregge nella solitudine, la moltitudine dei cuori tristi alla ricerca del Paradiso.
Non ho subito la miseria, l’ho sposata per amore, avendo potuto scegliere un’altra compagna.
La miseria è la mancanza del necessario.
La povertà è la mancanza del superfluo.
Più andremo verso Dio e più saremo uniti, cioè avvicinati. Gli esseri umani non sono paralleli ma convergenti, e Dio è il loro fuoco.
Ogni anima è un raggio della Divinità, da cui è partita come da un sole e da cui un giorno deve essere riassorbita.
Nessuno sa chi è maggiormente il suo prossimo, nessuno lo saprà mai, se non nella Luce. Ed è una grazia immensa incontrare qua e là, dopo infiniti dolori, qualche probabile fratello, qualche supposto cugino del Paradiso.
Attendo ancora Qualcuno.
Qualcuno di molto povero, molto sconosciuto e molto grande.
Qualcuno deve venire.
Qualcuno, che io sento galoppare sul fondo degli abissi, deve venire, in modo inaudito…

Léon Bloy

 

LEON BLOY: ” La semplice verità cattolica consiste nel bisogno assoluto di soffrire per essere salvati ” ” Allora ha inizio una lotta terribile tra il cuore dell’uomo che vuole fuggire per mezzo della sua libertà ed il cuore di Dio che vuole farsi padrone, con la Sua potenza, del cuore dell’uomo “

In questo secolo così svigorito e sensuale, se c’è una cosa che somigli press’a poco a una violenta passione, questa è l’odio del dolore, così profondo da giungere quasi a identificarsi con l’essere stesso dell’uomo. Questa vecchia terra, che in altri tempi, ovunque passassero uomini, si copriva di croci, che germinava, come dice Isaia, il segno della nostra Redenzione, viene straziata e devastata per essere costretta a dare la felicità alla razza umana, a questa progenie ingrata del dolore, che non vuole più soffrire.

Se esiste una legge universalmente inflessibile, è proprio quella della sofferenza che ogni uomo chiude in sé; legge che, giustapposta alla coscienza stessa del suo essere, presiede allo sviluppo della sua libera personalità e governa il suo cuore e la sua ragione così dispoticamente, che il mondo antico, atterrito, credendo di riconoscere in essa un cieco Dio dei suoi Dei, l’adorò sotto il nome terribile di Destino.

La semplice verità cattolica consiste nel bisogno assoluto di soffrire per essere salvati. Parola quest’ultima, la quale implica una necessità tale, che tutta la logica umana posta al servizio della metafisica più trascendente, non saprebbe darne l’idea. Poiché l’uomo ha compromesso il suo destino eterno a causa di ciò che è chiamato il Peccato, Dio vuole che egli entri nell’ordine della Redenzione. Dio lo vuole infinitamente. Allora ha inizio una lotta terribile tra il cuore dell’uomo che vuole fuggire per mezzo della sua libertà ed il cuore di Dio che vuole farsi padrone, con la Sua potenza, del cuore dell’uomo. Si crede con grande facilità che Dio non abbia bisogno di tutta la Sua forza per domare gli uomini. Questa credenza attesta una singolare e profonda ignoranza di ciò che è l’uomo e di ciò che è Dio in relazione a lui.
La libertà, questo dono prodigioso, inqualificabile, con cui ci è dato di vincere il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo; di uccidere il Verbo incarnato, di pugnalare sette volte l’Immacolata Concezione, di agitare con una sola parola tutti gli spiriti creati nel cielo e nell’inferno, di trattenere la Volontà, la Giustizia, la Misericordia, la Pietà di Dio sulle Sue Labbra e impedirle di discendere sulla Sua creazione, questa libertà ineffabile altro non è che questo: il rispetto che Dio ha per noi. Proviamo un po’ a rappresentarlo, questo rispetto di Dio!

Per esso, dal tempo della legge di grazia, Dio non ha mai parlato agli uomini con un’autorità assoluta, ma al contrario con la timidezza, la dolcezza e direi quasi l’ossequiosità di un questuante povero, che nessuna avversione sarebbe capace di scoraggiare. Per un decreto, misteriosissimo e inconcepibile, della Sua eterna volontà, Dio sembra essersi condannato sino alla fine dei tempi a non esercitare sull’uomo alcun diritto immediato di padrone a servitore, né di re a suddito. Se Egli ci vuol possedere bisogna che ci seduca, perchè se Sua Maestà non ci piace, noi possiamo respingerla dalla nostra presenza, farla schiaffeggiare, sferzare e crocifiggere tra gli applausi della più vile canaglia. Egli non si difenderà con la Sua forza, ma soltanto con la Sua pazienza e la Sua bellezza: questa è la lotta terribile di cui parlavo poco fa. Fra l’uomo involontariamente rivestito della sua libertà e Dio volontariamente spogliato della Sua forza, l’antagonismo è normale, l’attacco e la resistenza si equilibrano ragionevolmente. Questo perpetuo combattere dell’umana natura contro Dio è la fonte da cui sgorga l’inesauribile dolore. Il Dolore! ecco dunque la parola grande! Ecco la soluzione di ogni vita umana sulla terra. Il trampolino di tutte le superiorità, il vaglio di tutti i meriti, il criterio infallibile di tutte le bellezze morali! Non si vuole assolutamente capire che il dolore è necessario.

Coloro che affermano che il dolore è utile non ne capiscono niente. L’utilità suppone sempre qualche cosa di aggiunto e di contingente e il dolore è necessario. Esso è la spina dorsale, l’essenza stessa della vita morale.
L’amore si riconosce al suo segno, e quando questo gli manchi, l’amore non è che una prostituzione della forza o della bellezza. Io dico che uno mi ama, quando quest’uno accetta di soffrire a causa mia o vantaggio mio. Altrimenti quest’uno che pretende di amarmi non è che un usuraio sentimentale che vuole installare nel mio cuore il suo traffico vile. Un’anima fiera e generosa cerca il dolore con delirante impeto. Quando una spina la ferisca, essa preme su questa spina per non perdere nulla della voluttà d’amore che essa può darle, straziandola più nel profondo. Il nostro Salvatore Gesù, Lui, ha sofferto a tal punto per noi che certamente dové farsi un accordo fra Suo Padre e Lui perchè ci fosse consentito, nel futuro, soltanto di parlare della Sua Passione senza che la semplice menzione di questo Fatto fosse una bestemmia di un’enormità tale da far precipitare il mondo in polvere. Ebbene! noi siamo, pensate un poco, le MEMBRA di Gesù Cristo! Le Sue membra stesse! La nostra inenarrabile miseria consiste nel prendere senza posa per figure e simboli inanimati le enunciazioni più chiare e più vive della Scrittura. Noi crediamo, ma non sostanzialmente.

Ah! Le parole dello Spirito Santo dovrebbero penetrare e colare nelle nostre anime come piombo fuso nella gola di un bestemmiatore o di un parricida. Noi non comprendiamo di essere le membra dell’Uomo di dolore, dell’uomo che è Gioia, Amore, Verità, Bellezza, Luce e Vita supreme solo perchè è l’amante eternamente agitato dal supremo dolore, il Pellegrino dell’ultimo supplizio, accorso a soffrirlo, attraverso l’infinito, dal fondo dell’eternità, e sulla cui testa si sono accumulate in un’unità terribilmente tragica di tempo, di luogo e di persona, tutti gli elementi di tortura adunati in ciascuno degli atti umani compiuti nella durata di ogni secondo, su tutta la faccia della terra, durante sessanta secoli! I Santi hanno visto che la sola rivelazione di un solo minuto della sofferenza infernale sarebbe capace di folgorare il genere umano, di dissolvere il diamante e di spegnere il sole.

Ora, ecco ciò che deduce la ragione da sola, la più debole ragione palpitante sotto la divina luce: Tutte le sofferenze accumulate dall’inferno durante tutta l’eternità sono dinanzi alla Passione come se non fossero, perchè Gesù soffre nell’Amore, mentre i dannati soffrono nell’Odio; perchè il dolore dei dannati è finito ed il dolore di Gesù è infinito; perchè, infine, se fosse possibile supporre che qualche eccesso è mancato al dolore del Figlio di Dio, sarebbe ugualmente possibile credere che qualche eccesso è mancato al Suo Amore, ciò che è evidentemente un’assurdità e una bestemmia, poiché Egli è l’Amore stesso.

Noi possiamo partire da quel dolore per misurare ogni cosa. Dichiarandoci membra di Gesù Cristo, lo Spirito Santo ci ha rivestiti della dignità di Redentori e quando ci rifiutiamo di soffrire, noi siamo esattamente simoniaci e prevaricatori. Noi siamo fatti per il dolore e per il dolore soltanto. Allorché versiamo il nostro sangue, esso scorre sul Calvario e di là su tutta la terra. Sventura a noi, in conseguenza se è un sangue avvelenato! Quando versiamo le nostre lagrime, che sono «il sangue delle nostre anime», esse cadono sul cuore della Vergine e di là su tutti i cuori viventi. La nostra qualità di membra di Gesù Cristo e di figli di Maria ci ha reso così grandi che noi possiamo annegare il mondo nelle nostre lacrime.
Sventura dunque e tre volte sventura su di noi se sono lagrime avvelenate!

Tutto in noi è identico a Gesù Cristo, sul quale siamo naturalmente e soprannaturalmente configurati. Allorché dunque rifiutiamo una sofferenza, noi adulteriamo per quanto è in nostro potere la nostra propria essenza, noi facciamo penetrare nella Carne stessa e fino all’Anima del nostro Capo un elemento profanatore, che Egli in seguito deve espellere da Se stesso e da tutte le Sue membra con un raddoppiamento inconcepibile di torture. Tutto ciò è ben chiaro? Non lo so.

In fondo io penso che in questo mondo decaduto ogni gioia risplende nell’ordine naturale e ogni dolore nell’ordine divino. In attesa delle assise di Giosafat, in attesa che ogni cosa si consumi, l’esule del Paradiso non può pretendere che la sola felicità di soffrire per Dio. La genealogia delle virtù cristiane ha germogliato i suoi steli nel sudore di Getsemani e nel sangue del Calvario. San Paolo ci grida che non dobbiamo conoscere che Gesù crocifisso, e noi non vogliamo credergli. Ci dimentichiamo continuamente di avere un solo esemplare per concepire tutto e spiegare tutto nella vita morale, e questo esemplare è il dolore stesso, l’essenza divinamente condensata di tutti i dolori immaginabili e inimmaginabili, contenuti nel più prezioso vaso umano che l’Eterna Saggezza ha mai potuto concepire e foggiare.

Il punto di vista che deve infine tutto abbracciare e tutto riassumere nei tre ordini di natura, di grazia e di gloria è di una semplicità assoluta e quasi monotona, tanto è sublime: la Purezza è l’Uomo di dolore;
la Pazienza è l’Uomo di dolore; la Bellezza e la Forza infinite sono l’Uomo di dolore; l’Umiltà, il più insondabile degli abissi, e la Dolcezza, più vasta del Pacifico, sono ancora Lui: omnia in ipso constant.
Dall’alto di questa Montagna, simboleggiata, a quel che sembra, nella Montagna della Tentazione, si scoprono tutti gli imperi, cioè tutte le virtù morali invisibili da ogni altro punto, e l’amore solo, il grande, appassionato, estasiante amore può dare le forze per arrivarci. I Santi hanno cercato di partecipare alla Passione di Gesù. Essi hanno creduto nella Parola del Maestro, quando dice che possiede il più grande amore colui che dà la vita per i suoi amici (Gv 15, 13). In tutti i tempi le anime ardenti e luminose hanno creduto che per fare abbastanza bisognava assolutamente fare in più, e che in questo modo si conquistava il Regno dei Cieli.

Leon Bloy, Nelle tenebre, Il dolore

Léon Bloy :”Un cristiano, se non è un eroe non è che un porco” “Nella vita non c’è che una sola tristezza: quella di non essere santi”

 

LÉON BLOY nasce a Périgueux (Francia) nel 1846; nel 1869 si converte al cattolicesirno, nel 1873 si dà al giornalismo e inizia una vita di grande miseria. Nel 1890 si sposa, senza che la nuova situazione allevii la sua precarietà econornica. Moore nel 1917. Sue opere più significative sono Il disperato, Edizioni Paoline, Roma; Il sangue del povere, Edizioni Paoline, Rorna; La fede impaziente, Bompiani, Milano.

 

UN PO’ DI PERLE TRATTE DAI SUOI SCRITTI :

Non c’è che una tristezza: quella di non essere santi. Attendo Io Spirito Santo che è il Fuoco di Dio. Sono fatto per attendere continuamente e per rodermi nell’attesa. Da oltre mezzo secolo non sono stato capace di fare altro.

Un cristiano, se non è un eroe non è che un porco

Non esiste il caso, perché il caso è la Provvidenza degli imbecilli, e la Giustizia vuole che gli imbecilli non abbiano Provvidenza.

Quando versiamo le nostre lacrime, che sono «il sangue delle nostre anime», esse cadono sul cuore della Vergine, e da lì su tutti i cuori viventi.

Il dolore non è il nostro fine ultimo, è la felicità il nostro fine ultimo. Il dolore ci conduce per mano alla soglia della vita eterna.

Il dolore è una grazia che non abbiamo meritato.

La felicità è il martirio, la somma felicità in questo modo, il solo bene invidiabile e desiderabile. Essere fatto a pezzi, essere bruciato vivo, ingoiare piombo fuso per amore di Gesù Cristo!

Io dico che qualcuno mi ama quando accetta di soffrire con me. Altrimenti egli è un usuraio che vuole installare nel mio cuore il suo vile commercio.

L’uomo che non soffre o che non vuole soffrire è un figlio diseredato dal Figlio di Dio che sposa il dolore, perché solo colui che accetta di soffrire può intravvedere la pace della sua anima.

In questo secolo così svigorito e sensuale, se c’è una cosa che somigli press’a poco a una violenta passione,
questa è
l’odio del dolore, così profondo da giungere quasi a identificarsi con l’essere stesso dell’uomo.

  • Eccellente frutto della mia confessione. Respiro Dio, come si respira l’aria del ciclo attraverso una porta aperta.
  • Ho pensato spesso che il più pericoloso attentato che si possa fare all’anima è il peccato di omissione.
  • I cristiani devono essere continuamente chini sugli abissi.

Noi siamo tutti dei miserabili e dei devastati, perciò pochi uomini sono capaci di guardare nel fondo del loro abisso… Ah, si, sono passato attraverso terribili dolori, ho conosciuto la «vera» disperazione e mi sono lasciato cadere nelle sue mani di modellatrice di bronzo. Ma, per carità, non crediate che io sia tanto straordinario. Il mio caso sembra eccezionale solo perché m’è stato dato di sentire, meglio di qualche altro, l’indicibile desolazione dell’amore…

Ecco la soluzione di ogni vita umana sulla terra. Il trampolino di tutte le superiorità, il vaglio di tutti i meriti, il criterio infallibile di tutte le bellezze morali! Non si vuole assolutamente capire che il dolore è necessario. Coloro che affermano che il dolore è, utile non ne capiscono niente. L’utilità suppone sempre qualche cosa di aggiunto e di contingente, mentre il dolore è «necessario».

Nessuno sfugge a questa legge giusta e misericordiosa: si deve sempre «pagare».

La mia vita è stata eccezionalmente dolorosa.

Dalla mia infanzia non ricordo d’aver cessato di soffrire in tutti i modi, e spesso con un eccesso incredibile. Ho molto spesso meditato sulla sofferenza. Mi sono persuaso che non c’è che questo di soprannaturale quaggiù.

Per quanto folle possa sembrarvi, io sono, in realtà, un obbediente e un tenero.

Le mie pagine più veementi furono scritte per amore e spesso con lacrime d’amore, in ore di pace indicibili.

Ho tale fame e sete dell’Amore di Dio, che conto i giorni come un insensato. Ma una qualità dell’amore è d’essere impaziente.

Prendersi gioco del povero significa camminare sul cuore di Cristo. È impossibile colpire una creatura senza colpirlo, umiliare qualcuno senza umiliarlo o uccidere qualunque uomo senza maledire o uccidere lui stesso.

  • La croce, per quanto piantata dagli idolatri, è sempre il simbolo della redenzione.
  • La mia collera è l’effervescenza della mia pietà.

L’uomo è posto così vicino a Dio che la parola « povero » è espressione di tenerezza. Quando il cuore scoppia di compassione e d’amore, quando non si può quasi più trattenere le lacrime, è questa parola che viene sulle labbra.