Dio Padre rivela a Santa Caterina da Siena: “La gloria dei Beati e dei Santi in Paradiso!” “Oh, quanto diletto provano nel vedere me, che sono ogni bene!”

Tratto dal Dialogo della divina Provvidenza: le rivelazioni di Dio Padre a Santa Caterina da Siena

 

CAPITOLO 41

La gloria dei beati.

Parla Dio Padre:

“Anche l’anima giusta che finisce la vita in affetto di carità ed è legata a Dio nell’amore, non può crescere in virtù, poiché viene a mancare il tempo di quaggiù, ma può sempre amare con quella dilezione che la porta a Me, e con tale misura le viene misurato il premio. Sempre mi desidera e sempre mi ama, onde il suo desiderio non è vuoto; ma sebbene abbia fame, è saziato, e saziato ha fame; e tuttavia è lungi il fastidio della sazietà, come è lungi la pena della fame.

Nell’amore i beati godono dell’eterna mia visione, partecipando ognuno, secondo la sua misura, di quel bene, che io ho in me medesimo. Con quella misura d’amore con la quale sono venuti a me, con essa viene loro misurato. Essi sono rimasti nella mia carità ed in quella del prossimo; sono stati insieme uniti nella carità comune ed in quella particolare, che esce pure da una medesima carità.

Godono ed esultano, partecipando l’uno del bene dell’altro con l’affetto della carità, oltre al bene universale, che essi hanno tutti insieme. Godono ed esultano cogli angeli, coi quali sono collocati i santi, secondo le diverse e varie virtù, che principalmente ebbero nel mondo, essendo tutti legati nel legame della carità. Hanno poi una partecipazione singolare di bene con coloro coi quali si amavano strettamente d’amore speciale nel mondo, col quale amore crescevano in grazia, aumentando la virtù. L’uno era cagione all’altro di manifestare la gloria e lode del mio nome, in sé e nel prossimo. Nella vita eterna non hanno perduto questo affetto, ma l’hanno aggiunto al bene generale, partecipando più strettamente e con più abbondanza l’uno del bene dell’altro.

Non vorrei però che tu credessi che questo bene partico­lare, di cui ti ho parlato, l’avessero solo per sé: non è così, ma esso è partecipato da tutti quanti i gustatori, che sono i cittadini del cielo, i miei figli diletti, e da tutte le creature angeliche. Quando l’anima giunge a vita eterna, tutti parteci­pano del bene di quell’anima, e l’anima del bene loro. Non è che il vaso di ciascuno possa crescere, né che abbia bisogno di empirsi, poiché è pieno e quindi non può crescere; ma hanno un’esultanza, una giocondità, un giubilo, un’allegrezza, che si ravvivano in loro, per quanto sono venuti a conoscere di quell’anima. Vedono che per mia misericordia ella è tolta alla terra con la pienezza della grazia, e così esultano in me per il bene che quell’anima ha ricevuto dalla mia bontà.

E quell’anima gode pure in me, nelle altre anime, e negli spiriti beati, vedendo e gustando in loro la bellezza e dolcez­za della mia carità. I loro desideri gridano sempre dinanzi a me per la salvezza di tutto quanto il mondo. Poiché la loro vita finì nella carità dei prossimo, non hanno lasciata questa carità, ma sono passati con essa per la porta del mio Unige­nito Figliuolo, nel modo che ti dirò più sotto. Vedi dunque che essi restano con quel legame dell’amore, col quale finì la loro vita: esso resta e dura per tutta l’eternità.

Sono tanto conformi alla mia volontà, che non possono volere se non quello che io voglio; poiché il loro libero arbi­trio è legato per siffatto modo col legame della carità che, quando viene meno il tempo di questa vita alla creatura, che ha in sé ragione e che muore in stato di grazia, essa non può più peccare. Ed è tanto unita la sua volontà alla mia che, se il padre o la madre vedessero il figliolo nell’inferno, o il figlio ci vedesse la madre, non se ne curerebbero; anzi sono contenti di vederli puniti come miei nemici. In nessuna cosa si scordano di me; i loro desideri sono appagati. Desiderio dei beati è di vedere trionfare il mio onore in voi viandanti, che siete pellegrini in questa terra e sempre correte verso il termine della morte. Nel desiderio del mio onore bramano la vostra salute, e perciò sempre mi pregano per voi. Un tale desiderio è sempre adempiuto per parte mia, se voi ignoranti non recalcitraste contro la mia misericordia.

Hanno ancora il desiderio di riavere la dote della loro anima, che è il corpo; questo desiderio non li affligge al presente, ma godono per la certezza che hanno di vederlo appagato: non li affligge, perché, sebbene ancora non abbiano il corpo, tuttavia non manca loro la beatitudine, e perciò non risentono pena. Non pensare che la beatitudine del corpo, dopo la resurre­zione, dia maggiore beatitudine all’anima. Se fosse così, ne ver­rebbe che i beati avrebbero una beatitudine imperfetta, fino a che non riprendessero il corpo; cosa impossibile, perché in loro non manca perfezione alcuna. Non è il corpo che dia beatitudine all’anima, ma sarà l’anima a dare beatitudine al corpo; darà della sua abbondanza, rivestendo nel dì del giudizio la propria carne, che aveva lasciato in terra.

Come l’anima è resa immortale, ferma e stabilita in me, così il corpo in quella unione diventa immortale; perduta la gravezza della materia, diviene sottile e leggero. Sappi che il corpo glorificato passerebbe di mezzo a un muro. Né il fuoco né l’acqua potrebbero nuocergli, non per virtù sua ma per virtù dell’anima, la quale virtù è mia, ed è stata data a lei per grazia e per quell’amore ineffabile col quale la creai a mia immagine e somiglianza. L’occhio del tuo intelletto non è sufficiente a ve­dere, né l’orecchio a udire, né la lingua a narrare, né il cuore a pensare, il bene loro.

Oh, quanto diletto provano nel vedere me, che sono ogni bene! Oh, quanto diletto avranno, allorché il loro corpo sarà glorificato! E sebbene manchino di questo bene fino al giorno del giudizio universale, non hanno pena, perché l’anima è piena di felicità in se stessa. Una tale beatitudine sarà poi partecipata al corpo, come ti ho spiegato.

Ti parlavo del bene, che ritrarrebbe il corpo glorificato nell’Umanità glorificata del mio Figlio Unigenito, la quale dà a voi certezza della vostra resurrezione. Esultano i beati nelle sue piaghe, che sono rimaste fresche; sono conservate nel suo corpo le cicatrici, che continuamente gridano a me, sommo ed eterno Padre, misericordia. Tutti si conformano a lui in gaudio e giocondità, occhio con occhio, mano con mano, e con tutto il corpo del dolce Verbo, mio Figlio. Stando in me, starete in lui, poiché egli è una cosa sola con me; ma l’occhio del vostro corpo si diletterà nell’Umanità glorificata del Verbo Unigenito mio Figlio. Perché questo? Perché la loro vita finì nella dilezione della mia carità, e perciò dura loro eternamente.

Non possono guadagnare alcun nuovo bene, ma si godono quello che si sono portato, non potendo fare alcun atto meritorio, perché solo in vita si merita e si pecca, secondo che piace al libero arbitrio della vostra volontà. Essi non aspettano con timore, ma con allegrezza, il giudizio divino; e la faccia del mio Figlio non parrà loro terribile, né piena d’odio, perché sono morti nella carità, nella dilezione di me e nella benevolenza del prossimo. Così tu comprendi come la mutazione della faccia non sarà in lui, quando verrà a giudicare con la mia maestà, ma in coloro che saranno giudicati da lui. Ai dannati apparirà con odio e con giustizia; ai salvati, con amore e misericordia.”

(Dal Dialogo della divina provvidenza, Santa Caterina da Siena)

San Bernardo di Chiaravalle: “Quando Dio ama, altro non desidera che essere amato. Non per altro ama, se non per essere amato, sapendo che coloro che l’ameranno si beeranno di questo stesso amore”

L’amore dello Sposo, anzi lo Sposo-amore cerca soltanto il ricambio dell’amore e la fedeltà.

San Bernardo di Chiaravalle:

L’amore è sufficiente per se stesso, piace per se stesso e in ragione di sé. È se stesso merito e premio. L’amore non cerca ragioni, non cerca vantaggi all’infuori di sé. Il suo vantaggio sta nell’esistere.

Amo perché amo, amo per amare. Grande cosa è l’amore se si rifà al suo principio, se ricondotto alla sua origine, se riportato alla sua sorgente. Di là sempre prende alimento per continuare a scorrere.

L’amore è il solo tra tutti i moti dell’anima, tra i sentimenti e gli affetti, con cui la creatura possa corrispondere al Creatore, anche se non alla pari; l’unico con il quale possa contraccambiare il prossimo e, in questo caso, certo alla pari.

Quando Dio ama, altro non desidera che essere amato. Non per altro ama, se non per essere amato, sapendo che coloro che l’ameranno si beeranno di questo stesso amore. L’amore dello Sposo, anzi lo Sposo-amore cerca soltanto il ricambio dell’amore e la fedeltà. Sia perciò lecito all’amata di riamare. Perché la sposa, e la sposa dell’Amore non dovrebbe amare? Perché non dovrebbe essere amato l’Amore?

Giustamente, rinunziando a tutti gli altri suoi affetti, attende tutta e solo all’Amore, ella che nel ricambiare l’amore mira a uguagliarlo. Si obietterà, però, che, anche se la sposa si sarà tutta trasformata nell’Amore, non potrà mai raggiungere il livello della fonte perenne dell’amore. È certo che non potranno mai essere equiparati l’amante e l’Amore, l’anima e il Verbo, la sposa e lo Sposo, il Creatore e la creatura. La sorgente, infatti, dà sempre molto più di quanto basti all’assetato.

Ma che importa tutto questo? Cesserà forse e svanirà del tutto il desiderio della sposa che attende il momento delle nozze, cesserà la brama di chi sospira, l’ardore di chi ama, la fiducia di chi pregusta, perché non è capace di correre alla pari con un gigante, gareggiare in dolcezza col miele, in mitezza con l’agnello, in candore con il giglio, in splendore con il sole, in carità con colui che è l’Amore? No certo.

Sebbene infatti la creatura ami meno, perché è inferiore, se tuttavia ama con tutta se stessa, non le resta nulla da aggiungere. Nulla manca dove c’è tutto. Perciò per lei amare così è aver celebrato le nozze, poiché non può amare così ed essere poco amata. Il matrimonio completo e perfetto sta nel consenso dei due, a meno che uno dubiti che l’anima sia amata dal Verbo, e prima e di più.”

(San Bernardo di Chiaravalle, abate  e Dottore della Chiesa, Dai “Discorsi sul Cantico dei Cantici”)

San Bernardo di Chiaravalle: “Impara, o cristiano, da Cristo come tu debba amare Cristo” “La misura di questa devozione è che quella soavità occupi tutto il cuore, nulla lasciando all’amore delle creature e ai piaceri carnali. Questo significa amare con tutto il cuore.”

“Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l’anima, e con tutte le forze” (Dt 6, 5)

 

San Bernardo di Chiaravalle: “Impara, o cristiano, da Cristo come tu debba amare Cristo”

 

“Sopra ogni cosa, dico, ti rende amabile a me, o Gesù buono, il calice che hai bevuto, l’opera della nostra redenzione. Questo richiede facilmente il nostro amore per te. Questo, dico, è quello che è più adatto a eccitare la, nostra devozione, che esige con più giustizia e sprona più fortemente, che spinge più efficacemente. Molto, infatti, in essa ha penato il Salvatore, né ha faticato tanto nel costruire tutto il mondo. Per creare le cose gli fu sufficiente proferire una parola, un comando, e furono fatte. Ma nella redenzione dovette sopportare nei detti la contraddizione, nei fatti quelli che lo spiavano per accusano, nei tormenti coloro che lo beffeggiavano e nella morte coloro che lo disprezzavano. Ecco come ha amato.

(…) Impara, o cristiano, da Cristo come tu debba amare Cristo. Impara ad amare con dolcezza, ad amare con prudenza, ad amare con fortezza; dolcemente, affinché non allettati, con prudenza, affinché non ingannati, con fortezza, affinché non oppressi dalle cose del mondo siamo stornati dall’amore del Signore. Per non essere trascinato dalla gloria o dai piaceri della carne, ti diventi dolce più di tutte queste cose Cristo sapienza; per non essere sedotto dallo spirito di menzogna e di errore, splenda ai tuoi occhi Cristo verità; per non venir meno nelle avversità, ti conforti Cristo, forza di Dio. Il tuo zelo sia infiammato dalla carità, informato dalla scienza, reso stabile dalla costanza. Sia fervido, sia circospetto, sia invitto. Non sia tiepido, non manchi di discrezione, né sia timido. E vedi se, per caso, queste tre cose siano già state inculcate nella legge, dove dice: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l’anima, e con tutte le forze” (Dt 6, 5).

A me sembra, se non vi è un altro senso più conveniente, che in questa trina distinzione, l’amore del cuore stia a indicare lo zelo dell’affezione, l’amore invece dell’anima si riferisca al lavoro, ossia al giudizio della ragione, la dilezione infine con tutte le forze mi pare possa riferirsi alla costanza o al vigore; Ama dunque il Signore Dio tuo con tutto e pieno l’affetto del cuore, amalo con tutta la vigilanza e circospezione della ragione, amalo anche con tutte le forze, tanto da non temere neppure di morire per amor suo, come sta scritto nelle parole seguenti: Perché come la morte è l’amore, lo zelo è tenace come l’inferno (Cant 8,6).

Sia dolce e soave al tuo cuore il Signore Gesù, contro i piaceri carnali malamente dolci, e la dolcezza vinca la dolcezza, a quel modo che un chiodo scaccia un altro chiodo. Ma tuttavia prima l’intelletto sia illuminato e guidi la ragione, non solo per evitare le sottili astuzie della frode eretica e per custodire la purità della fede contro tali astuzie, ma anche perché tu sia attento a evitare nella tua vita ogni ardore eccessivo e indiscreto. Il tuo amore sia anche forte e costante, senza cedere alla paura, né soccombere alla fatica. Amiamo dunque affettuosamente, con circospezione e con forza, ricordandoci che l’amore del cuore, che diciamo affettuoso, senza quello che si dice dell’anima, è certamente dolce, ma esposto a seduzione; quello dell’anima invece, senza quello che è caratterizzato dalla forza, è ragionevole, ma fragile.

(…). Tuttavia, la misura di questa devozione è che quella soavità occupi tutto il cuore, nulla lasciando all’amore delle creature e ai piaceri carnali. Questo significa amare con tutto il cuore. Se, invece, alla carne del mio Signore io preferisco un consanguineo della mia carne o qualche altro piacere, per cui mi avvenga di adempiere meno perfettamente quelle cose che egli, vivendo nella carne, m’insegnò con la parola e con l’esempio, è chiaro che non lo amo con tutto il cuore avendolo diviso, e che ne do una parte alla carne di lui, e una parte la riservo per la mia.

Infine, egli dice: “Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; e chi ama il figlio o la figlia più di me, non è degno di me” (Mt 10,37). Dunque, per dirla in breve, amare con tutto il cuore vuol dire posporre tutto ciò che lusinga la propria o l’altrui carne, e in questo comprendo anche la gloria del mondo, perché la gloria del mondo è gloria della carne, e non c’è dubbio che chi in essa si compiace è uomo carnale.

(San Bernardo di Chiaravalle, sermone XX da “Sermoni sul cantico dei cantici”)

Sant’Ambrogio: “Prima si deve morire al peccato e solamente dopo si può stabilire in questo corpo la varietà delle diverse opere di virtù con le quali rendere al Signore l’omaggio della nostra devozione”

 

“Ti canterò sulla cetra, o santo d’Israele. Cantando le tue lodi esulteranno le mie labbra e la mia vita, che tu hai riscattato” (Sal. 70, 22-23).”

 

“Che cos’è che non trovi quando tu leggi i salmi? In essi leggo: “Canto d’amore” (SaI 44. 1) e mi sento infiammare dal desiderio di un santo amore. In essi passo in rassegna le grazie della rivelazione, le testimonianze della risurrezione, i doni della promessa. In essi imparo ad evitare il peccato, e a non vergognarmi della penitenza per i peccati. Che cos’è dunque il salmo se non lo strumento musicale delle virtù, suonando il quale con il plettro dello Spirito Santo, il venerando profeta fa echeggiare in terra la dolcezza del suono celeste? Modulava gli accordi di voci diverse sulle corde della lira e dell’arpa, che sono resti di animali morti, e così innalzava verso il cielo il canto della divina lode.

In tal modo ci insegnava che prima si deve morire al peccato e solamente dopo si può stabilire in questo corpo la varietà delle diverse opere di virtù con le quali rendere al Signore l’omaggio della nostra devozione. Davide ci ha dunque insegnato che bisogna cantare, che bisogna salmeggiare nell’intimo del cuore come cantava anche Paolo dicendo: “Pregherò con lo spirito, ma pregherò anche con l’intelligenza; canterò con lo spirito, ma canterò anche con l’intelligenza ” (1 Cor 14, 15).

Davide ci ha detto che bisogna formare la nostra vita e i nostri atti alla contemplazione delle cose superne, perché il piacere della dolcezza non ecciti le passioni del corpo, dalle quali la nostra anima è oppressa e non liberata. Il santo profeta ci ha ricordato che egli salmeggiava per liberare la sua anima e per questo disse: “Ti canterò sulla cetra, o santo d’Israele. Cantando le tue lodi esulteranno le mie labbra e la mia vita, che tu hai riscattato” (Sal. 70, 22-23).”

(Sant’Ambrogio, dal Commento ai salmi)

Beato John Henry Newman «Per la tua grazia, abiti in me in un modo ineffabile, mi unisci a te e a tutta l’assemblea degli angeli e dei santi»

«Se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò»


Mio Dio, eterno Paraclito, ti adoro, luce e vita. Avresti potuto limitarti a mandarmi dal di fuori buoni pensieri, e la grazia che li ispira e li compie; avresti potuto condurmi in questo modo nella vita, purificandomi soltanto con la tua azione tutta interiore al momento del mio passaggio all’altro mondo. Ma, nella tua compassione infinita, sei entrato nella mia anima, fin dall’inizio, ne hai preso possesso, ne hai fatto il tuo tempio. Per la tua grazia, abiti in me in un modo ineffabile, mi unisci a te e a tutta l’assemblea degli angeli e dei santi. Più ancora, sei personalmente presente in me, non solo con la tua grazia, ma proprio con il tuo essere, come se, pur conservando la mia personalità, io fossi in un certo modo, assorbito in te, fin da questa vita.

E siccome hai preso possesso del mio stesso corpo nella sua debolezza, anch’esso è il tuo tempio. Verità stupenda e temibile! O Dio mio, questo credo, questo so!

Posso forse peccare mentre sei così intimamente unito a me? Posso forse dimenticare chi è con me, chi è in me? Posso forse scacciare l’ospite divino per ciò che egli aborrisce più di qualunque altra cosa, per l’unica cosa al mondo che lo offende, per l’unica realtà che non è sua?… Mio Dio, ho una doppia sicurezza di fronte al peccato: primo, il timore di una tale profanazione, nella tua presenza, di tutto ciò che sei in me; e poi, la fiducia che la stessa tua presenza mi custodirà dal male… Nelle prove e nella tentazione, ti chiamerò… Proprio grazie a te, non ti abbandonerò mai.”


(Beato John Henry Newman)

“La grazia di Cristo è il dono gratuito che Dio ci fa della sua vita, infusa nella nostra anima dallo Spirito Santo per guarirla dal peccato e santificarla” “Quanto più si ama la grazia, tanto più si odia il peccato”

 

SUBLIMITÀ DELLO STATO DI GRAZIA

Ma vi è di più. Vi è la grazia, lo stato di grazia, cioè quella luce, quella qualità di cui l’anima è rivestita, anzi profondamente investita e imbevuta, quando il nuovo, soprannaturale rapporto, al quale Dio ha voluto elevare l’uomo che a Lui si abbandona, si stabilisce nello sforzo da parte dell’uomo della conversione, della disponibilità fiduciosa, e nell’accettazione della sua Parola, mediante la fede, in umile implorante amore, al quale subito l’Amore infinito, ch’è Dio stesso, risponde col fuoco dello Spirito Santo, vivificante nell’uomo la forma di Cristo. È la grazia una Presenza divina, che piove nell’anima, fatta tempio dello Spirito; è una straordinaria permanenza del Dio vivente nell’ Anima, nella nostra vita, folgorata da un’ineffabile illuminazione divina. Lo stato di grazia non ha termini sufficienti per essere definito: è un dono, è una ricchezza, è una bellezza, è una meravigliosa trasfigurazione dell’anima associata alla vita stessa di Dio, per cui noi diventiamo in certa misura partecipi della sua trascendente natura, è una elevazione all’adozione di figli del Padre celeste, di fratelli di Cristo, di membra vive del Corpo mistico mediante l’animazione dello Spirito Santo. È un rapporto personale: ma pensate: fra il Dio vivente, misterioso e inaccessibile per la sua infinita pienezza, e la nostra infima persona. È un rapporto che dovrebbe diventare cosciente; ma solo i puri di cuore, i contemplativi, quelli che vivono nella cella interiore del loro spirito, i santi ce ne sanno dire qualche cosa. Anche i teologi ci possono bene istruire. Perché è un rapporto ancora segreto; non è evidente, non cade nell’ambito dell’esperienza sensibile, sebbene la coscienza educata acquista una certa sensibilità spirituale; avverte in sé i «frutti dello spirito», di cui San Paolo fa un lungo elenco: «la carità, il gaudio, la pace» (questi specialmente: una gioia interiore, e poi la pace, la tranquillità della coscienza), e poi: la pazienza, la bontà, la longanimità, la mansuetudine, la fedeltà, la modestia, la padronanza di sé, la castità (Gal. 5, 22): pare d’intravedere il profilo d’un santo. Questa è la grazia; questa è la trasfigurazione dell’uomo che vive in Cristo.

Nessuna meraviglia se tale condizione, di per sé forte e permanente («nulla ci potrà separare dalla carità di Dio», dice ancora San Paolo [Rom. 8, 39]), è tuttavia delicata ed esigente; essa proietta sulla vita morale dell’uomo doveri particolari, sensibilità finissime; e fortunatamente infonde anche energie nuove e proporzionate, affinché l’equilibrio di questa soprannaturale posizione sia fermo e gioioso. Ma resta il fatto ch’esso può essere turbato e rovesciato, quando noi disgraziatamente lo disprezziamo e preferiamo scendere al livello della nostra natura animale e corrotta; quando commettiamo un volontario distacco dall’ordine a cui Dio ci ha associato, dalla sua vita fluente nella circolazione della nostra, cioè un peccato vero e volontario, che perciò, quando è grave, chiamiamo mortale.

(Papa Paolo VI)

 

“Quanto più si ama la grazia, tanto più si odia il peccato”

C’è da notare come la dottrina della grazia richiama la dottrina del peccato. Questo è molto vero, anche sul piano della vita spirituale. Oggi si dice molto spesso che l’uomo ha perso il senso del peccato. Ciò si collega con l’indifferenza nei confronti dell’importanza della grazia.

Infatti quanto più si ama la grazia, tanto più si odia il peccato. E viceversa, quanto più ci si rende conto della gravità del peccato, tanto più si apprezza il valore della grazia.

Si può dire anche che oggi si è perso il senso del peccato, perchè si è indifferenti nei confronti del problema di Dio e quindi della grazia. Infatti, che cos’è il peccato se non il rifiuto di Dio? Queste due realtà – il senso del peccato e il senso del Dio della grazia – si perdono sempre insieme: se si sa chi è Dio, o almeno si intravede lontanamente chi è Dio, allora si ha orrore del peccato. Se invece si è indifferenti nei riguardi del divino, anche il peccato diventa una cosa irrilevante.

 (Padre Giovanni Cavalcoli)

 

GRAZIA E GIUSTIFICAZIONE, DAL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA

 

ARTICOLO 2
GRAZIA E GIUSTIFICAZIONE

I. La giustificazione

1987 La grazia dello Spirito Santo ha il potere di giustificarci, cioè di mondarci dai nostri peccati e di comunicarci la giustizia di Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo 219 e mediante il Battesimo: 220

« Se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che Cristo risuscitato dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di lui. Per quanto riguarda la sua morte, egli morì al peccato una volta per tutte; ora invece per il fatto che egli vive, vive per Dio. Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù » (Rm 6,8-11).

1988 Per mezzo della potenza dello Spirito Santo, noi prendiamo parte alla passione di Cristo morendo al peccato, e alla sua risurrezione nascendo a una vita nuova; siamo membra del suo corpo che è la Chiesa, 221 tralci innestati sulla Vite che è lui stesso: 222

« Per mezzo dello Spirito, tutti noi siamo detti partecipi di Dio. […] Entriamo a far parte della natura divina mediante la partecipazione allo Spirito […]. Ecco perché lo Spirito divinizza coloro nei quali si fa presente ». 223

1989 La prima opera della grazia dello Spirito Santo è la conversione, che opera la giustificazione, secondo l’annuncio di Gesù all’inizio del Vangelo: « Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino » (Mt 4,17). Sotto la mozione della grazia, l’uomo si volge verso Dio e si allontana dal peccato, accogliendo così il perdono e la giustizia dall’alto. « La giustificazione […] non è una semplice remissione dei peccati, ma anche santificazione e rinnovamento dell’uomo interiore ». 224

1990 La giustificazione separa l’uomo dal peccato che si oppone all’amore di Dio, e purifica il suo cuore dal peccato. La giustificazione fa seguito all’iniziativa della misericordia di Dio che offre il perdono. Riconcilia l’uomo con Dio. Libera dalla schiavitù del peccato e guarisce.

1991 La giustificazione è, al tempo stesso, accoglienza della giustizia di Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo. Qui la giustizia designa la rettitudine dell’amore divino. Insieme con la giustificazione, vengono infuse nei nostri cuori la fede, la speranza e la carità, e ci è accordata l’obbedienza alla volontà divina.

1992 La giustificazione ci è stata meritata dalla passione di Cristo, che si è offerto sulla croce come ostia vivente, santa e gradita a Dio, e il cui sangue è diventato strumento di propiziazione per i peccati di tutti gli uomini. La giustificazione è accordata mediante il Battesimo, sacramento della fede. Essa ci conforma alla giustizia di Dio, il quale ci rende interiormente giusti con la potenza della sua misericordia. Ha come fine la gloria di Dio e di Cristo, e il dono della vita eterna: 225

« Ora, indipendentemente dalla legge, si è manifestata la giustizia di Dio, testimoniata dalla legge e dai profeti; giustizia di Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che credono. E non c’è distinzione: tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, in virtù della redenzione realizzata da Cristo Gesù. Dio lo ha prestabilito a servire come strumento di espiazione per mezzo della fede, nel suo sangue, al fine di manifestare la sua giustizia, dopo la tolleranza usata verso i peccati passati, nel tempo della divina pazienza. Egli manifesta la sua giustizia nel tempo presente, per essere giusto e giustificare chi ha fede in Gesù » (Rm 3,21-26).

1993 La giustificazione stabilisce la collaborazione tra la grazia di Dio e la libertà dell’uomo. Da parte dell’uomo essa si esprime nell’assenso della fede alla parola di Dio che lo chiama alla conversione, e nella cooperazione della carità alla mozione dello Spirito Santo, che lo previene e lo custodisce:

« Dio tocca il cuore dell’uomo con l’illuminazione dello Spirito Santo, in modo che né l’uomo resti assolutamente inerte subendo quell’ispirazione, che certo può anche respingere, né senza la grazia divina, con la sua libera volontà, possa incamminarsi alla giustizia dinanzi a Dio ». 226

1994 La giustificazione è l’opera più eccellente dell’amore di Dio, manifestato in Cristo Gesù e comunicato tramite lo Spirito Santo. Sant’Agostino ritiene che « la giustificazione dell’empio è un’opera più grande della creazione del cielo e della terra », perché « il cielo e la terra passeranno, mentre la salvezza e la giustificazione degli eletti non passeranno mai ». 227 Pensa anche che la giustificazione dei peccatori supera la stessa creazione degli angeli nella giustizia, perché manifesta una più grande misericordia.

1995 Lo Spirito Santo è il maestro interiore. Dando vita all’« uomo interiore », 228 la giustificazione implica la santificazione di tutto l’essere:

« Come avete messo le vostre membra a servizio dell’impurità e dell’iniquità a pro dell’iniquità, così ora mettete le vostre membra a servizio della giustizia per la vostra santificazione […]. Ora, liberati dal peccato e fatti servi di Dio, voi raccogliete il frutto che vi porta alla santificazione e come destino avete la vita eterna » (Rm 6,19.22).

II. La grazia

1996 La nostra giustificazione viene dalla grazia di Dio. La grazia è il favore, il soccorso gratuito che Dio ci dà perché rispondiamo al suo invito: diventare figli di Dio, 229 figli adottivi, 230 partecipi della natura divina, 231 della vita eterna. 232

1997 La grazia è una partecipazione alla vita di Dio; ci introduce nell’intimità della vita trinitaria. Mediante il Battesimo il cristiano partecipa alla grazia di Cristo, Capo del suo corpo. Come « figlio adottivo », egli può ora chiamare Dio « Padre », in unione con il Figlio unigenito. Riceve la vita dello Spirito che infonde in lui la carità e forma la Chiesa.

1998 Questa vocazione alla vita eterna è soprannaturale. Dipende interamente dall’iniziativa gratuita di Dio, poiché egli solo può rivelarsi e donare se stesso. Supera le capacità dell’intelligenza e le forze della volontà dell’uomo, come di ogni creatura. 233

1999 La grazia di Cristo è il dono gratuito che Dio ci fa della sua vita, infusa nella nostra anima dallo Spirito Santo per guarirla dal peccato e santificarla. È la grazia santificante o deificante, ricevuta nel Battesimo. Essa è in noi la sorgente dell’opera di santificazione: 234

« Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove. Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo » (2 Cor 5,17-18).

2000 La grazia santificante è un dono abituale, una disposizione stabile e soprannaturale che perfeziona l’anima stessa per renderla capace di vivere con Dio, di agire per amor suo. Si distingueranno la grazia abituale, disposizione permanente a vivere e ad agire secondo la chiamata divina, e le grazie attuali che designano gli interventi divini sia all’inizio della conversione, sia nel corso dell’opera di santificazione.

2001 La preparazione dell’uomo ad accogliere la grazia è già un’opera della grazia. Questa è necessaria per suscitare e sostenere la nostra collaborazione alla giustificazione mediante la fede, e alla santificazione mediante la carità. Dio porta a compimento in noi quello che ha incominciato: « Egli infatti incomincia facendo in modo, con il suo intervento, che noi vogliamo; egli porta a compimento, cooperando con i moti della nostra volontà già convertita »: 235

« Operiamo certamente anche noi, ma operiamo cooperando con Dio che opera prevenendoci con la sua misericordia. Ci previene però per guarirci e anche ci seguirà perché da santi diventiamo pure vigorosi, ci previene per chiamarci e ci seguirà per glorificarci, ci previene perché viviamo piamente e ci seguirà perché viviamo con lui eternamente, essendo certo che senza di lui non possiamo far nulla ». 236

2002 La libera iniziativa di Dio richiede la libera risposta dell’uomo; infatti Dio ha creato l’uomo a propria immagine, dandogli, con la libertà, il potere di conoscerlo e di amarlo. L’anima può entrare solo liberamente nella comunione dell’amore. Dio tocca immediatamente e muove direttamente il cuore dell’uomo. Egli ha posto nell’uomo un’aspirazione alla verità e al bene che soltanto lui può soddisfare. Le promesse della « vita eterna » rispondono, al di là di ogni speranza, a tale aspirazione:

« Il riposo che prendesti al settimo giorno, dopo aver compiuto le tue opere molto buone, sebbene le avessi fatte senza fatica, è una predizione che ci fa l’oracolo del tuo Libro: noi pure, compiute le nostre opere buone assai, certamente per tuo dono, nel sabato della vita eterna riposeremo in te ». 237

2003 La grazia è innanzi tutto e principalmente il dono dello Spirito che ci giustifica e ci santifica. Ma la grazia comprende anche i doni che lo Spirito ci concede per associarci alla sua opera, per renderci capaci di cooperare alla salvezza degli altri e alla crescita del corpo di Cristo, la Chiesa. Sono le grazie sacramentali, doni propri ai diversi sacramenti. Sono inoltre le grazie speciali chiamate anche carismi con il termine greco usato da san Paolo, che significa favore, dono gratuito, beneficio. 238 Qualunque sia la loro natura a volte straordinaria, come il dono dei miracoli o delle lingue, i carismi sono ordinati alla grazia santificante e hanno come fine il bene comune della Chiesa. Sono al servizio della carità che edifica la Chiesa. 239

2004 Tra le grazie speciali, è opportuno ricordare le grazie di stato che accompagnano l’esercizio delle responsabilità della vita cristiana e dei ministeri in seno alla Chiesa:

« Abbiamo pertanto doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi. Chi ha il dono della profezia la eserciti secondo la misura della fede; chi ha un ministero attenda al ministero; chi l’insegnamento all’insegnamento; chi l’esortazione all’esortazione. Chi dà, lo faccia con semplicità; chi presiede, lo faccia con diligenza; chi fa opere di misericordia, le compia con gioia » (Rm 12,6-8).

2005 Appartenendo all’ordine soprannaturale, la grazia sfugge alla nostra esperienza e solo con la fede può essere conosciuta. Pertanto non possiamo basarci sui nostri sentimenti o sulle nostre opere per dedurne che siamo giustificati e salvati. 240 Tuttavia, secondo la parola del Signore: « Dai loro frutti li potrete riconoscere » (Mt 7,20), la considerazione dei benefici di Dio nella nostra vita e nella vita dei santi ci offre una garanzia che la grazia sta operando in noi e ci sprona ad una fede sempre più grande e ad un atteggiamento di povertà fiduciosa.

Si trova una delle più belle dimostrazioni di tale disposizione d’animo nella risposta di santa Giovanna d’Arco ad una domanda subdola dei suoi giudici ecclesiastici: « Interrogata se sappia d’essere nella grazia di Dio, risponde: “Se non vi sono, Dio mi vuole mettere; se vi sono, Dio mi vuole custodire in essa” ». 241

 

2010 Poiché nell’ordine della grazia l’iniziativa appartiene a Dio, nessuno può meritare la grazia prima, quella che sta all’origine della conversione, del perdono e della giustificazione. Sotto la mozione dello Spirito Santo e della carità, possiamo in seguito meritare per noi stessi e per gli altri le grazie utili per la nostra santificazione, per l’aumento della grazia e della carità, come pure per il conseguimento della vita eterna. Gli stessi beni temporali, quali la salute e l’amicizia, possono essere meritati seguendo la sapienza di Dio. Tutte queste grazie e questi beni sono oggetto della preghiera cristiana. Questa provvede al nostro bisogno di grazia per le azioni meritorie.

2011 La carità di Cristo è in noi la sorgente di tutti i nostri meriti davanti a Dio. La grazia, unendoci a Cristo con un amore attivo, assicura il carattere soprannaturale dei nostri atti e, di conseguenza, il loro merito davanti a Dio e davanti agli uomini. I santi hanno sempre avuto una viva consapevolezza che i loro meriti erano pura grazia:

« Dopo l’esilio della terra, spero di gioire fruitivamente di te nella Patria; ma non voglio accumulare meriti per il cielo: voglio spendermi per il tuo solo amore […]. Alla sera di questa vita comparirò davanti a te con le mani vuote; infatti non ti chiedo, o Signore, di tener conto delle mie opere. Tutte le nostre giustizie non sono senza macchie ai tuoi occhi. Voglio perciò rivestirmi della tua giustizia e ricevere dal tuo amore l’eterno possesso di te stesso… ». 246

 

IV. La santità cristiana

2012 « Sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio […]. Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli; quelli poi che ha predestinati li ha anche chiamati; quelli che ha chiamati li ha anche giustificati; quelli che ha giustificati li ha anche glorificati » (Rm 8,28-30).

2013 « Tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità ». 247 Tutti sono chiamati alla santità: « Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste » (Mt 5,48):

« Per raggiungere questa perfezione, i fedeli usino le forze ricevute secondo la misura del dono di Cristo, affinché […], in tutto obbedienti alla volontà del Padre, con tutto il loro animo si consacrino alla gloria di Dio e al servizio del prossimo. Così la santità del popolo di Dio crescerà apportando frutti abbondanti, come è splendidamente dimostrato, nella storia della Chiesa, dalla vita di tanti santi ». 248

2014 Il progresso spirituale tende all’unione sempre più intima con Cristo. Questa unione si chiama « mistica », perché partecipa al mistero di Cristo mediante i sacramenti – « i santi misteri » – e, in lui, al mistero della Santissima Trinità. Dio chiama tutti a questa intima unione con lui, anche se soltanto ad alcuni sono concesse grazie speciali o segni straordinari di questa vita mistica, allo scopo di rendere manifesto il dono gratuito fatto a tutti.

2015 Il cammino della perfezione passa attraverso la croce. Non c’è santità senza rinuncia e senza combattimento spirituale. 249 Il progresso spirituale comporta l’ascesi e la mortificazione, che gradatamente conducono a vivere nella pace e nella gioia delle beatitudini:

« Colui che sale non cessa mai di andare di inizio in inizio; non si è mai finito di incominciare. Mai colui che sale cessa di desiderare ciò che già conosce ». 250

2016 I figli della santa Chiesa nostra Madre sperano giustamente la grazia della perseveranza finale e la ricompensa di Dio loro Padre per le buone opere compiute con la sua grazia, in comunione con Gesù. 251 Osservando la medesima regola di vita, i credenti condividono « la beata speranza » di coloro che la misericordia divina riunisce nella « città santa, la nuova Gerusalemme » che scende « dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo » (Ap 21,2).

(219) Cf Rm 3,22.

(220) Cf Rm 6,3-4.

(221) Cf 1 Cor 12.

(222) Cf Gv 15,1-4.

(223) Sant’Atanasio di Alessandria, Epistula ad Serapionem, 1, 24: PG 26, 585-588.

(224) Concilio di Trento, Sess. 6a, Decretum de iustificatione, c. 7: DS 1528.

(225) Cf Concilio di Trento, Sess. 6a, Decretum de iustificatione, c. 7: DS 1529.

(226) Concilio di Trento, Sess. 6a, Decretum de iustificatione, c. 5: DS 1525.

(227) Sant’Agostino, In Iohannis evangelium tractatus, 72, 3: CCL 36, 508 (PL 35, 1823).

(228) Cf Rm 7,22; Ef 3,16.

(229) Cf Gv 1,12-18.

(230) Cf Rm 8,14-17.

(231) Cf 2 Pt 1,3-4.

(232) Cf Gv 17,3.

(233) Cf 1 Cor 2,7-9.

(234) Cf Gv 4,14; 7,38-39.

(235) Sant’Agostino, De gratia et libero arbitrio, 17, 33: PL 44, 901.

(236) Sant’Agostino, De natura et gratia, 31, 35: CSEL 49, 258-259 (PL 44, 264).

(237) Sant’Agostino, Confessiones, 13, 36, 51: CCL 27, 272 (PL 32, 868).

(238) Cf Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 12: AAS 57 (1965) 16-17.

(239) Cf 1 Cor 12.

(240) Cf Concilio di Trento, Sess. 6a, Decretum de iustificatione, c. 9: DS 1533-1534.

(241) Santa Giovanna d’Arco, Dictum: Procès de condamnation, ed. P. Tisset (Paris 1960) p. 62.

(242) Prefazio dei santi, I: Messale Romano (Libreria Editrice Vaticana 1993) p. 363; cf « Doctor gratiae », Sant’Agostino, Enarratio in Psalmum 102, 7: CCL 40, 1457 (PL 37, 1321).

(243) Cf Concilio di Trento, Sess. 6a, Decretum de iustificatione, c. 16: DS 1546.

(244) Cf Concilio di Trento, Sess. 6a, Decretum de iustificatione, c. 16: DS 1548.

(245) Sant’Agostino, Sermo 298, 4-5: SPM 1, 98-99 (PL 38, 1367).

(246) Santa Teresa di Gesù Bambino, Atto di offerta all’Amore Misericordioso: Preghiere: Opere complete (Libreria Editrice Vaticana 1997) p. 942-943.

(247) Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 40: AAS 57 (1965) 45.

(248) Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 40: AAS 57 (1965) 45.

(249) Cf 2 Tm 4.

(250) San Gregorio di Nissa, In Canticum, homilia 8: Gregorii Nysseni opera, ed. W. Jaeger-H. Langerbeck, v. 6 (Leiden 1960) p. 247 (PG 44, 941).

(251) Cf Concilio di Trento, Sess. 6a, Decretum de iustificatione, canone 26: DS 1576.

(252) Cf Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 40: AAS 57 (1965).

(253) San Gregorio di Nissa, De vita Moysis, 1, 5: ed. M. Simonetti (Vicenza 1984) p. 10 (PG 44, 300).

FONTE:  http://www.vatican.va/archive/catechism_it/p3s1c3a2_it.htm

Santa Maria Maddalena de’ Pazzi: “Vita vitale, dolce e amabile! O amore, vieni ad abitare dentro al mio petto. Accendimi tutta di te, sì che amar ti possa. Vieni amore. O amore, se tu ti riposi in quelli che cercano l’amore e l’onor tuo, che mai altro io cerco?”

Dagli Scritti di Santa Maria Maddalena de’ Pazzi

 

«Jesu, dolce amore,

transformaci in Te

e transforma Te in noi,

acciò che così transformati

e uniti in Te

possiamo adempire

perfettamente

la volontà tua».

 

«Vita vitale, dolce e amabile! O amore, vieni ad abitare dentro al mio petto. Accendimi tutta di te, sì che amar ti possa. Vieni amore. O amore, se tu ti riposi in quelli che cercano l’amore e l’onor tuo, che mai altro io cerco? Perciò affretta il passo, e vieni amore!»

«Creati da Dio per amore e con amore, è per tale via che dobbiamo ritornare a lui […] O felice quell’anima che sta unita con te, Verbo, e che si pasce e nutrisce di te, Verbo, e non trova quiete e non si contenta se non in te, Verbo. Solo l’amore di te, Verbo, ci può far quieti, perché siam creati per amare e posseder te. Quanto più ti trovo, tanto più sono assetata di cercarti»

«Vedevo dal Costato di Gesù anzi nel Cuore, una grandissima fornace d’amore, che di continuo mandava saette e per questo essa era posta in razzi infocati nei cuori dei suoi eletti, e tanto era la grandezza e preziosità di quell’anima, e l’amore che Dio infondeva in lei e essa cooperando a esso amore, riamava Dio d’amor puro […] Vedevo lo Spirito Santo stare in continuo moto, per dire a nostro modo, non però che egli si movesse donde era; ma vedevo che esso continuamente mandava razzi, frecce e saette d’amor puro nei cuori delle creature»

“Vita vitale, dolce e amabile! O amore, vieni ad habitare dentro al mio petto. Accendimi tutta di te, sì che amar ti possa. Vieni amore. O amore, se tu ti riposi in quelli che cercano l’amore e l’honor tuo, che mai altro io cerco? Però affretta il passo, e vieni amore! Se tu, amore, ti riposi nel sen del Padre, e io fui ab eterno nella mente sua. Tu mi dirai che sei l’istesso Dio, e io son fatta a inmagine e similitudine tua. Se tu riposi ne’ vaselli puri, eccone uno che non ha mai desiderato altro che purità. Ti concedo, sì, che l’ho macchiata, e dico mia colpa; ma ricevo sì spesso il Sangue del Verbo che lieva via ogni macchia. Se tu habiti nelle spose sua, mi glorierò in questo, che lui mi chiamò e io udi’ la voce sua e li risposi. Lui mi sposò, e io stesi il dito; e però vieni, amore! Amore, tu di’ che ti cibi di Sangue; questo non te lo posso dare, ma ti offerirò quel del Verbo, e m’è testimonio il mio Christo chiovellato in croce che mi glorierei di lassarmi tagliare ogni hora mille volte a membro a membro per poter dare il mio sangue. E però vieni, amore. Amore, se io sapessi un’anima che totalmente possedessi amore, hor hora andrei a trovarla; ma perché non la so, chiamerò te, amore. Che intendi tu amore che io chiegga quando io chieggo di esser transformata in te? Ti chieggo che tu mi porti sopra le tua ale e mi congiunga a quel Verbo divino” (PRO II, 99-100).

“Mi pareva intendere ancor poi che l’Amore per tre cose univa con seco tanto strettamente l’anima: prima, perché essa era creata per amore; seconda, perché essa facci per quello che è creata, che è amar l’Amore; terza, perché essa in eterno ha a godere esso amore e inseparabilmente essere con seco unita. Et di questa unione, che tutte riescono in una, vedevo che nessuna, nessuna creatura ne può esser capace, ma solamente esso Dio e lo stesso Amore Unitivo, che è mezzo fra l’anima e Dio.”

“E questo è il nome di Jesu che è in cielo, in terra e ancora nell’inferno: in cielo è per gloria e per eternità; nell’inferno per giustitia e per potentia; et in terra per carità e per misericordia; et nella anima è ancora per purità e amore”

“Il morire a sé e perdersi in Dio è un sicuro impegno per l’eternità”

 

Santa Maria Maddalena de’ Pazzi

Dal diario spirituale di Gabrielle Bossis, parla Gesù: «Un santo è un uomo come gli altri. Ma si è svuotato di sé e ha invitato lo Spirito a prendere il suo posto. Ed è lo Spirito che è santo».

Da: “LUI e io” antologia del diario spirituale di Gabrielle Bossis

 

Parla Gesù:

20 dicembre 1948 – «Un santo è un uomo come gli altri. Ma si è svuotato di sé e ha invitato lo Spirito a prendere il suo posto. Ed è lo Spirito che è santo».

22 gennaio 1948 – «Io sono il Dio di tutti i momenti della tua vita perché sono l’anima della tua anima».

Dopo la Comunione. «Cerca di evitare le più piccole colpe. Questo è il tuo lavoro, perché sei chiamata alla santità, e la santità è l’assenza di ogni macchia volontaria. Lavoro d’amore, d’amore, capisci?».

«Sii crocifissa con me. Essere crocifissi è venire lacerati contro la propria natura, contro i propri desideri, contro l’amore di sé. Nella povertà, nell’oscurità, nell’obbedienza al Padre. Ricordati che la crocifissione è il preludio della Risurrezione, cioè di tutte le gioie».

18 aprile 1937 – In un teatro. «Perché mi parli come se Io fossi molto lontano? Io sono vicinissimo… nel tuo cuore».

10 agosto 1937 – Lione. «Per esser santa, bisogna innanzi tutto voler esser santa. Voi nascete solo per la santità».

 

“Il diario spirituale di Gabrielle Bossis inviterà i lettori ad entrare nell’intimità del Signore che parla a coloro che sanno ascoltare” (Giovanni Paolo II)

L’antologia del diario è scaricabile dal seguente Linkhttp://www.bylov.it/bossis/Diario_Lui_e_io_garamond12.pdf

Sant’Alberto Magno: «Fate questo in memoria di me» (Lc 22, 19). “Anzitutto l’Eucaristia é utile per la remissione dei peccati per chi é spiritualmente morto, utilissima poi all’aumento della grazia per chi é spiritualmente vivo”

 

«Fate questo in memoria di me» (Lc 22, 19). L’eucaristia

 

«Fate questo in memoria di me» (Lc 22, 19). Qui sono da sottolineare due cose. La prima é il comando di usare di questo sacramento, quando dice: «Fate questo». La seconda poi é che esso sia il memoriale del Signore che va alla morte per noi. Dice dunque: «Fate questo». Non si poteva infatti comandare nulla di più, nulla di più dolce, nulla di più salutare, nulla di più amabile, nulla di più somigliante alla vita eterna. Cerchiamo di considerare una per una tutte queste qualità.

Anzitutto l’Eucaristia é utile per la remissione dei peccati per chi é spiritualmente morto, utilissima poi all’aumento della grazia per chi é spiritualmente vivo. Il salvatore delle nostre anime ci istruisce su ciò che é utile per ricevere la sua santificazione.

Ora la sua santificazione consiste nel suo sacrificio, in quanto nell’oblazione sacramentale si offre per noi al Padre, e si offre a noi in comunione. «Per loro io consacro me stesso» (Gv 17, 19). Cristo, che per mezzo dello Spirito Santo offrì se stesso senza macchia a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere morte, per servire il Dio vivente (cfr. Eb 9, 14). Niente noi possiamo fare di più dolce. Che cosa infatti vi potrebbe essere di più delizioso del sacramento che contiene tutte le delizie divine? «Dal cielo hai offerto loro un pane pronto senza fatica, pieno di ogni delizia e gradito a ogni gusto. Questo tuo alimento manifestava la tua dolcezza verso i tuoi figli; si adattava al guisto di chi ne mangiava, si trasformava in ciò che ognuno desiderava» (Sap 16, 20-21). Niente poteva essere comandato di più salutare.

Questo sacramento infatti é il frutto del legno della vita. Se qualcuno lo riceve con devozione e fede sincera, non gusterà la morte in eterno. «E’ un albero di vita per chi ad essa di attiene, e chi ad essa si stringe é beato» (Pro 3, 18); «Colui che mangia di me, vivrà per me» (Gv 6, 57). Niente ci poté essere comandato di più amabile. Questo infatti é il sacramento che crea l’amore e l’unione. E’ segno del massimo amore dare se stesso in cibo. «Non diceva forse la gente della mia tenda: A chi non ha dato delle sue carni per saziarsi?» (Gb 31, 31); quasi avesse detto: tanto ho amato loro ed essi me, che io volevo trovarmi dentro di loro ed essi ricevermi in sé, di modo che, incorporati a me, diventassero mie membra. Non potevano infatti unirsi più intimamente e più naturalmente a me, né io a loro.

Niente infine ci poteva essere comandato di più connaturale alla vita eterna. Infatti la vita eterna esiste e dura perché Dio si comunica con tutta la sua felicità ai santi che vivono nella condizione di beati.

 

Dal «Commento sul vangelo di Luca» di Sant’Alberto Magno, vescovo

Sant’Antonio Maria Claret: «L’amore di Cristo ci spinge»

 

«L’amore di Cristo ci spinge» (2 Cor 5, 14).

 

La carità di Cristo ci sprona, ci spinge a correre e a volare, portati sulle ali di un santo zelo. Chi ama davvero, ama Dio e il prossimo. Chi é davvero zelante é anche amante, ma in un grado più alto, secondo il grado dell’amore; di modo che quanto più arde d’amore, tanto più é spinto dallo zelo. Se qualcuno non ha zelo, questo sta a testimoniare che nel suo cuore l’amore e la carità sono spenti. Chi é zelante, brama e compie cose sublimi e lavora perché Dio sia sempre più conosciuto, amato e servito in questa e nell’altra vita.

Questo santo amore, infatti non ha fine. La stessa cosa fa con il prossimo. Desidera e procura sollecitamente che tutti siano contenti su questa terra e felici e beati nella patria celeste; che tutti si salvino, che nessuno si perda per l’eternità, né offenda Dio e resti, sia pure un istante, nel peccato. Così fecero i santi apostoli e tutti quelli che furono mossi da spirito apostolico.

Io dico a me stesso: Il figlio del Cuore immacolato di Maria é una persona che arde di carità e dovunque passa brucia. Desidera effettivamente e si dà da fare con tutte le forze per infiammare gli uomini con il fuoco dell’amor divino. Non si lascia distogliere da nulla, gode delle privazioni, affronta le fatiche, abbraccia i travagli, si rallegra delle calunnie, é felice nei tormenti. A null’altro pensa se non come seguire Gesù Cristo e imitarlo nella preghiera, nella fatica, nella sopportazione e nel cercare sempre e solo la gloria di Dio e la salvezza delle anime.

(L’Egoismo vinto, Roma 1869, 60).L’amore di Cristo ci spinge.

Dalle «Opere» di Sant’Antonio Maria Claret, vescovo