Sant’Alfonso Maria de Liguori, Affetti al Sacro cuore di Gesù: “O Cuore degno di regnare su tutti i cuori, e di possedere l’affetto di tutti i cuori” “Voi siete la sede di tutte le virtù: Voi la fonte di tutte le grazie. Voi la sacra fornace dove si accendono del divino amore tutte le anime sante”

“Santa Teresa si meravigliava di quelli, che tanto invidiavano chi si trovava al tempo, che, Gesù stava in terra, e potevano guardarlo, mirarlo e sentirlo. Ma noi, diceva, nel Sacramento non solo possiamo vederlo, e sentirlo, ma possiamo cibarcene; et egli ci fa animo”

“Sant’Alfonso Maria de Liguori: meditazioni sull’amore verso Gesù Cristo e sul suo Sacro Cuore”

Sul Cuore di Gesù

1. Disse Giesù a S. Caterina da Siena, che dopo la morte egli volle ricevere la ferita della lancia nel cuore, acciocché l’uomo comprendesse, ch’egli l’amava più di quello, che l’aveva dimostrato colle pene esterne; mentre le pene di Sua Passione erano state finite, ma l’amore Suo era infinito. Onde le facea vedere quel Suo Cuore ferito per farle intendere, ch’egli l’amava più di quello, che intender Ella potesse dalle pene sofferte.

2. Essendosi communicata un giorno la V. Maria Vola Monaca Cisterciense parvele, che Giesù le prese il cuore e ponendolo nel Suo Costato lo strinse talmente col Suo Cuore Divino che di due se ne fece un solo, acciocché gli affetti desideri ecc d’allora innanzi fussero l’istessi. Un’altra volta parvele che Giesù l’invitasse ad entrare nel Suo Costato aperto con dirle: Esci sposa diletta da ogni terreno affetto: Entra qui e riponi l’anima tua sopra il mio cuore. E subito intese estinguersi ogni amor proprio, e accendersi dell’istesso amore, di cui ardeva il Suo Giesù, e sfavillava nel petto di lei. In modo che pareala poi, che ogni Altare dove stava Giesù Sacramentato, ardesse come fornace. March: 8a: Qu. 23. 24. 7bre.

3. Santa Francesca Romana dopo aversi communicata vide su di un prezioso Tabernacolo un candidissimo Agnello, a cui facean riverenze e lodi due schiere di bianchi agnellini: Vide che usciva una limpidissima fonte dal suo aperto Costato, in cui compariva come un Sole il suo Divino Cuore, il quale replicava quelle parole spesso: Chi ha sete venga a me: chi ha sete venga a me. Boss. Merc. T. 1 n. 13.

Affetti al cuore di Gesù

Amore amabile del mio Salvatore. Voi siete la sede di tutte le virtù: Voi la fonte di tutte le grazie. Voi la sacra fornace dove si accendono del divino amore tutte le anime sante.

Voi siete l’oggetto di tutta la compiacenza di Dio: voi il Rifugio de’ tribolati: Voi la Stanza delle anime, che vi amano.

O Cuore degno di regnare su tutti i cuori, e di possedere l’affetto di tutti i cuori.

O Cuore, che foste per me ferito sulla croce dalla lancia de’ miei peccati, ve ne state poi continuamente ferito per me sugli altari nel Sacramento non da altra lancia, che dall’amore, che mi portate.

O Cuore amante, ch’ami gli uomini con tanta tenerezza, e con tanta poca corrispondenza sei amato dagli uomini.

Riparate voi a tanta ingratitudine. Accendete voi tutti i nostri cuori, acciocché veramente vi amiamo.

Accettate il desiderio mio, che tutti i cuori v’amassero ed ardessero più.

O Cuore divino voi siete la mia consolazione ne’ travagli: Il mio riposo nelle fatiche: Il mio sollievo nelle angustie: Il mio porto nelle tempeste.

A voi consacro il corpo mio, l’anima, il cuore, la volontà, la vita, e tutto.

Unisco coi vostri tutti i miei pensieri, affetti, desiderj: Ah ! Eterno Padre, vi offerisco gli affetti purissimi del cuore di Giesù… Se sdegnate i miei, non potete sdegnare gli affetti di questo vostro Santissimo Figlio: questi suppliscano, e parlino per me.

La Beata Caterina da Genua fu introdotta a vedere il cuore di Giesù nel Suo petto, e lo vide tutto di fuoco.

Un giorno Giesù si avvicinò al petto di S. Metilde, e intese, che il Cuore di Giesù li palpitava sì forte, come se gli fussero dati colpi sul petto, e le disse, che sin da fanciullo gli palpitava così il cuore per l’amore di cui ardeva per gli uomini.

Onde dice il P. Nieremb., che se Giesù sin da Bambino avesse data libertà alla fiamma del suo amore di operare gli affetti suoi propri, sin da fanciullo sarebbe morto di amore.

Giesù disse a S. Gertrude: Adhuc si expediret pro te sola tolerarem quae toleravi pro toto mundo. E a S. Metilde: Sappi, che l’amore mio verso le anime è l’istesso di quello, che loro portava nel tempo della mia Passione. Ed io morirei tante volte, quante sono le anime.

A San Carpo, che parea volesse precipitare quei peccatori: Impelle me Carpe, quia paratus sum pro hominibus iterum crucifigi.

San Gio. Crisostomo: Gesù tanto ama ciascuno, come tutto il Mondo.

Viva Giesù Maria Giuseppe e Teresa.

1. Il Venerabile P.M. Avila quando sentiva altri pellegrinare in santuarj, dicea il mio Santuario, è l’Altare, dove sta il SS.mo Sacramento.

2. S. Teresa si meravigliava di quelli, che tanto invidiavano chi si trovava al tempo, che, Giesù stava in terra, e poteano mirarlo, sentirlo. Ma noi, dicea, nel Sacramento non solo possiamo vederlo, e sentirlo, ma possiamo cibarcene; et egli ci fa animo: Accipite, et Comedite.

(Sant’Alfonso Maria de Liguori, dottore della Chiesa)

Sant’Alfonso Maria de Liguori, Massime Eterne: “DEL FINE DELL’UOMO, DEL PECCATO MORTALE, DELLA MORTE, DEL GIUDIZIO, DELL’ETERNITÀ DELL’INFERNO” Fratello mio, sta attento, pensa che per te ancora sta l’inferno, se pecchi. Già arde sotto i tuoi piedi questa orrenda fornace, ed a quest’ora che leggi quante anime vi stan cadendo?

OPERA DI SANT’ALFONSO MARIA DE LIGUORI, DOTTORE DELLA CHIESA.

“Massime eterne cioè meditazioni per ciascun giorno della settimana”

Sette meditazioni, in tre punti, sul fine dell’uomo, la morte il giudizio e l’inferno, divise secondo i sette giorni della settimana

Atti cristiani prima dell’inizio delle meditazioni

Dio mio, verità infallibile, perché voi l’avete rivelato alla santa Chiesa, io credo tutto quello che la santa Chiesa mi propone a credere. Credo che voi siete il mio Dio, Creatore del tutto, che per un’eternità premiate i giusti col paradiso, e castigate i peccatori coll’inferno. Credo che voi siete uno nell’essenza, e trino nelle persone, cioè Padre, Figliuolo, e Spirito-Santo. Credo l’incarnazione e morte di Gesù-Cristo. Credo finalmente tutto quello che crede la santa Chiesa. Vi ringrazio d’avermi fatto cristiano, e mi protesto che in questa santa fede voglio vivere e morire.

Dio mio, fidato nelle vostre promesse, perché voi siete potente, fedele e misericordioso, spero per li meriti di Gesù-Cristo il perdono de’ miei peccati, la perseveranza finale e la gloria del paradiso.

Dio mio, perché voi siete bontà infinita, degno d’infinito amore, v’amo con tutto il cuore mio sopra ogni cosa. E di tutti i peccati miei, perché ho offeso voi bontà infinita, me ne pento con tutto il cuore e me ne dispiace. Propongo prima morire, che più disgustarvi, colla grazia vostra, che vi cerco per ora e sempre. E propongo ancora di ricevere i santi sacramenti in vita ed in morte.

Meditazione per la Domenica – DEL FINE DELL’UOMO

Considera anima mia, come quest’essere che tu hai, te l’ha dato Dio, creandoti a sua immagine, senza tuo merito: ti ha adottato per figlio col santo battesimo: ti ha amato più che da padre, e ti ha creato, acciò l’amassie servissi in questa vita, per poi goderlo in eterno in paradiso. Sicché non sei nato, né dei vivere per godere, per farti ricco e potente, per mangiare, per bere e dormire come i bruti, ma solper amare il tuo Dio, e salvarti in eterno. E le cose create te l’ha date il Signore in uso, acciocché t’aiutassero a conseguire il tuo gran fine. O me infelice, che a tutt’altro ho pensato, fuorchéal mio fine! Padre mio, per amore di Gesù fa ch’io cominci una nuova vita, tutta santa e tutta conforme al tuo divino volere.

Considera, come in punto di morte sentirai gran rimorsi, se non hai atteso a servire Dio. Che pena, quando alla fine de’ giorni tuoi ti avvederai che non ti resta altro in quell’ora, che un pugno di mosche, di tutte le ricchezze, grandezze, glorie e piaceri! Stupirai, come per vanità e cose da niente hai perduta la grazia di Dio e l’anima tua, senza poter rifare il mal fatto; né vi sarà più tempo da metterti nel buon cammino. O disperazione! O tormento! Vedrai allora quanto valga il tempo, ma tardi. Lo vorresti comperare col sangue, ma non potrai. O giorno amaro per chi non ha servito ed amato Dio.

Considera, quanto si trascura questo gran fine. Si pensa ad accumulare ricchezze, si pensa a banchettare, a festeggiare, a darsi bel tempo: e Dio non si serve, ed a salvar l’anima non si attende, e ‘l fine eterno si tiene per bagattella! E così la maggior parte de’ cristiani, banchettando, cantando e sonando se ne va all’inferno. Oh se essi sapessero che vuol dire inferno! O uomo, stenti tanto per dannarti, e nulla vuoi fare per salvarti! Moriva un segretario di Francesco re d’Inghilterra, e moriva dicendo: Misero me! ho consumato tanta carta per iscrivere le lettere del mio principe, e non ho speso un foglio per ricordarmi de’ miei peccati, e farmi una buona confessione! Filippo III re di Spagna dicea morendo: Oh fossi stato a servire Dio in un deserto, e non fossi stato mai re! Ma che servono allora questi sospiri, questi lamenti? Servono per maggior disperazione. Impara tu a spese d’altri a vivere sollecito di tua salute, se non vuoi cadere nella medesima disperazione. E sappi che quanto fai, dici e pensi fuor del gusto di Dio,tutto è perduto. Su via è tempo già di mutar vita. Che vuoi aspettare il punto della morte a disingannarti? alle porte dell’eternità, sulle fauci dell’inferno, quando non v’è più luogo di emendare l’errore? Dio mio, perdonami.Io t’amo sopra ogni cosa. Mi pento d’averti offeso sopra ogni male.

Maria, speranza mia, prega Gesù per me.

Meditazione per lo lunedì – DELL’IMPORTANZA DEL FINE

Considera uomo, quanto importi conseguire il tuo gran fine: importa il tutto; perché, se lo conseguisci e ti salvi, sarai per sempre beato, godrai in anima e in corpo ogni bene: ma se lo sgarri, perderai anima e corpo, paradiso e Dio: sarai eternamente misero, sarai per sempre dannato. Dunque questo è il negozio di tutti i negozi, solo importante, solo necessario, il servire Dio e salvarsi l’anima. Onde non dire più, cristiano mio: Ora vo’ soddisfarmi, appresso mi darò a Dio, e spero salvarmi. Questa speranza falsa oh quanti ne ha mandati all’inferno, i quali pure diceano così, ed ora son dannati, e non ci è più rimedio per essi! Qual dannato volea proprio dannarsi? Ma Dio maledice chi pecca per la speranza del perdono: «Maledictus homo qui peccat in spe».Tu dici, voglio far questo peccato e poi me lo confesso. E chi sa, se avrai questo tempo? Chi t’assicura, che non morirai di subito dopo il peccato? Frattanto perdi la grazia di Dio, e se non la trovi più? Dio fa misericordia a chi lo teme, non a chi lo disprezza: «Et misericordia eius timentibus eum» (Luc. I). Né dire più, tanto mi confesso due peccati, quanto tre: no, perché Dio due peccati ti perdonerà, e tre no. Dio sopporta, ma non sopporta sempre: «In plenitudine peccatorum puniat» (2. Mach. 5). Quando è piena la misura, Dio non perdona più, o castiga colla morte, o con abbandonar il peccatore, sì che da peccato in peccato se n’anderà all’inferno, castigo peggiore della morte. Attento, fratello, a questo ch’ora leggi. Finiscila, datti a Dio. Temi che questo sia l’ultimo avviso, che Dio ti manda. Basta quanto l’hai offeso. Basta quanto egli t’ha sopportato. Trema che ad un altro peccato mortale che farai, Dio non ti perdonerà più. Vedi che si tratta d’anima, si tratta d’eternità. Questo gran pensiero dell’eternità quanti ne ha cavati dal mondo, e gli ha mandati a vivere ne’ chiostri, ne’ deserti e nelle grotte! Povero me, che mi trovo di tanti peccati fatti? il cuore afflitto, l’anima aggravata, l’inferno acquistato, Dio perduto. Ah Dio mio e Padre mio, legamiall’amor tuo.

Considera, come quest’affare eterno è lo più trascurato. A tutto si pensa, fuorché a salvarsi. Per tutto v’è tempo, fuorché per Dio. Si dica ad un mondano che frequenti i sacramenti, che si facciamezz’ora d’orazione il giorno, risponde: Ho figli, ho nipoti, ho possessioni, ho che fare. Oh Dio, e non hai l’anima? Impegna pur le ricchezze, chiama i figli, i nipoti che ti diano aiuto in punto di morte, e ti caccino dall’inferno, se vai dannato. Non ti lusingare di poter accordare Dio e mondo, paradiso e peccati. Il salvarsi non è negozio da trattarlo alla larga; bisogna far violenzaa te stesso, bisogna farti forza, se vuoi guadagnarti la corona immortale. Quanti cristiani si lusingavano che appresso avrebbero servito Dio, e si sarebbero salvati, ed ora stanno nell’inferno! Che pazzia, pensar sempre a quello che finisce così presto, e pensar tanto poco a quello che non ha mai da finire! Ah cristiano, pensa a’ casi tuoi! Pensa che fra poco sloggerai da questa terra, ed anderai alla casa dell’eternità! Povero te, se ti danni! Vedi che non ci potrai rimediare più.

Considera cristiano, e dì: Un’anima ho, se questa mi perdo, ho perduto ogni cosa: un’anima ho, se a danno di questa mi guadagno un mondo, che mi serve? se divento un grand’uomo, e mi perdo l’anima, che mi giova? Se accumulo ricchezze, se avanzo la casa, se ingrandisco i figli, e mi perdo l’anima, che mi giova? Che giovarono le grandezze, i piaceri, le vanità a tanti che vissero nel mondo, ed ora sono polvere in una fossa, e confinati già nell’inferno? Dunque, se l’anima è mia, se un’anima ho, se la sgarro una volta, l’ho sgarrata per sempre; deggio ben pensare a salvarmi. Questo è un punto, che troppo importa. Si tratta di essere o sempre felice, o sempre infelice. O mio Dio, confesso e mi confondo che finora sono vivuto da cieco, sono andato così lontano da te, non ho pensato a salvare quest’unica anima mia. Salvami, o Padre, per Gesù-Cristo: mi contento di perder ogni cosa, purché non perda voi, mio Dio.

Maria, speranza mia, salvami tu colla tua intercessione.

Meditazione per lo martedì – DEL PECCATO MORTALE

Considera, come tu creato da Dio per amarlo, con ingratitudine d’inferno te gli sei ribellato, l’hai trattato da nemico, hai disprezzata la sua grazia, la sua amicizia. Conoscevi che gli davi un gran disgusto con quel peccato, e l’hai fatto? Chi pecca, che fa? volta le spalle a Dio, gli perde il rispetto, alza la mano per dargli uno schiaffo, affligge il cuore di Dio: «Et afflixerunt spiritum sanctum eius (Is. 63)». Chi pecca, dice a Dio col fatto: Allontanati da me, non ti voglio ubbidire, non ti voglio servire, non ti voglio riconoscere per mio Signore: non ti voglio tenere per Dio: il mio Dio è quel piacere, quell’interesse, quella vendetta. Così hai detto nel tuo cuore, quando hai preferita la creatura a Dio. S. Maria Maddalena de’ Pazzi non sapea credere, come un cristiano potesse ad occhi aperti far un peccato mortale; e tu che leggi, che dici? Quanti n’hai commessi? Dio mio, perdonami, abbi pietà di me. Ho offeso te, bontà infinita: odio i peccati miei: t’amo, e mi pento d’averti ingiuriato a torto, o Dio mio, degno d’infinito amore.

Considera, come Dio ti dicea, quando peccavi: Figlio, io sono il tuo Dio, che ti creai dal niente, e ti ricomprai col mio sangue; io ti proibisco di far questo peccato sotto pena della mia disgrazia. Ma tu peccando, dicesti a Dio: Signore, io non voglio ubbidirti, voglio pigliarmi questo gusto, e non m’importa che ti dispiace, e che perdo la tua grazia. «Dixisti, non serviam». Ah mio Dio, e ciò l’ho fatto più volte! come mi avete sopportato? Oh fossi morto prima che avervi offeso! Io non voglio più disgustarvi: io vi voglio amare, o bontà infinita. Datemi voi perseveranza. Datemi il vostro santo amore.

Considera, che quando i peccati giungono a certo numero, fanno che Dio abbandoni il peccatore: «Dominus patienter exspectat, ut cum iudicii dies advenerit, in plenitudine peccatorum puniat» (2. Mach. 6.14). Se dunque, fratello mio, sarai di nuovo tentato di peccare, non dire più: Poi me lo confesso. E se Dio ti fa morire allora? e se Dio ti abbandona? che ne sarà di te per tutta l’eternità? Così tanti si son perduti. Pur essi speravano il perdono, ma è venuta la morte, e si son dannati. Trema che lo stesso non avvenga a te. Non merita misericordia chi vuol servirsi della bontà di Dio per offenderlo. Dopo tanti peccati che Dio t’ha perdonati, giustamente hai a temere che ad un altro peccato mortale che farai, Dio non ti perdoni più. Ringrazialo che t’ha aspettato finora. E fa in questo punto una forte risoluzione di soffrir prima la morte che fare un altro peccato. Dì sempre da ogg’innanzi: Signore, basta quanto v’ho offeso; la vita che mi resta, non la voglio spendere a più disgustarvi (no, che voi non ve lo meritate), la voglio spendere solo ad amarvi, ed a piangere l’offese che v’ho fatte. Me ne pento con tutto il cuore. Gesù mio, vi voglio amare, datemi forza.

Maria, Madre mia, aiutatemi. Amen.

Meditazione per lo mercoledì – DELLA MORTE

Considera, come ha da finire questa vita. È uscita già la sentenza: hai da morire. La morte è certa, ma non si sa quando viene. Che ci vuole a morire? Una goccia che ti cade sul cuore, una vena che ti si rompe nel petto, una suffogazione di catarro, un torrente impetuoso di sangue, un animaletto velenoso che ti morde, una febbre, una puntura, una piaga, un’inondazione, un terremoto, un fulmine, un lampo basta a levarti la vita. La morte verrà ad assalirti, quando meno ci pensi. Quanti la sera si son posti a dormire, e la mattina si son trovati morti! Non può forse ciò succedere anche a te? Tanti che son morti di subito, non se lo pensavano di morir così; ma così sono morti, e se si trovavano in peccato, ora dove stanno? E dove staranno per tutta l’eternità? Ma sia come si voglia; è certo che ha da venire un tempo, nel quale per te si farà notte e non giorno, o si farà giorno e non vedrai la notte. Verrò come un ladro alla scordata e di nascosto, dice Gesu-Cristo. Te lo avvisa per tempo il tuo buon Signore, perché ama la tua salute.

Corrispondi a Dio, approfittati dell’avviso, preparati a ben morire, prima che venga la morte: «Estote parati». Allora non è tempo d’apparecchiarsi, ma di trovarsi apparecchiato. È certo ch’hai da morire. Ha da finire la scena di questo mondo per te, e non sai quando. Chi sa se fra un anno, fra un mese, se domani sarai vivo? Gesù mio, dammi luce e perdonami.

Considera, come nell’ora della morte ti troverai steso in un letto, assistito dal sacerdote che ti ricorderà l’anima, co’ parenti accanto che ti piangeranno, col Crocifisso a capo, colla candela a’ piedi, già vicino a passare all’eternità. Ti sentirai la testa addolorata, gli occhi oscurati, la lingua arsa, le fauci chiuse, il petto aggravato, il sangue gelato, la carne consumata, il cuore trafitto: lascerai ogni cosa, e povero e nudo sarai gittato a marcir in una fossa: quivi i vermi ed i sorci si roderanno tutte le tue carni, e di te non resterà che quattr’ossa spolpate, ed un poco di polvere fetente, e niente più. Apri una fossa, e vedi a che è ridotto quel riccone, quell’avaro, quella donna vana! Così finisce la vita. Nell’ora della morte ti vedrai circondato da’ demonii, che ti metteranno innanzi tutti i peccati commessi da che eri fanciullo. Ora il demonio per indurti a peccare, cuopre e scusa la colpa; dice che non è gran male quella vanità, quel piacere, quella confidenza, quel rancore, che non ci è mal fine in quella conversazione; ma in morte scoprirà la gravezza del tuo peccato; ed al lume di quell’eternità, alla quale starai per passare, conoscerai che male fu aver offeso un Dio infinito. Presto rimedia a tempo, ora che puoi, perché allora non sarà più tempo.

Considera, come la morte è un momento, dal quale dipende l’eternità. Giace l’uomo già vicino a morire, e per conseguenza vicino ad una delle due eternità; e questa sorte sta attaccata a quell’ultima chiusa di bocca, dopo la quale in un punto si trova l’anima o salva, o dannata per sempre. O punto! o chiusa di bocca! o momento donde dipende un’eternità! Un’eternità o di gloria o di pena. Un’eternità o sempre felice o sempre infelice: o di contenti o di affanni. Un’eternità o d’ogni bene o d’ogni male. Un’eternità o d’un paradiso o d’un inferno. Viene a dire che se in quel momento ti salvi, non avrai più guai, sarai sempre contento e beato. Ma se la sgarri, e ti danni, sarai sempre afflitto e disperato, mentre Dio sarà Dio. In morte conoscerai che vuol dire paradiso, inferno, peccato, Dio offeso, legge di Dio disprezzata, peccati lasciati in confessione, roba non restituita. Misero me! dirà il moribondo, da qui a pochi momenti ho da comparir innanzi a Dio? e chi sa qual sentenza mi toccherà? Dove anderò, al paradiso o all’inferno? a godere fra gli angioli o ad ardere fra’ dannati? Sarò figlio di Dio o schiavo del demonio? Fra poco oimè lo saprò, e dove alloggerò la prima volta, ivi resterò in eterno. Ah fra poche ore, fra pochi momenti che ne sarà di me? Che ne sarà di me, se non risarcisco quello scandalo; se non restituisco quella roba, quella fama? se non perdono di cuore al nemico? se non mi confesso bene? Allora detesterai mille volte quel giorno, che peccasti, quel diletto, quella vendetta che ti prendesti: ma troppo tardi, e senza frutto, perché lo farai per mero timor del castigo, senz’amore a Dio. Ah Signore, ecco da questo punto io mi converto a voi, non voglio aspettare la morte; ed ora io v’amo, v’abbraccio e voglio morire abbracciato con voi.

Madre mia Maria, fammi morire sotto il manto tuo, aiutami in quel punto.

Meditazione per lo giovedì – DEL GIUDIZIO FINALE

Considera, come appena l’anima uscirà dal corpo, che sarà condotta innanzi al tribunale di Dio, per essere giudicata. Il giudice è un Dio onnipotente, da te maltrattato, adirato al sommo. Gli accusatori sono i demonii nemici: i processi i tuoi peccati: la sentenza è inappellabile: la pena un inferno. Non vi sono più compagni, non parenti, non amici; fra te e Dio te l’hai da vedere. Allora scorgerai la bruttezza de’ tuoi peccati, né potrai scusarli come ora fai. Sarai esaminato sopra i peccati di pensieri, di parole, di compiacenze, d’opere, d’omissione e di scandalo. Tutto si ha a pesare in quella gran bilancia della divina giustizia, ed in una cosa, in cui ti troverai mancante, sarai perduto.

Gesù mio e giudice mio, perdonami, prima che m’hai da giudicare.

Considera, come la divina giustizia dovrà giudicare tutte le genti nella valle di Giosafatte, quando (finito il mondo) risusciteranno i corpi per ricevere insieme coll’anima il premio o la pena, secondo le opere loro. Rifletti, come se ti danni, ripiglierai questo tuo medesimo corpo, che servirà per eterna prigione dell’anima sventurata. A quell’amaro incontro l’anima maledirà il corpo, e ‘l corpo maledirà l’anima; sicché l’anima ed il corpo, che ora si accordano in cercar piaceri proibiti, si uniranno a forza dopo morte per essere carnefici di se stessi. All’incontro se ti salvi, questo tuo corpo risorgerà tutto bello, impassibile e risplendente: e così in anima e corpo sarai fatto degno della vita beata. E così finirà la scena di questo mondo. Saran finite allora tutte le grandezze, i piaceri, le pompe di questa terra; tutto è finito. Vi restano solo due eternità, una di gloria e l’altra di pena; l’una beata e l’altra infelice: l’una di gaudii e l’altra di tormenti. Nel paradiso i giusti, nell’inferno i peccatori. Povero allora chi avrà amato il mondo, e per li miseri gusti di questa terra avrà perduto tutto, l’anima, il corpo, il paradiso e Dio.

Considera l’eterna sentenza. Cristo giudice si volterà contra i reprobi e lorodirà: L’avete finita, ingrati, l’avete finita? È già venuta l’ora mia, ora di verità e di giustizia, ora di sdegno e di vendetta. Su, scellerati, avete amata la maledizione, venga sopra di voi: siate maledetti nel tempo, maledetti nell’eternità. Partitevi dalla mia faccia, andate privi d’ogni bene e carichi di tutte le pene al fuoco eterno. «Discedite a me, maledicti, in ignem aeternum» (Matth. 25.41). DopoGesù si volterà agli eletti, e dirà: Venite voi figli miei benedetti, venite a possedere il regno de’ cieli a voi apparecchiato. Venite, non più per portare dietro di me la croce, ma insieme con me la corona. Venite ad essere eredi delle mie ricchezze, compagni della mia gloria; venite a cantare in eterno le mie misericordie: venite dall’esilio alla patria, dalle miserie alla gioia, venite dalle lagrime al riso, venite dalle pene all’eterno riposo: «Venite, benedicti Patris mei, possidete paratum vobis regnum». Gesù mio, spero anch’io d’esser uno di questi benedetti. Io v’amo sopra ogni cosa; beneditemi da quest’ora.

E beneditemi voi, Madre mia Maria.

Meditazione per lo venerdì – DELL’INFERNO

Considera, come l’inferno è una prigione infelicissima, piena di fuoco. In questo fuoco stan sommersi i dannati, avendo un abisso di fuoco di sopra, un abisso d’intorno, un abisso di sotto. Fuoco negli occhi, fuoco nella bocca, fuoco per tutto. Tutti poi i sensi han la lor propria pena, gli occhi accecati dal fumo e dalle tenebre, ed atterriti dalla vista degli altri dannati e de’ demonii. Le orecchie odono giorno e notte continui urli, pianti, bestemmie. L’odorato èappestato dal fetore di quegl’innumerabili corpi puzzolenti. Il gusto è crucciato da ardentissima sete e da fame canina, senza potere ottener mai una goccia d’acqua, né un tozzo di pane. Onde quegl’infelici carcerati, arsi dalla sete, divorati dal fuoco, afflitti da tutti i tormenti, piangono, urlano, si disperano, ma non vi è, né vi sarà mai chi li sollevi o li consoli. O inferno, inferno! che non ti vogliono credere alcuni, se proprio non vi cadono! Che dici tu che leggi? Se ora avessi a morire, dove anderesti? Tu non ti fidi di soffrire una scintilla di candela sulla mano, e ti fiderai poi di stare in un lago di fuoco che ti divori, sconsolato ed abbandonato da tutti per tutta l’eternità?

Considera poi la pena che avranno le potenze. La memoria sarà sempre tormentata dal rimorso della coscienza: questo è quel verme che sempre roderà il dannato, nel pensare al perché si è dannato volontariamente, per pochi gusti avvelenati. Oh Dio che gli pareranno allora quei momenti di gusto, dopo cento, dopo mille milioni d’anni d’inferno? Questo verme gli ricorderà il tempo che l’ha dato Dio per rimediare; le comodità che l’ha presentate per salvarsi; i buoni esempi de’ compagni; i propositi fatti, ma non eseguiti. Ed allora vedrà che non vi è più rimedio alla sua rovina eterna. Oh Dio, oh Dio, e che doppio inferno sarà questo! La volontà sarà sempre contraddetta, e non avrà mai niente di ciò che vorrà, ed avrà sempre quel che non vorrà, cioè tutti i tormenti. L’intelletto conoscerà il gran bene che ha perduto, cioè il paradiso e Dio. O Dio, o Dio, perdonatemi per amor di Gesu-Cristo.

Peccatore, tu che ora non ti curi di perderti il paradiso e Dio, conoscerai la tua cecità, quando vedrai i beati trionfare e godere nel regno de’ cieli, e tu come cane puzzolente sarai cacciato via da quella patria beata, dalla bella faccia di Dio, dalla compagnia di Maria, degli angioli e de’ santi. Allora smaniando griderai: O paradiso di contenti, o Dio bene infinito, non sei né sarai più mio? Su, penitenza: muta vita: non aspettare che non vi sia anche per te più tempo. Datti a Dio: comincia ad amarlo davvero.

Prega Gesù, prega Maria che abbiano pietà di te.

Meditazione per lo sabbato – DELL’ETERNITÀ DELLE PENE

Considera, come nell’inferno non v’è fine: si patiscono tutte le pene, e tutte eterne. Sicché passeranno cento anni di quelle pene, ne passeranno mille, e l’inferno allora comincia; ne passeranno cento mila, e cento milioni, mille milioni d’anni e di secoli, e l’inferno sarà da capo. Se un angelo a quest’ora portasse la nuova ad un dannato che Dio lo vuol cacciare dall’inferno, ma quando? quando saran passati tanti milioni di secoli, quante sono le goccie d’acque, le frondi degli alberi e le arene del mare e della terra, voi vi spaventereste; ma pur è vero che quegli farebbe più festa a questa nuova, che non fareste voi, se aveste la nuova d’esser fatto re d’un gran regno. Sì, perché direbbe il dannato: È vero che hanno da passare tanti secoli, ma ha da venire un giorno che han da finire. Ma ben passeranno tutti questi secoli, e l’inferno sarà da capo; si moltiplicheranno tante volte tutti questi secoli, quante sono le arene, le goccie, le frondi, e l’inferno sarà da capo. Ogni dannato farebbe questo patto con Dio: Signore, accrescete voi quanto vi piace la pena mia: allungatela per quanto tempo vi piace; basta che ponghiate termine, e son contento. Ma no, questo termine non vi sarà mai. Almeno il povero dannato potesse ingannare se stesso, e lusingarsi con dire: Chi sa, forse un giorno Dio avrà pietà di me, e mi caccerà dall’inferno! No, il dannato si vedrà sempre in faccia scritta la sentenza della sua dannazione eterna, e dirà: Dunque tutte queste pene ch’ora patisco, questo fuoco, questa malinconia, queste grida non hanno da finire mai, mai? E quanto tempo dureranno? sempre, sempre. Oh mai! Oh sempre! Oh eternità! Oh inferno! Come? gli uomini ti credono, e peccano, e seguitano a vivere in peccato?

Fratello mio, sta attento, pensa che per te ancora sta l’inferno, se pecchi. Già arde sotto i tuoi piedi questa orrenda fornace, ed a quest’ora che leggi quante anime vi stan cadendo? Pensa che se tu ci arrivi una volta, non ne potrai uscire più. E se qualche volta già t’hai meritato l’inferno, ringrazia Dio che non ti ci ha mandato; e presto, presto rimedia quanto puoi, piangi i tuoi peccati; piglia i mezzi più atti che puoi per salvarti: confessati spesso, leggi questo o altro libretto spirituale ogni giorno, prendi la divozione a Maria col rosario ogni giorno, col digiuno ogni sabbato: nelle tentazioni resisti, chiamando spesso Gesù e Maria: fuggi l’occasioni di peccare, e se Dio ti chiama anche a lasciare il mondo, fallo, lascialo: ogni cosa che si fa per iscampare da una eternità di pene è poco, è niente. «Nulla nimia securitas, ubi periclitatur aeternitas» (S. Bern.). Per assicurarci nell’eternità non vi è cautela che basti. Vedi quanti anacoreti, per sfuggire l’inferno sono andati a vivere nelle grotte, ne’ deserti! E tu che fai, dopoché tante volte t’hai meritato l’inferno? Che fai? che fai? Vedi che ti danni. Datti a Dio, e digli: Signore, eccomi, voglio fare tutto quello che volete da me.

Maria, aiutami.

(Sant’Alfonso Maria de Liguori “Massime eterne cioè meditazioni per ciascun giorno della settimana”)

 

 

 

Sant’Alfonso Maria de Liguori, Canzoncine spirituali: “Ah mio Tutto, o mio bel Dio, Più non posso, o Sommo Bene, Viver senza del tuo Amor: Troppo già le tue catene M’han legato e stretto il cor”

Sant’Alfonso Maria de Liguori, Canzoncine spirituali:

“Anima che si dà tutta a Dio.”

Mondo, più per me non sei,

Io per te non sono più;

Tutti già gli affetti miei

L’ho donati al mio Gesù.

Ei m’ha tanto innamorato

Dell’amabil sua Bontà,

Che d’ogni altro ben creato

L’alma più desio non ha.

Mio Gesù, diletto mio,

Io non voglio altro che Te.

Tutto a Te mi do, mio Dio,

Fanne pur che vuoi di me.

Più non posso, o Sommo Bene,

Viver senza del tuo Amor:

Troppo già le tue catene

M’han legato e stretto il cor

L’alma mia da Te, mia Vita,

Più fuggire ormai non può;

Da che fu da Te ferita,

Già tua preda ella restò.

Se non sono io verme ingrato

Degno già d’amarti più,

Caro mio, d’esser amato

Troppo degno ne sei Tu.

Dammi dunque, o mio Signore,

Quell’amor che vuoi da me;

Ch’io per paga del mio amore

Solo amor cerco da Te.

Ah mio Tutto, o mio bel Dio,

Il tuo gusto è il mio piacer;

D’ogg’innanzi il voler mio

Sarà solo il tuo voler.

Vieni, o Dio, vieni a ferire

Questo tuo non più mio cor;

Fammi Tu, fammi morire

Tutt’ardendo del tuo Amor.

Sposo mio, mia Vita, io t’amo,

E ti voglio sempre amar:

T’amo, t’amo e solo bramo

Per tuo amore un dì spirar.

“Anima che sospira a Dio.”

Sospira questo core,

E non so dir perché:

Sospirerà d’amore,

Ma non lo dice a me.

Rispondimi, cor mio,

Perché sospiri Tu?

Risponde: Voglio Dio,

Sospiro per Gesù.

Sospira e non lasciare

Mai più di sospirar.

Tua vita sia l’amare

Chi ti sa tanto amar.

Sospira e fa che sia

Gesù tutt’il tuo amor:

E tutta sia Maria

La tua speranza ognor.

Manda i sospiri tuoi

Chi ti piagò a piagar;

E lieto spera poi

Quanto mai vuoi sperar.

Sospiri miei, su andate,

Gite a trovar Gesù;

A’ piedi suoi restate,

Né vi partite più.

Dite che un cor vi manda

Ch’arde per sua Beltà.

Dite la sua dimanda,

Ch’Egli la gradirà.

Dimanda il core e brama

D’amarlo quanto può,

Gite, che a un cor che l’ama

Niente mai Dio negò

“Quanto sia amabile la Volontà di Dio.”

Il tuo gusto e non il mio

Amo solo in Te, mio Dio.

Voglio solo, o mio Signore,

Ciò che vuol la tua Bontà.

Quanto degna sei d’amore,

O Divina Volontà!

Nell’amor Tu sei gelosa,

Ma poi sei tutt’amorosa,

Tutta dolce e tutt’ardore

Verso il cor che a Te si dà.

Quanto degna etc…

Tu dai vita al puro affetto,

Rendi tu l’amor perfetto.

Sospirando a tutte l’ore

L’alma ch’ama a Te sen va.

Tu le croci cangi in sorte:

Tu fai dolce ancor la morte.

Non ha croci, né timore

Chi ben teco unir si sa.

L’alme belle e fortunate

Sola in Ciel Tu fai beate.

Senza Te darebbe orrore

Anche il Cielo a chi vi sta.

Nell’inferno se i dannati

A Te stessero legat,

Le lor fiamme, il lor dolore

Dolci lor sarian colà.

Oh finisse la mia vita

Teco un giorno tutta unita!

Chi tal muore, non già muore,

Vive e sempre viverà.

Dunque a Te consacro e dono

Tutto il core e quanto io sono.

Mio Gesù, sol’il tuo Core

L’amor mio sempre sarà.

Voglio solo a Te piacere

Nel patire e nel godere;

Quel che piace a Te, mio Amore,

A me sempre piacerà.

“Anima innamorata della bellezza di Dio.”

Ami chi vuole altri, che Dio;

Dio solo, solo amar vogl’io.

Mio Dio, mia Vita,

Beltà infinita,

Se te non amo, chi voglio amar?

E qual giammai può amare un core

Beltà più grande degna d’amore!

Egli è si bello

Che poco è quello,

Ch’anche i Beati ne sanno in Ciel.

Alme, che stolte perdute gite

Amando in terra beltà mentite;

E non mirate

Che non trovate

Mai pace vera nei vostri amor?

Amate, amate, chi ‘n ver si chiama

Bello infinito e tanto v’ama.

O voi beate,

Se voi l’amate,

Se voi sapete a Dio piacer.

Alme voi sante, che amate Dio,

Dite s’è vero quel che dich’io.

Dite a chi sente,

Quanto contente

Egli vi tiene in terra ancor

Ma voi felici poi che direte,

Quando già in porto un dì sarete?

Quando nel Cielo

Già senza velo

Vedrete Dio bello qual’è?

Oh se tornasse la vita mia,

Altro che amarlo io non faria;

Ma almeno in questa

Vita che resta

Altro che amarlo non voglio far.

Ne sei contento, mio bel Signore?

Ma se Tu ‘l vuoi, dammi il tuo Amore;

Senza tua mano,

Io cerco invano

Amarti, o mio caro Gesù.

Ma Tu più m’ami di quel ch’io t’amo,

Cerchi il mio amore più ch’io nol bramo.

Dunque, mio Dio,

Tu già sei mio,

Io tutta tua sempre sarò.

“Anima che sospira il Paradiso.”

Io mi moro per desio

Di vederti, o mio Gesù;

Già m’annoia, o mio bel Dio,

Il più vivere quaggiù.

Star lontan da Te, mio caro,

È un tormento così amaro,

Ch’io soffrir nol posso più.

Vivo qui da Te diviso,

Ma a Te fido e sempre grido,

Paradiso, Paradiso.

Vedo già ch’è fumo e pena

Quanto il mondo all’uomo dà;

Tutto è inganno e tutto è scena,

Che tra breve finirà.

Qual sia poi l’affanno mio,

Ch’ognor posso perder Dio,

Chi sa amarlo ben lo sa.

Dunque a Te rivolgo il viso,

Te sol miro, a Te sospiro,

Paradiso, Paradiso.

Tu puoi darmi quanto vuoi,

Non m’inganni, o mondo, no.

Va, dispensa i beni tuoi

A chi stolto li cercò.

Pompe vane, o rei piaceri,

Non sperate ch’io vi speri.

Ch’altro Ben m’innamorò.

Spero in Ciel d’esser assiso:

Questo bramo e questo chiamo,

Paradiso, Paradiso.

Patria bella, ov’all’Amore

In mercede amor si dà,

Ov’il tuo sì bel Signore

Senza vel mirar si fa;

Di venire un giorno anch’io

Ad amare in te il mio Dio,

Quando dato mi sarà?

L’alma mia tra gioia e riso

Quando, quando, va gridando,

Paradiso, Paradiso.

“Anima amante di Dio desolata.”

Selva romita e oscura,

Che col tuo mesto orrore

Sembri nel mio dolore

Fatta compagna al cor;

Abbi tu dunque amica

Pietà del mio tormento,

Lasciami a mio talento

Piangere e sospirar.

Piango, né può giammai

Finire il pianto mio,

Finché il mio caro Dio

Non torno a ritrovar.

Dove, mio Ben, Tu sei?

Ove da me ne andasti

Lontano e mi lasciasti

Misera senza Te?

Dov’è quel tempo oh Dio,

Quando il mio Sposo amante

Col suo Divin sembiante

Tutta mi consolò?

Quando in soave sonno

Con dolce stral d’amore

Prima ferimmi il core,

E poi me lo rapì?

Quando d’amore accesa

Andava io sospirando,

E mi cresceva amando

Il bel desio d’amar?

Ahimè come la calma

Poi si cangiò in tempesta,

Sicché del Ciel funesta

Parmi la luce ancor!

Dove mi porto, o guardo,

Orrore io vedo e sento:

Tutto mi fa spavento,

Tutto m’è pena e duol.

Ahi che mi vedo sempre

Abbandonata e sola;

Né mai chi mi consola

Trovo nel mio dolor.

Mi strazia e non mi uccide

Spietata ognor la morte;

E chiuse aimè le porte,

Scampo non vedo più.

Vorrei fuggir, ma dove

Posso trovare aita,

Se chi può darmi vita

Fugge lontan da me?

Amato mio, soccorri,

Vieni, se m’hai lasciata:

Vedi che sconsolata

Sempre sospiro a Te.

Placati meco ormai,

E torna a me, mia Vita,

E se Tu m’hai ferita,

Sanami ancora Tu.

So ben che di fuggirmi

Giust’hai ragion, mio Bene;

Ma pur le tue catene

Vedi ch’io porto ancor.

E se per me non mai

Vi fosse, oh Dio, perdono,

Sappi che tua pur sono

E sempre tua sarò

T’amo, sebben mi vedo

Nemica agli occhi tuoi.

Fuggimi quanto vuoi,

Sempre ti seguirò.

“Invito di Dio alla solitudine. «Ducam eam in solitudinem et loquar ad cor ejus».”

Dalla tempesta fuggi ed entra in questo Luogo di vera pace ermo e romito:

Lungi qui dalle cure e dal molesto Romor del mondo a riposar t’invito.

Qui della Luce mia il don t’appresto,

Dono agli amanti miei troppo gradito.

Qui vedrai quanto vile il mondo sia,

Quanto dolce il mio Amore a chi il desia.

Quivi la voce mia presto udirai,

Che ti chiama ad amar Me tuo Signore.

Qui vedrai, cara mia, quanto t’amai,

E quanto ingrata tu fosti al mio amore;

D’avermi offeso qui ben piangerai,

E del mio Amor ben sentirai l’ardore.

A farti in fin godere io qui t’aspetto

Un saggio di quel Ciel che ti prometto.

“Sopra la sepoltura di Alessandro il Grande”.

Ecco dove finisce ogni grandezza,

Ogni pompa di terra, ogni bellezza.

Vermi, lutto, vil pietra, o poca arena

Chiudono al fin d’ognun la breve scena.

Saggio chi a Dio donando in vita il core,

Morto si trova al mondo, allorché more.

O tu che leggi, ed ancor tu dovrai

Morire un dì, dimmi che far vorrai?

Morir da abbietto, ed esser poi beato?

O morire da grande e gir dannato?

Pensa e rimedia a tempo ora che puoi,

Che tempo allor non vi sarà più poi.

“Sopra le Massime Eterne.”

Perché al mondo, al tuo nemico

Vuoi servire, o tu cor mio?

E non servi al tuo buon Dio,

Che a servirlo ti creò?

Vivi schiavo d’un tiranno,

Che promette e non attende?

E a chi ‘l serve ingrato rende

Spine e fiele per mercé.

Pens’almen, che un dì la morte

Darà fine alla tua vita;

Ed oimè per te finita

Ogni cosa allor sarà.

Tutt’i beni allor del mondo

Ti saran d’affanno e pena,

In veder che la tua scena

Già si chiude ancor per te.

Questo corpo che tant’ami

Manderà tanto fetore,

Ch’alla puzza ed all’orrore

Da te ognuno fuggirà.

Partirà da questa terra

L’alma sola a render conto

Al Gran Giudice, che pronto

Al suo uscir si troverà.

Che farai tu, peccatore,

Giunto innanzi al Divin Trono,

Quando allor non più perdono,

Ma giustizia vi sarà?

Infelice, spensierato,

Va pensando che dirai,

Quando a vista già sarai

Dell’offeso tuo Signor?

Qual affanno sarà poi

Da quel Tron’esser cacciato,

E in quel fuoco esser gittato,

Che non mai più finirà?

Per te allor d’ogni ristoro

Saran chiuse, oh Dio, le porte!

Cercherai perfin la morte

E neppur potrai morir.

Della morte al gran momento

Avrai dunque o Cielo o Inferno,

O riposo o pianto eterno;

Oh momento! oh eternità!

Mira dunque, finché in vita

Di tua sorte incerto stai,

Quel gran sempre e quel gran mai,

Che in eterno durerà.

Sant’Agostino Roscelli: “Noi non siamo cristiani se non in quanto siamo uniti a Gesù Cristo; se non in quanto abbiamo con Lui perfetta conformità di mente e di cuore…In una parola: conoscere, amare, imitare Gesù Cristo deve essere la principale, anzi l’unica devozione del cristiano”

Sant’Agostino Roscelli: E che andiamo noi, dunque, cercando altrove, quando abbiamo tutto in Gesù?

AMORE A GESÙ CRISTO

(Prima Istruzione)

Gesù Cristo è l’unico oggetto dell’eterno amore del Divin Padre, ed Egli dev’essere pure l’unico oggetto dell’amor nostro. Il Padre ha mandato sulla terra a farsi uomo il Suo Figlio, per farLo conoscere ed amare dagli uomini. Se di Lui il Padre ha parlato al Giordano e sul Tabor fu solo per raccomandare agli uomini quest’amore. Gli uomini non sono graditi a Dio Padre, se non in quanto essi appartengono a Gesù Cristo; né Egli li ama se non in quanto essi amano Gesù; e non li predestina all’eterna felicità del Cielo, se non per la conformità che hanno con Lui.

Gesù Cristo stesso, venendo al mondo, non ebbe altra mira che indurre gli uomini a questo Suo amore. Questo fu sempre lo scopo principale di tutti i Suoi desideri, di tutti i Suoi pensieri, di tutte le Sue azioni, di tutti i Suoi patimenti. Lo dice chiaro Egli stesso in S. Luca: «Sono venuto a portare il fuoco del mio amore sulla terra, né altro Io voglio che vederlo acceso in tutti i cuori».

Anche lo Spirito Santo, in tutte le operazioni che produce nelle anime nostre, non ha altro scopo che di farci conoscere, di farci amare, di farci imitare il nostro Signore Gesù Cristo. Ce ne assicura Gesù stesso nel Vangelo di S. Giovanni, là dove dice che, lo Spirito Santo, venendo, dovrà rendere testimonianza di Lui agli uomini, cioè imprimere la Sua conoscenza nella loro mente, e il Suo amore nei loro cuori. E noi non siamo cristiani se non in quanto siamo uniti a Gesù Cristo; se non in quanto abbiamo con Lui perfetta conformità di mente e di cuore, la quale è un effetto di questo stesso amore.

L’amore, dunque, di Gesù Cristo deve essere l’unico scopo dei nostri desideri, l’unico oggetto dei nostri pensieri, la principalissima occupazione di tutta la nostra vita, il termine felice di tutte le nostre sollecitudini.

A questo amore devono tendere di continuo gli imperfetti; in esso devono esercitarsi i perfetti; e lo devono domandare, con grandissime istanze, gli stessi peccatori.

In una parola: conoscere, amare, imitare Gesù Cristo deve essere la principale, anzi l’unica devozione del cristiano, e soprattutto della religiosa; perché tutte le devozioni sono buone, ma sono buone in quanto si riferiscono a questa, che è la sorgente di tutto il loro merito e di tutte le loro virtù. Questa è la devozione sola ed essenziale del cristianesimo, quella che ci fa veri e perfetti cristiani.

Le altre devozioni sono opere supererogatorie, questa invece è d’obbligo. Le altre, spesse volte, ci aggravano, imponendoci nuove obbligazioni; questa, al contrario, ci solleva, aiutandoci a praticare quelle che abbiamo. Le altre sono mezzi, questa è il fine. Le altre ci aiutano a tendere alla perfezione; questa è il fine e il compimento beato della perfezione stessa.

Eppure chi lo crederebbe? Conviene dirlo proprio con le lacrime agli occhi: si vede oggi nel cristianesimo un’infinità di anime che antepongono l’accessorio al principale, i mezzi al fine e, occupandosi fino allo scrupolo in mille esercizi devoti, trascurano la devozione delle devozioni, quella che noi dobbiamo avere alla sacrosanta persona di Gesù Cristo.

Di qui avviene che tante anime, anche devote, le quali aspirano al grado più sublime della perfezione: con una quantità di ottimi esercizi di pietà, con mortificazioni ed austerità, con orazioni assidue e sublimi, nonostante tutto stanno sempre, finché vivono, terra terra, facendo pochissimo progresso nella virtù, morendo con difetti considerevoli, quali sono: una segreta superbia e pochissima, o quasi nessuna, mortificazione delle inclinazioni naturali e delle passioni. Esse non arrivano mai ad acquistare, in grado considerevole, nessuna delle virtù evangeliche, come sono: una profonda umiltà, una mansuetudine inalterabile, un grande disprezzo del mondo, un grande distacco da se stesse e una continua mortificazione delle inclinazioni dei sensi e delle passioni.

Ora se tutto questo disordine avviene, come dicevo, dal non affezionarsi, dal non applicarsi sufficientemente ad amare la sacrosanta persona di Gesù Cristo; dal non studiare abbastanza la Sua vita, la Sua virtù, i Suoi esempi, la Sua dottrina, dal non meditare ed approfondire i Suoi misteri, le Sue grandezze, i Suoi meriti, i Suoi benefici e le obbligazioni infinite che noi Gli dobbiamo, e dal non stare continuamente uniti a Lui per mezzo di una perfetta conformità di cuore e di mente, è ben giusto, Sorelle mie, che noi ci applichiamo seriamente e ci dedichiamo interamente all’amore di Gesù Cristo, ed amiamo questo nostro divin Salvatore, veramente di cuore come si deve.

E perché possiamo meglio riuscire in ciò, ho pensato di toccare in questa istruzione e in qualche altra, alcuni motivi tutti propri, per risvegliare ed accendere nelle anime nostre questo santo divino amore. Udite dunque con attenzione.

Il primo motivo che ci deve indurre ad amare Gesù Cristo è: perché Egli è amabile infinitamente, essendo in Lui tutte le perfezioni create ed increate, umane e divine, spirituali e materiali, assolute e relative, tanto che non può solamente appagare l’intelletto, rubarci il cuore, ma ancora contentare le nostre esigenze e allettare i nostri sensi; obbligandoci quasi ad amarLo.

In verità, chi non sa che Gesù Cristo è Dio? Dunque, Egli possiede, anzi è, una bellezza, una bontà, una potenza, una sapienza, una santità, in una parola, una perfezione infinita. Dunque; noi troviamo in Lui di che soddisfare i nostri desideri, siano pure grandi e ambiziosi; troviamo di che riempire l’immensa capacità del nostro cuore, che non può adeguatamente essere riempito da un bene creato e finito.

E che andiamo noi, dunque, cercando altrove, quando abbiamo tutto in Gesù?

Aggiungete che Gesù Cristo è anche uomo: e il corpo e la natura che Egli ha, hanno reso queste bellezze e queste perfezioni, benché tutte divine, le hanno rese, materiali e sensibili, accessibili alla nostra fiacchezza e proporzionate ai nostri sensi.

Come, dunque, possiamo astenerci dall’amare questo Gesù così amabile, avendo in Lui, quale termine del nostro amore, un oggetto che è insieme divino ed umano, spirituale e sensibile e perciò valevole ad appagare la mente e il cuore, la ragione e i sensi? Un oggetto tale, insomma, che deve riscuotere, quanto è in noi di rispetto, di stima e di tenerezza.

Dio si è fatto uomo, dice S. Agostino, perché l’uomo, che è composto di due sostanze tanto differenti, una tutta spirituale, l’altra tutta materiale, avesse in un Dio-uomo, tutto ciò che può sublimare tutte e due queste sostanze, e non fosse obbligato, dividendo il suo cuore, a dividere il suo amore tra Dio e la creatura, ma trovando nell’umanità di Gesù di che santamente occupare i suoi desideri, di che accontentare i suoi sensi; e nella divinità di che appagare l’intelletto ed il cuore, facesse consistere in Lui ogni suo bene ed ogni sua felicità nell’amarLo.

Sorelle mie! Se un tantino di bellezza, se una minima perfezione che si trovi in una creatura miserabile è capace di abbagliarci gli occhi, di stupirci la mente, d’incantarci, quasi con magica forza, il cuore; quale dolore dovrebbe essere per noi il vedere che l’insieme e l’unione di tutte le perfezioni divine ed umane, spirituali e materiali, qual’è Gesù Cristo, non basti ad appagare il nostro spirito, a rubarci il cuore, a meritare il nostro amore? È pazzia questa, è cecità, è stupidità, ovvero tutte e tre insieme queste cose.

Perché, in verità, chi può mai capire che, non potendo noi trattenerci dall’amare ciò ch’è amabile, come dal non vedere ciò che è visibile, e Gesù, avendo in sé ogni amabilità, anzi essendo Egli il solo amabile, Egli il solo attraente, non debba essere amato da noi?

Ma che dico io a non essere amato? È disprezzato, invece, e abbandonato! Questa lacrimevole ingratitudine, prevista in ispirito dal Profeta, fu deplorata da Lui con le tenere parole: «Stupite, o cieli! Il mio popolo ha commesso due eccessi: hanno abbandonato me, fonte d’acqua viva, e sono andati a scavare cisterne rovinate che non possono tenere acqua».

Ecco, Sorelle mie, quello che accade sempre a noi, quando abbandoniamo Gesù, infinitamente amabile, per correre dietro a creature meschine, il cui possesso non ci appaga ed il cui amore, anziché renderci felici, ci rende miserevoli e colpevoli.

Ora, questo disordine, questa strana stupidità che non si capisce, ma che tuttavia si vede continuamente, è quello che ferisce profondamente le anime, nelle quali è penetrato l’amore di nostro Signore.

È quello che noi stessi piangeremmo amaramente, se non fossimo noi stessi colpevoli; quello che tanto affliggeva, sino a renderle inconsolabili: S. Caterina da Genova e S. Maria Maddalena de’ Pazzi e le riduceva, alcune volte, quasi all’agonia, quando riflettevano che un Dio infinitamente amabile non era amato dagli uomini.

Esse nei dolci sfoghi del loro zelo, e insieme del loro amore e dolore, esclamavano, come fuori di sé: «L’Amore non è amato!».

Fino a quando, figli degli uomini sarete voi sì ciechi di mente e così stupidi di cuore da non vedere la bellezza e da non amare l’Amore? Ciò, o mio amatissimo Gesù, sarà fino a che Voi stesso, che siete la luce del mondo, non veniate ad illuminare, a sollevare, a fortificare le nostre menti, affinché diventino capaci di conoscervi; sarà fino a che non veniate a distaccare, a purificare, a riscaldare i nostri cuori per renderli capaci di amarVi, facendo, non solo vedere alla nostra mente la Vostra bellezza, ma sentire anche al nostro cuore la forza del Vostro incanto, affinché noi confessiamo che non c’è altro di bello, di perfetto, di amabile all’infuori di Voi; e di conseguenza Voi solo meritate di essere amato da noi.

Ma un altro motivo ci spinge ad amare Gesù di vero amore: quello che Egli per primo ha amato noi.

Sì, non tanto dobbiamo noi amare Gesù, perché è amabile infinitamente in Se stesso, per le Sue ineffabili perfezioni, ma anche, e molto di più, perché Egli ci ha amato per il primo. E in qual modo Gesù ci ha amato? Ci ha amato molto più di quanto noi amiamo noi stessi, eppure tutti sappiamo a qual punto arrivi il nostro amor proprio.

Ci ha amato tanto che se tutti gli uomini si unissero insieme per amarci con tutte le loro forze, il loro amore sarebbe di minor proporzione di quello che ci porta Gesù Cristo, proporzione simile a quella che ha una goccia d’acqua in confronto a tutto il mare.

Anzi, se voi unite in un solo cuore tutto l’amore, che hanno portato e portano a Dio, per tutta l’eternità, tutti i santi, tutti gli angeli e la stessa beatissima Vergine, non lo si potrebbe ancora paragonare all’amore che a noi porta Gesù, perché tutto questo è amore finito, quello di Gesù invece è infinito.

Perciò S. Giovanni, parlando dell’amore di nostro Signore Gesù Cristo verso gli uomini dice che esso è stato eccessivo; che l’amore in questo caso ha ridotto all’estremo la sua potenza e, sebbene Egli sia Dio e sia onnipotente, non potrebbe fare di più per gli uomini: cum dilexisset suos qui erant in mundo, in finem dilexit eos.

Infatti, se noi riguardiamo Gesù come Dio, non ci ha Egli amato eccessivamente, avendoci amato per tutta l’eternità di un amore così efficace, che doveva poi produrre, nel tempo, effetti sì grandi, quali sono tutti i beni della nostra redenzione?

Se noi Lo riguardiamo come uomo, non è un eccesso di amore l’aver pensato a noi dal primo all’ultimo istante della Sua vita, e che ogni Suo movimento sia stato un’espressione del Suo amore verso di noi?

Un eccesso di amore non è l’averci amato più della stessa Sua vita, avendo sacrificato tutto per ottenere di essere amato da noi?

E quel che è più, non è un eccesso di amore l’aver fatto questo sacrificio con allegrezza e con gusto, tanto che il Suo amore per noi gli rese dolce e dilettevole anche la morte, perché doveva tornare a nostra salvezza?

Un eccesso di amore non è essere Egli ancora pronto, secondo l’affermazione che fece ad un’anima santa, a rinnovare ogni giorno questo sacrificio per ciascuno degli uomini in particolare, se fosse necessario, per assicurare la sua salute e guadagnarsi l’amor suo?

Da tutto questo, dunque, ne segue che l’amore che Gesù portò agli uomini, finché visse, fu così grande che se Egli si fosse abbandonato al Suo impeto e non ne avesse, con la forza della Sua divinità, repressi gli impulsi, sarebbe morto di amore verso gli uomini. Quale obbligo avremmo noi di amare Gesù, se Egli fosse morto di solo amore verso di noi?

Ma Gli siamo forse meno obbligati, perché Egli ha miracolosamente preservata la Sua vita dagli ardori della Sua carità, al fine di sacrificarla poi, per noi con una morte non meno infame che dolorosa?

O mio divin Salvatore, anche se Voi non foste tanto amabile, quanto Lo siete per Voi stesso, anche se non ci aveste fatto alcun bene, anche se non aveste per noi sofferto alcun male, potremmo noi far a meno di rendervi amor per amore, e amar Voi con tutte le nostre forze, che sono finite, poiché Voi ci avete amati con tutte le Vostre, che sono infinite?

Se persino una bestia, quando ci mostra con le sue moine d’esserci affezionata, ci induce ad amarla teneramente; solamente l’amor Vostro, o mio Gesù, perché è eterno, infinito, disinteressato, non avrà forza sopra di noi, non si guadagnerà da noi amore per amore, e sarà, invece, contraccambiato da noi con disprezzo e con indifferenza?

Non permettere, o Gesù mio, che noi ci facciamo rei d’una così orribile ingratitudine. Noi non Vi amiamo davvero: perché se Vi amassimo veramente di cuore, non penseremmo così poco a Voi, come facciamo; né così poco rifletteremmo sopra di Voi, né temeremmo così poco di disgustarvi.

Se noi Vi amassimo, non saremmo così poco zelanti della Vostra gloria, né così poco addolorati dagli oltraggi, che Vi sono fatti ogni giorno; non sarebbe così grande la nostra indifferenza, la nostra resistenza alla Vostra grazia, la nostra ingratitudine ai Vostri benefici, né così poco sarebbe il nostro ardore di seguire i Vostri esempi. Ma, accendete Voi, o mio Gesù, le fiamme dell’amor Vostro nei nostri cuori, e fate che cominciamo almeno da questo momento a dirVi con verità coll’apostolo Pietro: «Voi sapete, Signore, che noi Vi amiamo: Domine, tu scis quia amamus te». Amen.

(Sant’Agostino Roscelli “Istruzioni su N. S. Gesù Cristo”)

 

Sant’Agostino Roscelli: “Gesù è il fondamento della nostra salvezza; Egli solo è la Via, la Verità, la Vita; Egli solo è la porta per cui deve entrare chiunque desidera salvarsi” “Gesù Bambino ci insegna che dobbiamo anche noi prepararci a soffrire ogni sorta di tribolazioni e di pene; che non si può godere in questa vita e nell’altra; che dobbiamo mortificare le passioni e fare penitenza, e nelle avversità dobbiamo sempre uniformarci ai divini voleri”

 

Sant’Agostino Roscelli (Bargone di Casarza Ligure, 27 luglio 1818 – Genova, 7 maggio 1902) è stato  un sacerdote italiano,  fondò l’Istituto delle Suore dell’Immacolata Concezione, canonizzato da papa Giovanni Paolo II il 10 giugno 2001. La sua memoria liturgica si celebra il 7 maggio.

« L’amore di Dio per gli uomini si è manifestato con particolare evidenza nella vita di sant’Agostino Roscelli, che oggi contempliamo nel fulgore della santità. La sua esistenza, tutta permeata di fede profonda, può essere considerata un dono offerto per la gloria di Dio e per il bene delle anime. »
(Giovanni Paolo II, omelia durante la canonizzazione di 5 beati, 10 giugno 2001])

Sant’Agostino Roscelli:

QUANTO SIA NECESSARIO CONOSCERE BENE GESÙ CRISTO

Sapete voi, Sorelle mie, perché l’Eterno Padre mandò sulla   terra il Suo Divin Figlio a farsi uomo simile a noi? Uno dei principali   motivi fu, perché gli uomini Lo conoscessero e, conoscendoLo, si   risolvessero una buona volta ad amarLo e a servirLo.

Dopo tanti secoli che Egli aveva creato il mondo e quanto in  esso si trova, gli uomini, creati anch’essi da Lui, non sapevano ancora   chi fosse il loro Creatore, il loro Signore, il loro Dio, ad eccezione  del popolo ebreo, a cui Egli si era manifestato più volte.

Questa conoscenza di Gesù Cristo è ritenuta così importante,   che in essa, come Egli stesso si esprime in S. Giovanni al c. 17, fa   consistere tutta la vita eterna: «Affinché conoscano Te, solo e vero   Dio, e Colui che hai mandato Gesù Cristo».

È per questo che i Santi Apostoli, compresi di questa verità,   si applicarono interamente allo studio di Gesù Cristo, e non ebbero   altro fine nella loro predicazione e nel loro zelo che di farLo   conoscere a tutto il mondo. S. Paolo nelle sue lettere Lo nomina più di   duecento volte e si mostra tanto sollecito nel conoscere bene Gesù   Crocifisso, che in paragone di questa sublime scienza, stimava un nulla   tutte le altre cognizioni che egli aveva.

Tutti i Santi della Chiesa erano così persuasi, che senza lo   studio del Crocifisso non è possibile fare un passo nella via della   virtù, che avevano continuamente gli occhi rivolti a questo libro di   Paradiso, e non sapevano darsi pace, finché non l’avessero bene   assimilato, mostrandoci così:

che Gesù è il fondamento della nostra salvezza; che Egli solo è la Via, la Verità, la Vita;

che Egli solo è la porta per cui deve entrare chiunque desidera   salvarsi; che Egli solo è il pastore che può difendere le pecore dalle   insidie del lupo e condurle salve all’ovile del Paradiso.

Chi non cammina per questa strada, chi non entra per questa   porta, chi non ascolta la voce di questo pastore, non può sperare di   entrare in possesso di Dio. «Il Padre conosce il Figlio, e colui al   quale il Figlio avrà voluto rivelarsi».

Importa dunque sommamente, Sorelle mie, che ci occupiamo anche   noi di proposito, a conoscere Gesù, Signor nostro; che fissiamo lo   sguardo con seria applicazione sopra tutte le azioni della Sua   santissima vita, per apprendere da Lui il vero modo di vivere da buone e   perfette religiose. Io mi sono proposto di mostrarvi brevemente, quanto   sia importante e necessaria questa conoscenza di Gesù Cristo, affinché   voi non tralasciate uno studio così salutare, se volete essere Sue vere   seguaci.

La conoscenza che deve avere di Gesù Cristo chiunque desidera salvarsi deve essere di due specie: speculativa e pratica.

SPECULATIVA, in quanto ogni cristiano deve vedere e   tenere per fermo, quanto ci insegna la fede su Gesù Cristo che cioè Egli   è vero Dio e vero uomo: come Dio è uguale al Padre e allo Spirito   Santo, avendo con Essi una medesima natura divina, e perciò è eterno,   onnipotente, immenso, infinito, come il Padre e lo Spirito Santo; come   uomo è nato nel tempo da una Vergine Madre, perciò mortale e passibile   come noi.

Essendo noi tutti schiavi di Lucifero, nemici di Dio, destinati   a morte eterna per il peccato di Adamo, il Divin Padre, nella Sua   infinita misericordia, manda questo Suo Figlio sulla terra ad assumere   la nostra carne, affinché con i Suoi patimenti e con le Sue umiliazioni,   cancelli le nostre colpe e risani le nostre piaghe.

Egli perciò, è quel medico celeste che può liberarci dalle   nostre infermità, renderci la salvezza e donarci la vita; S. Pietro dice   che non vi è nessun altro mezzo di salvezza, né altro nome sotto il   cielo che sia stato dato agli uomini per cui si possano salvare.

Essendo Cristo il nostro mediatore tra Dio e l’uomo, senza di   Lui non è possibile riconciliarsi con Dio, divenire Suoi figli di   adozione, riacquistare il diritto al Paradiso.

Queste verità, che tutti dobbiamo credere con fermissima fede,   Dio ce le ha raffigurate nel serpente, innalzato da Mosè nel deserto per   divino consiglio. Eccone la storia. Gli. Ebrei, annoiati per il lungo   viaggio e stanchi per le dure fatiche che erano costretti a soffrire,   cominciarono a mormorare contro Dio e contro il loro condottiero Mosè.

«Perché Dio ci ha fatto uscire – dicevano – dall’Egitto, per   farci morire in questa solitudine? Qui non abbiamo casa, ci manca   l’acqua, il nostro corpo ormai è annoiato di questo leggerissimo cibo,   noi insomma non possiamo più vivere».

Dio, per la temerarietà e la durezza di cervice di questo   popolo ingrato, mandò dei serpenti velenosi che mordevano gli Israeliti e   li facevano morire. Gli Ebrei, spaventati da così terribili castighi,   ricorsero a Mosè affinché li liberasse da quell’orribile flagello. Il   Signore misericordioso esaudì la preghiera del Suo servo, e gli ordinò   di innalzare un serpente di bronzo, promettendogli che tutti coloro che   venivano morsi, se avessero fissato il serpente, sarebbero stati   risanati. Mosè fabbricò il serpente, lo pose in un luogo dove poteva   facilmente essere visto da tutti, e i feriti che lo guardavano   rimanevano guariti.

Non altrimenti avviene a noi, rispetto a Gesù Cristo. Egli è   l’unico rimedio che ci ha somministrato la divina bontà, per guarirci da   tutti i danni del peccato. Chi fissa lo sguardo in Lui, che fu   innalzato sulla croce per la salvezza del genere umano; chi, cioè,   conosce Lui e in Lui crede, guarisce e risana dalle velenose ferite   della colpa e riacquista la salute; chi Lui non guarda, ossia non Lo   conosce e in Lui non crede, è già condannato e perisce per sempre, come   sarebbero miseramente morti quegli Israeliti, che non avessero rivolto   lo sguardo verso il serpente di bronzo.

Miseri noi, mie dilettissime, se fossimo nati o tra gli Ebrei, i   quali si scandalizzano del mistero della croce, o in mezzo ai gentili e   agli infedeli che Lo ritengono per pazzo! Da chi potremmo aspettarci   medicina e rimedio ai nostri mali? Anche noi, come tanti Ebrei e   gentili, avvolti nelle tenebre e nell’ombra di morte, dopo aver   condotta, nell’ignoranza e nel disordine delle passioni, una vita   infelice, dovremmo precipitare anche noi nell’inferno per tutta   l’eternità. Quanto amore e ringraziamento dobbiamo a Dio Padre! Egli,   infatti, per mezzo del Vangelo, ci ha resi partecipi della sorte dei   Santi, ci ha liberati dalla potestà delle tenebre, ci ha trasportati nel   regno del Suo Figlio, di cui ha voluto far conoscere le ricchezze della   Sua gloria.

PRATICA. La cognizione speculativa che tutti dobbiamo   avere del nostro Divin Salvatore, non basta da sola a farci conseguire   la vita eterna.

Chi vuol salvarsi, oltre a credere fermissimamente quanto la   fede insegna riguardo a Gesù Cristo, deve avere di Lui anche una   cognizione pratica, che diriga la sua vita.

Quindi molto si inganna, dice S. Giovanni, chiunque si vanti di   conoscere Gesù e non osserva i Suoi comandamenti; e soggiunge che chi   desidera di vivere unito a Lui, cioè di partecipare al Suo Spirito, deve   camminare per quella stessa strada che fu battuta da Gesù, che è Via,   Verità e Vita.

È Via, perché ha voluto precederci col Suo esempio; è Verità,   perché i Suoi insegnamenti sono tutti divini; è Vita perché Egli solo   può risanarci con la Sua grazia e renderci degni dell’eterna ricompensa.

Come Verità, ci illumina con la Sua dottrina, affinché non   sbagliamo; come Vita, ci somministra i Suoi aiuti per darci la forza di   rettamente operare; come Via, ci conforta con i Suoi esempi, perché non   ci perdiamo mai di coraggio.

Siccome, dunque, dobbiamo credere in Lui, perché è la stessa   Verità; sperare in Lui, perché è la Vita, così dobbiamo seguire Lui con   l’imitazione perché è la Via. Il divin Padre, non darà la gloria del   Cielo, se non a coloro che saranno trovati conformi all’immagine del Suo   Figlio. L’apostolo S. Paolo ce ne fa chiara testimonianza nella lettera   ai Romani; e S. Pietro dice che Cristo ci ha dato l’esempio affinché   seguiamo le Sue orme.

«Prendete sopra di voi il mio giogo – dice Egli stesso in S.   Matteo – perché sono mite e umile di cuore, e troverete pace nel vostro   spirito».

Come potremo noi divenire imitatori di Gesù Cristo? Per   divenirlo dobbiamo spogliarci dell’uomo vecchio e terreno, per   rivestirci dell’uomo nuovo tutto celeste; deporre cioè gli abiti   viziosi: l’ira, lo sdegno, la simulazione, l’impazienza, ed indossare   invece gli abiti virtuosi: la misericordia, la benignità, la modestia,   l’umiltà, la pazienza e soprattutto la carità, che è il vincolo di ogni   perfezione.

Senza saper bene ciò che Egli ha fatto, senza aver sempre   dinanzi agli occhi questo divino Esemplare, come potremmo ricopiare in   noi stessi la Sua immagine e divenire Suoi veri discepoli in questa   vita, per poi partecipare alla Sua gloria nell’altra? Ecco, dunque,   l’importanza e la necessità che tutti abbiamo di conoscere praticamente   Gesù Cristo, nostro amorosissimo Salvatore.

Dobbiamo studiare attentamente la Sua santissima vita e   meditare a lungo le grandi virtù che in tutte le occasioni e in tutte le   azioni esercitò, per poter regolare la nostra condotta sull’esempio che   Egli ci diede.

Con questo studio impareremo ad essere umili, perché Gesù fu umile; impareremo ad essere mansueti, perché Egli fu mansueto.

Come potremo insuperbirci delle nostre qualità e dei nostri   talenti, considerando che Gesù, per guarire noi dalla nostra superbia,   ha voluto essere trattato da sciocco e da ignorante?

Come presumere di essere tenuti in considerazione, riflettendo che Gesù ha sofferto il disprezzo e fu posposto ad un ladrone?

Come covare nel cuore, per ogni torto ricevuto, sentimenti di   odio, di avversione e spirito di vendetta, pensando che Gesù abbracciò   un Giuda e pregò il Suo Padre Celeste per quegli stessi che Lo   crocifissero?

Se noi attendessimo con sollecitudine a questo studio e   procurassimo davvero di imprimerci bene in mente la vita e le azioni di   Colui che, come è nostro capo, così deve essere il nostro esemplare,   quanto sarebbe più conforme a quella di Gesù Cristo la nostra condotta!

Non si vedrebbero certamente tra noi né divisioni né malumori   né discordie. Per ogni contrasto non si avrebbero né impazienze né   lamenti né tanto predominio avrebbe nei nostri cuori l’amore ai comodi e   ai piaceri.

L’amore di Gesù Cristo ci insegnerebbe ad amarci   scambievolmente; a soffrire con rassegnazione le avversità; ad   abbracciare volentieri la penitenza.

Questo era il grande libro che i Santi studiavano assiduamente: la vita di Gesù Cristo.

Da questo libro appresero l’obbedienza e, sull’esempio di Gesù   Cristo che fu obbediente fino alla morte, con quanta sottomissione e   prontezza accoglievano tutte le disposizioni divine!

Da questo libro appresero la mansuetudine e, ad esempio di Gesù   Cristo che, sebbene coperto di obbro-bri dai Suoi persecutori, qual   mansueto agnello non apriva bocca, soffrivano anch’essi con pace   qualunque oltraggio, e mai pensavano a vendicarsene.

Da questo libro appresero ad amare la povertà e, sull’esempio   di Gesù, che, sebbene padrone di ogni cosa si fece povero per noi, con   eroica generosità disprezzavano ricchezze e comodità.

Se i Santi intrapresero grandi fatiche per promuovere la salute   delle anime e dilatare la gloria del nome santo di Dio, l’esempio di   Gesù rendeva instancabile il loro zelo. Se intrepidi andavano incontro   alla morte e soffrivano sereni i più crudeli martiri, l’esempio di Gesù –   dice S. Bernardo – e la considerazione delle Sue pene, li rendeva così   pazienti e così coraggiosi.

Insomma, come non perdevano mai di vista questo divino   Esemplare, così, divenuti simili a Lui, vivevano dello spirito di Lui e   con lo spirito di Lui operavano.

Ma ai nostri giorni sono poche le anime cristiane, e forse   anche religiose, che cercano di ben apprendere questa conoscenza pratica   del Nostro Divin Salvatore. Anzi, direi che oggi questo studio è   trascurato al massimo. Si crede, è vero, che Gesù Cristo è il vero   Figlio di Dio fatto uomo per nostro amore, e come tale si adora, ma poi,   quasi che questa cognizione e questa fede speculativa sia sufficiente   per conseguire la vita eterna, poche, pochissime sono quelle anime   cristiane e religiose che, con diligenza e saggezza, si applicano a   considerare la Sua vita ed i Suoi esempi per imitarli.

Per imparare arti e scienze umane non si risparmia fatica: si   cercano i più eccellenti maestri, si ascoltano volentieri le loro   lezioni, minutamente si considerano l’artificio, la finezza, l’ingegno   delle loro opere; sembra quasi poter giungere, con tale industria, a   farne delle simili. Ma per conoscere bene, con lo studio degli esempi   del nostro divino Maestro, lo spirito, la santità, la perfezione della   nostra santissima religione e per uniformarvi la nostra vita che è   l’arte più importante e la scienza più necessaria, la maggior parte   degli uomini non si dà alcuna premura, né mostra alcun impegno.

Che meraviglia, pertanto, che tra i cristiani stessi, tra le   stesse persone religiose si trovino così pochi veri imitatori e vere   imitatrici di Gesù Cristo! Invece dello spirito di mortificazione, di   umiltà, di pazienza, di rassegnazione ai divini Voleri, di dolcezza ed   affabilità con i nostri prossimi, di distacco dalle misere cose di   questo mondo, si vede signoreggiare l’alterigia, la superbia, l’amor   proprio, l’interesse, la vanità e la propria stima!

Disinganniamoci, Sorelle mie, disinganniamoci, se anche noi   fummo per il passato trascurati nell’attendere alla pratica imitazione   del nostro divin Salvatore. Ricordiamo che per ottenere la vita eterna   che Gesù Cristo ci ha meritato con la Sua passione e morte, non basta   credere e confidare in Lui, bisogna anche seguire i Suoi esempi e   praticare le Sue virtù. Senza quest’imitazione, la speranza degenera in   presunzione e la fede, anziché salvare il cristiano, lo rende più   colpevole.

Dunque, mie dilettissime, non perdiamo mai di vista questo   divin Esemplare e teniamo a Lui rivolti gli occhi e gli affetti,   specialmente là nella grotta di Betlemme, dove Gesù giace bambino per   nostro amore; impariamo la bella lezione che Egli comincia a darci fin   dai primi istanti della Sua vita temporale.

Il Dio della gloria e della maestà, il Padrone dell’universo,   il Re del Cielo e della terra, voi Lo vedete fatto pargoletto, nato, non   in una casa tra le comodità e le agiatezze, ma in una stalla che   neppure è Sua, e ciò per insegnare a noi a fuggire la superbia e ad   essere veramente umili di cuore.

Da quella mangiatoia, alzando verso di noi le Sue manine, ci   mostra quella poca paglia che Gli serve da letto, affinché impariamo che   tutto quaggiù è vanità; che tutti i beni di questa misera vita valgono   meno di poca paglia che, gettata sul fuoco, in un momento si consuma e,   lasciata in balìa del vento, in un batter di occhio viene portata via e   dispersa.

Con le lacrime e con i sospiri, intirizzito dal freddo e privo di ogni soccorso, Gesù Bambino ci insegna che dobbiamo anche noi prepararci a soffrire ogni sorta   di tribolazioni e di pene; che non si può godere in questa vita e   nell’altra; che dobbiamo mortificare le passioni e fare penitenza, e   nelle avversità dobbiamo sempre uniformarci ai divini voleri.

Noi felici, se impareremo da questo Divino Maestro tali lezioni e   le metteremo in pratica; potremo sperare che, avendoLo seguito in   questa vita, Lo andremo a godere un giorno in Cielo e saremo con Lui   beati in eterno. Amen.

 

ALTRI MOTIVI DI AMARE GESÙ CRISTO

(Seconda Istruzione)

Grande sprone ad amare Gesù Cristo è certamente il considerare   quanto Egli sia amabile per Se stesso, per le infinite perfezioni che in   Sé contiene, come Dio e come uomo, poiché, se un po’ di bellezza, se   una minima perfezione che si trovi in una miserabile creatura, è capace   di abbagliarci gli occhi, di meravigliarci la mente, d’incantarci, quasi   con magica forza, il cuore, come può essere che l’insieme e l’unione di   tutte le bellezze, di tutte le perfezioni divine ed umane, spirituali e   materiali, qual’è Gesù, non basti ad appagare il nostro spirito, a   conquistare il nostro cuore e a meritare il nostro amore?

Così pure, un’enorme spinta ad amare Gesù è il pensare che Egli   ha amato noi di un amore immenso, perché solo l’amore è il prezzo   giusto con cui si può pagare l’amore, e ne è il mezzo più efficace per   farsi amare.

Questi sono i due primi motivi che, come abbiamo visto l’altra   volta, ci devono indurre ad amare Gesù Cristo, Signor nostro, di tutto   cuore, ma non sono i soli motivi. Due altri ci si presentano così   efficaci, che quasi a viva forza trascinano a questo amore.

Questi sono:

1°) perché Gesù desidera ardentemente d’essere amato;

2°) perché, per esserLo, ci ha arricchiti di beni infiniti a costo dei Suoi patimenti; come appunto considereremo questa sera.

Davide, nei salmi, si meraviglia che Dio, re dei re e Signore   dei dominanti, si degni di ricordarsi degli uomini; e Giobbe rimane   attonito al vedere che Dio non disdegna di riguardare l’uomo, miserabile   creatura, e di porre in lui il Suo divino amore.

Ma che avrebbero detto questi due profeti se avessero visto   Dio, d’immensa maestà e grandezza, beatissimo in Se stesso, non   bisognoso di alcuno, desiderare e chiedere istantemente all’uomo l’amor   suo? Eppure questa sollecitudine e questo ardore che Dio ha di vedersi   amato dagli uomini, ci viene spiegata in cento passi della Divina   Scrittura.

Questo ci dimostra la voce premurosa della Sapienza che esclama: «Praebe, fili mi, cor tuum mihi».

Questo ci fanno intendere nei sacri cantici le tenere   sollecitudini dello sposo, che è la figura di Gesù, il quale con ardore   invita la sposa, che è l’anima fedele, ad amarLo, ad accoglierLo, ad   aprirGli la porta del suo cuore: «aperi mihi, soror mea, sponsa mea».

Questo troviamo nel Vangelo, ricordiamolo: lo zelo ardente, per   cui il buon pastore Gesù va in cerca della pecorella smarrita; il   rammarico che Egli prova che essa si sia sviata e perduta; l’eccessiva   allegrezza che mostra nell’averla ritrovata.

Questo lascia intendere Gesù, quando esclama:

«Sitio – ho sete» non per mostrare la sete materiale che pativa   nel corpo, ma l’ardore con cui desiderava d’essere amato dagli uomini.

Questo, finalmente, dimostra, quando Gesù così vivamente chiede   a S. Pietro per tre volte se L’amava: «Simone di Giovanni, mi ami tu?»   Ora, Sorelle mie, poteva Gesù Cristo, Signore nostro, mostrarci più   efficacemente l’ardente desiderio, ch’Egli ha, d’essere amato da noi?

Eppure nemmeno questo Gli basta: Egli ci invita ad amarLo   ancora con le promesse; ci sollecita continuamente con le Sue   ispirazioni; «sto ad ostium et pulso»; ci obbliga coi suoi comandamenti:   dilige Dominum Deum tuum ex toto corde tuo; ci costringe, in certo   modo, con le minacce: qui non diligit manet in morte.

Finalmente, tutto ciò ch’Egli propone, tutto ciò che produce   nell’ordine della natura e della grazia, non tende ad altro che ad   obbligare l’uomo ad amarLo. E noi non L’ameremo ancora?

Se l’ardente desiderio, se le istanze replicate di un uomo   c’importunano, e ci costringono spesse volte a concedergli quello   ch’egli vuole, benché ne abbiamo poca voglia, perché solo le tante   promesse di Gesù, con cui Egli richiede il nostro amore, rimarranno   senza effetto? «Mio Dio, Voi comandate, diceva S. Agostino, ch’io Vi   ami; se non V’amo mi minacciate eterni castighi; quale disgrazia può   esservi al mondo maggiore che quella di non amarVi?».

Se mi volete spaventare, non mi minacciate il fuoco   dell’inferno, minacciatemi solamente ch’io non arda del fuoco del Vostro   amore. Questa minaccia sarà per me assai più terribile di quella di   mille inferni, poiché, se in mezzo alle fiamme dell’Inferno, potesse   cadere nel cuore di quei miseri dannati una scintilla dell’amor Vostro,   l’Inferno non sarebbe più tale; come il Paradiso non sarebbe più   Paradiso per i beati, se essi potessero stare nel cielo un solo istante   senza amarVi. Perché, dunque, o mio Gesù, io non Vi amo, sebbene,   esaminando il mio cuore, mi sembri di desiderare di amarVi, e Voi pure   lo desiderate con più ardore di me? Questo avviene perché il mio   desiderio non è efficace né sincero come il Vostro.

Fate dunque, Gesù mio, ch’io desideri sinceramente d’amarVi e   fin d’ora sinceramente Vi ami, non tanto per il desiderio che Voi avete   dell’amor mio, quanto per i beni ineffabili che mi avete donato o   meritato.

Se noi dobbiamo amare Gesù per quello ch’Egli è in Se stesso,   per l’amor ch’Egli porta a noi, per il desiderio ardente ch’Egli ha di   vedersi da noi amato; Lo dobbiamo amare ancor più per i benefici   innumerevoli che ci ha fatto senza misura e a così caro prezzo.

Ma sapete voi dirmi, Sorelle mie, quali e quanti siano questi   benefici che il Figlio di Dio, fatto uomo, ci ha elargito in ogni tempo?

S. Paolo ci avverte che, per Gesù Cristo, noi siamo fatti   ricchi di beni spirituali e temporali. Sì, o Gesù, noi Ti siamo debitori   dei benefici ineffabili della redenzione, della predestinazione, della   vocazione religiosa, di quella gloria che ci aspetta nel cielo e che   deve essere la corona di tutti gli altri benefici.

E qui, fermandoci sul beneficio che ci ha fatto della   redenzione, riflettete un poco, Sorelle mie, come Gesù ha voluto essere   nostro Redentore dal primo, fino all’ultimo istante della Sua vita.

Egli non ha pensato che a noi, non ha operato, non ha pregato,   non ha faticato, non è vissuto se non per noi; non ha fatto un passo,   non ha pronunciato una parola, non operato un miracolo, non emesso un   sospiro, non versato una lacrima, non sparsa una goccia di sangue che   non sia stata per noi. Così che noi possiamo incontrare i benefici di   Gesù e le obbligazioni che noi Gli dobbiamo, in tutti i palpiti del Suo   cuore, di cui siamo stati sempre l’oggetto o il fine, in tutti i   momenti della Sua vita.

Anche se Gesù non avesse emesso per noi che un sospiro, non   avesse sparso che una lacrima, non avesse formato un solo movimento del   Suo cuore, non dovremmo noi esserGli infinitamente obbligati, essendo   ognuno di quei momenti di un valore infinito?

Che dobbiamo noi, dunque, dire e pensare, vedendo che Egli non   ne ha formato neppure uno che non sia stato per noi? Converrà certamente   confessare che noi abbiamo verso di Lui un’infinità di obbligazioni e,   per conseguenza, un’infinità di motivi per amarLo, se fosse   possibile, infinitamente.

Aggiungete che a Gesù dobbiamo la grazia e l’amicizia col   Padre, nella qualità di figli di Dio, ed eredi dell’eterna beatitudine. A   Gesù dobbiamo tutti i beni che riceviamo da Dio durante la giornata. Se   Dio ci conserva, se ci difende, se concorre con noi nelle nostre   azioni, è per riguardo a Gesù.

Da Gesù riceviamo tutte le grazie, tutti i lumi, le   ispirazioni, i buoni pensieri, la corrispondenza alla grazia, la   protezione nei pericoli, la forza nelle tentazioni, la tolleranza nel   male, la pazienza nei dolori, la perseveranza nel bene.

Ora, se continuo è il flusso dei beni e delle grazie che   provengono da Gesù, nostro capo, a noi, Suoi membri, non è ragionevole   che continuo sia il riflusso di amore e di riverenza verso di Lui,   nostro capo, da cui tutto riceviamo, e senza il cui aiuto non possiamo   fare alcun bene, come ci disse Egli stesso: «Sine me nihil potestis   facere?».

Aggiungete che i benefici che noi riceviamo da Gesù sono   considerevoli per numero, ma lo sono molto più, per le circostanze che   li accompagnano. Infatti, non ce n’è neppure uno, per quanto sembri   piccolo in se stesso, che non sia in certo modo, infinito, poiché   proviene da una persona infinita; procede da un amore infinito ed ha per   termine una beatitudine, in qualche modo, infinita.

Non ce n’è uno solo che non sia eterno, non solamente perché   viene da un amore eterno, ma anche perché ci conduce ad una felicità   eterna.

Non ce n’è neppure uno che non sia singolare, anche tra quelli che appaiono più comuni.

Primo: perché i benefici di Dio sono come il Suo cuore, il   quale non si divide e non diminuisce nel comunicarsi, in quello stesso   modo che il sole, illuminando tutto l’universo, comunica ad ogni cosa in   particolare la sua luce con tanta abbondanza, come se non illuminasse   altro che quella. Secondariamente:

perché Egli ci fa le grazie, anche se generali e comuni, con   un’attenzione particolare a noi, come se non le facesse se non per noi.

E finalmente, perché tale è la Sua buona volontà verso di noi   ch’Egli ci comunicherebbe i Suoi beni, anche se fossimo noi soli che ne   dovessimo approfittare. Per questo S. Paolo riconosceva favore   personale, il beneficio della redenzione, come se Gesù Cristo non fosse   morto che per lui.

Dopo queste considerazioni, potremo ancora rimanere indifferenti verso Gesù? Non ci risolveremo ancora ad amar Lo?

Se i benefici hanno forza meravigliosa per attrarre il cuore,   che persino le bestie non possono fare a meno di dimostrare amore e di   usare gratitudine ai loro benefattori, un numero così grande di benefici   che abbiamo ricevuto da Gesù, non dovrà produrre in noi nessun effetto?

Noi ci vantiamo d’essere generosi con gli amici; d’esser teneri   verso creature bisognose che dimostrano di amarci e di essere a noi   grate per i benefici ricevuti; e poi saremo insensibili alle   dimostrazioni di amore di un Uomo-Dio; saremo ingrati ai suoi ineffabili   benefici? Perché? I benefici di Gesù, per essere singolari, continui,   eterni, infiniti, per essere benefici di un Dio, mutano forse natura?

Saranno essi soli che non meritino l’amor nostro, che non si   guadagnino i nostri cuori? Si dovranno anzi, contraccambiare con   indifferenza, con disistima, con ingratitudine?

Come si può pensare ciò senza rimanere attoniti per meraviglia, o senza morire di vergogna, o di dolore?

Eppure vi è ancora di più. Gesù Cristo non solo ci ha   arricchiti di tutti i Suoi beni, ma ci ha donato anche Se stesso nella   S. Eucaristia, cioè ci ha donato il Suo corpo, il Suo sangue, l’anima   Sua con tutti i Suoi meriti, la Sua divinità con le Sue infinite   perfezioni, e ci ha fatto questo grande dono nel modo più perfetto che   si possa immaginare.

Gesù nell’Eucaristia è nostro Padre, nostro Fratello, nostro   maestro, nostro compagno, nostro cibo, nostro pastore, nostro rimedio,   nostro medico, nostro viatico, nostra guida.

È il prezzo del nostro riscatto, il rimuneratore delle nostre azioni, il premio delle nostre fatiche.

Se Gesù ha dato a noi non solamente i Suoi beni, ma tutto Se   stesso, possiamo noi fare a meno di darci interamente a Lui? È forse una   disgrazia così grande l’essere tutte di Gesù, che necessiti di tanta   discussione per risolverci ad amarLo?

Mio divin Salvatore, io già tante volte ho detto che Vi dono il   mio cuore e che voglio essere Vostro perfettamente, ma questa mia   promessa, sebbene fatta seriamente non l’ho mai mantenuta e sono stato   incostante nelle mie risoluzioni.

Adesso, però, voglio essere tutto Vostro davvero, senza   restrizioni e per sempre. La mia vuole essere una donazione irrevocabile   del mio cuore.

Vi consacro il corpo e l’anima mia, tutti i pensieri della mia   mente, tutti gli affetti del mio cuore e tutte le azioni della mia vita,   protestando dinanzi al cielo ed alla terra, di voler essere Vostro,   tutto Vostro in vita e in morte, nel tempo e nell’eternità.

A questo m’invitano le Vostre ineffabili perfezioni; a questo   mi obbligano gl’innumerevoli benefici, che Voi mi faceste di tutto Voi   stesso nella S.S. Eucaristia; a questo, finalmente, mi sforzano   gl’inesprimibili patimenti a cui Vi assoggettaste, al fine di farmi   tutti questi grandi beni.

Sì, Sorelle mie, non tanto dobbiamo amar Gesù Cristo per quello   che è in Se stesso o per i benefici ineffabili che ci ha fatto, ma   molto più dobbiamo amarLo per i patimenti crudeli, ch’Egli ha voluto   soffrire per procurarci questi stessi benefici, poiché il patire per la   persona amata è la prova più convincente dell’amore.

Voi lo sapete, quanto Gesù ha patito, per fare del bene a noi!   La stalla di Betlemme, ove nacque bambino, adagiato su ruvida paglia, Lo   intirizzì dal freddo, poiché sprovvisto di tutto; la bottega di   Nazaret, dove stentò tanti anni per guadagnarsi il vitto, in compagnia   di Giuseppe e di Maria; le grandi fatiche che sostenne nella Sua vita   pubblica, per ammaestrare gli uomini in una celeste dottrina; l’orto di   Getsemani, dove sudò vivo sangue in vista dell’enorme ingratitudine con   cui sarebbe stato corrisposto l’amor Suo dalla maggior parte degli   uomini; i flagelli che Gli squarciavano le membra; le spine che Gli   trapassavano le tempie; gli obbrobri e l’ignominia di cui fu ricoperto   nella strada di Gerusalemme, come se fosse un pubblico malfattore; il   Calvario, dove spirò di morte crudele in mezzo a due assassini, quasi   fosse Egli il peggiore di tutti, fra l’esecrazione di un popolo che,   beffandosi di Lui, dei Suoi miracoli, della Sua dottrina, con motti   oltraggiosi e villanie, finiva per ricoprirLo della più abominevole   confusione: tutte queste, sono prove incontestabili dell’eccessivo amore   che Egli nutriva per noi.

Se, dunque, Gesù ha voluto dimostrarci l’eccesso dell’amor Suo,   con un eccesso di patimenti, per obbligarci a riamarLo, potremo noi   esitare ancora un momento a non consacrarci totalmente a questo amore?   L’oltraggeremo invece, Lo strapazzeremo con la nostra ingratitudine,   come fa la maggior parte degli uomini?

Mio Gesù, ora intendo perché nel gran giorno dell’ultimo   giudizio Voi farete comparire la Vostra croce nel cielo; la vista di   questa croce infatti sarà più terribile ai reprobi, che la vista degli   angeli sterminatori, della Vostra faccia sdegnata, dei demoni e del   fuoco stesso dell’inferno, perché ricorderà loro l’eccesso del Vostro   amore e della loro ingratitudine.

Mio Gesù, fate che io arda in questa vita di quell’amore che la   Vostra bontà e misericordia ha tentato di accendere in tutti i cuori,   affinché non abbia più a bruciare nell’inferno fra le fiamme accese   dalla Vostra ira e dalla Vostra giustizia. Amen.

(Sant’Agostino Roscelli “Istruzioni su N. S. Gesù Cristo”)