Sant’Agostino Roscelli (Bargone di Casarza Ligure, 27 luglio 1818 – Genova, 7 maggio 1902) è stato un sacerdote italiano, fondò l’Istituto delle Suore dell’Immacolata Concezione, canonizzato da papa Giovanni Paolo II il 10 giugno 2001. La sua memoria liturgica si celebra il 7 maggio.
« L’amore di Dio per gli uomini si è manifestato con particolare evidenza nella vita di sant’Agostino Roscelli, che oggi contempliamo nel fulgore della santità. La sua esistenza, tutta permeata di fede profonda, può essere considerata un dono offerto per la gloria di Dio e per il bene delle anime. » |
(Giovanni Paolo II, omelia durante la canonizzazione di 5 beati, 10 giugno 2001]) |
Sant’Agostino Roscelli:
QUANTO SIA NECESSARIO CONOSCERE BENE GESÙ CRISTO
Sapete voi, Sorelle mie, perché l’Eterno Padre mandò sulla terra il Suo Divin Figlio a farsi uomo simile a noi? Uno dei principali motivi fu, perché gli uomini Lo conoscessero e, conoscendoLo, si risolvessero una buona volta ad amarLo e a servirLo.
Dopo tanti secoli che Egli aveva creato il mondo e quanto in esso si trova, gli uomini, creati anch’essi da Lui, non sapevano ancora chi fosse il loro Creatore, il loro Signore, il loro Dio, ad eccezione del popolo ebreo, a cui Egli si era manifestato più volte.
Questa conoscenza di Gesù Cristo è ritenuta così importante, che in essa, come Egli stesso si esprime in S. Giovanni al c. 17, fa consistere tutta la vita eterna: «Affinché conoscano Te, solo e vero Dio, e Colui che hai mandato Gesù Cristo».
È per questo che i Santi Apostoli, compresi di questa verità, si applicarono interamente allo studio di Gesù Cristo, e non ebbero altro fine nella loro predicazione e nel loro zelo che di farLo conoscere a tutto il mondo. S. Paolo nelle sue lettere Lo nomina più di duecento volte e si mostra tanto sollecito nel conoscere bene Gesù Crocifisso, che in paragone di questa sublime scienza, stimava un nulla tutte le altre cognizioni che egli aveva.
Tutti i Santi della Chiesa erano così persuasi, che senza lo studio del Crocifisso non è possibile fare un passo nella via della virtù, che avevano continuamente gli occhi rivolti a questo libro di Paradiso, e non sapevano darsi pace, finché non l’avessero bene assimilato, mostrandoci così:
che Gesù è il fondamento della nostra salvezza; che Egli solo è la Via, la Verità, la Vita;
che Egli solo è la porta per cui deve entrare chiunque desidera salvarsi; che Egli solo è il pastore che può difendere le pecore dalle insidie del lupo e condurle salve all’ovile del Paradiso.
Chi non cammina per questa strada, chi non entra per questa porta, chi non ascolta la voce di questo pastore, non può sperare di entrare in possesso di Dio. «Il Padre conosce il Figlio, e colui al quale il Figlio avrà voluto rivelarsi».
Importa dunque sommamente, Sorelle mie, che ci occupiamo anche noi di proposito, a conoscere Gesù, Signor nostro; che fissiamo lo sguardo con seria applicazione sopra tutte le azioni della Sua santissima vita, per apprendere da Lui il vero modo di vivere da buone e perfette religiose. Io mi sono proposto di mostrarvi brevemente, quanto sia importante e necessaria questa conoscenza di Gesù Cristo, affinché voi non tralasciate uno studio così salutare, se volete essere Sue vere seguaci.
La conoscenza che deve avere di Gesù Cristo chiunque desidera salvarsi deve essere di due specie: speculativa e pratica.
SPECULATIVA, in quanto ogni cristiano deve vedere e tenere per fermo, quanto ci insegna la fede su Gesù Cristo che cioè Egli è vero Dio e vero uomo: come Dio è uguale al Padre e allo Spirito Santo, avendo con Essi una medesima natura divina, e perciò è eterno, onnipotente, immenso, infinito, come il Padre e lo Spirito Santo; come uomo è nato nel tempo da una Vergine Madre, perciò mortale e passibile come noi.
Essendo noi tutti schiavi di Lucifero, nemici di Dio, destinati a morte eterna per il peccato di Adamo, il Divin Padre, nella Sua infinita misericordia, manda questo Suo Figlio sulla terra ad assumere la nostra carne, affinché con i Suoi patimenti e con le Sue umiliazioni, cancelli le nostre colpe e risani le nostre piaghe.
Egli perciò, è quel medico celeste che può liberarci dalle nostre infermità, renderci la salvezza e donarci la vita; S. Pietro dice che non vi è nessun altro mezzo di salvezza, né altro nome sotto il cielo che sia stato dato agli uomini per cui si possano salvare.
Essendo Cristo il nostro mediatore tra Dio e l’uomo, senza di Lui non è possibile riconciliarsi con Dio, divenire Suoi figli di adozione, riacquistare il diritto al Paradiso.
Queste verità, che tutti dobbiamo credere con fermissima fede, Dio ce le ha raffigurate nel serpente, innalzato da Mosè nel deserto per divino consiglio. Eccone la storia. Gli. Ebrei, annoiati per il lungo viaggio e stanchi per le dure fatiche che erano costretti a soffrire, cominciarono a mormorare contro Dio e contro il loro condottiero Mosè.
«Perché Dio ci ha fatto uscire – dicevano – dall’Egitto, per farci morire in questa solitudine? Qui non abbiamo casa, ci manca l’acqua, il nostro corpo ormai è annoiato di questo leggerissimo cibo, noi insomma non possiamo più vivere».
Dio, per la temerarietà e la durezza di cervice di questo popolo ingrato, mandò dei serpenti velenosi che mordevano gli Israeliti e li facevano morire. Gli Ebrei, spaventati da così terribili castighi, ricorsero a Mosè affinché li liberasse da quell’orribile flagello. Il Signore misericordioso esaudì la preghiera del Suo servo, e gli ordinò di innalzare un serpente di bronzo, promettendogli che tutti coloro che venivano morsi, se avessero fissato il serpente, sarebbero stati risanati. Mosè fabbricò il serpente, lo pose in un luogo dove poteva facilmente essere visto da tutti, e i feriti che lo guardavano rimanevano guariti.
Non altrimenti avviene a noi, rispetto a Gesù Cristo. Egli è l’unico rimedio che ci ha somministrato la divina bontà, per guarirci da tutti i danni del peccato. Chi fissa lo sguardo in Lui, che fu innalzato sulla croce per la salvezza del genere umano; chi, cioè, conosce Lui e in Lui crede, guarisce e risana dalle velenose ferite della colpa e riacquista la salute; chi Lui non guarda, ossia non Lo conosce e in Lui non crede, è già condannato e perisce per sempre, come sarebbero miseramente morti quegli Israeliti, che non avessero rivolto lo sguardo verso il serpente di bronzo.
Miseri noi, mie dilettissime, se fossimo nati o tra gli Ebrei, i quali si scandalizzano del mistero della croce, o in mezzo ai gentili e agli infedeli che Lo ritengono per pazzo! Da chi potremmo aspettarci medicina e rimedio ai nostri mali? Anche noi, come tanti Ebrei e gentili, avvolti nelle tenebre e nell’ombra di morte, dopo aver condotta, nell’ignoranza e nel disordine delle passioni, una vita infelice, dovremmo precipitare anche noi nell’inferno per tutta l’eternità. Quanto amore e ringraziamento dobbiamo a Dio Padre! Egli, infatti, per mezzo del Vangelo, ci ha resi partecipi della sorte dei Santi, ci ha liberati dalla potestà delle tenebre, ci ha trasportati nel regno del Suo Figlio, di cui ha voluto far conoscere le ricchezze della Sua gloria.
PRATICA. La cognizione speculativa che tutti dobbiamo avere del nostro Divin Salvatore, non basta da sola a farci conseguire la vita eterna.
Chi vuol salvarsi, oltre a credere fermissimamente quanto la fede insegna riguardo a Gesù Cristo, deve avere di Lui anche una cognizione pratica, che diriga la sua vita.
Quindi molto si inganna, dice S. Giovanni, chiunque si vanti di conoscere Gesù e non osserva i Suoi comandamenti; e soggiunge che chi desidera di vivere unito a Lui, cioè di partecipare al Suo Spirito, deve camminare per quella stessa strada che fu battuta da Gesù, che è Via, Verità e Vita.
È Via, perché ha voluto precederci col Suo esempio; è Verità, perché i Suoi insegnamenti sono tutti divini; è Vita perché Egli solo può risanarci con la Sua grazia e renderci degni dell’eterna ricompensa.
Come Verità, ci illumina con la Sua dottrina, affinché non sbagliamo; come Vita, ci somministra i Suoi aiuti per darci la forza di rettamente operare; come Via, ci conforta con i Suoi esempi, perché non ci perdiamo mai di coraggio.
Siccome, dunque, dobbiamo credere in Lui, perché è la stessa Verità; sperare in Lui, perché è la Vita, così dobbiamo seguire Lui con l’imitazione perché è la Via. Il divin Padre, non darà la gloria del Cielo, se non a coloro che saranno trovati conformi all’immagine del Suo Figlio. L’apostolo S. Paolo ce ne fa chiara testimonianza nella lettera ai Romani; e S. Pietro dice che Cristo ci ha dato l’esempio affinché seguiamo le Sue orme.
«Prendete sopra di voi il mio giogo – dice Egli stesso in S. Matteo – perché sono mite e umile di cuore, e troverete pace nel vostro spirito».
Come potremo noi divenire imitatori di Gesù Cristo? Per divenirlo dobbiamo spogliarci dell’uomo vecchio e terreno, per rivestirci dell’uomo nuovo tutto celeste; deporre cioè gli abiti viziosi: l’ira, lo sdegno, la simulazione, l’impazienza, ed indossare invece gli abiti virtuosi: la misericordia, la benignità, la modestia, l’umiltà, la pazienza e soprattutto la carità, che è il vincolo di ogni perfezione.
Senza saper bene ciò che Egli ha fatto, senza aver sempre dinanzi agli occhi questo divino Esemplare, come potremmo ricopiare in noi stessi la Sua immagine e divenire Suoi veri discepoli in questa vita, per poi partecipare alla Sua gloria nell’altra? Ecco, dunque, l’importanza e la necessità che tutti abbiamo di conoscere praticamente Gesù Cristo, nostro amorosissimo Salvatore.
Dobbiamo studiare attentamente la Sua santissima vita e meditare a lungo le grandi virtù che in tutte le occasioni e in tutte le azioni esercitò, per poter regolare la nostra condotta sull’esempio che Egli ci diede.
Con questo studio impareremo ad essere umili, perché Gesù fu umile; impareremo ad essere mansueti, perché Egli fu mansueto.
Come potremo insuperbirci delle nostre qualità e dei nostri talenti, considerando che Gesù, per guarire noi dalla nostra superbia, ha voluto essere trattato da sciocco e da ignorante?
Come presumere di essere tenuti in considerazione, riflettendo che Gesù ha sofferto il disprezzo e fu posposto ad un ladrone?
Come covare nel cuore, per ogni torto ricevuto, sentimenti di odio, di avversione e spirito di vendetta, pensando che Gesù abbracciò un Giuda e pregò il Suo Padre Celeste per quegli stessi che Lo crocifissero?
Se noi attendessimo con sollecitudine a questo studio e procurassimo davvero di imprimerci bene in mente la vita e le azioni di Colui che, come è nostro capo, così deve essere il nostro esemplare, quanto sarebbe più conforme a quella di Gesù Cristo la nostra condotta!
Non si vedrebbero certamente tra noi né divisioni né malumori né discordie. Per ogni contrasto non si avrebbero né impazienze né lamenti né tanto predominio avrebbe nei nostri cuori l’amore ai comodi e ai piaceri.
L’amore di Gesù Cristo ci insegnerebbe ad amarci scambievolmente; a soffrire con rassegnazione le avversità; ad abbracciare volentieri la penitenza.
Questo era il grande libro che i Santi studiavano assiduamente: la vita di Gesù Cristo.
Da questo libro appresero l’obbedienza e, sull’esempio di Gesù Cristo che fu obbediente fino alla morte, con quanta sottomissione e prontezza accoglievano tutte le disposizioni divine!
Da questo libro appresero la mansuetudine e, ad esempio di Gesù Cristo che, sebbene coperto di obbro-bri dai Suoi persecutori, qual mansueto agnello non apriva bocca, soffrivano anch’essi con pace qualunque oltraggio, e mai pensavano a vendicarsene.
Da questo libro appresero ad amare la povertà e, sull’esempio di Gesù, che, sebbene padrone di ogni cosa si fece povero per noi, con eroica generosità disprezzavano ricchezze e comodità.
Se i Santi intrapresero grandi fatiche per promuovere la salute delle anime e dilatare la gloria del nome santo di Dio, l’esempio di Gesù rendeva instancabile il loro zelo. Se intrepidi andavano incontro alla morte e soffrivano sereni i più crudeli martiri, l’esempio di Gesù – dice S. Bernardo – e la considerazione delle Sue pene, li rendeva così pazienti e così coraggiosi.
Insomma, come non perdevano mai di vista questo divino Esemplare, così, divenuti simili a Lui, vivevano dello spirito di Lui e con lo spirito di Lui operavano.
Ma ai nostri giorni sono poche le anime cristiane, e forse anche religiose, che cercano di ben apprendere questa conoscenza pratica del Nostro Divin Salvatore. Anzi, direi che oggi questo studio è trascurato al massimo. Si crede, è vero, che Gesù Cristo è il vero Figlio di Dio fatto uomo per nostro amore, e come tale si adora, ma poi, quasi che questa cognizione e questa fede speculativa sia sufficiente per conseguire la vita eterna, poche, pochissime sono quelle anime cristiane e religiose che, con diligenza e saggezza, si applicano a considerare la Sua vita ed i Suoi esempi per imitarli.
Per imparare arti e scienze umane non si risparmia fatica: si cercano i più eccellenti maestri, si ascoltano volentieri le loro lezioni, minutamente si considerano l’artificio, la finezza, l’ingegno delle loro opere; sembra quasi poter giungere, con tale industria, a farne delle simili. Ma per conoscere bene, con lo studio degli esempi del nostro divino Maestro, lo spirito, la santità, la perfezione della nostra santissima religione e per uniformarvi la nostra vita che è l’arte più importante e la scienza più necessaria, la maggior parte degli uomini non si dà alcuna premura, né mostra alcun impegno.
Che meraviglia, pertanto, che tra i cristiani stessi, tra le stesse persone religiose si trovino così pochi veri imitatori e vere imitatrici di Gesù Cristo! Invece dello spirito di mortificazione, di umiltà, di pazienza, di rassegnazione ai divini Voleri, di dolcezza ed affabilità con i nostri prossimi, di distacco dalle misere cose di questo mondo, si vede signoreggiare l’alterigia, la superbia, l’amor proprio, l’interesse, la vanità e la propria stima!
Disinganniamoci, Sorelle mie, disinganniamoci, se anche noi fummo per il passato trascurati nell’attendere alla pratica imitazione del nostro divin Salvatore. Ricordiamo che per ottenere la vita eterna che Gesù Cristo ci ha meritato con la Sua passione e morte, non basta credere e confidare in Lui, bisogna anche seguire i Suoi esempi e praticare le Sue virtù. Senza quest’imitazione, la speranza degenera in presunzione e la fede, anziché salvare il cristiano, lo rende più colpevole.
Dunque, mie dilettissime, non perdiamo mai di vista questo divin Esemplare e teniamo a Lui rivolti gli occhi e gli affetti, specialmente là nella grotta di Betlemme, dove Gesù giace bambino per nostro amore; impariamo la bella lezione che Egli comincia a darci fin dai primi istanti della Sua vita temporale.
Il Dio della gloria e della maestà, il Padrone dell’universo, il Re del Cielo e della terra, voi Lo vedete fatto pargoletto, nato, non in una casa tra le comodità e le agiatezze, ma in una stalla che neppure è Sua, e ciò per insegnare a noi a fuggire la superbia e ad essere veramente umili di cuore.
Da quella mangiatoia, alzando verso di noi le Sue manine, ci mostra quella poca paglia che Gli serve da letto, affinché impariamo che tutto quaggiù è vanità; che tutti i beni di questa misera vita valgono meno di poca paglia che, gettata sul fuoco, in un momento si consuma e, lasciata in balìa del vento, in un batter di occhio viene portata via e dispersa.
Con le lacrime e con i sospiri, intirizzito dal freddo e privo di ogni soccorso, Gesù Bambino ci insegna che dobbiamo anche noi prepararci a soffrire ogni sorta di tribolazioni e di pene; che non si può godere in questa vita e nell’altra; che dobbiamo mortificare le passioni e fare penitenza, e nelle avversità dobbiamo sempre uniformarci ai divini voleri.
Noi felici, se impareremo da questo Divino Maestro tali lezioni e le metteremo in pratica; potremo sperare che, avendoLo seguito in questa vita, Lo andremo a godere un giorno in Cielo e saremo con Lui beati in eterno. Amen.
ALTRI MOTIVI DI AMARE GESÙ CRISTO
(Seconda Istruzione)
Grande sprone ad amare Gesù Cristo è certamente il considerare quanto Egli sia amabile per Se stesso, per le infinite perfezioni che in Sé contiene, come Dio e come uomo, poiché, se un po’ di bellezza, se una minima perfezione che si trovi in una miserabile creatura, è capace di abbagliarci gli occhi, di meravigliarci la mente, d’incantarci, quasi con magica forza, il cuore, come può essere che l’insieme e l’unione di tutte le bellezze, di tutte le perfezioni divine ed umane, spirituali e materiali, qual’è Gesù, non basti ad appagare il nostro spirito, a conquistare il nostro cuore e a meritare il nostro amore?
Così pure, un’enorme spinta ad amare Gesù è il pensare che Egli ha amato noi di un amore immenso, perché solo l’amore è il prezzo giusto con cui si può pagare l’amore, e ne è il mezzo più efficace per farsi amare.
Questi sono i due primi motivi che, come abbiamo visto l’altra volta, ci devono indurre ad amare Gesù Cristo, Signor nostro, di tutto cuore, ma non sono i soli motivi. Due altri ci si presentano così efficaci, che quasi a viva forza trascinano a questo amore.
Questi sono:
1°) perché Gesù desidera ardentemente d’essere amato;
2°) perché, per esserLo, ci ha arricchiti di beni infiniti a costo dei Suoi patimenti; come appunto considereremo questa sera.
Davide, nei salmi, si meraviglia che Dio, re dei re e Signore dei dominanti, si degni di ricordarsi degli uomini; e Giobbe rimane attonito al vedere che Dio non disdegna di riguardare l’uomo, miserabile creatura, e di porre in lui il Suo divino amore.
Ma che avrebbero detto questi due profeti se avessero visto Dio, d’immensa maestà e grandezza, beatissimo in Se stesso, non bisognoso di alcuno, desiderare e chiedere istantemente all’uomo l’amor suo? Eppure questa sollecitudine e questo ardore che Dio ha di vedersi amato dagli uomini, ci viene spiegata in cento passi della Divina Scrittura.
Questo ci dimostra la voce premurosa della Sapienza che esclama: «Praebe, fili mi, cor tuum mihi».
Questo ci fanno intendere nei sacri cantici le tenere sollecitudini dello sposo, che è la figura di Gesù, il quale con ardore invita la sposa, che è l’anima fedele, ad amarLo, ad accoglierLo, ad aprirGli la porta del suo cuore: «aperi mihi, soror mea, sponsa mea».
Questo troviamo nel Vangelo, ricordiamolo: lo zelo ardente, per cui il buon pastore Gesù va in cerca della pecorella smarrita; il rammarico che Egli prova che essa si sia sviata e perduta; l’eccessiva allegrezza che mostra nell’averla ritrovata.
Questo lascia intendere Gesù, quando esclama:
«Sitio – ho sete» non per mostrare la sete materiale che pativa nel corpo, ma l’ardore con cui desiderava d’essere amato dagli uomini.
Questo, finalmente, dimostra, quando Gesù così vivamente chiede a S. Pietro per tre volte se L’amava: «Simone di Giovanni, mi ami tu?» Ora, Sorelle mie, poteva Gesù Cristo, Signore nostro, mostrarci più efficacemente l’ardente desiderio, ch’Egli ha, d’essere amato da noi?
Eppure nemmeno questo Gli basta: Egli ci invita ad amarLo ancora con le promesse; ci sollecita continuamente con le Sue ispirazioni; «sto ad ostium et pulso»; ci obbliga coi suoi comandamenti: dilige Dominum Deum tuum ex toto corde tuo; ci costringe, in certo modo, con le minacce: qui non diligit manet in morte.
Finalmente, tutto ciò ch’Egli propone, tutto ciò che produce nell’ordine della natura e della grazia, non tende ad altro che ad obbligare l’uomo ad amarLo. E noi non L’ameremo ancora?
Se l’ardente desiderio, se le istanze replicate di un uomo c’importunano, e ci costringono spesse volte a concedergli quello ch’egli vuole, benché ne abbiamo poca voglia, perché solo le tante promesse di Gesù, con cui Egli richiede il nostro amore, rimarranno senza effetto? «Mio Dio, Voi comandate, diceva S. Agostino, ch’io Vi ami; se non V’amo mi minacciate eterni castighi; quale disgrazia può esservi al mondo maggiore che quella di non amarVi?».
Se mi volete spaventare, non mi minacciate il fuoco dell’inferno, minacciatemi solamente ch’io non arda del fuoco del Vostro amore. Questa minaccia sarà per me assai più terribile di quella di mille inferni, poiché, se in mezzo alle fiamme dell’Inferno, potesse cadere nel cuore di quei miseri dannati una scintilla dell’amor Vostro, l’Inferno non sarebbe più tale; come il Paradiso non sarebbe più Paradiso per i beati, se essi potessero stare nel cielo un solo istante senza amarVi. Perché, dunque, o mio Gesù, io non Vi amo, sebbene, esaminando il mio cuore, mi sembri di desiderare di amarVi, e Voi pure lo desiderate con più ardore di me? Questo avviene perché il mio desiderio non è efficace né sincero come il Vostro.
Fate dunque, Gesù mio, ch’io desideri sinceramente d’amarVi e fin d’ora sinceramente Vi ami, non tanto per il desiderio che Voi avete dell’amor mio, quanto per i beni ineffabili che mi avete donato o meritato.
Se noi dobbiamo amare Gesù per quello ch’Egli è in Se stesso, per l’amor ch’Egli porta a noi, per il desiderio ardente ch’Egli ha di vedersi da noi amato; Lo dobbiamo amare ancor più per i benefici innumerevoli che ci ha fatto senza misura e a così caro prezzo.
Ma sapete voi dirmi, Sorelle mie, quali e quanti siano questi benefici che il Figlio di Dio, fatto uomo, ci ha elargito in ogni tempo?
S. Paolo ci avverte che, per Gesù Cristo, noi siamo fatti ricchi di beni spirituali e temporali. Sì, o Gesù, noi Ti siamo debitori dei benefici ineffabili della redenzione, della predestinazione, della vocazione religiosa, di quella gloria che ci aspetta nel cielo e che deve essere la corona di tutti gli altri benefici.
E qui, fermandoci sul beneficio che ci ha fatto della redenzione, riflettete un poco, Sorelle mie, come Gesù ha voluto essere nostro Redentore dal primo, fino all’ultimo istante della Sua vita.
Egli non ha pensato che a noi, non ha operato, non ha pregato, non ha faticato, non è vissuto se non per noi; non ha fatto un passo, non ha pronunciato una parola, non operato un miracolo, non emesso un sospiro, non versato una lacrima, non sparsa una goccia di sangue che non sia stata per noi. Così che noi possiamo incontrare i benefici di Gesù e le obbligazioni che noi Gli dobbiamo, in tutti i palpiti del Suo cuore, di cui siamo stati sempre l’oggetto o il fine, in tutti i momenti della Sua vita.
Anche se Gesù non avesse emesso per noi che un sospiro, non avesse sparso che una lacrima, non avesse formato un solo movimento del Suo cuore, non dovremmo noi esserGli infinitamente obbligati, essendo ognuno di quei momenti di un valore infinito?
Che dobbiamo noi, dunque, dire e pensare, vedendo che Egli non ne ha formato neppure uno che non sia stato per noi? Converrà certamente confessare che noi abbiamo verso di Lui un’infinità di obbligazioni e, per conseguenza, un’infinità di motivi per amarLo, se fosse possibile, infinitamente.
Aggiungete che a Gesù dobbiamo la grazia e l’amicizia col Padre, nella qualità di figli di Dio, ed eredi dell’eterna beatitudine. A Gesù dobbiamo tutti i beni che riceviamo da Dio durante la giornata. Se Dio ci conserva, se ci difende, se concorre con noi nelle nostre azioni, è per riguardo a Gesù.
Da Gesù riceviamo tutte le grazie, tutti i lumi, le ispirazioni, i buoni pensieri, la corrispondenza alla grazia, la protezione nei pericoli, la forza nelle tentazioni, la tolleranza nel male, la pazienza nei dolori, la perseveranza nel bene.
Ora, se continuo è il flusso dei beni e delle grazie che provengono da Gesù, nostro capo, a noi, Suoi membri, non è ragionevole che continuo sia il riflusso di amore e di riverenza verso di Lui, nostro capo, da cui tutto riceviamo, e senza il cui aiuto non possiamo fare alcun bene, come ci disse Egli stesso: «Sine me nihil potestis facere?».
Aggiungete che i benefici che noi riceviamo da Gesù sono considerevoli per numero, ma lo sono molto più, per le circostanze che li accompagnano. Infatti, non ce n’è neppure uno, per quanto sembri piccolo in se stesso, che non sia in certo modo, infinito, poiché proviene da una persona infinita; procede da un amore infinito ed ha per termine una beatitudine, in qualche modo, infinita.
Non ce n’è uno solo che non sia eterno, non solamente perché viene da un amore eterno, ma anche perché ci conduce ad una felicità eterna.
Non ce n’è neppure uno che non sia singolare, anche tra quelli che appaiono più comuni.
Primo: perché i benefici di Dio sono come il Suo cuore, il quale non si divide e non diminuisce nel comunicarsi, in quello stesso modo che il sole, illuminando tutto l’universo, comunica ad ogni cosa in particolare la sua luce con tanta abbondanza, come se non illuminasse altro che quella. Secondariamente:
perché Egli ci fa le grazie, anche se generali e comuni, con un’attenzione particolare a noi, come se non le facesse se non per noi.
E finalmente, perché tale è la Sua buona volontà verso di noi ch’Egli ci comunicherebbe i Suoi beni, anche se fossimo noi soli che ne dovessimo approfittare. Per questo S. Paolo riconosceva favore personale, il beneficio della redenzione, come se Gesù Cristo non fosse morto che per lui.
Dopo queste considerazioni, potremo ancora rimanere indifferenti verso Gesù? Non ci risolveremo ancora ad amar Lo?
Se i benefici hanno forza meravigliosa per attrarre il cuore, che persino le bestie non possono fare a meno di dimostrare amore e di usare gratitudine ai loro benefattori, un numero così grande di benefici che abbiamo ricevuto da Gesù, non dovrà produrre in noi nessun effetto?
Noi ci vantiamo d’essere generosi con gli amici; d’esser teneri verso creature bisognose che dimostrano di amarci e di essere a noi grate per i benefici ricevuti; e poi saremo insensibili alle dimostrazioni di amore di un Uomo-Dio; saremo ingrati ai suoi ineffabili benefici? Perché? I benefici di Gesù, per essere singolari, continui, eterni, infiniti, per essere benefici di un Dio, mutano forse natura?
Saranno essi soli che non meritino l’amor nostro, che non si guadagnino i nostri cuori? Si dovranno anzi, contraccambiare con indifferenza, con disistima, con ingratitudine?
Come si può pensare ciò senza rimanere attoniti per meraviglia, o senza morire di vergogna, o di dolore?
Eppure vi è ancora di più. Gesù Cristo non solo ci ha arricchiti di tutti i Suoi beni, ma ci ha donato anche Se stesso nella S. Eucaristia, cioè ci ha donato il Suo corpo, il Suo sangue, l’anima Sua con tutti i Suoi meriti, la Sua divinità con le Sue infinite perfezioni, e ci ha fatto questo grande dono nel modo più perfetto che si possa immaginare.
Gesù nell’Eucaristia è nostro Padre, nostro Fratello, nostro maestro, nostro compagno, nostro cibo, nostro pastore, nostro rimedio, nostro medico, nostro viatico, nostra guida.
È il prezzo del nostro riscatto, il rimuneratore delle nostre azioni, il premio delle nostre fatiche.
Se Gesù ha dato a noi non solamente i Suoi beni, ma tutto Se stesso, possiamo noi fare a meno di darci interamente a Lui? È forse una disgrazia così grande l’essere tutte di Gesù, che necessiti di tanta discussione per risolverci ad amarLo?
Mio divin Salvatore, io già tante volte ho detto che Vi dono il mio cuore e che voglio essere Vostro perfettamente, ma questa mia promessa, sebbene fatta seriamente non l’ho mai mantenuta e sono stato incostante nelle mie risoluzioni.
Adesso, però, voglio essere tutto Vostro davvero, senza restrizioni e per sempre. La mia vuole essere una donazione irrevocabile del mio cuore.
Vi consacro il corpo e l’anima mia, tutti i pensieri della mia mente, tutti gli affetti del mio cuore e tutte le azioni della mia vita, protestando dinanzi al cielo ed alla terra, di voler essere Vostro, tutto Vostro in vita e in morte, nel tempo e nell’eternità.
A questo m’invitano le Vostre ineffabili perfezioni; a questo mi obbligano gl’innumerevoli benefici, che Voi mi faceste di tutto Voi stesso nella S.S. Eucaristia; a questo, finalmente, mi sforzano gl’inesprimibili patimenti a cui Vi assoggettaste, al fine di farmi tutti questi grandi beni.
Sì, Sorelle mie, non tanto dobbiamo amar Gesù Cristo per quello che è in Se stesso o per i benefici ineffabili che ci ha fatto, ma molto più dobbiamo amarLo per i patimenti crudeli, ch’Egli ha voluto soffrire per procurarci questi stessi benefici, poiché il patire per la persona amata è la prova più convincente dell’amore.
Voi lo sapete, quanto Gesù ha patito, per fare del bene a noi! La stalla di Betlemme, ove nacque bambino, adagiato su ruvida paglia, Lo intirizzì dal freddo, poiché sprovvisto di tutto; la bottega di Nazaret, dove stentò tanti anni per guadagnarsi il vitto, in compagnia di Giuseppe e di Maria; le grandi fatiche che sostenne nella Sua vita pubblica, per ammaestrare gli uomini in una celeste dottrina; l’orto di Getsemani, dove sudò vivo sangue in vista dell’enorme ingratitudine con cui sarebbe stato corrisposto l’amor Suo dalla maggior parte degli uomini; i flagelli che Gli squarciavano le membra; le spine che Gli trapassavano le tempie; gli obbrobri e l’ignominia di cui fu ricoperto nella strada di Gerusalemme, come se fosse un pubblico malfattore; il Calvario, dove spirò di morte crudele in mezzo a due assassini, quasi fosse Egli il peggiore di tutti, fra l’esecrazione di un popolo che, beffandosi di Lui, dei Suoi miracoli, della Sua dottrina, con motti oltraggiosi e villanie, finiva per ricoprirLo della più abominevole confusione: tutte queste, sono prove incontestabili dell’eccessivo amore che Egli nutriva per noi.
Se, dunque, Gesù ha voluto dimostrarci l’eccesso dell’amor Suo, con un eccesso di patimenti, per obbligarci a riamarLo, potremo noi esitare ancora un momento a non consacrarci totalmente a questo amore? L’oltraggeremo invece, Lo strapazzeremo con la nostra ingratitudine, come fa la maggior parte degli uomini?
Mio Gesù, ora intendo perché nel gran giorno dell’ultimo giudizio Voi farete comparire la Vostra croce nel cielo; la vista di questa croce infatti sarà più terribile ai reprobi, che la vista degli angeli sterminatori, della Vostra faccia sdegnata, dei demoni e del fuoco stesso dell’inferno, perché ricorderà loro l’eccesso del Vostro amore e della loro ingratitudine.
Mio Gesù, fate che io arda in questa vita di quell’amore che la Vostra bontà e misericordia ha tentato di accendere in tutti i cuori, affinché non abbia più a bruciare nell’inferno fra le fiamme accese dalla Vostra ira e dalla Vostra giustizia. Amen.
(Sant’Agostino Roscelli “Istruzioni su N. S. Gesù Cristo”)