“… Non dobbiamo dimenticare che tradire la nostra vocazione alla santità è anche tradire tutti coloro la cui salvezza è legata alla nostra immolazione ” ITALA MELA

ITALA MELA , MISTICA BENEDETTINA

 

« Vivere nella Trinità, consumarsi nel fuoco della Carità, lasciarsi impregnare così profondamente dalla Luce, che Essa irradia, attraverso la mia povera vita, su tutte le anime che Nostro Signore vuole a sé unite per la grazia… Questo è l’essenziale…, è la mia sorte eterna. »

 

« Dio…non si è accontentato di   lasciarci nell’Eucaristia la possibilità di ricevere per pochi istanti   il Verbo umanato, ma ha voluto che, scomparsa la presenza eucaristica del   Cristo, l’anima non restasse vuota e sola, ma godesse della pienezza delle   Tre persone divine, senza interruzione.E mentre  Dio ci elargisce questa intimità, noi ci rifiutiamo a gioirne, ad attingere   in essa quei doni di luce e santità che essa invece è destinata a portarci.Illuminare   le anime su questo grande mistero, renderlo loro “sensibile” per   così dire, è una grande opera. E’ il continuare e il commentare l’opera di   Gesù, che ci ottenne il dono della grazia con la sua morte e che   l’Inabitazione promise come suprema ricompensa dell’amore per lui, del nostro   “innesto” a lui (10): “chi mi ama, il Padre l’amerà, e verremo   e faremo in lui la nostra dimora” (11). Forse attualmente nessuna delle   promesse di nostro Signore e delle realtà celesti della vita cristiana è più   di questa avvolta nel buio di un oblio pratico   fra gli stessi fedeli.»

“Vivere   l’Inabitazione non è una cosa   straordinaria ma la logica   conseguenza dei nostro Battesimo”(ms. 39, 141).

“… Non dobbiamo dimenticare che tradire   la nostra vocazione alla santità è anche tradire tutti coloro la cui salvezza   è legata alla nostra immolazione “(manoscritti. 39, 118) .(1)

 

 

Gloria Tibi , Trinitas

“ho amato tutti con profonda tenerezza…”

“Avrei voluto dare a Dio il massimo della Gloria, avrei voluto irraggiare la Sua Luce e la Sua Grazia abbracciando nella mia carità tutte le anime.Avrei voluto sopportare tutti i dolori del mondo, asciugare tutte le lacrime, donare la pace di Cristo ad ogni cuore.

Offro a Dio come una preghiera suprema questo anelito profondo del mio spirito, perché Lui giunga con la Sua Grazia là ove io materialmente non ho potuto e spiritualmente non ho saputo arrivare.

Vorrei testimoniarGli nel tempo che ancora mi concederà, quell’amore perfetto che non ho saputo prima donarGli.

Vorrei morire consumata da questo Amore e renderGli grazie fino all’ultimo respiro per i doni di cui mi ha colmato.

Alla Sua Misericordia, alla materna protezione di Maria mi affido: desidero spegnermi nel cuore di Cristo e della Madonna, nel grembo della Chiesa, unita spiritualmente alla Comunità monastica di S.Paolo, cui mi è onore e gioia appartenere come oblata, in quell’estremo istante desidero abbracciare in un atto supremo di carità tutte le anime che il Signore volle legare con vincoli nel segreto della Comunione dei Santi”

 

ALCUNI PEZZI TRATTI  DALLO SCRITTO DI ITALA MELA “L’ASCESI NELLA LUCE DELL’INABITAZIONE”

L’anima che ha compreso di portare in sé un dono ineffabile nel Dio uno e trino, giunge spontaneamente, non più per timore, ma per amore, all’odio della colpa. Il peccato grave le appare come una orribile profanazione del templum Dei vivi (12). Se la profanazione del tabernacolo, in cui Gesù riposa, le si presenta come una spaventosa follia, non meno grave le sembra lo strappare a se stessa, perdendo la grazia, l’Ospite divino. Che la Trinità si ritiri da lei, che un abisso si frapponga fra se stessa e colui che a lei s’è donato, e di lei ha fatto il suo abitacolo, le appare una mostruosa ipotesi. L’anima comprende che è più comprensibile sacrificare ogni desiderio umano, ogni affetto, ogni cosa più cara, piuttosto che sacrificare il possesso di colui che la divinizza. Il “piuttosto la morte che il peccato mortale” non le appare più come una frase retorica e troppo facile a essere ripetuta senza convinzione, ma come l’espressione di un convincimento profondo, d’una volontà incrollabile. Nelle prove e nelle tentazioni l’anima si stringe a Dio, fa del suo centro la sua roccaforte, cerca di penetrare nel mistero trinitario il segreto dell’amore che l’ha redenta e che la vuole glorificata nei cieli e attinge in questo contatto col segreto di Dio la forza per resistere al nemico. Essa contempla il Padre che l’ha creata e l’ha donata al Figlio perché la redimesse; contempla il Verbo che perpetua nel seno della Trinità la sua offerta al Padre per la salvezza degli uomini; contempla lo Spirito Santo che la santifica, che l’ha precedentemente arricchita del sacroSettenario (13): sente d’essere oggetto d’un amore incomprensibile, sente che, se lei sola esistesse al mondo, per lei sola si consumerebbero nel mistero divino i misteri d’un amore infinito. E in queste luci l’ipotesi d’una ribellione a Dio, d’un disprezzo della carità del Padre, dei Figlio e dello Spirito Santo le sembra una terribile aberrazione. Quando ignorava il suo dono, la spaventava forse meno l’ipotesi d’una scissione fra lei e un Dio pensato lontano, nei cieli remoti, un Dio col quale col tempo avrebbe potuto rimettersi in pace: il pensiero stesso di Gesù eucaristico poteva essere cacciato (vi sono anime che non entrano più in Chiesa, per evitare di trovarsi di fronte al Cristo fisicamente (14) presente quando vogliono tradirlo). Ma se l’anima ha compreso che cosa è la Grazia e l’Inabitazione, trema di più al pensiero di strappare a se stessa la sua ricchezza divina e di ribellarsi a qualcuno che vive non solo accanto a lei, ma in lei.

In questa luce lo stesso peccato veniale e l’imperfezione avvertita (15) le appaiono molto più gravi di quello che prima pensava. Anche un piccolo “no” all’amato, posseduto in ogni istante,le sembra ben triste cosa. Essa ha bisogno di stringersi al Verbo “in sinu Trinitatis ” per rispondere perennemente al Padre I`”Amen” che accetta ogni sua volontà. Ogni resistenza è una dissonanza fra l’anima e il Signore, ogni “no” è una voce discorde nel tempio in cui Dio eleva a se stesso un cantico di lode.

Per quanto i piccoli “no” non privino l’anima dell’Ospite divino, la privano tuttavia d’un possesso più intimo di lui e del suo amore, e risuonano come una voce irriverente nelle profondità santificate dalcanticum gloriae.

Quanto più l’anima penetra il suo dono, tanto più è trascinata non solo a disubbidire in nulla a Dio, ma ad essere docile ad ogni ispirazione. La voce dello Spirito Santo le si fa sentire di più in più: lo Spirito dell’amore le chiede le opere dell’amore. Piccole o grandi, non importa: esse hanno un valore infinito (16) in quanto le sono suggerite da lui, e il più piccolo “sì” dell’anima è un’offerta celeste in sinu Trinitatis. L’anima lo pronuncia stretta al Verbo negli ardori dello Spirito Santo; e allora il piccolo “sì”si perde nell` “Amen ” perenne che a nome di tutti i redenti il Verbo fa risalire al Padre. Il “si” diventa degno di essere presentato al Padre stesso: il Padre si curva con amore immenso sull’anima che ha voluto così testimoniargli la sua fedeltà, secondo le sue piccole forze. E perché ogni si per quanto minimo, aumenta per l’anima la donazione della carità divina, stabilisce fra lei e la Trinità rapporti più stretti d’amore e d’ineffabile intimità.

Vi sono anime molto pie e anche anime religiose e sacerdotali che ignorano completamente una delle esperienze più dolci della vita interiore: la preghiera messa in relazione col dogma dell’Inabitazione. Senza dubbio il sentire in sé la Trinità, il contemplarla, il perdersi in essa nell’orazione passiva, appartengono a grazie che l’anima riceve se e quando piace a Dio. Ma non vi è dubbio che molte anime sarebbero più disposte a riceverle, se fossero più istruite sull’impostazione da dare alla loro pietà in rapporto al dono che possiedono. Bisogna invitare le anime a uno sforzo attivo di intimità con le tre Persone, perché più facilmente giungano all’età felice in cui il Signore si manifesta nel profondo al loro sguardo rapito.

La S. Comunione

L’anima sentirà allora il bisogno di unirsi al Cristo nella sua partecipazione eucaristica alla S.Messa. Essa comprenderà che solo Gesù potrà svelarle gradualmente i misteri della vita divina: e che stretta a lui le sarà dato scendere in sinu Trinitatis. Mai come negli istanti della S.Comunione potrà sperare d’essere oggetto dell’amore del Padre e dei doni dello Spirito Santo: mai come in questi istanti potrà osare di offrirsi al Padre per glorificarlo nel compimento della sua volontà. Essa potrà chiedere a Gesù di introdurla nel sacrario divino per amare con lui il Padre e per essere avvolta dal suo amore. Gesù, attraversoil suo incruento sacrificio e con la partecipazione alla sua mensa la renderà meno indegna di questo ingresso nel seno della Trinità SS. Non voglio parlare di una grazia “sensibile”: ma della grazia reale che ciascuna Comunione può dare all’anima che sappia chiederla e che sia consapevole di riceverla. Poiché Gesù non si può unire ad un’anima senza stringerla a sé in sinu Patris, siamo noi che riceviamo tali grazie senza comprenderle e che spesso non ci curiamo neppure di penetrarle. Noi amiamo esprimere il nostro grazie a Gesù con linguaggio spesso troppo retorico e non sappiamo bene quello che egli fa in noi e per noi quando scende nel nostro cuore. Attraverso il velo della sua umanità adorabile noi giungeremmo alla Trinità SS., se noi sapessimo squarciare con la nostra fede tale velo. Noi contempleremmo allora il Verbo incarnato nella sua unità col Padre e con lo Spirito Santo, e comprenderemmo che stringersi al Cristo è anche stringersi al Padre e allo Spirito Santo: “Chi ha visto me, ha visto anche il Padre” (22). Per questo una pietà Cristocentrica è anche una pietà trinitaria. Siamo nel cuore del dogma e della fede nei suoi cardini: “Unità e Trinità di Dio, Incarnazione, Passione e Morte di N.S. Gesù Cristo”.