LA PREGHIERA DEL PADRE NOSTRO SPIEGATA DA DON DOLINDO RUOTOLO: “Credere veramente in Dio, confidare in Lui come figli ed essergli amici per la Grazia: ecco il fondamento di ogni vera preghiera”

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-Il Padre Nostro-

“Padre”, ecco il modo come l’anima deve orientarsi a Dio. Non deve considerarlo col terrore superstizioso che avevano i pagani della divinità, espresso a volte dalle stesse forme dei loro idoli, né col timore servile dell’ebraismo di allora, che aveva deviato dallo spirito dei patriarchi; doveva riguardarlo come Padre, quindi come creatore di tutto e come proprio creatore, provvido ed amorosissimo.

Il padre naturale dà la vita al figlio amando, e la conserva amando, quando non è ridotto allo stato brutale dal vizio. Dio dà la vita per un atto della sua Volontà infinita che è Amore; e la conserva con la Provvidenza che è Amore; l’anima, dunque, prega confessando la realtà di Dio, il suo Amore e la sua Provvidenza, e confessandola in un atto di viva fede. Se non c’è questa fede che ci fa parlare a Dio come all’Essere infinitamente esistente, sapiente ed amante, se non si ha con Lui l’intimità filiale che viene dalla fede veramente e praticamente sentita e convinta, la preghiera non supera la nostra povera atmosfera e diventa più uno sfogo della propria impotenza, che una fiduciosa domanda fatta a Dio.

La vacuità di tante preghiere che facciamo sta proprio nella mancanza della fede vera in Dio. Molti, moltissimi, pregando hanno ancora lo spirito idolatrico; credono e non credono a Dio, lo ammettono e non lo ammettono, esitano nel loro cuore e, subcoscientemente, vorrebbero metterlo alla prova, come può mettersi alla prova, l’efficacia di una medicina.

“Padre, sia santificato il Nome tuo”. Ecco una seconda direttiva assolutamente necessaria alla nostra preghiera: considerare tutto alla luce della gloria di Dio e volere tutto secondo i fini della sua Volontà. A volte noi giungiamo alla stoltezza somma di volere imporre le nostre vedute e i nostri interessi umani al Signore, e rimaniamo, quindi, inetti ed impotenti, nell’ambito delle nostre povere forze. Quando l’anima crede veramente ed apprezza Dio per quello che è, domanda in piena sottomissione alle esigenze della gloria di Lui, che è diffusione di misericordia e di bene anche per noi.

Come potrebbe aversi il calore del sole sottraendosi ai suoi raggi, e pretendendo di ridurli nell’ambito della propria meschinità? Il trionfo della luce del sole, e quindi la rimozione degli ostacoli che ne impediscono la diffusione, è anche il conseguimento pieno del nostro desiderio di calore vivificante. Nell’orazione bisogna, dunque, dare a Dio il posto che gli spetta, e desiderare la vita a ciò che è necessario alla vita, unicamente per la sua Gloria e per il trionfo del suo Amore in noi, nella pienezza del suo Regno: “Venga il regno tuo”. Se si pondera veramente la meschinità delle nostre aspirazioni nella preghiera, volta tutta al compimento del nostro egoismo, e se si pensa che la massa del popolo ignora quasi completamente che cosa significhi amare Dio e desiderarne la gloria, non fa più meraviglia che tante preghiere rimangano nella nostra povera cerchia, e sono inesaudite.

Nel tracciarci la direttiva delle nostre preghiere, Gesù Cristo distingue nettamente le esigenze della vita dell’anima da quelle della vita del corpo nella nostra condizione naturale. Per questo il Pater noster ha due parti determinate: alla vita dell’anima è necessaria l’intimità filiale con Dio, per la Grazia che la rende sua figlia: “Padre”. In questa semplice parola c’è la sintesi stupenda delle elevazioni dell’anima negli splendori della Grazia, che la restaura, la santifica e la eleva. L’intimità con Dio è amore nelle sue molteplici gradazioni e sfumature e questo amore si sintetizza tutto nel desiderio di glorificare Dio e di farlo regnare nella propria vita ed in quella di tutti.

Noi, quindi, domandiamo a Dio lo stato di Grazia, l’amore verso di Lui, lo zelo per la sua Gloria, la santificazione delle anime ed il suo Regno in tutte nel dominio soavissimo dell’Amore. Tutte le grandi manifestazioni della vita della santità e della vita della Chiesa stanno in queste brevi e mirabili parole. Per la vita del corpo, ordinata a quella dello spirito, noi abbiamo bisogno dell’alimento e di tutto quello che serve all’ordine ed alla missione temporale della medesima vita: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”; abbiamo bisogno della pace, bene assolutamente imprescindibile da una vita che non sia concepita, come si fa oggi, quale esasperante tramestio di prepotenze e di oppressioni.

Ora la pace non è fuori dell’anima, e tanto meno può considerarsi come l’oppressione del più forte sul più debole; essa è tranquillità dell’ordine, e questa tranquillità viene dall’armonia della coscienza e da quella della carità: “Rimetti a noi i nostri peccati, come noi li rimettiamo ad ogni nostro debitore”. Siamo tutti miserabili, e nessuno può presumere di essere da più di un altro; ci confessiamo peccatori per avere il perdono e promettiamo perdono a quelli che ci fanno del torto. Così viene stroncato nella radice quello che disturba la pace.

Grazia di Dio in noi e carità verso il prossimo sono due beni spirituali dai quali dipende la tranquilla prosperità temporale della vita; i peccatori non hanno mai bene; anche quando satana si sforza di farli apparire prosperati, e dove manca la generosa carità, manca la benedizione di Dio. Satana sfrutta la posizione di alcuni (molto pochi in realtà rispetto alle masse), che, non essendo più capaci di beni eterni, raccolgono come tenue premio di qualche opera buona, i miseri beni temporali; egli li presenta come esseri felici nel male, ma è una menzogna anche in questi la pace, perché sono infelicissimi nel loro cuore ed è una menzogna maggiore il far credere od il supporre che il peccato porti la prosperità.

No, la massa dei peccatori sta in mille tribolazioni, e la massa dei prepotenti è infelicissima, perché è stretta dai rimorsi e dalle angustie interiori che tolgono loro la pace. Che cosa sono i beni temporali senza la pace? E come si può avere pace senza il perdono di Dio e senza la Grazia? Come poi si può avere la Grazia ed il perdono senza darlo a chi ci è debitore?

Quando la nostra preghiera per i beni temporali non sta su queste direttive precise è una preghiera vana; quando cioè non si domanda ciò che serve alla vita, e non più, e non lo si domanda nell’armonia della Grazia e della carità, la preghiera diventa vana, ed a volte può farci credere, per illusione diabolica, che produca anche l’effetto contrario. Quanti hanno l’anima piena di avidità, di odio, d’invidia e di peccati di ogni genere e domandano a Dio non ciò che serve al corpo per la vita dello spirito, ma ciò che serve al corpo per la vita materiale, e si lamentano poi di non essere esauditi!

Quanti hanno peccati impuri che disordinano la vita, anche occultamente e senza che nessuno lo sappia, e si lamentano della miseria corporale che ne è immediata conseguenza! Quanti sono spietati nel giudicare e più spietati nell’inveire contro il prossimo, e pretendono da questa bolgia far risuonare la loro preghiera nei cieli, dove tutto è armonia soavissima di carità!

La vita è una prova di pochi anni, nei quali dobbiamo meritarci, per la grazia di Dio, il premio eterno. Questa prova ci viene dalla condizione stessa nella quale viviamo e può venirci anche dalle insidie e dagli assalti di satana. C’è dunque un terzo elemento della nostra vita terrena: la difesa nei pericoli. Senza la difesa provvida che può venirci solo da Dio la vita dell’anima è travolta dalla colpa e la vita del corpo dalle sventure. Perciò Gesù Cristo ci fa domandare a Dio: “Non ci indurre in tentazione”, cioè non permettere che ci vinca la tentazione e, nel provarci, Tu donaci la forza di esserti fedeli, riducendo le prove a causa della nostra fragilità. È, in fondo, un atto di umiltà che ci concilia la misericordia di Dio, poiché è la confessione della nostra debolezza, in un atto di fiducia e di abbandono alla misericordia di Dio. Chi presume di sé, crede di poter affrontare i cimenti della vita ordinaria e quelli più ardui della santità, e può esserne vinto; ma chi è conscio della propria fragilità, domanda a Dio solo la Grazia di resistere alle prove e di non cadere, e lo supplica di attenuare quelle che per la nostra miseria potrebbero travolgerci.

Con quest’ultima domanda la direttiva della preghiera dataci da Gesù è completa: credere veramente in Dio, confidare in Lui come figli ed essergli amici per la Grazia; ecco il fondamento di ogni vera preghiera. Domandare i beni dell’anima, non come nostro appagamento egoistico, ma per rispondere al nostro fine, e quindi domandare la gloria di Dio ed il suo Regno, perché quei beni così si diffondono in noi. Qualunque domanda che prescinda dalla gloria di Dio e dal suo Regno in noi è sterile e può esserci di danno. Per la vita del corpo domandare il sostentamento necessario, il pane quotidiano, senza aggravarla di ingombri inutili, è domandare la pace, frutto della giustizia e della carità. Infine considerarsi fragili nelle prove che servono al conseguimento dell’etema vita è domandare a Dio la difesa e la conservazione della vita spirituale.

Come già si è accennato, Gesù Cristo nel dare agli apostoli le direttive di qualunque preghiera nella formula che loro insegnò, espresse in una sintesi mirabile quello che era la sua medesima vita di preghiera: Egli, Figlio di Dio, era venuto in terra per proclamare la divina paternità di adozione per tutti gli uomini, e per sollevare a Lui, verso le altezze dei Cieli, le sue creature: “Padre nostro che sei nei cieli”. Egli pregava per esaltare il nome di Dio e per far risuonare in terra, nella natura umana da Lui assunta, le lodi che dall’eternità dava al Padre: “Sia santificato il tuo Nome”.

Egli era venuto per stabilirne il Regno su tutte le creature, e proclamava questo Regno realizzandolo con la sua grande preghiera che doveva culminare nel sacrificio del Golgota: “Venga il tuo regno”. Egli stabiliva il regno di Dio nel pieno compimento dei disegni dell’infinito suo Amore, ossia della sua Volontà, ed implorava che questa Volontà amorosa fosse stata in terra il legame e l’armonia di tutte le attività umane per la Gloria divina, come in cielo era l’eterno legame del Padre e del Figlio: “Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra”. Egli, Figlio di Dio, dunque, si rivolgeva al Padre; Egli, gloria sua sostanziale lo glorificava e ne stabiliva il Regno trionfante, compiendo la sua Volontà, fatto obbediente fino alla morte ed amandolo nell’infinito Amore.

Essendo vero Uomo come era vero Dio, Egli, mediatore nostro e pellegrino della terra, domandava per noi anche i beni della vita mortale: il sostentamento, la pace e la difesa da ogni pericolo, ossia quella sobria prosperità che aiuta la vita ad orientarsi a Dio e non la rende povera lotta per i beni fugaci, confusione di contrasti ed irruenza di prepotenze brutali, misero zimbello di satana e vittima delle stesse prove che debbono orientarla al Signore. Era questa la grande preghiera della vita mortale di Gesù Cristo e logicamente Egli, uscendo da una di queste sue grandi elevazioni, al discepolo che in nome di tutti lo supplicò d’insegnare loro a pregare, dette una formula sublime di preghiera che era la sintesi della sua orazione, e la direttiva di tutte le nostre preghiere.

(Don Dolindo Ruotolo, da “Faccia a faccia con Gesù: meditazioni per la Quaresima e la vita spirituale” edizioni Mimep)

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Faccia a faccia con Gesù

LE TENEBRE DI OGGI ANCHE FRA I CATTOLICI: “È necessario spegnere le false luci del mondo e riaccendere la luce di Gesù Cristo, non solo nelle nazioni ma anche tra i medesimi cattolici.” DON DOLINDO RUOTOLO

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-Le tenebre di oggi anche fra i cattolici-

Ecco, noi viviamo in un’epoca di tenebre fitte, in un momento di frenesia collettiva che ci fa correre verso la catastrofe; si affondano le navi, si distruggono immani ricchezze, si corre come esercito mobilitato verso la morte, e perché? Perché manca la luce di Gesù Cristo che è Lume di vita! Si assiste al miserando spettacolo della creazione di nuove fedi fondate sull’ignoranza, di nuove religioni fondate su idoli scelleratissimi, carichi di delitti, e persino di nuovi misticismi che mostrano come simboli e oggetto di contemplazione la rivoltella, il pugnale, la bomba a mano e il teschio di morte, non per considerare la morte in ordine alla Vita eterna ma per darla spietatamente o incontrarla disperatamente.

Gli uomini sembrano impazziti, impazziti fino al delirio; sconvolgono tutto per creare, secondo loro, un ordine nuovo, e fanno rovinare tutto, travolgendo tutto nell’immane cataclisma delle rivoluzioni e delle guerre. Si presta una fede cieca ai corifei dell’empietà, fino a considerarli come dèi, e si nega l’assenso nobilissimo dell’intelletto e del cuore a Gesù Cristo. È una cosa penosissima! È necessario spegnere le false luci del mondo e riaccendere la luce di Gesù Cristo, non solo nelle nazioni ma anche tra i medesimi cattolici.

Ci sono infatti, fra essi, gravi sintomi di assideramento e di disorientamento; serpeggiano fra loro a man salva errori funestissimi e pochi se ne accorgono, assorbendone il veleno nella vita. C’è una forte infiltrazione di razionalismo, di materialismo e di naturalismo nelle anime, un aborrimento del soprannaturale, una forzata paralisi degli slanci dell’anima verso vette più alte, un subcosciente disprezzo di tutto quello che è vita interiore e vita di santità e, soprattutto, un rispetto umano spinto fino a ostentare rispetto e simpatia per gli eretici e i perversi e disprezzo e noncuranza per tutto quello che può far temere l’accusa di piccolezza d’animo o di pietà da donnette.

Citiamo, a questo proposito, un brano del padre Faber, perché è troppo importante che si riaccenda in pieno la luce che ci ha dato Gesù Cristo tra i fedeli e – bisogna dirlo – tra quelli stessi che li guidano, perché il disorientamento è anche tra le anime consacrate a Dio.

«Vi sono molti, ai nostri tempi, i quali non dicono di non essere cristiani, ma pure scrivono e parlano come se fossero fuori e come se fossero, allo stesso tempo, cristiani e non cristiani. Essi non si diedero pena di formulare una miscredenza positiva, ma non comprendono come mai il progresso, la perfettibilità e le scoperte moderne… possano conciliarsi con quella collezione di antichi dogmi che costituiscono la religione cristiana, e inclinerebbero a rinunciare ai dogmi piuttosto che alle scoperte e invenzioni. Tali persone mettono la dignità umana fra le considerazioni di prim’ordine, mentre, secondo loro, l’assenso dell’uomo alle dottrine e alle pratiche della Chiesa è tanto degradante alla sua nobiltà intellettuale, quanto la sua obbedienza alle medesime è superstiziosa e umiliante. Papa e teologia, Madonna e Santi, grazie e Sacramenti, penitenza e Purgatorio, scapolari e rosari, ascetismo e misticismo, combinandosi per formare un carattere perfettamente distinto e riconoscibile, arrecano un tono alla mente e un fare alla condotta che non lasciano dubbio, e che difficilmente si sbaglia a riconoscerli… Le persone delle quali ora parliamo sono ben lontane dal nutrire stima per un tale carattere. Ai loro occhi è un carattere piccolo, debole, spregevole, codardo, gretto, pusillanime. Difetta di quell’espansione e ardire della grandezza morale, secondo il loro modo di misurare la grandezza. Queste persone tracciarono dei limiti al servizio di Dio, cercarono con lui un compromesso, lo ridussero da Creatore ad un ente che può imporre tasse e tributi e nulla più, perché Egli è un monarca costituzionale e non dispotico, ed essi si formarono della perfezione un’opinione sfavorevole, come di un’aggressione incostituzionale per parte di Dio e del suo esecutivo».

Noi non ci accorgiamo che Gesù Cristo non è più considerato come luce del mondo e che alla Chiesa stessa si tende a dare una fisionomia che non discordi troppo o dal mondo o dalle pompose esibizioni di sapienza, di equilibrio e di serietà delle sette. Quasi quasi ci piace quell’ipocrita austerità di riti senz’anima e senza slanci, quel bando dato a tutto quello che riscalda il cuore e lo muta in un vibrante motore spirituale che porta l’anima nei voli dell’amore. Ci mostriamo disgustati dalle pose dei Santi che ci sembrano esagerate e tendiamo sempre più a vestirci dello smoking del mondo, per mostrarci a nostro modo seri ed equilibrati, rinnegando così la divina stoltezza della Croce. Crediamo quasi indecoroso che un cardinale si mostri con la corona in mano o che baci un’immagine sacra; ci abituiamo troppo a confondere la luminosa maestà dell’anima che crede, spera e ama, con la boria di una serietà mondana, più ridicola di quella di un pagliaccio.

Siamo come schiavi, incatenati dalla miscredenza e dagli errori altrui, tremanti a ogni cenno del loro disprezzo per quello che è frutto di devozione e di pietà cristiana, premurosi di toglierci ogni segno di riconoscimento cristiano, rinnegatori della nostra divina nazionalità, diremmo snobisti di satana e di quello che satana ha prodotto per renderci come stranieri e forestieri nella stessa Chiesa, simili a quegli zulù africani che passano dal loro deserto ardente in una delle nostre rumorose piazze, smarriti nello splendore della civiltà e desiderosi del covo delle loro montagne.

(Don Dolindo Ruotolo, da “Faccia a faccia con Gesù: meditazioni per la Quaresima e la vita spirituale” edizioni Mimep)

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Faccia a faccia con Gesù

LA PURIFICAZIONE DELL’ANIMA…IL FUOCO E LA FIAMMA DEL DIVINO AMORE: “Non si può immaginare ciò che l’anima soffre durante questa prova, che somiglia quasi ai tormenti del purgatorio” SAN GIOVANNI DELLA CROCE

Si noti bene: prima che il fuoco divino dell’amore s’introduca nella sostanza dell’anima e si unisca ad essa attraverso una purificazione totale e una purezza perfetta, la fiamma, che è lo Spirito Santo, ferisce l’anima, distruggendo e consumando le imperfezioni delle sue cattive abitudini. Questa è l’operazione dello Spirito Santo per predisporre l’anima all’unione divina e alla trasformazione amorosa in Dio. Infatti il medesimo fuoco d’amore, che in seguito si unirà all’anima per glorificarla, è quello che prima l’ha investita per purificarla. Ciò è quanto accade riguardo al fuoco: penetra il legno, ma prima lo avvolge e ferisce con le sue fiamme, essiccandolo e liberandolo dai suoi elementi eterogenei, fino a prepararlo con il suo calore, così che possa penetrarlo e assimilarlo. Gli spirituali chiamano questo procedimento via purgativa. In tale situazione l’anima soffre molto e avverte grandi pene spirituali, che si ripercuotono anche sui sensi, e per questo la fiamma diventa molto penosa.

In questo periodo di purificazione la fiamma non le apporta luce, ma la getta nelle tenebre. Se le dà qualche luce, è solo perché possa vedere e sentire le sue miserie e i suoi difetti. Non le procura soavità ma dolore; anche se talvolta le trasmette fervore d’amore, lo mescola a dolore e tormento. Non le offre nessuna consolazione, ma solo aridità; e se talvolta il Signore, per sua misericordia, le concede un po’ di gioia per darle forza e coraggio, prima o poi gliela fa scontare con altrettante prove. Non dà conforto né porta pace, ma consuma e rimprovera l’anima, facendola venir meno e tormentandola con la conoscenza di se stessa. Insomma, questa fiamma non le procura alcuna gloria, ma soltanto sofferenza e amarezza, inondandola di quella luce spirituale che le permette di conoscersi così com’è. Dio, nota Geremia, ha scagliato un fuoco e nelle mie ossa lo ha fatto penetrare (Lam 1,13); e Davide dice: Mi prova con il fuoco (Sal 16,3).

In questo periodo, dunque, l’anima sopporta nel suo intelletto profonde tenebre, grandi aridità e sofferenze nella volontà, amara conoscenza delle proprie miserie nella memoria, nella misura in cui il suo occhio spirituale, molto limpido, le permette la conoscenza di sé. Per di più l’anima soffre, nella sua stessa sostanza, abbandono ed estrema povertà; si sente arida e fredda, ma a tratti fervorosa; non trova sollievo in cosa alcuna, né un pensiero che la consoli o che elevi il suo cuore a Dio. Questa fiamma le è tanto dolorosa da farle dire rivolta a Dio, come Giobbe quando si trovò in una situazione simile: Sei diventato crudele verso di me (Gb 30,21). Quando l’anima soffre tutte queste cose insieme, le sembra veramente che Dio sia divenuto crudele e spietato con lei. Non si può immaginare ciò che l’anima soffre durante questa prova, che somiglia quasi ai tormenti del purgatorio.

Non saprei descrivere meglio questa sofferenza, fin dove arrivi o ciò che l’anima sente, se non con le parole pronunciate da Geremia a tale riguardo: Io sono l’uomo che ha provato la miseria sotto la sferza della sua ira. Egli mi ha minacciato, mi ha fatto camminare nelle tenebre e non nella luce. Solo contro di me egli ha volto e rivolto la sua mano. Egli ha consumato la mia carne e la mia pelle, ha rotto le mie ossa. Ha costruito sopra di me, mi ha circondato di veleno e di affanno. Mi ha fatto abitare in luoghi tenebrosi come i morti da lungo tempo. Mi ha costruito un muro tutt’intorno, perché non potessi più uscire; ha reso pesanti le mie catene. Anche se grido e invoco aiuto, egli rifiuta la mia preghiera. Ha sbarrato le mie vie con blocchi di pietra, ha ostruito i miei sentieri (Lam 3,1-9). Tutto questo e molto di più afferma Geremia nel testo citato.

Ora, poiché Dio impiega simili espedienti per curare e guarire l’anima dalle sue innumerevoli infermità e per darle la salute, è evidente che l’anima debba soffrire, a seconda delle sue malattie, sotto i colpi di tale purificazione e l’azione di questa cura. In questa situazione è simile a Tobia quando mise il cuore del pesce sulla brace per scacciare e far scomparire ogni genere di demoni (Tb 6,8). In tal modo vengono alla luce tutte le infermità dell’anima, dal momento che Dio gliele pone dinanzi agli occhi e gliele fa sentire per guarirla.

Così, ora, grazie alla luce e al calore del fuoco divino, l’anima vede e sente ormai quelle debolezze e miserie radicate e nascoste in sé, che prima non vedeva né sentiva. È un po’ come l’umidità contenuta nel legno: non la si nota finché il fuoco non attacca il legno, facendolo trasudare, fumigare e sprizzare scintille. Così si comporta l’anima imperfetta a contatto di questa fiamma. Oh, grande meraviglia! In questo periodo si sollevano nell’anima contrari contro contrari; quelli dell’anima contro quelli di Dio, che la investono; e, come dicono i filosofi, gli uni vogliono travolgere gli altri, si muovono guerra nell’unico campo che è l’anima, cercando questi di espellere quelli, e viceversa, per regnare incontrastati. Per dirla in altri termini, sono le virtù e le proprietà di Dio, estremamente perfette, che lottano contro le abitudini e le qualità che nell’anima sono estremamente imperfette; l’anima, dunque, subisce in sé questo combattimento.

Poiché questa fiamma è una luce intensissima, quando investe l’anima risplende nelle sue tenebre (Gv 1,5), anch’esse molto profonde. L’anima, allora, avverte le sue tenebre naturali e viziose, che si oppongono alla luce soprannaturale, ma non percepisce la luce soprannaturale perché non la possiede in sé, come invece le sue tenebre; però le tenebre non accolgono la luce (Gv 1,5). Per questo motivo l’anima sentirà le sue tenebre nella misura in cui sarà investita dalla luce, senza la quale non le potrebbe percepire. Ma solo quando la luce divina dissipa le tenebre, l’anima rimane illuminata e trasformata al punto di vedere la luce in sé, perché il suo occhio spirituale è stato purificato e rafforzato dalla luce divina. Una luce intensa è tenebra assoluta per occhi impuri e deboli, perché la sua potenza disturba ciò che è molto sensibile. Ciò spiega perché questa fiamma sia molto dolorosa per la vista dell’intelletto. (…)

Questa purificazione così intensa si verifica in poche anime, cioè solo in quelle che il Signore chiama all’unione più intima con lui. Difatti egli dispone la purificazione più o meno intensa per ciascun’anima, a seconda del grado a cui vuole elevarla e anche a seconda delle sue miserie e imperfezioni. Questa purificazione somiglia a un vero e proprio purgatorio. Difatti, come lì si purificano gli spiriti per poter arrivare alla chiara visione di Dio nell’altra vita, così qui, sulla terra, si purificano le anime per arrivare alla trasformazione in Dio per amore.

(San Giovanni della Croce, Dottore della Chiesa, da “Fiamma d’amor viva”)

LETTERE DI PADRE PIO… TENTAZIONI, NOTTE OSCURA E PURIFICAZIONE DELL’ANIMA: “Oh! sì, mio carissimo figlio, beato l’uomo che soffre la prova ed agonizza per la giustizia, dice la Sapienza, e non già beato colui che se ne sta tranquillo ed indisturbato!”

Carissimo Pio, giacché ami dissolverti ed essere in Cristo, non mi dispiace sentirti aggravato, quantunque ardentemente desiderassi di vederti fra noi e per lungo tempo. Neppur m’impensierisce la guerra acuta che ti muove il nemico, giacché lo Spirito Santo dice: Fili, accedens ad servitutem Dei praepara animam tuam ad tentationem. L’essere dunque bersagliato significa che stai nella servitù divina e quanto più divieni amico e familiare di Dio, tanto maggiormente inveirà contro di te la tentazione. Coraggio dunque e non temere.

Dio è fedele e non permetterà che tu sia tentato oltre le tue forze, ma concorrerà con l’anima tua a combattere affinché tu possa sostenere e vincere la battaglia. E non solo devi farti coraggio e rassegnarti, ma esultare scorgendo in te un ineffabile contrassegno di essere accetto a Dio: et quia acceptus eras Deo, necessario fuit ut tentatio probaret te; né la varietà e la molteplicità degli attacchi deve diminuire in te questa santa gioia, perché è scritto ancora: omne gaudiun existimate, fratres, cum in tentationes varias incideritis.

Oh! sì, mio carissimo figlio, beato l’uomo che soffre la prova ed agonizza per la giustizia, dice la Sapienza, e non già beato colui che se ne sta tranquillo ed indisturbato! Beatus vir qui suffert tentationem. Purtroppo tutte queste sante verità sono dure per la nostra povera ed inferma natura la quale fugge la croce e teme ad ogni ombra di male; ma pure, così è e il premio del godere non si dà se non a chi avrà sostenuto le ombre, le ansie, gli scrupoli e i timori della tentazione: cum probatus fuerit, accipiet coronam vitae.

Non sai come possono stare insieme volontà ferma e risoluta di amare Dio senza offenderlo, e debolezza in contrario di sentirsi proclive al male. Ma niente di più facile che lo spiegare questa contraddizione. In noi vi sono agenti contrari: lo spirito informato dalla fede e la carne con le sue voci naturali ed istinti bestiali; la grazia divina e l’istigazione diabolica. Stante dunque la simultanea esistenza di queste forze avverse, si sperimenta il fenomeno da te accennato. Lo spirito collegato con la grazia, combatte per la difesa della sua incolumità contro la carne collegata col demone e sostenendo alta la sua sovranità, pur sente le molestie e gl’insulti della sua avversaria.

(Lettera di Padre Benedetto, direttore spirituale, al giovane Padre Pio, San Marco la Catola, 27 giugno 1911)

Faccia in fine scendere un po’ di celeste rugiada nei cuori di quelle afflitte anime! Presentemente non ho per esse parole da suggerir loro, solo dico che la loro sorte è invidiabile. Nel vederle così sbattute ne godo nello spirito e sento per esse una invidia santa, quella dell’emulazione. Il loro stato, massime di quell’una, caro padre, è tale al presente che non sono in grado da sentire più alcun conforto per qualunque buona parola possa loro essere suggerita. Iddio ha piombato il loro intelletto nelle tenebre, la loro volontà è posta nell’aridità, la memoria nel vuoto, il cuore nell’amarezze, nell’abbattimento, in una estrema desolazione; e tutto questo è grandemente invidiabile, perché tutto concorre a disporre ed a preparare il loro cuore a ricevere in se stesso la forma vera dello spirito, che altro non costituisce che l’unione d’amore.

lddio è con esse e dovrebbe loro bastare per convincersene quella volontà sempre pronta di dedicarsi tutta a Dio e di compiere opere di suo servigio ed onore. Non si curino affatto di ciò che una volta questa volontà di dedicarsi a Dio e di compiere opere di gloria ed onore di sua divina maestà produceva loro un certo effetto dolce e soave, ora nello spirito ed ora anche nell’appetito sensitivo, essendo tutto questo una pura accidentalità e che Iddio concede alle anime deboli ed ancora bambine nello spirito, ma che poi toglie alle anime di già fortificate nello spirito. lddio vuole sposarsi coll’anima in fede e l’anima che deve celebrare questo celeste connubio in fede pura deve camminare, la quale soltanto è mezzo adatto ed unico per quest’unione d’amore.

L’anima, dico, per assorgere alla divina contemplazione, deve essere purificata di tutte le imperfezioni non solo attuali, che si ottiene con la purga sensitiva, ma sibbene da tutte le imperfezioni abituali,che sono certe affezioni, certe abitudini imperfette che la purga del senso non è riuscita ad estirpare e che rimangono nell’anima come allo stato di radice; e che si ottiene con la purga dello spirito, colla quale Iddio con una luce altissima penetri tutta l’anima, intimamente la trafigga e tutta la rinnovi. Questa luce altissima, che Iddio fa scendere in dette anime le investe in modo penale e desolante il loro spirito, in modo da cagionare alle anime afflizioni estreme e pene interiori di morte.

Esse non sono presentemente in grado di comprendere questa divina operazione, questa altissima Iuce; e questo avviene ad esse per due ragioni; la prima per parte della stessa luce, la quale è si eccelsa e sì sublime da sorpassare siffattamente la capacità delle loro anime, da essere causa ad esse piuttosto di tenebre e di tormento, che di luce. La seconda ragione è per la bassezza ed impurità delle stesse anime, per cui non solamente loro diventa oscura quest’altissima luce, ma penosa ed afflittiva, e quindi in luogo di consolarle, le addolora, riempiendole di pene grandi nell’appetito sensitivo, e di gravi angustie e pene orrende nelle potenze spirituali.

Tutto questo avviene in sul principio, trovando la divina luce indisposte le anime alla divina unione, e quindi investe le anime in modo purgativo, e quando poi questa luce le ha purgate, le investe allora in modo illuminativo, innalzandole alla vista ed all’unione perfetta di Dio. Quindi si rallegrino nel Signore dell’alta dignità a cui Egli le va innalzando e confidino pienamente nello stesso Signore, come faceva il santo Giobbe che posto anch’egli da Dio in tale stato, sperava di veder la luce dopo le tenebre.

(Lettera di Padre Pio a Padre Agostino, Pietrelcina, 19 Dicembre 1913)

PREZIOSI CONSIGLI E INSEGNAMENTI SPIRITUALI DI MADRE CATHERINE MECTILDE DE BAR “Nostro Signore cerca anime vuote per riempirle di sé, e non ne trova…Il martirio della vita interiore è senza tregua: finisce solo con la morte”

“Indubbiamente colei che istituì la Congregazione monastica delle Benedettine del SS. Sacramento è una grande maestra di vita spirituale e, per tanti aspetti, una delle più grandi, non solo nella Francia del suo secolo d’oro, ma di tutta la Chiesa”

(Don Divo Barsotti)

Caterina di Bar, in religione madre Matilde del Santissimo Sacramento (Saint-Dié-des-Vosges, 31 dicembre 1614 – Parigi, 6 aprile 1698), è stata una religiosa francese, fondatrice delle monache Benedettine dell’Adorazione Perpetua del Santissimo Sacramento.

«Quando Dio vuole possedere interamente un cuore, sa come trovare i mezzi per svuotarlo e purificarlo dall’attaccamento alle creature e dalla proprietà di noi stessi. La sua mano onnipotente opera in questo cuore una croce perpetua che si fa sentire in varie modalità di sofferenze: a volte con le tenebre, a volte con i timori, a volte con gli spaventi e le ambasce»

(Madre Catherine Mectilde de Bar “Lettera del 1665”)

ALCUNI ESTRATTI DAL LIBRO “IL SAPORE DI DIO” JACA BOOK 1977

“Le anime che desiderano il regno dell’amor puro desiderano allo stesso tempo, senza pensarvi, una guerra spaventosa che deve ridurle al niente. Ce ne sono molte che desiderano l’amor puro, ma non ce n’è quasi nessuna che voglia sostenere da parte sua assalti, fulmini, rovine, rivolgimenti. Chi parla del puro amore senza conoscerlo nelle sue conseguenze, crede che sia tutto piacere e dolcezza. Ma un’anima che lo possiede conosce benissimo per esperienza che con lui non c’è tregua. Bisogna che tutto gli ceda, e che egli immoli tutto quel che ha vita in noi, per darci vita in lui. L’amor puro non è mai senza sofferenza: la croce, il dolore, il disprezzo sono il suo alimento. Di questo egli si nutre nelle anime. E se volete trattenerlo in voi, bisogna che abbiate di che alimentarlo. Fate provvista di croci e sofferenze, altrimenti non lo terrete a lungo. La croce mantiene l’amor puro e l’amor puro sostiene la croce; sembrano inseparabili,e quando l’anima non sperimenta la croce, soffre di non soffrire. Oh come siamo ancora lontane dall’avere in noi l’amor puro!”

Quante volte purtroppo ci sentiamo spinti interiormente a lasciare tutto, a ritrarre i nostri affetti dalla terra per seguire Gesù nella sua vita povera e sofferente. Ma i nostri attaccamenti sono così forti, che è necessario alla sapienza divina mandarci sconvolgimenti, perdite e incidenti vari, per portarci via a forza quel che non vogliamo proprio dare per amore. Non senza ragione le anime illuminate chiamano le afflizioni della terra visite del Signore ed effetti del suo santo amore. Se poteste penetrare l’amore che Gesù Cristo porta alle anime e il desiderio infinito che ha di santificarle, trovereste gran piacere nelle afflizioni, croci e sofferenze, poiché nella luce della verità di Dio son gli espedienti di cui si serve il suo amore per attirare i suoi eletti e obbligarli, sotto la pressione del dolore, a ritornare a lui, separandosi dalle creature. Bisogna dunque conoscere Gesù Cristo nella vita di sofferenza nella quale egli ci ha meritato la grazia, grazia che avete ricevuto al battesimo e che ricevete attualmente. Per Gesù crocifisso voi siete quello che siete. Unitevi strettamente a lui col desiderio; non fate nulla senza di lui e fate tutto per mezzo di lui. Quando avete qualcosa da soffrire, desiderate che la grazia delle sue sofferenze renda la vostra degna di lui. Nelle umiliazioni, desiderate che la sua umiltà santifichi la vostra abiezione.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Egli ha trionfato per noi del diavolo, del mondo e di noi stessi: sono questi i nostri più crudeli nemici. Uniamoci alla sua potenza divina e diamoci a lui, affinché egli trionfi in noi, atterri i nostri nemici e soprattutto l’orgoglio della vita, come il più malizioso. Abbiamo motivo di rallegrarci nel vedere Gesù vittorioso del demonio. Ma desideriamo che egli vinca anche tutto quello che trova in noi di opposto alla santità del suo regno. Ritiriamoci con lui nel deserto per esser tentate e abbandonate, per aver fame, per restare nelle tenebre, in penitenza e in povertà estrema; in breve per patire ogni sorta di disagi, privazioni e dolori, e non aver dove posare il capo. Amiamo lo spogliamento e tutto quello che ci introduce agli stati puri e santi di Gesù Cristo. Bisogna che siamo tutte rivestite di lui: San Paolo ce lo raccomanda. Non amate che Gesù Cristo, non desiderate che lui, non stimate nulla all’infuori di lui; nulla possedete se non Gesù Cristo, non gustate null’altro che Gesù, non saziatevi che di lui, non sperate altri che lui, non vogliate null’altro che Gesù Cristo, nulla cercate all’infuori di lui; non pretendete nulla se non Gesù, non compiacetevi in nulla oltre che in Gesù, non riposate che in lui, e mettete la vostra soddisfazione nell’essere tutta riempita di lui e da lui consumata.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

La fede ci insegna che Dio è Dio, che vede tutto, che sa tutto, che può tutto, che penetra tutto; nulla può essere nascosto ai suoi occhi divini; egli ha, da tutta l’eternità, disposto e ordinato le vie della nostra santificazione. La fede ci insegna che dalle nostre teste non cade un capello senza il suo comando, che nella sua mano sono il bene e il male, l’afflizione e la gioia, il riposo e la fatica ecc.; che la sua sapientissima e amabilissima Provvidenza dispone di tutto con soavità e santità , per il bene delle anime che si abbandonano a Dio e vivono di fede. Ora qual è l’esercizio della fede? Credere a queste verità che vi ho appena detto, e a tutte le altre che sono in Dio, anche se non le conoscete affatto. Come per esempio: sono contrariata? Ricevo questa contraddizione dalla mano di Dio senza permettere al mio spirito di ragionare tanto, e mi rassegno alla sua santissima volontà con pazienza credendo che Dio me la mandi per la sua gloria e la mia salvezza. Io credo che Dio mi vede. Credo che egli è pieno di amore e di misericordia per la mia anima. Credo che egli non fa nulla che non sia giusto e santo. E nelle diverse circostanze, potete farne degli atti, come dire: «Mio Dio, credo che voi mi amate di un amore infinito, poiché siete morto per me. Credo che avete cura di tutte le mie necessità e che la vostra grazia mi condurrà a voi. Credo nella vostra santa Provvidenza e che non mi cadrà un capello dal capo senza il vostro comando. Di conseguenza, credo che voi vedete il più piccolo dei miei pensieri e che non ci sia niente di casuale per voi, che tutto quello che mi mandate è buono, e non permetterete mai nulla che non sia per la vostra gloria e per il bene dei vostri eletti, nonostante non lo comprenda affatto. Credo, mio Dio, credo in voi e nei vostri santi misteri, e in tutte le verità che avete rivelato alla vostra Chiesa»…Altre volte potrete dire: «lo lavoro, o mio Dio, perché lo volete; il peccato mi ha ridotto a questa pena, la patisco per vostro amore in spirito di penitenza». Potete bere, mangiare, dormire, e così via, in questa disposizione, facendo sempre quel che Dio vuole, evitando il peccato, perché egli lo odia. L’esercizio della fede è dunque credere in Dio e nelle sue divine parole, e lavorare nella forza di questa fede. Io non conosco altro metodo.


(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Perché andiamo all’orazione? Senza dubbio per rendere a Dio i nostri omaggi di adorazione, di sacrificio e di amore. In breve, con l’intenzione di darci tutte a Gesù Cristo, nel desiderio che abbiamo di essere rivestite del suo Spirito e di diventare una sola cosa con lui. Ora, per raggiungere il fine dell’orazione, bisogna che l’anima patisca grandi e aspri sacrifici. Bisogna che accetti di essere spogliata dalle sue abitudini e privata di tanti sostegni. In una parola, bisogna che subisca quasi un rovesciamento e poi sia tutta rinnovata . È il motivo per cui tante anime soffrono nell’orazione, a volte aridità, a volte disgusti, tenebre e mille altre pene che noi sentiamo e che ci insegnano che in queste sofferenze Dio distrugge il nostro amor proprio e stabilisce segretamente il suo regno. Ma bisogna che l’anima si abbandoni alla sofferenza e si sottometta umilmente fra le mani di nostro Signore per essere vittima del suo beneplacito. Vi ho detto una volta che dobbiamo fare sulla terra quel che i beati fanno nel cielo. Essi guardano Dio in pura contemplazione e sono consumati nel suo amore. Noi dobbiamo avere una vista attuale di Dio nella fede e tendere sempre al suo amore. Ora, il perfetto amore non consiste nell’essere commossi nei sensi, ma consiste in una conformità totale. Resa perfetta, la fede realizza l’unione attuale di amore con Dio, come per i beati, unione che noi possiamo mantenere anche nelle azioni e nel trambusto dei nostri doveri, facendo tutte le cose per amore e sottomissione a Dio. C’è molta differenza fra meditazione e orazione. La meditazione è uno studio devoto, nel quale si apprendono i misteri e le verità cristiane; l’orazione li assapora, li gusta e si riempie della grazia che contengono. La prima contempla e considera la bellezza di Dio o le sue grandezze; l’altra lo adora, lo ama e si unisce a lui. La prima è complicata da molte considerazioni, argomenti, discorsi; l’altra è più pura, più semplice e porta maggiormente a unirsi a Dio. Nella prima l’intelletto umano ha di che occuparsi: la luce, i gusti, i ragionamenti nutrono l’intelletto e spesso il nostro amor proprio. Nell’altra noi siamo immolati e la nostra attività è ridotta al niente, o per lo meno è maggiormente purificata e semplificata. In quella ci appoggiamo sul nostro lavoro; in questa riceviamo l’azione divina, aprendoci con molta semplicità, in spirito di abbandono e di consenso amoroso. Nella prima è l’intelletto che agisce; nella seconda è Dio che conduce. E se un’anima ha solo un po’ di coraggio per perseverare nell’orazione, benché si senta piena di ogni sorta di miserie, sono sicura che nostro Signore l’aiuterà e l’introdurrà nella santa unione. Ma occorre molta costanza, poiché il demonio e la natura sono nemici dell’orazione,e fanno il possibile per distoglierne l’anima. Siate perseverante, figlia mia, non patirete sempre così dure lotte, ma dovete passarne ancora. Abbiate molto coraggio; tutto è per la gloria del vostro divin maestro e per l’edificazione del suo regno in voi. Io lo supplico di sostenervi e di unirci perfettamente a lui per sempre. Un grande segreto per fare molto progresso nell’orazione è il sapere ben custodire il silenzio alla presenza di nostro Signore. Col silenzio ci si annienta davanti a questa adorabile maestà, ed è nel silenzio profondo che Dio si fa intendere in modo mirabile.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

“Da quando mi sono ridotto al nulla ho trovato che nulla mi manca” Sono le parole di un gran santo, che l’aveva ben sperimentato. Vi ingannate, mia cara figlia, la vita interiore non consiste nelle luci, ma nel puro abbandono alla guida e allo Spirito di Gesù. E’ bello vedere quel che Dio ci mostra, come la nostra miseria, il nostro nulla, la nostra impotenza, per tenerci nell’umiltà e convincerci che noi non siamo nulla se non per la sua grazia. Queste conoscenze sono buone perché ci sono date da Dio. Ma quelle che sono ricercate dall’attività, dalla forza e dalla sollecitudine del nostro spirito, sono molto aride davanti a Dio, perché non hanno l’unzione della sua grazia. L’unico mezzo per fare un grande progresso nella vita spirituale, è conoscere davanti a Dio il nostro nulla, la nostra indigenza e la nostra incapacità. In questa visuale e in questa convinzione che abbiamo tante volte sperimentata, bisogna abbandonarsi a Dio, affidandosi alla sua misericordia, per essere condotti come a lui piacerà: sia nella luce che nelle tenebre; e poi semplificare il proprio spirito senza permettergli tanto di vedere e ragionare. Bisogna che vi contentiate di quel che Dio vi dà, senza cercare di possederlo in altro modo. Non è a forza di braccia che si acquistano la grazia e l’amore divino, ma a forza di umiliarsi davanti a Dio, di confessare la propria indegnità e di contentarsi di ogni povertà e estremità. Bisogna accontentarsi di non essere nulla, e “sarete tanto più quanto meno vorrete essere”. La vita di grazia non è come la vita del secolo. Nel mondo bisogna farsi avanti e farsi conoscere per comparire ed esser qualcosa secondo la vanità; ma nella vita interiore si avanza facendosi indietro. Ossia: fate fortuna non volendo essere nulla, e comparite tanto più agli occhi di Dio, quanto meno splendore e apparenza avete agli occhi vostri e a quelli delle creature. “Per essere qualcosa in tutto bisogna essere niente del tutto”.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Siate ben contenta che Nostro Signore vi faccia la grazia di tirarvi fuori dalle tenebre della vostra ignoranza e vi faccia vedere e sentire la dipendenza attuale dalla sua bontà, e come senza il suo particolarissimo soccorso non potete far nulla. Questa verità è importante e fondamentale per il nostro edificio spirituale. La tendenza naturale che abbiamo ad elevarci, cioè alla nostra esaltazione e alla vanità, obbliga Nostro Signore a tenerci a lungo, e qualche volta per tutta la vita, nella conoscenza e nei sentimenti della nostra bassezza. E benché noi proviamo, con una esperienza fin troppo palpabile, l’abisso della nostra misera corruzione, e benché la nostra coscienza ci rimproveri a ogni istante le nostre impurità e infedeltà, siamo così attaccati alla stima di noi stessi, da non poter sopportare che ci si condanni o disprezzi. Non possiamo sostenere i rifiuti che meritiamo. Siamo abbastanza convinte di non far nulla che abbia valore; tuttavia accettiamo e abbiamo una contentezza segreta in noi, quando gli altri approvano quel che facciamo. Siamo abominevoli davanti a Dio, e spesso ce lo diciamo interiormente; eppure, nelle occasioni in cui siamo un poco disprezzate, ci sentiamo morire. È cosa molto rara vedere anime che vivano nella verità. Tutti viviamo, ma purtroppo la maggior parte conduce una vita di menzogna e si nutre di vanità. Si prende l’ombra per il corpo e dell’accessorio facciamo ciò che è principale. Deploriamo il nostro accecamento, e riconosciamo come fino ad ora voi e io siamo vissute nelle tenebre e nella menzogna. L’anima che non è nella conoscenza di sé non è nella verità. Per vivere nella verità bisogna vivere nell’umiltà, o per meglio dire nel nulla… O beata perdita, o perdita salutare! Figlia mia, perché non ci siamo perdute così da non ritrovarci più che in Dio! Se conosceste questa somma felicità, vorreste patire mille e mille morti per possederla.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Ammetto che il martirio che si soffriva anticamente era crudele; ma non era di lunga durata. La vista della ricompensa li animava. Ma il martirio della vita interiore è senza tregua: finisce solo con la morte. E bisogna avere una costanza invincibile per non scoraggiarsi e non perdersi d’animo negli assalti di tante tentazioni violente che vengono ad assalirci, sia da parte del demonio, sia da parte nostra, sia da Dio stesso per provare l’anima. Ci vuole fermezza, ci vuole pazienza; e per meglio riportar vittoria bisogna annientarsi. È una guerra in cui bisogna perdere se stessi per vincere.. Voglio che nelle vostre miserie vi separiate dalla colpa, ossia odiate le vostre debolezze, la malizia e quello che disonora Dio. Ma non vi è permesso di sottrarvi alla pena e alla umiliazione. Ecco come bisogna fare: cado in un’infedeltà? subito la natura vorrebbe rattristarsene, e io provo un po’ di amarezza nel cuore, che tenderebbe a vedermi liberata da questa malizia. Noi possiamo esser messe in queste circostanze da Dio o da noi stesse. Quanto a me, ho riconosciuto per esperienza che la maggior parte dei gemiti dell’anima sono unicamente prodotti dalla fonte del nostro amor proprio. E noi abbiamo una tendenza insaziabile a liberarci dalla croce e dall’umiliazione. A questo dobbiamo un poco fare attenzione. Non c’è niente che umilia di più un’anima che le sue frequenti cadute, poiché bisogna necessariamente che essa confessi le sue debolezze, e ammetta di aver bisogno di un soccorso più potente di quello che l’orgoglio e la sufficienza penserebbero di trovare in noi. E’ quindi assolutamente necessario sperimentare il poco che siamo da noi stessi, avere diffidenza di sé e tendere a separarci continuamente dal nostro io.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Comprendete una buona volta la fortuna racchiusa nelle vostre debolezze. Vedete se, in certo modo, le vostre miserie non siano amabili. Esse vi sono così utili che, senza i sentimenti che ne avete, non potreste mai possedere solidamente la conoscenza di voi stessa. Dovete dunque odiare le vostre infedeltà perché disonorano Dio, ma non turbarvene né inquietarvene.Odiate la colpa, ma amate con affetto la pena. Doletevi di essere contraria a Dio, ma siate contenta che questo vi umilii e vi faccia conoscere il vostro fondo cattivo. Voglio si che gemiate sotto il peso di questa carne di peccato con San Paolo, ma desidero che entriate nella sua profondissima umiltà. Giacché le miserie che egli avvertiva lo gettavano in un abbassamento così estremo, che egli si diceva un piccolo aborto e indegno del nome di apostolo. Non dice forse che si gloria nelle sue infermità? E quali sono le infermità di San Paolo? Sono i pungiglioni dei peccati che egli portava e provava continuamente in sé. E mentre ne chiedeva la liberazione, ha imparato che attraverso tutte queste miserie, la sua anima si perfezionava. Mia carissima figlia, non turbatevi, il vostro stato è buono; ma non datevene tanto pensiero. Siate più abbandonata e più fiduciosa in Dio. La vostra perfezione è opera del Cristo. Siate sicura che egli la coronerà con le sue benedizioni. Ma dovete restar ferma, accettando che il suo amore distrugga in voi tutto quello che è opposto al suo regno. Compiango la vostra anima che si tormenta nelle tenebre e nell’ignoranza. E per il fatto che non comprende la via in cui nostro Signore l’attira per farla sua, si tormenta e si affatica molto inutilmente. Diventate un bimbo piccolo, più sottomessa che mai e più semplificata nei vostri pensieri. Vi assicuro che la vostra via è buona e santa, camminate con fiducia.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

La bontà di Nostro Signore non permetterà che siate tentata al di sopra delle vostre forze. Affidatevi alla sua misericordia al di là delle vostre ripugnanze e della malizia del vostro intimo che vi ritrae, per quanto può, dal vostro caro abbandono. Non rinunciate alla lotta, non cedete se non per inabissarvi nel nulla profondo. E’ il vostro rifugio, ma non l’avete ancora ben considerato. Non vi accorgete ancora come potete vivere morendo e morire vivendo. Oh, come sono pochi quelli cui Gesù diceva nella sacra Scrittura: «Vuoi essere perfetto? Dà i tuoi beni ai poveri, rinuncia a te stesso, prendi la tua croce e seguimi». Si trova anche chi dà i propri beni ai poveri, ma non si trova quasi nessuno che segua Gesù. Felice l’anima che riconosce la sua chiamata e lo segue con fedeltà. Cosa temete? di perdere voi o le creature? Ma no, non abbiate paura, giacché questa perdita è il principio della vostra felicità eterna. Abbandonando noi stessi troviamo Dio e riceviamo la grazia di seguirlo. Non abbiate più rimpianto di perdere tutto, poiché è questo l’unico mezzo di possedere Gesu. State attenta che le creature non vi trascinino e vi sottraggano a voi stessa. Non datevi premura per alcuna cosa umana, e guardatevi bene dal preferire qualcosa a Gesù Cristo. Oh, è un gran segreto sapersi abbandonare davvero, in un profondo silenzio, davanti a nostro Signore! Rimanete in pace, nella parte superiore della vo- stra anima, e acconsentite di buon grado che Egli vi purifichi come gli piacerà. Guardatevi bene dal voler dare leggi a Dio riguardo al modo con cui vi conduce. Gli stati umilianti sono i più santi e i più utili. Se fossimo illuminate con la pura luce della fede, non vorremmo più uscire dallo stato di impotenza e di abbassamento.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Com’è bello che siate ridotta nel vostro niente senza accorgervene, come dice il profeta. L’anima annientata diviene pura capacità di Gesù Cristo, non gli si oppone più. Figlia mia, quando sarà che vi vedrò in questo annientamento? Allora vedrete diversamente tutte le cose, perché i vostri sensi non vi inganneranno più. Lasciatevi condurre in segreto e quasi a vostra insaputa, al fine di evitare gli ostacoli che potreste frammettere. La mano di Dio ha una potenza infinita per introdurvi fin là, ma non le resistete. Acconsentite a tutti gli spogliamenti che la Sapienza eterna farà in voi, sia per l’attività della vostra anima, sia per le creature che ancora possedete, alle quali potete avere attaccamenti segreti. Esponetevi in assoluto spogliamento alla forza dell’Amore divino, e sperimenterete la sua potenza. Nostro Signore cerca anime vuote per riempirle di sé, e non ne trova. Siamo così meschine nei riguardi di Dio. Quando voi gli date un piccolo istante della vostra vita, o sopportate un quarto d’ora di pena, vi sembra che egli ve ne sia molto debitore! Non avete abbastanza riconoscenza per quel che Nostro Signore ha fatto per voi, né per l’amore che vi porta. Avete anche questo di cattivo, di essere troppo umana, di voler troppo conciliare la grazia con la prudenza della carne: mirate troppo in basso, e qualche volta addirittura a niente per considerazioni o timori umani. Non semplificate abbastanza il vostro spirito e non vi abbandonate abbastanza alla guida divina. Vi smarrite nelle creature. Non siete fedele, negli eventi, a vederli nel piano di Dio e nella dispensazione divina…E’ l’esercizio che dovete praticare attualmente, tenendo dolcemente il vostro spirito alla briglia, per paura che vi sfugga, come un cavallo non domato. Umiliatevi dunque a dovere. Gradite in spirito di umiltà tutta la povertà e miseria che la Provvidenza vi fa provare. Le privazioni, le tenebre e le impotenze: tutto è buono, poiché è Dio, la sapienza eterna, che le dona. Rimanete soltanto costantemente abbandonata e non preoccupatevi affatto del resto; Dio provvederà a tutti i vostri bisogni: la vostra santificazione è opera sua.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Figliola cara, non scoraggiatevi per questo stato di morte totale di sé. Non è opera delle creature, ma opera della mano onnipotente di Dio, che vi fa entrare l’anima a misura che essa si spoglia e si spropria di tutto quel che occupa e riempie il suo intimo. E’ lo stato puro e santo che avete votato nel battesimo. È quello che ci fa cessare di essere quel che siamo per far essere e vivere Gesù Cristo in noi. Questa morte appare crudele e molto dura alla natura e ai sensi; ma è piena di sapore per lo spirito. E un’anima che ha appena un po’ di stima, amore, rispetto per Dio, sacrifica di buon cuore la vita e l’essere alla divina grandezza, per un intimo desiderio di vederlo vivere e regnare in noi, di glorificarsi in noi secondo il suo beneplacito. Più vi conosco, più sono confermata sulla vostra chiamata a questa via di purezza. Non che occorra che vi siate introdotta subito ora; ma dovete sempre conservare il desiderio di arrivarvi e tendervi secondo la vostra grazia e la vostra capacità. E se ci vediamo lontane dalle disposizioni di Gesù, non dobbiamo stancarci di aspirarvi, ma fare perciò tutto quello che la Provvidenza del nostro buon Dio ha messo in nostro potere, abbandonando tutto il resto alla sua misericordia e al suo amore. La lontananza in cui vi trovate ora da questo stato beato, procede da una luce più grande che vi manifesta le vostre miserie e indegnità. Non dovete conoscere il vostro progresso in questa via; ma dovete camminarvi nell’accecamento, sottomettendovi alla guida che Dio vi ha dato, senza permettere al vostro spirito di ripiegarsi per vedere il suo avanzamento… So bene che siete ancora lontana da questo stato; ma la pazienza e la grazia portano con sé ogni cosa, e Nostro Signore vi ci farà entrare per una via che non pensate. Restate sempre molto abbandonata. Non uscite dallo stato di sacrificio in cui vi tiene. Lasciatevi guidare dal suo Spirito divino.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Sono molto consolata dalla vostra fiducia in Dio e dalla pace e quiete che possedete nel vedere la vostra lontananza e i tanti ostacoli che incontrate in questa via di purezza. Colui che da tutta l’eternità vi ha fatto l’onore e la grazia di destinarvi a questa perfezione, sarà la vostra forza e la vostra virtù per entrarvi. Non vi scoraggiate mai. Continuate a sacrificarvi, dal momento che a questo vi sentite spinta, vedendo i vostri contrasti e le vostre croci. Ecco il tempo della fedeltà; bisogna essere costante con la costanza e fermezza di Gesù Cristo… Adorate la mano preziosa e adorabile che vi crocifigge, e state bene attenta di non considerare nulla nella condotta delle creature. Guardate tutti gli eventi nel piano di Dio e sottomettetevi con rispetto. Bisogna che la sua opera si compia. Non sarete mai una vera cristiana se non siete in croce e se non consumate su di essa la vita come il vostro divino maestro. Che cosa temete, figlia mia? Un po’ di vergogna e confusione da parte delle creature? E non temete il disprezzo che avete per Dio e la sua grazia? Per una vanità ci mettiamo in pericolo di perdere un’eternità beata? Ahimé! se le creature ci potessero santificare, bisognerebbe averle in considerazione; ma esse ci fanno perire e sono attualmente opposte alla nostra santità… Lasciamole di buon cuore, non preferiamole più all’amore di Gesù. Non possiamo servire due padroni: a Dio e a noi stessi. Bisogna necessariamente lasciare l’uno o l’altro. Non è forse giusto lasciare tutto per Gesù? Colui che non rinuncia a se stesso non è degno di essere suo discepolo. Mio Dio! figlia mia, come desidero vedervi perfettamente sottomessa alla guida di Dio e tutta ricolma del suo divino Spirito; siate molto generosa nelle vostre croci, che i timori e le considerazioni umane non vi facciano per nulla desistere dal santo proposito di essere tutta di Dio.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

L’amor puro è bello, colmo di attrattive, ma noi siamo ancora troppo impure per possederlo; non potrebbe dimorare un istante in noi. Si riposa nelle anime totalmente annientate, e fino a che voi non lo siate, sopportate con pazienza di vedervi in questa dura e crudele privazione. Dovete essere persuasa che non siete degna di possederlo; e per rendervene degna bisogna che stiate nell’abisso dell’umiliazione. Poiché, fintanto che la superbia regnerà in voi, il puro amore non vi potrà inabitare. Lasciatevi dunque distruggere, umiliare e consumare nel centro del vostro niente, e dopo vedrete l’amor puro riposarsi in voi come nel suo letto di riposo. Ma sappiate che l’amor puro non potrebbe tollerare la minima impurità, il minimo interesse personale, vanità e compiacimento. E’ amabile nel suo possesso, ma rigorosissimo nella sua operazione. È un monarca così potente che riduce tutto sotto il suo impero, e non lascia un’anima in riposo senza aver fatto in essa un capovolgimento totale. È senza pietà e senza misericordia: spezza tutto, distrugge tutto. Va ancora più in là, giacché consuma tutto. Non può tollerare la minima resistenza. Ha armi molto potenti, e arriva fino a fare dei martiri. Finalmente è un grande conquistatore. Vuole assoggettare le anime al Cristo, strappandole alla tirannia in cui il peccato le ha tenute così a lungo. Le anime che desiderano il regno dell’amor puro desiderano allo stesso tempo, senza pensarvi, una guerra spaventosa che deve ridurle al niente. Ce ne sono molte che desiderano l’amor puro, ma non ce n’è quasi nessuna che voglia sostenere da parte sua assalti, fulmini, rovine, rivolgimenti. Chi parla del puro amore senza conoscerlo nelle sue conseguenze, crede che sia tutto piacere e dolcezza. Ma un’anima che lo possiede conosce benissimo per esperienza che con lui non c’è tregua. Bisogna che tutto gli ceda, e che egli immoli tutto quel che ha vita in noi, per darci vita in lui. L’amor puro non è mai senza sofferenza: la croce, il dolore, il disprezzo sono il suo alimento. Di questo egli si nutre nelle anime. E se volete trattenerlo in voi, bisogna che abbiate di che alimentarlo. Fate provvista di croci e sofferenze, altrimenti non lo terrete a lungo. La croce mantiene l’amor puro e l’amor puro sostiene la croce; sembrano inseparabili,e quando l’anima non sperimenta la croce, soffre di non soffrire. Oh come siamo ancora lontane dall’avere in noi l’amor puro! Tuttavia abbiamo qualche motivo di consolarci, giacché egli ha già inviato i suoi ufficiali a contrassegnare i suoi appartamenti. Sono sicura ch’egli vi vuole prendere alloggio, ma bisogna ch’egli li faccia ripulire e mettere in ordine. È quello che sta facendo in voi. Lasciatevi dunque purificare. E se mi dite che non ve ne rendete conto affatto, vi rispondo che i vostri occhi sono troppo impuri per vederlo, e che Dio vuole da voi non i sensi ma la fede pura. Per questo dovete esercitarla. È molto che vi predico questa lezione. Ma il vostro spirito è talmente abituato al ragionamento, a vedere e a sentire, e questa parola di fede gli è così nuova, che non la sa accettare. Tuttavia è questa la vostra via e, se non camminate in essa, non gusterete Dio, e non lo adorerete mai in spirito e verità.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Figlia mia cara, va bene così soffrite in pace tutto quello che Dio vi manda: tenebre, oscurità, impotenze.Tutto è buono, poiché lo dà Dio: egli stesso ne farà in voi l’uso che vuole. Quando dico che vi abbandoniate, intendo dire: rimanete nella vostra miseria e impotenza, e attendete con fiducia che il Signore ve ne liberi. C’è ben altro da soffrire: non siete che agli inizi. Non vi scoraggiate, vi assicuro che Nostro Signore sarà la vostra forza e non vi abbandonerà. Nostro Signore ordinò ai suoi discepoli, dopo l’ascensione, di ritirarsi, riposare e attendere di essere rivestiti del suo Spirito Santo. Fate lo stesso, vi prego, e abbandonatevi interamente a Nostro Signore, affidatevi alla sua bontà. II vostro stato presente non sarà di lunga durata; dopo il dolore viene la gioia. Non desiderate nulla, non cercate nulla, non amate nulla se non il beneplacito di Dio in tutte le cose, accontentandovi di tutti gli stati d’animo, di tutte le disposizioni interiori, in breve di tutto quello che la divina Provvidenza vi farà provare. Siate la vittima divorata e consumata e godete di essere nelle tenebre, nell’impotenza,in prigionia: tutto questo è buono e produce buoni effetti, se continuate ad essere abbandonata. Voi non vedete quel che Dio opera in voi. Sentite il vostro dolore e il gemito della natura, ma non vedete che Dio la purifica distruggendo le vostre soddisfazioni. Oh! se la vostra anima avesse abbastanza coraggio per abbandonarsi in preda all’amor puro, quali effetti meravigliosi esso produrrebbe! Ma poiché é fa soffrire e rovina il nostro amor proprio per stabilire il suo impero divino, questo ci ritrae dal nostro abbandono e ci priva di un possesso così santo. Tutta la beatitudine e felicità dell’anima è amare Dio, ed è l’occupazione dei beati nella gloria. Perché non incominciare fin da questo mondo, giacché possiamo amare, e Dio ce lo comanda? Amiamo come Dio desidera e come vuole esser da noi amato. Ora, amarlo come si deve, è amarlo in tutti i modi, riconoscere che tutto quello che fa va bene, approvare e consentire a tutti i suoi disegni, segreti e manifesti, su di noi, sottomettere ogni nostra volontà alla sua, non preferire nulla al suo amore, guardare a lui in tutte le cose, ricevere immediatamente tutto dalla sua santa mano, gradire le nostre perdite, umiliazioni e croci; insomma è esser fatta, grazie a questo amore una cosa sola con lui, con una perdita totale di noi stessi.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Alla Croce è legata la nostra santificazione, poiché è impossibile essere santi senza essere in croce. La purezza della vita è nella croce, tutte le virtù sono nella croce, la profonda umiltà è nella croce, il sacro annientamento è nella croce, la morte è nella croce, e perfino vi si incontra la vita. O croce preziosa, o croce tanto adorabile, che mortifica, vivifica, santifica! Croce potente che ha la grazia di fare i santi, di convertire i peccatori, in una parola di consumare le anime nell’amore di Gesù. Quale anima vorrebbe esser senza croce, conoscendo la sua eccellenza? Un’anima che non volesse la croce deve rinunciare alla salvezza, poiché solo nella croce la trova. Questo nome della Croce è cosi amabile alle anime che vivono di grazia, che lo portano inciso nel cuore e, se si facessero vivere senza croce, sarebbero terribilmente crocifisse di non essere in croce. Seguiamo queste anime grandi, anche se da lontano, però secondo le nostre forze e la capacità che Gesù mette in noi. Se non avete per la croce un amore così grande, almeno non ne abbiate ripugnanza; poiché è il tesoro che Nostro Signore ha posseduto sulla terra e ha lasciato in eredità ai suoi eletti. Se abbandoniamo la nostra parte, rinunciamo alla nostra eterna felicità. Perciò vi amo nella croce e nell’amore della croce vi abbraccio, stringendovi ad essa con Gesù, e offrendovi in sacrificio per esser unita e consumata sulla croce. Là vi lascio senza separarmi da voi.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Gesù Cristo ci ama con un amore troppo santo per amarci in tal modo. Ci ama per farci aver parte alla sua gloria. Ci ama per l’eternità e per farci gustare la verità divina. Ci ama per unirci a sé e farci, con la sua grazia, una cosa sola con lui. E noi non vogliamo aver riguardo al suo amore. Perché? Perché è un amore che non soddisfa l’impurità del nostro amor proprio, il quale s’immerge nella vanità di questa vita come in una felicità eterna. L’amor proprio si sazia con tutto ciò che è umano e non stima se non quel che accontenta la natura e soddisfa il nostro spirito. La luce di verità non brilla ai nostri occhi: la vanità, la menzogna sono la fiaccola che ci guida e che insensibilmente ci conduce al peccato. Ma poiché l’amore di Gesù Cristo crocifigge i nostri sensi, non lo possiamo stimare né sopportare, e così preferiamo la creatura e il piacere del peccato alla purezza e santità dell’amore di Gesù Cristo. Figlia mia, giudicate se non siamo proprio ciechi.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

E voi, carissima, cercate di ottenermi lo Spirito Santo. Ne ho molto bisogno; lo desidero e lo temo, poiché quando egli si impossessa di un cuore lo spoglia in modo tale che non si può più parlar d’altro che di morte e di spada, di croce e di supplizio; egli dà la morte [all’anima] senza misericordia, e non dà tregua: bisogna o non accoglierlo affatto o cedergli in tutto e per tutto, perché vuole regnare da sovrano assoluto; dispone di tutto a sua discrezione e si fa obbedire per bene; ma bisogna anche dire che le sue prerogative sono così divine ed è così adorabile, così santo, che per possederlo si stima vera gloria il perdere tutto, e volentieri si accetta di essere infelici secondo il mondo, per esser felici nel possesso di un bene così inestimabile, che peraltro è invidiato solo dalle anime molto illuminate dalla sua luce divina. La natura e lo spirito umano non possono trovar piacere alcuno in tutto ciò, ma bisogna lasciarli urlare e disperarsi, perché noi dobbiamo appartenere interamente a Dio, ed essere ricolmi del suo Spirito. Io lo prego che operi in voi un così potente e divino sconvolgimento che ne siate tutta trasmutata in lui e che mi otteniate la conversione.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Lo so che Egli spesso ci conduce attraverso prove assai dolorose, ma è necessario accettarle con abbandono, o altrimenti rinunciare al cristianesimo. Ah, non pensiamo di poter mettere d’accordo il nostro amor proprio con l’amore divino: bisogna che l’uno o l’altro abbia dominio assoluto. Ora, siete troppo illuminata per non preferire Gesù e per non amare gli interessi di lui più dei vostri: davvero, dobbiamo perder tutto per guadagnare lui, perché egli non si dà interamente se non a chi si dà a lui senza riserva alcuna; e fino a quando non saremo in questo reale abbandono non sperimenteremo la pura vita della grazia, perché I’anima non può gustare veramente Dio se non ha perduto il gusto delle creature. La naturale tenerezza che nutriamo per noi ci è spesso di grande ostacolo; se non siamo capaci di immolarci in modo totale, dobbiamo almeno lasciar da parte il nostro io e far di tutto perché la nostra miseria non ci impedisca di tendere a questo abbandono assoluto. Vi prego di imprimervi fortemente nell’animo una verità essenziale: vedete tutte le cose in Dio, il bene e il male, il dolce e l’amaro, la fatica e il riposo, la perdita e il guadagno, l’inquietudine e la calma, la povertà e la ricchezza, l’indigenza e l’abbondanza, la fortuna e la sfortuna, gli onori e i disprezzi: insomma ogni cosa, tranne la malizia del peccato che in Dio non può esistere; ma tutto il resto è in lui, come la fede c’insegna, e quindi dobbiamo considerare tutto come opera della sua mano adorabile e santa. È sommamente importante porre questa convinzione come fondamento, onde stabilirci nella verità e al tempo stesso svincolarci dalle creature, che di solito nelle diverse circostanze ci invadono lo spirito e prendono il posto di Dio; dobbiamo invece ritenere lui solo autore di tutte queste cose.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Bisogna che l’anima vostra riceva tutto come in prestito dalla santa mano di Dio, e che impariate a liberarvi santamente e dolcemente da tutto quello che possedete, quasi riconsegnando di tanto in tanto ogni cosa alla potenza e alla disposizione divina perché tutto si compia secondo il suo beneplacito e non secondo i vostri desideri. Dopo aver cosi rinunziato a tutte le creature quasi riconsegnandole a Gesù, dovete riconsegnargli anche voi stessa. Ed eccoci al secondo passo nella perfezione. Ora, la piena rinuncia a se stessi è la cosa più difficile della vita interiore, poiché daremmo tutto pur di conservare il nostro io; abbiamo in noi e per noi un amore così spaventosamente disordinato che non c’è nulla al mondo che non faremmo per conservare il pieno dominio dell’io. Quest’amore di noi stessi è così astuto nella salvaguardia dell’interesse proprio, che le minime occasioni atte ad annientarlo lo fanno fremere di orrore e gli suggeriscono mille sottigliezze per sfuggire il dolore. Sa, povero infelice, di essere condannato; sa che non può essere in amicizia con Gesù Cristo; sa che deve essere distrutto, perché Dio solo ha diritto di essere e quindi l’esistenza che vorrebbe usurpare non gli sarà mai accordata: per questo appunto fa di tutto per restare in vita più che può; ma insomma si tratta di una rapina fatta a Dio, che solo è e vive in sé, senza dipendere da alcuno, mentre il nostro miserabile io pretenderebbe sussistere da sé. Bisogna perciò annientarlo, in omaggio all’Essere infinito: e proprio questo l’io non vuol sopportare, giacché la brama di essere qualche cosa è così grande e così radicata in noi che, a meno di una grazia specialissima e di un’inviolabile fedeltà, non riusciremo mai a distruggerla completamente. Oh, quanti sacrifici! quante lotte, quante agonie, quanti assalti, quante violenze: insomma, quante volte dobbiamo morire!..e alla fine si è costretti a confessare che occorrono una fede e un coraggio invincibili per venirne a capo. Ma se c’è tanta fatica, c’è anche un bene infinito come ricompensa, perché perdendo noi stessi guadagniamo Cristo Gesù. Vedete dunque che felice trasformazione e che eterna beatitudine essere Gesù con Gesù, vivere e operare solo per lui e in virtù sua. Abbiate infinitamente cara questa gloriosa trasformazione e credete che davvero non esiste sorte più sublime.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Vi trovo anche troppo timorosa dell’umiliazione. Siete troppo umana, il vostro spirito vuole troppo vedere, troppo sentire, troppo conoscere. È troppo pieno della propria luce e ha soverchia paura di perdersi e di essere privato dei suoi amici. Dovete imparare a vivere di fede e a entrare per suo mezzo nel perfetto abisso del vostro niente. Ricordatevi delle parole di nostro Signore a Nicodemo: «Se uno non rinasce, non può vedere il regno di Dio». Che cos’è il regno di Dio se non il possesso che abbiamo di lui? Che egli viva in noi e ci dia vita in lui. Conoscere Dio e Gesù Cristo, suo Figlio, da lui mandato: non è forse questa la vita eterna? Mia carissima, non potete conoscere Gesù Cristo che uscendo dalle vostre luci personali per rivestirvi della luce della fede…

Dovete amare le vostre debolezze e umiliazioni. Ora, non v’è nulla che confonda di più un’anima quanto il peccato. Dovete gloriarvi nella vostra bassezza, amare il vostro nulla, la vostra impotenza e servitù, nella misura in cui vi fa conoscere il bisogno che avete di Gesù Cristo e del soccorso della sua grazia. Essa vi fa conoscere l’attuale dipendenza che avete dalla sua bontà, senza la quale perireste ogni momento. L’umiltà speculativa è buona, ma quella che è frutto di esperienza vale molto di più. I pensieri svaniscono, ma il sentimento rimane più a lungo. Amate dunque l’annientamento che Dio vuole operare in voi. Egli, volendo farvi sentire il peso della vostra miseria, permette le vostre cadute per obbligarvi a conoscere e vedere quel che potete da voi stessa. Vuol farvi sentire per esperienza che tutta la vostra capacità sta nell’offenderlo ed essergli contraria e, dopo avervi fatto conoscere da voi stessa questa verità, egli vi attira insensibilmente in un profondo abbassamento davanti alla sua maestà. Vi fa riconoscere la vostra impotenza e tutta la vostra miseria e povertà e vi tiene bene avvinta alla sua grazia e al suo amore. E così, voi conoscete per esperienza come la creatura non è che peccato e non può altro se non essere opposta a Dio, distruggendo [in sé] il suo regno e rendendosi attualmente indegna delle sue misericordie. Le anime molto orgogliose cadono assai più spesso delle altre, perché devono gustare l’amaro della loro malizia. Altrimenti non si condannerebbero quasi mai.

Nella disposizione in cui siete, la ripugnanza che sentite a sbagliare procede da un fondo corrotto. Non è il rispetto di Dio che vi trattiene su questo punto, bensì la pena di esserne respinta e umiliata. Non conoscete abbastanza voi stessa, imparate che siete peccato, e che tutta la vostra capacità è di peccare. Se da voi stessa siete così miserabile, perché vi meravigliate tanto delle vostre miserie e infedeltà? Pensate di essere impeccabile? Purtroppo, se lo foste per un verso, la vanità vi consumerebbe dall’altro. Non turbatevi più per i vostri difetti, ma imparate a umiliarvi. Dopo essere caduta, rialzatevi come se non foste caduta e, abbassandovi davanti alla grandezza di Dio, portate alla sua presenza il peso della vostra umiliazione e sopportate che Dio distrugga, per questa via, il fondo della vostra corruzione, l’orgoglio e l’ambizione segreta, la stima e la buona opinione di voi stessa che si alimentano insensibilmente in voi. Siete fatta in tal modo che non sarete mai umile se non cadendo. Ma per evitare le grandi confusioni, umiliatevi profondamente e fate uso delle piccole, per non obbligare Dio ad abbandonare il vostro orgoglio a miserie più grandi.

San Paolo si glorifica nelle sue infermità e voi fate altrettanto. Glorificatevi, non nella malizia del peccato, ma nell’abisso del vostro nulla che vi fa vedere la vostra impotenza e come dipendete dalla grazia e bontà di Dio. Quale gioia ha un’anima, che per quanto poco appartiene a Dio, di vedere per esperienza che è sostenuta da Gesù Cristo, che non ha né forza né virtù se non in lui, che non ha in se stessa né grazia né bontà alcuna. Vi confesso che questo [mi] rapisce di gioia, poiché l’anima, quando concepisce questa verità, si perde, si abbandona e si consegna interamente a Gesù Cristo. Essa prende gran piacere nel vedere lui solo santo, lui solo grande e potente, lui solo indipendente ecc., e come la propria povertà e miseria la fa stare soggetta alla sua grazia, senza la quale non potrebbe far niente. Quando cadete esponetevi davanti a Nostro Signore nel maggior abbassamento possibile, senza turbamento. Dite con grande semplicità: «Mio Dio, ecco la mia capacità e ciò che io posso fare». E dopo, rimanete umiliata davanti a Dio, soffrendo in pace le pene che la sua misericordiosa giustizia vi imporrà, senza lamentarvi, senza ripiegarvi sulla vostra infedeltà; ma abbandonatevi alla sofferenza rimanendo nel vostro niente, senza attività.

Questo perché la maggior parte delle anime credono che, nelle loro cadute, devono fare molti atti e da parte loro usare grandissima diligenza per liberarsene e uscire dalla sofferenza che sentono. Il mio pensiero è tutto al contrario. Occorre custodire il silenzio, dopo aver confessato semplicemente il proprio fallo, e sopportare con rispetto e abbandono la penitenza che Dio ci fa fare, nella misura e per tutto il tempo che a lui piacerà. Poiché nello stato in cui siete, voi non vi appartenete più, non avete più diritti né autorità su voi stessa. Gesù Cristo è il vostro maestro e il suo Santo Spirito vi deve dirigere. E voi dovete essergli soggetta con grande umiltà, lasciandolo agire in voi come a lui piace senza trovare a ridire. Sopportate dunque che egli vi umili, che vi respinga anche talvolta, fino a sentire il peso della vostra impurità, onde conoscere il vostro nulla di essere e di peccato per esperienza personale. Siete ancora molto delicata, mia carissima sorella, nella via dello Spirito. Dovete agguerrirvi in essa in tutt’altro modo: non uccidendo il corpo, ma dandovi in preda al puro amore di Gesù Cristo. Vi prego, lasciatelo fare, soltanto acconsentite ai suoi adorabili disegni e restate ferma. Vedrete che farà meraviglie degne di lui. Bisogna che sia distrutta la tenerezza naturale che avete per voi stessa, e molte altre cose che non vedete. E’ vero che occorre soffrire un po’ poiché la natura non ama affatto la propria distruzione, ma Dio vi ha dato la ragione per farvi conoscere come la vita che egli vuole stabilire in voi è migliore della vostra, e nel battesimo vi ha dato la fede per fortificarvi e darvi vita in questa verità.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

La speranza vi deve rassicurare che Dio opera in voi, e che perció non dovete cercare nelle creature quanto la sua divina maestà si degna di comunicare direttamente alla vostra anima. Non dovete fare altro che abbandonarvi umilmente e amorosamente alla sua potenza: egli compirà dei miracoli mentre la vostra anima sarà immersa nell’abisso della sua piccolezza e del suo nulla. Tutto il segreto della vita interiore e spirituale consiste nel sapersi lasciar annientare come Dio vuole: egli ha mezzi senza numero per farlo e ne usa come gli piace, ma molto spesso sceglie quelli che non piacciono a noi; lo spirito umano non trova dove poggiare il piede, e perciò si agita e fa tanto rumore che ritrae l’anima dalla sua semplicità. Restate in pace più che mai: oso assicurarvi che è quanto il Signore desidera da voi. Non considerate più la condotta che egli usa con gli altri, e vi basti esser sicura della vostra di modo che, sempre più abbandonata, tendiate dolcemente a dargli vita in voi: ecco quel che deve fare un’anima veramente cristiana. Essa non deve risparmiarsi in nulla: si tratti di sofferenze interiori, o di pene e contraddizioni esteriori, tutto serve al Signore per compiere l’opera sua. E’ un maestro così bravo che ogni pietra gli è utile per il suo lavoro. Non v’è croce, per quanto piccola, che non contenga la sua grazia, se noi vogliamo riceverla con fede pura e semplice: tutto serve ottimamente a un’anima che non vive più per se stessa. Perciò essa è sotto la mano di Dio come un oggetto delizioso nel quale egli si compiace infinitamente. Non vi preoccupate mai troppo dei vostri interessi spirituali ed eterni: basta che siate figlia di Dio e riposiate sul suo seno, abbandonandovi alla sua amabile Provvidenza, onde faccia liberamente in voi e di voi tutto quel che le piace. Un’anima che si sacrifica così amorosamente, s’immerge nell’oceano delle divine compiacenze del suo Dio; e per questo non ha bisogno di formulare tanti atti distinti: il suo stato li comprende tutti e ne contiene anche gli effetti, se resta fedele. Tuffatevi mille volte al giorno nel cuore di Dio, che è il suo Verbo fatto carne. Egli è il vostro adorabile centro: là troverete la forza, la grazia e la virtù; perdendovi così in lui, Gesù diventa il vostro tutto e opera talmente per voi da farvi scorgere la sua virtù che vi circonda e vi sostiene, vi purifica e resiste per voi al peccato. Se qualche volta vi sembra di commetterne in tutto ciò che fate, non dovete turbarvi: la corruzione della creatura è estrema ed è impossibile preservarla da mille debolezze e imperfezioni; però queste, non essendo volontarie, non la separano da Dio. Allora la creatura lo glorifica nella propria abiezione, confessando che lui solo è santo. Lasciate ai suoi piedi tutte le vostre miserie ed egli le consumerà a suo tempo. Vi sono anime che bisogna tenere sempre in vista della loro povertà e bassezza, per timore di qualche piccola compiacenza in se stesse e di vanità nei doni di Dio. Oh, come stimo felice un’anima che conosce la sua profonda miseria e che può sostenerne la vista senza turbarsi! Molti si scoraggiano quando si vedono miserabili e pieni di debolezze e di peccati: non convinti che in ciò consista tutta la loro capacità, pretendono di trovare in se stessi la virtù che non c’è, e si credono abbastanza forti a perfezionarsi da sé, operando secondo i suggerimenti del loro proprio spirito. Povero cieco! non conosci dunque che tu vieni dal nulla e non sai che il peccato ti ha spogliato di ogni bene, grazia, virtù e capacità? Più niente tu devi cercare in te stesso, niente sperare da te: Gesù sarà il tuo divino supplemento; in lui troverai tutto quel che ti manca. Mia carissima sorella, impariamo ad allontanarci da noi stessi avvicinandoci a lui. L’anima trova la sua felicità suprema nel constatare la propria dipendenza attuale dal Suo potere e dalla Sua bontà; nel vederlo sempre e al di sopra di tutte le cose come colui dal quale riceviamo continuamente la vita e ogni respiro, la forza di operare e di soffrire. Se l’anima sa tenersi unita a questo tronco adorabile che è il suo centro e la sorgente del suo essere, sarà riempita meravigliosamente di Gesù e sperimenterà ciò che non son degna di esprimere. Oh! quali verità possiederà! quanti lumi nelle sue tenebre! quanta forza nelle sue debolezze! quanti tesori nella sua povertà; quante grazie nella sua miseria! Ma tutto questo è incomprensibile a chi non ne ha fatto l’esperienza.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Non vi confessate di mancanze nel mangiare, nel bere e così via: bisogna soddisfare con semplicità ai bisogni della natura, dal momento che lo stesso Nostro Signore li ha sofferti nella sua adorabile umanità, benché come Dio avrebbe potuto esentarsene. In queste cose si pecca solo per eccesso o per sensualità. Non crediate di potervi garantire dalle mille imperfezioni che s’infiltrano in ogni vostra azione: l’amor proprio è sempre all’erta per avere la sua parte. Purtroppo, ordinariamente, prende posto per primo e mette la mano nel piatto senza rispetto per Dio; è cosi insolente che, se non lo sorvegliate, lo vedrete spingersi fin sul trono e attirare a sé gli omaggi dovuti a Dio solo. Non si vergogna della sua pretesa di annientare Dio; tanto che, se guardiamo un po’ la nostra vita passata alla luce di Dio, ci accorgiamo come questo maledetto amor proprio ha succhiato tutta la nostra sostanza e disseccato le divine unzioni nella nostra anima, profanando tutti i doni e le grazie che la misericordia di Dio ci aveva dato come mezzi per santificarci. Vedo in me, a questo proposito, abissi spaventosi che mi devono tenere in perpetua confusione. Ma nostro Signore Gesù Cristo è così buono da non respingere un’anima che l’ha tanto misconosciuto e maltrattato; appena torna a lui la riceve e permette che il suo cuore, per quanto corrotto, non cessi di essere il divino tabernacolo di questo adorabile Salvatore, il quale ha detto di non essere venuto per i giusti, ma per i peccatori. Non dobbiamo mai perdere neanche per un momento la fiducia in Dio nonostante qualsiasi caduta, tanto più che la diffidenza gli dispiace infinitamente e ci toglie forza e coraggio di risollevarci. (…)

Continuate i vostri piccoli esercizi di pietà e la santa comunione: essa vi aiuterà non poco a uscire da voi stessa; non trovo nulla di più efficace. Ci sono anime che ricevono tanto da Gesù con la santa comunione. Proprio con questo mezzo così prezioso il Signore trasforma l’anima in sé, imprimendole la sua divina somiglianza. La comunione è un mistero che molto pochi comprendono come merita; con Dio, quanto maggiore è la semplicità, il rispetto, l’abbandono, tanto meglio è; non c’è bisogno di parlare molto: egli penetra il nostro cuore e ne vede il benché minimo movimento. Vi lascio in Dio. Pregate per la sua Chiesa e per il suo regno nelle anime. Chiedetegli la mia conversione e farete una carità di cui egli stesso sarà la ricompensa. Sono tutta vostra in Lui.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

DISPOSIZIONI PER FAR NASCERE GESÙ NELLE NOSTRE ANIME

Non potendo dormire a causa della tosse insistente, penso desideriate che trascorra un quarto d’ora con voi in spirito per dirvi alcuni piccoli pensieri sulle disposizioni che la vostra anima deve avere per ricevere in sé la nascita di Gesù. (…)

La prima è il vuoto in voi stesse delle creature. Nell’albergo non c’era posto per ospitare Gesù. Le creature hanno occupato tutti i posti e gli interessi del nostro amor proprio sono stati anteposti all’accoglienza di Gesù e della sua santissima Madre. Se desiderate che Gesù venga a nascere in voi, fategli posto nel vostro cuore, svuotatelo di tutte le creature e dei vostri interessi. La stalla di Betlemme si trova vuota, Dio vi alloggia come nel suo palazzo e vi fa la sua entrata nel mondo.

La seconda disposizione è la fede. Gesù nasce nel mezzo della notte, nelle tenebre, senza altra luce di quella della divinità. Distaccatevi dai vostri sensi e dimorate nella fede, se volete ricevere la grazia di questo mistero. Bisogna essere nelle tenebre riguardo ai vostri sensi e al vostro spirito proprio, se volete ricevere la luce divina, e Gesù nascerà spiritualmente in voi.

La terza è il silenzio. Gesù è entrato nel mondo in un tempo di pace, in un’ora in cui tutte le creature erano immerse nel silenzio per indicarci che Lui è il Re della Pace, che ama il silenzio e che solo nella calma delle nostre passioni e potenze egli si comunica all’anima raccolta nella solitudine interiore, dove egli fa sentire la sua voce divina.

Quanto è felice l’anima che ordina così bene tutte le cose in se stessa, da far sì che il suo adorabile Signore la renda il luogo della sua nascita!

Ci sono tre tipi di silenzio che dobbiamo imparare e praticare secondo le nostre capacità:

-Primo: il silenzio delle nostre passioni che è una fedeltà attuale al rinnegamento di se stessi, in modo che le passioni mortificate non facciano più rumore.

-Secondo: il silenzio dei nostri sensi, che vorrebbero sempre vedere e sentire ciò che avviene. Questi fanno rumore e turbano il riposo di un’anima che deve consistere in una profonda attenzione a Dio. E’ per questo che bisogna farli tacere senza ascoltarli, ne metterci dalla loro parte.

-Terzo: il silenzio delle potenze della nostra anima, che devono essere annientate: – l’intelligenza deve essere in silenzio, senza ragionamenti superflui e produzioni inutili che procedono solo da una ricerca di se stessi. Deve restare in silenzio, contemplando Dio con rispetto; – la memoria deve essere in silenzio, non ricevendo volontariamente alcuna immagine o ricordo di creatura, restando semplificata alla presenza di Dio; – la volontà deve essere in silenzio, senza desideri, inclinazioni, senza ardore, costrizioni, priva di affetto e attacco a qualsivoglia cosa che non sia Dio solo. In una parola la più santa e migliore disposizione verso la quale la mia anima si sente più portata è la profonda morte in noi stesse, che chiamo il “vero annientamento”.

E’ questa santa disposizione che ha tratto il Verbo dal seno del suo divin Padre per farlo incarnare nel cuore verginale di Maria. Dio si è compiaciuto dell’umiltà della sua serva, della bassezza e del nulla nel quale la SS. Vergine era annientata al di sotto di tutte le cose. Un’anima immersa nel suo nulla rapisce lo sguardo di Dio e si può dire che egli ne resta talmente invaghito che dimentica la sua grandezza e coll’abbassarsi in lei l’innalza fino a Sé. Siate in una disposizione di vuoto, di silenzio, di fede e di annientamento perché solo Dio sia. O adorabile Gesù, nascete, vivete e regnate perfettamente in noi, e tutto quello che in noi vi è contrario sia perfettamente consumato dalla potenza del vostro amore divino.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

“Que­sta può essere la condizione futura di alcuni di noi, se oggi induriamo il nostro cuore: l’apostasia. Un giorno, in questo mondo, potremmo trovarci apertamente fra i nemici di Dio e della Sua Chiesa” STRAORDINARIA MEDITAZIONE DI SAN JOHN HENRY NEWMAN

“I propri errori chi li conosce? Purificami, o Signore, dalle mie colpe nascoste” (Sal 18 (19), 13).

Straordinaria meditazione di San John Henry Newman:

“Può sembrare strano, ma molti cristiani trascorrono la loro vita senza alcuno sforzo di raggiungere una corretta conoscenza di se stessi. Si accontentano di impressioni vaghe e generiche circa il loro effettivo stato; se hanno qual­cosa in più di questo, si tratta di esperienze casuali, quali i fatti della vita a volte impongono. Ma nulla di esatto e siste­matico, che non rientra nemmeno nei loro desideri avere.

Quando dico che è strano, non è per suggerire che la conoscenza di sé sia facile; è quanto mai difficile conoscere se stessi anche parzialmente, e da questo punto di vista l’i­gnoranza di se stessi non è una cosa strana. La stranezza sta nel fatto che si affermi di credere e di praticare le grandi verità cristiane, mentre si è così ignoranti di se stessi, tenen­do conto che la conoscenza di sé è una condizione necessa­ria per la comprensione di quelle verità. Quindi non è trop­po dire che tutti quelli che trascurano il dovere di un abitua­le esame di coscienza, adoperano in molti casi parole senza averne il sensoLe dottrine del perdono dei peccati, e della nuova nascita dal peccato, non possono essere comprese senza una certa giusta conoscenza della natura del peccato, cioè, del nostro cuore. […]

Ripeto, senza una qualche idea giusta del nostro cuore e del peccato, non possiamo avere un’idea giusta del governo morale, di un salvatore o santificatore; e nel professare di crederci, useremmo parole senza attribuire ad esse precisi distinti significati. Perciò la conoscenza di sé è alla radice di tutta la reale conoscenza religiosaed è invano – peggio che invano -, un inganno e un danno, pensare di comprendere le dottrine cristiane come cose ovvie, unicamente in merito all’insegnamento che si può ricavare dai libri, o dall’ascolta­re prediche, o da qualsiasi altro mezzo esteriore, per quanto eccellente, preso in sé e per sé. Perché è in proporzione alla conoscenza e alla comprensione del nostro cuore e della nostra natura, che comprendiamo cosa significhi Dio gover­natore e giudice, ed è in proporzione alla nostra compren­sione della natura della disobbedienza e della nostra reale colpevolezza, che avvertiamo quale sia la benedizione della rimozione del peccato, della redenzione, del perdono, della santificazione, che altrimenti si riducono a mere parole. La conoscenza di sé è la chiave dei precetti e delle dottrine della Scrittura. […] E allora, quan­do abbiamo sperimentato cosa sia leggere se stessi, avremo utilità dalle dottrine della Chiesa e della Bibbia.

Certo, la conoscenza di sé può avere gradazioni. Probabilmente nessuno ignora se stesso totalmente; e anche il cristiano più maturo conosce se stesso solo «in parte». Comunque, la maggioranza degli uomini si accontentano di una esigua conoscenza del loro cuore, e quindi di una fede superficialeQuesto è il punto sul quale mi propongo di insistere. Gli uomini non si turbano all’idea di avere innu­merevoli colpe nascoste. Non ci pensano, non le vedono né come peccati né come ostacoli alla forza della fede, e continuano a vivere come se non avessero nulla da apprendere.

Consideriamo con attenzione la forte presunzione che esiste, che cioè noi tutti abbiamo delle serie colpe nascoste: un fatto che, credo, tutti sono pronti ad ammettere in termi­ni generali, anche se pochi amano considerare con calma e in termini pratici; cosa che ora cercherò di fare.

1. Il metodo più rapido per convincerci dell’esistenza in noi di colpe ignote a noi stessi, è considerare come chiara­mente vediamo le colpe nascoste degli altri. Non vi è ragione per supporre che noi siamo diversi dagli altri attorno a noi; e se noi vediamo in loro dei peccati che essi non vedono, si può presumere che anche loro abbiano le loro scoperte su di noi, che ci sorprenderebbe di ascoltare. […] Ad esempio: ci sono persone che agiscono principalmente per interesse, mentre pensano di compiere azioni generose e virtuose; si spendono gratuitamente, oppure si mettono a rischio, lodati dal mondo e da se stessi, come se agissero per alti principi. Ma un osserva­tore più attento può scoprire, quale causa principale delle loro buone azioni, sete di guadagno, amore degli applausi, ostentazione, o la mera soddisfazione di essere indaffarato e attivo. Questa può essere non solo la condizione degli altri, ma anche la nostra; o, se non lo è, può esserlo una infermità simile, la soggezione a qualche altro peccato, che gli altri vedono, e noi non vediamo.

Ma se dite che non c’è alcuno che veda in noi dei peccati di cui noi non siamo consapevoli (benché questa sia una supposizione alquanto temeraria da fare), pure, perché mai la gamma delle nostre mancanze dovrebbe dipendere dalla conoscenza accidentale che qualcuno ha di noi? Se anche tutto il mondo parlasse bene di noi, e le persone buone ci salutassero fraternamente, dopo tutto vi è un Giudice che prova le reni e il cuore. Egli conosce il nostro stato reale. Lo abbiamo pressantemente supplicato di dischiuderci la conoscenza del nostro cuore? Se no, questa stessa omissione fa presumere contro di noi. Anche se dappertutto nella Chiesa fossimo lodati, possiamo essere certi che egli vede in noi innumerevoli pecche, profonde e odiose, di cui non abbiamo l’idea. Se l’uomo vede tanto male nella natura umana, che cosa deve vedere Dio? «Se il nostro cuore ci con­danna, Dio è più grande del nostro cuore, e conosce ogni cosa». Dio non solo registra ogni giorno contro di noi atti peccaminosi, di cui noi non siamo consapevoli, ma anche i pensieri del cuore. Gli impulsi dell’orgoglio, della vanità, della concupiscenza, dell’impurità, del malumore, del risen­timento, che si susseguono nelle momentanee emozioni di ogni giorno, sono a lui noti. Noi non li riconosciamo; ma quanto importante sarebbe riconoscerli!

2. Questa considerazione ci è suggerita già a prima vista. Riflettiamo ora sulla scoperta di nostre mancanze nascoste, provocate da incidenti occasionali. Pietro seguiva Gesù bal­danzosamente, e non sospettava del suo cuore, fino a che nell’ora della tentazione non lo tradì, e lo portò a rinnegare il suo Signore. Davide visse anni di felice obbedienza men­tre conduceva vita privata. Quale fede illuminata e calma appare dalla sua risposta a Saul a proposito di Golia: «Il Signore mi ha liberato dagli artigli del leone e dagli arti­gli dell’orso. Egli mi libererà dalle mani di questo filisteo»! Anzi, non soltanto nella sua vita privata e segregata, fra gravi tribolazioni, e fra gli abusi di Saul, egli continuò a essere fedele al suo Dio; anni e anni egli procedette, irrobu­stendo il suo cuore, e praticando il timor di Dio; ma il potere e la ricchezza indebolirono la sua fede, e ad un certo punto prevalsero su di lui. Venne il momento in cui un profeta poté ritorcere su di lui: «Tu sei quell’uomo» che tu hai condannato. A parole, aveva conservato i suoi principi, ma li aveva smarriti nel suo cuore. Ezechia è un altro esempio di un uomo religioso che resse bene alla tribolazione, ma che ad un certo punto cadde sotto la tentazione delle ricchezze, che al seguito di altre grazie straordinarie gli erano state concesse. – E se le cose stanno così nel caso dei santi, predi­letti di Dio, quale (possiamo supporre) sarà il nostro vero stato spirituale ai suoi occhi? È questo un pensiero serio. L’ammonimento da dedurne è di non pensare mai di avere la dovuta conoscenza di sé stessi fino a che non si sia stati esposti a molti generi di tentazioni e provati da ogni lato. L’integrità da un lato del nostro carattere non attesta l’inte­grità da un altro lato. Non possiamo dire come ci comporte­remmo se venissimo a trovarci in tentazioni differenti da quelle che abbiamo sperimentato finora. Questo pensiero deve tenerci in umiltà. Siamo peccatori, ma non sappiamo quanto. Solo lui che è morto per i nostri peccati lo sa.

3. Fin qui non possiamo scansarci: dobbiamo ammettere di non conoscere noi stessi da quei lati nei quali non siamo stati messi alla prova. Ma al di là di questo; se non ci cono­scessimo nemmeno là dove siamo stati messi alla prova e trovati fedeli? Una circostanza notevole e spesso rilevata è che, se guardiamo ad alcuni dei santi più eminenti della Scrittura, troveremo che i loro errori recensiti si sono verifi­cati in quelle parti dei loro doveri nelle quali ciascuno di loro era stato maggiormente provato, e in cui generalmente aveva dimostrato perfetta obbedienza. Il fedele Abramo per mancanza di fede negò che Sara fosse sua moglie. Mosè, il più mite degli uomini, fu escluso dalla terra promessa per una intemperanza verbale. La sapienza di Salomone fu sedotta ad inchinarsi agli idoli. […] Se dunque uomini, che senza dubbio conoscevano se stessi meglio di quanto ci conosciamo noi, avevano in sé tanta do­se di nascosta infermità, persino in quelle parti del loro ca­rattere che erano più libere da biasimo, che dobbiamo pen­sare di noi stessi? E se le nostre stesse virtù sono così mac­chiate da imperfezioni, che devono essere le molteplici e ignote circostanze aggravanti la colpa dei nostri peccati?Questa è una terza presunzione contro di noi.

4. Pensate anche a questo. Non c’è nessuno che, comin­ciando a esaminare se stesso e a pregare per conoscere se stesso (come Davide nel testò), non trovi entro di sé mancan­ze in abbondanza che prima gli erano interamente o quasi interamente ignote. Che sia così, lo apprendiamo da biogra­fie e agiografie, e dalla nostra esperienza. È per questo che gli uomini migliori sono sempre i più umili: avendo nella loro mente una unità di misura dell’eccellenza morale più esigente di quella che hanno gli altri, e conoscendo meglio se stessi, intravedono l’ampiezza e la profondità della propria natura peccaminosa, e sono costernati e spaventati di sé. Gli’uomini, in genere, non possono capire questo; e se a volte l’autoaccusa, abituale per gli uomini religiosi, si esprime a parole, pensano che provenga da ostentazione, o da uno strano stato di alterazione mentale, o da un accesso di malinconia e depressione. Mentre la confessione di un buon uomo contro se stesso è realmente una testimonianza contro tutte le persone irriflessive che l’ascoltano, e un invito loro rivolto ad esaminare il loro cuore. Senza dubbio, più esami­niamo noi stessi, più imperfetti e ignoranti ci troveremo.

5. Anche se un uomo persevera in preghiera e vigilanza fino al giorno della sua morte, non arriverà al fondo del suo cuore. Benché conosca sempre più di se stesso col diventare più serio e coscienzioso, pure la piena manifestazione dei segreti che là si trovano è riservata per l’altro mondo. E all’ultimo giorno, chi può dire lo spavento e il terrore di un uomo che sulla terra è vissuto per se stesso, assecondan­do la sua volontà perversa, seguendo nozioni improvvisate del vero e del falso, eludendo la croce e i rimproveri di Cristo, quando i suoi occhi si apriranno di fronte al trono di Dio, e gli saranno evidenti i suoi innumerevoli peccati, la sua abituale dimenticanza di Dio, l’abuso dei suoi talenti, il mal-uso e spreco del suo tempo, e l’originaria inesplorata peccaminosità della sua natura? Per gli stessi veri servi di Cristo, la prospettiva è terrificante. […] Senza dubbio, tutti dovremo sopporta­re la cruda e terrificante visione del nostro vero iodovremo sopportare quell’ultima prova del fuoco prima dell’accetta­zione, ma che sarà una agonia spirituale e una seconda morte per tutti coloro che allora non saranno sostenuti dalla forza di colui che morì per portarci in salvo oltre quel fuoco, e nel quale essi sulla terra abbiano creduto.

[…] Richiamiamoci alla mente gli impedimenti che si frappongono alla conoscenza di sé, e al senso della propria ignoranza, e giudicate.

1.Per prima cosa, la conoscenza di sé non è una cosa ovvia; comporta fatica e lavoro. Supporre che la conoscenza delle lingue sia data dalla natura e supporre che la cono­scenza del nostro cuore sia naturale, sarebbero la stessa cosa. Il semplice sforzo di una abituale riflessività è penoso per molti, per non parlare della difficoltà del riflettere cor­rettamente. Chiedersi perché facciamo questo o quello, con­siderare i principi che ci guidano, e vedere se agiamo in coscienza o per più scadenti motivi, è penoso. Siamo pieni di occupazioni, e il tempo libero che abbiamo siamo pronti a dedicarlo a qualche impegno meno severo e affaticante.

2.L’amor proprio, poi, vuole la sua parte. Speriamo il meglio, e questo ci risparmia la noia di esaminarci. L’amor proprio è istintivamente conservatore. Pensiamo di caute­larci sufficientemente ammettendo che al massimo possano esserci rimaste nascoste solo alcune colpe; e le aggiungiamo quando pareggiamo i conti con la nostra coscienza. Ma se conoscessimo la verità, troveremmo che non abbiamo che debiti, debiti maggiori di quanto pensiamo e sempre in aumento.

3.Un tale giudizio favorevole di noi stessi sarà particolar­mente in noi prevalente, se avremo la sfortuna di avere inin­terrottamente buona salute, euforia, comodità. La salute del corpo e della mente è una grande benedizione, se la si sa portarema se non è tenuta a freno da «veglie e digiuni», darà comunemente alla persona l’illusione di essere migliore di quanto sia in realtà. Le difficoltà ad agire correttamente, sia che provengano dall’interiorità che dall’esterno, mettono a prova la coerenza; ma quando le cose procedono senza intoppi, e per attuare qualcosa non abbiamo che da deside­rarlo, non possiamo dire fino a che punto agiamo o non agiamo per senso del dovere. L’euforico si compiace di tutto, specie di se stesso. Può agire con vigore e prontezza, e scambiare per fede quella che è meramente una sua energia costitutiva. È allegro e contento; e pensa che sia quella la pace cristiana. Se è felice in famiglia, egli scambia tali affetti natu­rali per la benevolenza cristiana e per la solida tempra dell’a­more cristiano. In breve, egli è nel sogno, dal quale nulla potrebbe salvarlo tranne una umiltà più profonda; ma nulla, ordinariamente, lo libera tranne l’incontro con la sofferenza. […]

4.C’è ancora da considerare la forza dell’abitudine. La coscienza, inizialmente, ci ammonisce contro il peccato; ma se non è ascoltata, smette presto di richiamarci; in tal modo il peccato, prima conosciuto, diventa occulto. Sembra allora (ed è questa una riflessione impressionante) che più colpe­voli siamo, meno lo sappiamo; e questo perché più spesso pecchiamo, meno ne siamo angosciati. Penso che molti di noi, riflettendo, possano ritrovare, nella loro personale espe­rienza, esempi del fatto che noi gradualmente dimentichia­mo la scorrettezza di certi comportamenti, di cui inizial­mente avevamo avuto l’esatta percezione. Tanta è la forza dell’abitudine. Per suo tramite, ad esempio, gli uomini giungono a permettersi vari generi di disonestà. Giungono, negli affari, ad affermare ciò che non è vero, o quello che non sono sicuri che sia vero. Imbrogliano e ingannano; anzi, probabilmente cadono ancora più in basso nei comporta­menti egoistici, senza accorgersene, mentre continuano meticolosamente nell’osservanza dei precetti della Chiesa e conservano una religiosità formale. Oppure, indulgenti con se stessi, si danno ai piaceri della mensa, fanno sfoggio di residenze lussuose, e meno che mai pensano ai doveri cri­stiani della semplicità e dell’astinenza. Non si può supporre che essi da sempre abbiano ritenuto giustificabile un tal modo di vivere; perché altri ne sono colpiti; e ciò che altri avvertono ora, senza dubbio anch’essi lo avvertivano un tempo. Ma tale è la forza dell’abitudine. Un terzo esempio è quello del dovere della preghiera personale; inizialmente viene omessa con rimorso, ma ben presto con indifferenza. Ma non è meno peccato per il solo fatto che non avvertiamo che lo sia. L’abitudine l’ha resa un peccato nascosto.

5. Alla forza dell’abitudine deve essere aggiunta quella degli usi e costumi. Qui ogni epoca ha le sue storture; e que­ste hanno tale influenza, che persino le persone dabbene, per il fatto di vivere nel mondo, sono inconsapevolmente portate fuori strada da esse. In un’epoca è prevalso un fero­ce odio persecutorio contro gli eretici; in un’altra, un’odiosa esaltazione della ricchezza e dei mezzi per procurarsela; in un’altra, una irreligiosa venerazione delle facoltà pura­mente intellettuali; in un’altra, il lassismo morale; in un’altra, la noncuranza degli ordinamenti e della disciplina della Chiesa. Le persone religiose, se non fanno speciale attenzio­ne, risentiranno delle deviazioni di moda nella loro epoca […]. Tuttavia la loro ignoranza del male non cambia la natura del peccato: il peccato è sempre quello che è, solo le abitudini generali lo rendono segreto.

6. Ora, qual è la nostra principale guida in mezzo alle perverse e seducenti costumanze del mondo? La Bibbia, evi­dentemente. «Il mondo passa, ma la parola del Signore dura in eterno». Quanto esteso e rafforzato deve necessariamen­te essere questo segreto dominio del peccato su di noi, se consideriamo quanto poco leggiamo la Sacra Scrittura! La nostra coscienza si corrompe, è vero; ma la parola della verità, anche se cancellata dalle nostre menti, rimane nella Scrittura, luminosa nella sua eterna giovinezza e purezzaEppure, non studiamo la Sacra Scrittura per svegliare e risa­nare le nostre menti. Chiedetevi, fratelli miei: quanto cono­sco io della Bibbia? Vi è una parte qualsiasi della Bibbia che abbiate letto con attenzione e per intero? Per esempio, uno dei Vangeli? Conoscete qualcosa di più delle opere e delle parole di nostro Signore di quanto avete sentito leggere in chiesa? Avete confrontato i suoi precetti, o quelli di S. Paolo, o quelli di qualcun altro degli Apostoli, con la vostra con­dotta giornaliera? Avete pregato e fatto degli sforzi per conformarvi ad essi? Se sì, bene; perseverate in questo. Se no, è chiaro che non possedete, perché non avete cercato di pos­sedere, un’idea adeguata di quel perfetto carattere cristiano al quale avete il dovere di tendere, e nemmeno della vostra attuale situazione di peccato; siete nel numero di quelli che «non vengono alla luce, perché non siano svelate le loro opere».

Queste osservazioni possono servire per darvi il senso della difficoltà di raggiungere una giusta conoscenza di noi stessi, e del conseguente pericolo a cui siamo esposti: di darci pace, quando non c’è pace.

Molte cose sono contro di noi; è chiaro. Ma il nostro pre­mio futuro non meriterà che lottiamo? E non merita che peniamo e soffriamo, se con ciò potremo sfuggire al fuoco inestinguibile? Ci aggrada il pensiero di scendere nella tomba con sul capo un peso di peccati ignorati e non riprovarli? Possiamo accontentarci di una così irreale fede in Cristo, che ha lasciato uno spazio insufficiente all’umiliazione, o alla gratitudine, o al desiderio e sforzo di santificazione? Come possiamo sentire l’urgenza dell’aiuto di Dio, o la nostra dipendenza da lui, o il nostro debito verso di lui, o la natura del suo dono, se non conosciamo noi stessi? […] Se ricevete la verità rivelata unicamente tramite gli occhi e le orecchie, crederete a delle parole, non a delle cose; e ingannerete voi stessi. Potrete ritenervi saldi nella fede, ma sarete nella più totale ignoranza.

L’unica pratica veramente interprete dell’insegnamento scritturistico è l’obbedienza ai comandamenti di Dio, che implica conoscenza del peccato e della santità, e il desiderio e lo sforzo di piacere a lui. Senza cono­scenza di sé siete personalmente privi di radice in voi stessi; potete resistere per qualche tempo, ma a fronte dell’afflizio­ne o della persecuzione la vostra fede verrà meno. Questo è perché molti in questo tempo (ma pure in ogni epoca) diventano infedeli, eretici, scismatici, sleali spregiatori della Chiesa. Ripudiano la forma della verità, perché non è stata per loro più che una forma. Non reggono, perché non hanno mai provato che Dio fa grazia; e non hanno mai avuto espe­rienza del suo potere e del suo amore, perché non hanno mai conosciuto la loro propria debolezza e indigenza. Que­sta può essere la condizione futura di alcuni di noi, se oggi induriamo il nostro cuore: l’apostasia. Un giorno, in questo mondo, potremmo trovarci apertamente fra i nemici di Dio e della sua Chiesa.

Ma anche se ci fosse risparmiata una tale vergogna, quale vantaggio potremmo, alla fine, avere dal professare senza comprendere? Dire che si ha la fede, quando non si hanno le opere? In tal caso rimarremmo nella vigna celeste come una pianta rachitica, infruttuosi, privi in noi del principio interiore di crescita. E, alla fine, saremmo svergognati di fronte a Cristo e ai suoi angeli, come «alberi di fine stagione, senza frutto, due volte morti, sradicati», anche se morissi­mo in esteriore comunione con la Chiesa.

Pensare a queste cose, e esserne allarmati, è il primo passo verso una obbedienza accettabile; sentirsi tranquilli, è essere in pericolo. Dovremo sperimentare cos’è il peccato nell’al di là, se non ce ne rendiamo conto ora. Dio ci dà ogni grazia per scegliere la sofferenza del pentimento, prima del sopraggiungere dell’ira ventura.”

San John Henry Newman – Sermoni sulla Chiesa. Conferenze sulla dottrina della giustificazione. Sermoni penitenziali. (Fonte: THE INTERNATIONAL CENTRE OF NEWMAN FRIENDS)

I SANTI e LA PREGHIERA : Perchè preghiamo?.. Perchè Dio nasca nell’anima e l’anima rinasca in Dio…Un essere tutto intimo, tutto raccolto ed uno in Dio: questa è la Grazia, questo significa “Iddio con te”.

“Certo bisogna imparare a pregare. E a pregare si impara pregando, come si impara a camminare camminando.”

S.Teresa d’Avila ha detto:

L’orazione mentale non è altro, per me, che un intimo rapporto di amicizia, un frequente trattenimento, da solo a solo, con Colui da cui sappiamo d’essere amati. (Vita 8,5)

… la porta per cui mi vennero tante grazie fu soltanto l’orazione. Se Dio vuole entrare in un’anima per prendervi le sue delizie e ricolmarla di beni, non ha altra via che questa, perché Egli la vuole sola, pura e desiderosa di riceverlo. (Vita 8,9)

Certo bisogna imparare a pregare. E a pregare si impara pregando, come si impara a camminare camminando.

…nel cominciare il cammino dell’orazione si deve prendere una risoluzione ferma e decisa di non fermarsi mai, né mai abbandonarla. Avvenga quel che vuole avvenire, succeda quel che vuole succedere, mormori chi vuole mormorare, si fatichi quanto bisogna faticare, ma piuttosto di morire a mezza strada, scoraggiati per i molti ostacoli che si presen-tano, si tenda sempre alla méta, ne vada il mondo intero. (Cammino di perfezione 21,4)

Pensate di trovarvi innanzi a Gesù Cristo, conversate con Lui e cercate di innamorarvi di Lui, tenendolo sempre presente. (Vita 12,2)

La continua conversazione con Cristo aumenta l’amore e la fiducia. (Vita 37,5)

Buon mezzo per mantenersi alla presenza di Dio è di procurarvi una sua immagine o pittura che vi faccia devozione, non già per portarla sul petto senza mai guardarla, ma per servirsene ad intrattenervi spesso con Lui ed Egli vi suggerirà quello che gli dovete dire.

Se parlando con le creature le parole non vi mancano mai, perché vi devono esse mancare parlando con il Creatore? Non temetene: io almeno non lo credo! (Cammino di perfezione 26,9)

Non siate così semplici da non domandargli nulla! (Cammino di perfezione 28,3)

Chiedetegli aiuto nel bisogno, sfogatevi con Lui e non lo dimenticate quando siete nella gioia, parlandogli non con formule complicate ma con spontaneità e secondo il bisogno. (Vita 12,2)

Cercate di comprendere quali siano le risposte di Dio alle vostre domande.Credete forse che Egli non parli perché non ne udiamo la voce? Quando è il cuore che prega, Egli risponde. (Cammino di perfezione 24,5)

A chi batte il cammino della preghiera giova molto un buon libro.

Per me bastava anche la vista dei campi, dell’acqua, dei fiori: cose che mi ricordavano il Creatore, mi scuotevano, mi raccoglievano, mi servivano da libri. (Vita 9,5)

Per molti anni, a meno che non fosse dopo la Comunione, io non osavo cominciare a pregare senza libro. (Vita 4,9)

E’ troppo bella la compagnia del buon Gesù per dovercene separare! E’ altrettanto si dica di quella della sua Santissima Madre. (Seste Mansioni 7,13)

… fate il possibile di stargli sempre accanto. Se vi abituerete a tenervelo vicino ed Egli vedrà che lo fate con amore e che cercate ogni mezzo per contentarlo, non solo non vi mancherà mai, ma, come suol dirsi, non ve lo potrete togliere d’attorno.

L’avrete con voi dappertutto e vi aiuterà in ogni vostro travaglio. Credete forse che sia poca cosa aver sempre vicino un così buon amico? (Cammino di perfezione 26,1)

Poiché Gesù vi ha dato un Padre così buono, procurate di essere tali da gettarvi fra le sue braccia e godere della sua compagnia.

E chi non farebbe di tutto per non perdere un tal Padre? Quanti motivi di consolazione! Li lascio alla vostra intuizione! In effetti, se la vostra mente si mantiene sempre tra il Padre e il Figlio, interverrà lo Spirito Santo ad innamorare la vostra volontà col suo ardentissimo amore. (Cammino di perfezione 27, 6-7)

Quelli che sanno rinchiudersi nel piccolo cielo della loro anima, ove abita Colui che la creò e che creò pure tutto il mondo, e si abituano a togliere lo sguardo e a fuggire da quanto distrae i loro sensi, vanno per buona strada e non mancheranno di arrivare all’acqua della fonte.

Essendo vicinissimi al focolare, basta un minimo soffio dell’intelletto perché si infiammino d’amore, già disposti come sono a ciò, trovandosi soli con il Signore, lontani da ogni oggetto esteriore. (Cammino di perfezione 28,5.8)

Per cominciare a raccogliersi e perseverare nel raccoglimento, si deve agire non a forza di braccia ma con dolcezza. Quando il raccoglimento è sincero, l’anima sembra che d’improvviso s’innalzi sopra tutto e se ne vada, simile a colui che per sottrarsi ai colpi di un nemico, si rifugia in una fortezza.

Dovete saper che questo raccoglimento non è una cosa soprannaturale, ma un fatto dipendente dalla nostra volontà e che noi possiamo realizzare con l’aiuto di Dio. (Cammino di perfezione 28,6; 29,4)

Sapevo benissimo di avere un’anima, ma non ne capivo il valore, né chi l’abitava, perché le vanità della vita mi avevano bendati gli occhi per non lasciarmi vedere.

Se avessi inteso, come ora, che nel piccolo albergo dell’anima mia abita un Re così grande, mi sembra che non l’avrei lasciato tanto solo…e sarei stata più diligente per conservami senza macchia. (Cammino di perfezione 28,11)

Non si creda che nuoccia al raccoglimento il disbrigo delle occupazioni necessarie.

Dobbiamo ritirarci in noi stessi, anche in mezzo al nostro lavoro, e ricordarci di tanto in tanto, sia pure di sfuggita, dell’Ospite che abbiamo in noi, per-suadendoci che per parlare con Lui non occorre alzare la voce. (Cammino di perfezione 29,5)

Il Signore ci conceda di non perdere mai di vista la sua divina presenza! (Cammino di perfezione 29,8)

Quando un’anima… non esce dall’orazione fermamente decisa a sopportare ogni cosa, tema che la sua orazione non venga da Dio. (Cammino di perfezione 36,11)

Quando un’anima si unisce così intimamente alla stessa misericordia, alla cui luce si riconosce il suo nulla e vede quanto ne sia stata perdonata, non posso credere che non sappia anch’essa perdonare a chi l’ha offesa.

Siccome le grazie ed i favori di cui si vede inon-data le appariscono come pegni dell’amore di Dio per lei, è felicissima di avere almeno qualche cosa per testimoniare l’amore che anch’ella nutre per lui. (Cammino di perfezione 36,12)

La preghiera non è qualcosa di statico, è un’amicizia che implica uno sviluppo e spinge a una trasformazione, a una somiglianza sempre più forte con l’amico. (da L’amicizia con Cristo, cap VII)

S.  Agostino ha detto:

“Nutri la tua anima con la lettura biblica: essa ti preparerà un banchetto spirituale”.

“La preghiera muore, quando il desiderio si raffredda”.

S. Tommaso d’Aquino ha detto:

“La preghiera non viene presentata a Dio per fargli conoscere qualcosa che Egli non sa, ma per spingere verso Dio l’animo di chi prega.”

S. Girolamo ha detto:

“Chi è assiduo nella lettura della Parola di Dio, quando legge si affatica, ma in seguito è felice perché gli amari semi della lettura producono in lui i dolci frutti.”

“Studiamo ora che siamo sulla terra quella Realtà la cui conoscenza resterà anche quando saremo in cielo”.

“Preghi? Sei tu che parli allo Sposo. Leggi? E’ lo Sposo che parla a te”.

S. Ignazio di Loyola ha detto:

“Pregare è seguire Cristo che va tra gli uomini, quasi accompagnandolo”.

S. Caterina da Bologna ha detto:

La preghiera è l’estatica contemplazione dell’ Altissimo, nella sua infinita bellezza e bontà: uno sguardo semplice e amoroso su Dio”.

S. Giovanni Crisostomo ha detto:

“L’uomo che prega ha le mani sul timone della storia”.

S. Giovanni Damasceno ha detto:

“La preghiera è un’elevazione della mente a Dio”.

S. Ignazio d’Antiochia ha detto:

Procurate di riunirvi più frequentemente per il rendimento di grazie e per la lode a Dio. Quando vi radunate spesso le forze di satana sono annientate ed il male da lui prodotto viene distrutto nella concordia della vostra fede.

S. Bernardo di Chiaravalle ha detto:

“I tuoi desideri gridino a Dio. la preghiera è una pia tensione del cuore verso Dio.”

Tertulliano ha detto:

L’unico compito della preghiera è richiamare le anime dei defunti dallo stesso cammino della morte, sostenere i deboli, curare i malati, liberare gli indemoniati, aprire le porte del carcere, sciogliere le catene degli innocenti. Essa lava i peccati, respinge le tentazioni, spegne le persecuzioni, conforta i pusillanimi, incoraggia i generosi, guida i pellegrini, calma le tempeste, arresta i malfattori, sostenta i poveri, ammorbidisce il cuore dei ricchi, rialza i caduti, sostiene i deboli, sorregge i forti. (L’orazione, cap. 29)

Charles de Focauld ha detto:

“Bisogna lodare Dio. Lodare è esprimere la propria ammirazione e nello stesso tempo il proprio amore, perchè l’amore è inseparabilmente unito ad un’ammirazione senza riserve.

Dunque, lodare significa struggersi ai suoi piedi in parole di ammirazione e d’amore. Significa ripetergli che Egli è infinitamente perfetto, infinitamente amabile, infinitamente amato.

Significa dirgli che Egli è buono e che l’amiamo”.

Maestro Eckhart ha detto:

“Perchè preghiamo?.. Perchè Dio nasca nell’anima e l’anima rinasca in Dio…Un essere tutto intimo, tutto raccolto ed uno in Dio: questa è la Grazia, questo significa “Iddio con te”.

Detti dei Padri del deserto:

L’importanza della preghiera del mattino

Non appena ti levi dopo il sonno, subito, in primo luogo, la tua bocca renda gloria a Dio e intoni cantici e salmi, poiché la prima preoccupazione, alla quale lo Spirito si apprende fin dall’aurora, esso continua a macinarla, come una mola, per tutto il giorno, sia grano sia zizzania. Perciò sii sempre il primo a gettar grano, prima che il nemico getti la zizzania.

Pregare prima di ogni cosa

Un anziano diceva: “Non far nulla senza pregare e non avrai rimpianti”

Detti di S. Isidoro

“Chi vuole essere sempre unito a Dio, deve pregare spesso e leggere spesso, perché nella preghiera siamo noi che parliamo a Dio, ma nella lettura della Bibbia è Dio che parla a noi”.

“Tutto il progresso spirituale si basa sulla lettura e sulla meditazione: ciò che ignoriamo, lo impariamo con la lettura; ciò che abbiamo imparato, lo conser-viamo con la meditazione.”

“La lettura della Bibbia ci procura un duplice vantaggio: istruisce la nostra intelligenza e ci introdu-ce all’amore per Iddio distogliendoci dalle cose vane.”

“Nessuno può capire il senso della Bibbia, se non acquista consuetudine e familiarità con essa mediante la lettura”.

Detti di S. Pacomio

Mettiamo freno all’effervescenza dei pensieri che ci angosciano e che salgono dal nostro cuore come acqua in ebollizione, leggendo le Scritture e ruminandole incessantemente…e ne sarete liberati .

Detti di Arisitide l’Apologeta

“E’ per la preghiera dei cristiani che il mondo sta in piedi”.

Detti di Evagrio Pontico

“La preghiera è sorgente di gioia e di grazia”.

“Quando, dedicandoti alla preghiera, sei giunto al di sopra di ogni altra gioia, allora veramente hai trovato la preghiera.

Detti di Giovanni Climaco

“La preghiera è sostegno del mondo, riconciliazione con Dio, misura del progresso spirituale, giudizio del Signore prima del futuro giudizio”.

Detti di Barsanufio

“Anche tu, mentre resti tra gli uomini, aspettati tribolazioni, rischi e urti alla sensibilità. Ma se raggiungi il porto del silenzio, per te preparato, non avrai più paura”

“Osserva, fratello, quanto siamo meschini: parliamo soltanto con le labbra e le nostre azioni mostrano che siamo differenti da ciò che diciamo”

“Evita la collera quanto puoi, non giudicare nessuno e specialmente quelli che ti mettono alla prova. Pensandoci bene, capirai che sono loro che ti conducono alla maturità”

“Mi hai scritto chiedendo che pregassi per i tuoi peccati. Ti dirò la stessa cosa: Prega per i miei”

San Giovanni Crisostomo: “La preghiera è luce dell’anima, vera conoscenza di Dio, mediatrice tra Dio e l’uomo” “Essa è un desiderare Dio, un amore ineffabile che non proviene dagli uomini, ma è prodotto dalla grazia divina”

La preghiera è luce per l’anima – San Giovanni Crisostomo

La preghiera, o dialogo con Dio, è un bene sommo. È, infatti, una comunione intima con Dio. Come gli occhi del corpo vedendo la luce ne sono rischiarati, così anche l’anima che è tesa verso Dio viene illuminata dalla luce ineffabile della preghiera. Deve essere, però, una preghiera non fatta per abitudine, ma che proceda dal cuore. Non deve essere circoscritta a determinati tempi od ore, ma fiorire continuamente, notte e giorno.

Non bisogna infatti innalzare il nostro animo a Dio solamente quando attendiamo con tutto lo spirito alla preghiera. Occorre che, anche quando siamo occupati in altre faccende, sia nella cura verso i poveri, sia nelle altre attività, impreziosite magari dalla generosità verso il prossimo, abbiamo il desiderio e il ricordo di Dio, perché, insaporito dall’amore divino, come da sale, tutto diventi cibo gustosissimo al Signore dell’universo. Possiamo godere continuamente di questo vantaggio, anzi per tutta la vita, se a questo tipo di preghiera dedichiamo il più possibile del nostro tempo.

La preghiera è luce dell’anima, vera conoscenza di Dio, mediatrice tra Dio e l’uomo. L’anima, elevata per mezzo suo in alto fino al cielo, abbraccia il Signore con amplessi ineffabili. Come il bambino, che piangendo grida alla madre, l’anima cerca ardentemente il latte divino, brama che i propri desideri vengano esauditi e riceve doni superiori ad ogni essere visibile.

La preghiera funge da augusta messaggera dinanzi a Dio, e nel medesimo tempo rende felice l’anima perché appaga le sue aspirazioni. Parlo, però, della preghiera autentica e non delle sole parole.

Essa è un desiderare Dio, un amore ineffabile che non proviene dagli uomini, ma è prodotto dalla grazia divina. Di essa l’Apostolo dice: Non sappiamo pregare come si conviene, ma lo Spirito stesso intercede per noi con gemiti inesprimibili (cfr. Rm 8, 26b). Se il Signore dà a qualcuno tale modo di pregare, è una ricchezza da valorizzare, è un cibo celeste che sazia l’anima; chi l’ha gustato si accende di desiderio celeste per il Signore, come di un fuoco ardentissimo che infiamma la sua anima.

Abbellisci la tua casa di modestia e umiltà mediante la pratica della preghiera. Rendi splendida la tua abitazione con la luce della giustizia; orna le sue pareti con le opere buone come di una patina di oro puro e al posto dei muri e delle pietre preziose colloca la fede e la soprannaturale magnanimità, ponendo sopra ogni cosa, in alto sul fastigio, la preghiera a decoro di tutto il complesso. Così prepari per il Signore una degna dimora, così lo accogli in splendida reggia. Egli ti concederà di trasformare la tua anima in tempio della sua presenza.

Dalle Omelie di san Giovanni Crisostomo, vescovo (Om. 6 sulla preghiera; PG 64, 462-466)

San Gregorio magno: “Colui che ama veramente Dio, ne osserva i comandamenti, e Dio entra nel suo cuore e vi rimane, perché l’amor di Dio riempie talmente il suo cuore, che al tempo della tentazione, non si muove” «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23)

Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23)

 

San Gregorio magno, Papa e Dottore della Chiesa:

Lo Spirito Santo stesso è amore. Perciò Giovanni dice: “Dio è amore” (1Gv 4,8). Chi con tutto il cuore cerca Dio, ha già colui che ama. E nessuno potrebbe amare Dio, se non possedesse colui che ama. Ma, ecco, se a uno di voi si domandasse se egli ami Dio, egli fiduciosamente e con sicurezza risponderebbe di sì. Però a principio della lettura avete sentito che la Verità dice: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola” (Gv 14,23). La prova dell’amore è l’azione. Perciò Giovanni nella sua epistola dice: “Chi dice di amar Dio, ma non ne osserva i precetti, è bugiardo” (1Gv 4,20). Allora veramente amiamo Dio, quando restringiamo il nostro piacere a norma dei suoi comandamenti. Infatti chi corre ancora dietro a piaceri illeciti, non può dire d’amar Dio, alla cui volontà poi contraddice.

«Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23). Pensate che festa, fratelli carissimi; avere in casa Dio! Certo, se venisse a casa vostra un ricco o un amico molto importante, voi vi affrettereste a pulir tutto, perché nulla ne turbi lo sguardo. Purifichi, dunque, le macchie delle opere, chi prepara a Dio la casa nella sua anima. Ma guardate meglio le parole: “Verremo e metteremo casa presso di lui”. In alcuni, cioè, Dio vi entra, ma non vi si ferma, perché questi, attraverso la compunzione, fanno posto a Dio, ma, al momento della tentazione, si dimenticano della loro compunzione, e tornano al peccato, come se non l’avessero mai detestato. Invece colui cha ama veramente Dio, ne osserva i comandamenti, e Dio entra nel suo cuore e vi rimane, perché l’amor di Dio riempie talmente il suo cuore, che al tempo della tentazione, non si muove. Questo, allora, ama davvero, poiché un piacere illecito non ne cambia la mente. Tanto più uno si allontana dall’amore celeste quanto più s’ingolfa nei piaceri terrestri. Perciò è detto ancora: “Chi non mi ama, non osserva i miei comandamenti”(Gv 14,24). Rientrate in voi stessi, fratelli; esaminate se veramente amate Dio, ma non credete a voi stessi, se non avete la prova delle azioni. Guardate se con la lingua, col pensiero, con le azioni amate davvero il Creatore. L’amor di Dio non è mai ozioso. Se c’è, fa cose grandi; se non ci sono le opere, non c’è amore.

“E le parole che avete udito, non son mie, ma del Padre che mi ha mandato” (Gv 14,24). Sapete, fratelli, che chi parla è il Verbo del Padre, perché il Figlio è Verbo del Padre.

“Lo Spirito Santo Paraclito, che il Padre manderà nel mio nome, v’insegnerà tutto e vi ricorderà tutto quello che vi ho detto” (Gv 14,26). Sapete quasi tutti che la parola greca Paraclito, significa avvocato o consolatore. E lo chiama avvocato, perché interviene presso il Padre in favore dei nostri delitti. Di questo stesso Spirito poi giustamente si dice: “V’insegnerà ogni cosa”, perché se lo Spirito non è vicino al cuore di chi ascolta, il discorso di chi insegna, non ha effetto.»

(da San Gregorio Magno, Papa, Omelie sui Vangeli, 30,1)

 

“La via del Signore si dirige al cuore quando si ascolta umilmente la predicazione della verità; la via del Signore si dirige al cuore, quando la vita si uniforma ai comandi di Dio. Per questo sta scritto: <<Se uno mi ama, osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà, e verremo a lui e dimoreremo in lui>> (Gv 14,23).

Chiunque monta in superbia, chiunque arde del fuoco di avarizia, chiunque si macchia con le lordure della lussuria, chiude la porta del cuore dinanzi alla verità, pone i serrami dei vizi all’entrata dell’anima, per impedire l’ingresso del Signore.”

(San Gregorio Magno, Papa e Dottore della chiesa, Omelie sui vangeli, VII , pag. 90)

 

STUPENDA OMELIA -VI DOMENICA DI PASQUA-

di Padre Mariano Pellegrini (dei Francescani dell’ Immacolata)

 

“Dio ci ama a tal punto da voler rimanere sempre con noi. Egli non si disinteressa delle sue creature. Con la sua grazia, Egli entra nell’anima come il sole entra attraverso il vetro e illumina l’interno di una stanza. Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo prendono dimora nel nostro cuore e noi, pertanto, diveniamo tempio della Santissima Trinità. Non c’è più distanza tra noi e Dio. Dio è in cielo e in terra, e anche nel nostro cuore, se accettiamo che Egli abiti dentro di noi, se noi lo amiamo. Gesù ce lo dice chiaramente nel Vangelo di oggi: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23).
Questo ci insegna che non siamo mai soli, se veramente vogliamo amare Dio. La vita del cristiano è una vita di comunione con Colui che ci ha creati e ci ha redenti. Anzi, diciamo di più: quanto più ci sembra di essere soli, tanto più siamo vicini al nostro Dio. Egli non fa sentire la sua presenza del chiasso e nel frastuono, ma solamente nel silenzio e nella solitudine. Questa certezza ci deve spingere a cercare, nel corso della giornata, dei momenti da dedicare a questa presenza silenziosa e misteriosa. Quando preghiamo, chiudiamo la porta della nostra stanza, chiudiamo i nostri occhi, e pensiamo che Dio è dentro di noi. Parliamogli con grande familiarità e Lui ci ispirerà sempre qualche buon proposito. Sarà soprattutto nel momento della prova che sperimenteremo la sua presenza benefica: quanto più si sarà lontani dagli aiuti umani, tanto più saremo vicini all’aiuto divino.
Il fatto, purtroppo, è che, quando preghiamo, siamo molto distratti. La nostra preghiera si riduce a una ripetizione superficiale di parole, alle quali nemmeno pensiamo. Per pregare bene, dobbiamo pensare innanzitutto che Dio è presente in noi e dobbiamo porre attenzione al senso delle parole che pronunciamo. Allora, e solo allora, la nostra preghiera non rimarrà mai senza effetto: od otterrà quello che domandiamo, oppure ci procurerà qualcosa di ancora più grande.
Dio in me e io in Lui! Certo, con un Ospite così vivo e così grande, badiamo bene di non sfigurare. Pensiamo spesso che Dio ci vede, che Dio è nel nostro cuore. Pertanto non dobbiamo offendere questa presenza in noi con il peccato. C’è, infatti, una condizione affinché Dio dimori in noi: dobbiamo amarlo. E lo ameremo veramente solo se osserveremo la sua parola, oppure, se non lo abbiamo fatto per il passato, se ci impegneremo ad osservarla. Anche queste sono parole di Gesù: «Chi non mi ama, non osserva le mie parole» (Gv 14,24). Se si ama veramente Dio, non costerà fatica fare la sua Volontà, osservare i suoi Comandamenti d’amore. Solo se faremo così, godremo della pace che Gesù è venuto a portare su questa terra. Altrimenti, nei nostri cuori, nelle nostre famiglie e nella società umana, vi sarà sempre guerra e divisione.
Il Vangelo di oggi ci parla inoltre del Paraclito, ovvero dello Spirito Santo. Paraclito significa Consolatore. Egli consola i nostri cuori nelle prove della vita e ci fa assaporare, nel segreto della preghiera, quella che sarà la gioia senza fine del Paradiso. Lo Spirito Santo è il santificatore della nostra anima. Il Padre lo ha inviato su questa terra nel giorno di Pentecoste. Nel brano del Vangelo di oggi, Gesù dice che il Paraclito ci insegnerà ogni cosa e ci ricorderà tutto ciò che Gesù ha insegnato (cf Gv 14,26).
Bisogna dunque pregarlo. Ci avviciniamo ormai alla sua festa. Proponiamoci fin d’ora di invocare la sua discesa nei nostri cuori, affinché Egli ci arricchisca con i suoi Sette Doni e ci faccia comprendere sempre di più le parole di Gesù.”

Beato John Henry Newman “Dovremo sperimentare cos’è il peccato nell’al di là, se non ce ne rendiamo conto ora. Dio ci dà ogni grazia per scegliere la sofferenza del pentimento, prima del sopraggiungere dell’ira ventura” “Ripeto, senza una qualche idea giusta del nostro cuore e del peccato, non possiamo avere un’idea giusta del governo morale, di un salvatore o santificatore”

 

“I propri errori chi li conosce? Purificami, o Signore, dalle mie colpe nascoste” (Sal 18 (19), 13).

Beato John Henry Newman:

“Può sembrare strano, ma molti cristiani trascorrono la loro vita senza alcuno sforzo di raggiungere una corretta conoscenza di se stessi. Si accontentano di impressioni vaghe e generiche circa il loro effettivo stato; se hanno qual­cosa in più di questo, si tratta di esperienze casuali, quali i fatti della vita a volte impongono. Ma nulla di esatto e siste­matico, che non rientra nemmeno nei loro desideri avere.

Quando dico che è strano, non è per suggerire che la conoscenza di sé sia facile; è quanto mai difficile conoscere se stessi anche parzialmente, e da questo punto di vista l’i­gnoranza di se stessi non è una cosa strana. La stranezza sta nel fatto che si affermi di credere e di praticare le grandi verità cristiane, mentre si è così ignoranti di se stessi, tenen­do conto che la conoscenza di sé è una condizione necessa­ria per la comprensione di quelle verità. Quindi non è trop­po dire che tutti quelli che trascurano il dovere di un abitua­le esame di coscienza, adoperano in molti casi parole senza averne il senso. Le dottrine del perdono dei peccati, e della nuova nascita dal peccato, non possono essere comprese senza una certa giusta conoscenza della natura del peccato, cioè, del nostro cuore. […]

Ripeto, senza una qualche idea giusta del nostro cuore e del peccato, non possiamo avere un’idea giusta del governo morale, di un salvatore o santificatore; e nel professare di crederci, useremmo parole senza attribuire ad esse precisi distinti significati. Perciò la conoscenza di sé è alla radice di tutta la reale conoscenza religiosa; ed è invano – peggio che invano -, un inganno e un danno, pensare di comprendere le dottrine cristiane come cose ovvie, unicamente in merito all’insegnamento che si può ricavare dai libri, o dall’ascolta­re prediche, o da qualsiasi altro mezzo esteriore, per quanto eccellente, preso in sé e per sé. Perché è in proporzione alla conoscenza e alla comprensione del nostro cuore e della nostra natura, che comprendiamo cosa significhi Dio gover­natore e giudice, ed è in proporzione alla nostra compren­sione della natura della disobbedienza e della nostra reale colpevolezza, che avvertiamo quale sia la benedizione della rimozione del peccato, della redenzione, del perdono, della santificazione, che altrimenti si riducono a mere parole. La conoscenza di sé è la chiave dei precetti e delle dottrine della Scrittura. […] E allora, quan­do abbiamo sperimentato cosa sia leggere se stessi, avremo utilità dalle dottrine della Chiesa e della Bibbia.

Certo, la conoscenza di sé può avere gradazioni. Probabilmente nessuno ignora se stesso totalmente; e anche il cristiano più maturo conosce se stesso solo «in parte». Comunque, la maggioranza degli uomini si accontentano di una esigua conoscenza del loro cuore, e quindi di una fede superficiale. Questo è il punto sul quale mi propongo di insistere. Gli uomini non si turbano all’idea di avere innu­merevoli colpe nascoste. Non ci pensano, non le vedono né come peccati né come ostacoli alla forza della fede, e continuano a vivere come se non avessero nulla da apprendere.

Consideriamo con attenzione la forte presunzione che esiste, che cioè noi tutti abbiamo delle serie colpe nascoste: un fatto che, credo, tutti sono pronti ad ammettere in termi­ni generali, anche se pochi amano considerare con calma e in termini pratici; cosa che ora cercherò di fare.

1. Il metodo più rapido per convincerci dell’esistenza in noi di colpe ignote a noi stessi, è considerare come chiara­mente vediamo le colpe nascoste degli altri. Non vi è ragione per supporre che noi siamo diversi dagli altri attorno a noi; e se noi vediamo in loro dei peccati che essi non vedono, si può presumere che anche loro abbiano le loro scoperte su di noi, che ci sorprenderebbe di ascoltare. […] Ad esempio: ci sono persone che agiscono principalmente per interesse, mentre pensano di compiere azioni generose e virtuose; si spendono gratuitamente, oppure si mettono a rischio, lodati dal mondo e da se stessi, come se agissero per alti principi. Ma un osserva­tore più attento può scoprire, quale causa principale delle loro buone azioni, sete di guadagno, amore degli applausi, ostentazione, o la mera soddisfazione di essere indaffarato e attivo. Questa può essere non solo la condizione degli altri, ma anche la nostra; o, se non lo è, può esserlo una infermità simile, la soggezione a qualche altro peccato, che gli altri vedono, e noi non vediamo.

Ma se dite che non c’è alcuno che veda in noi dei peccati di cui noi non siamo consapevoli (benché questa sia una supposizione alquanto temeraria da fare), pure, perché mai la gamma delle nostre mancanze dovrebbe dipendere dalla conoscenza accidentale che qualcuno ha di noi? Se anche tutto il mondo parlasse bene di noi, e le persone buone ci salutassero fraternamente, dopo tutto vi è un Giudice che prova le reni e il cuore. Egli conosce il nostro stato reale. Lo abbiamo pressantemente supplicato di dischiuderci la conoscenza del nostro cuore? Se no, questa stessa omissione fa presumere contro di noi. Anche se dappertutto nella Chiesa fossimo lodati, possiamo essere certi che egli vede in noi innumerevoli pecche, profonde e odiose, di cui non abbiamo l’idea. Se l’uomo vede tanto male nella natura umana, che cosa deve vedere Dio? «Se il nostro cuore ci con­danna, Dio è più grande del nostro cuore, e conosce ogni cosa». Dio non solo registra ogni giorno contro di noi atti peccaminosi, di cui noi non siamo consapevoli, ma anche i pensieri del cuore. Gli impulsi dell’orgoglio, della vanità, della concupiscenza, dell’impurità, del malumore, del risen­timento, che si susseguono nelle momentanee emozioni di ogni giorno, sono a lui noti. Noi non li riconosciamo; ma quanto importante sarebbe riconoscerli!

2. Questa considerazione ci è suggerita già a prima vista. Riflettiamo ora sulla scoperta di nostre mancanze nascoste, provocate da incidenti occasionali. Pietro seguiva Gesù bal­danzosamente, e non sospettava del suo cuore, fino a che nell’ora della tentazione non lo tradì, e lo portò a rinnegare il suo Signore. Davide visse anni di felice obbedienza men­tre conduceva vita privata. Quale fede illuminata e calma appare dalla sua risposta a Saul a proposito di Golia: «Il Signore mi ha liberato dagli artigli del leone e dagli arti­gli dell’orso. Egli mi libererà dalle mani di questo filisteo»! Anzi, non soltanto nella sua vita privata e segregata, fra gravi tribolazioni, e fra gli abusi di Saul, egli continuò a essere fedele al suo Dio; anni e anni egli procedette, irrobu­stendo il suo cuore, e praticando il timor di Dio; ma il potere e la ricchezza indebolirono la sua fede, e ad un certo punto prevalsero su di lui. Venne il momento in cui un profeta poté ritorcere su di lui: «Tu sei quell’uomo» che tu hai condannato. A parole, aveva conservato i suoi principi, ma li aveva smarriti nel suo cuore. Ezechia è un altro esempio di un uomo religioso che resse bene alla tribolazione, ma che ad un certo punto cadde sotto la tentazione delle ricchezze, che al seguito di altre grazie straordinarie gli erano state concesse. – E se le cose stanno così nel caso dei santi, predi­letti di Dio, quale (possiamo supporre) sarà il nostro vero stato spirituale ai suoi occhi? È questo un pensiero serio. L’ammonimento da dedurne è di non pensare mai di avere la dovuta conoscenza di sé stessi fino a che non si sia stati esposti a molti generi di tentazioni e provati da ogni lato. L’integrità da un lato del nostro carattere non attesta l’inte­grità da un altro lato. Non possiamo dire come ci comporte­remmo se venissimo a trovarci in tentazioni differenti da quelle che abbiamo sperimentato finora. Questo pensiero deve tenerci in umiltà. Siamo peccatori, ma non sappiamo quanto. Solo lui che è morto per i nostri peccati lo sa.

3. Fin qui non possiamo scansarci: dobbiamo ammettere di non conoscere noi stessi da quei lati nei quali non siamo stati messi alla prova. Ma al di là di questo; se non ci cono­scessimo nemmeno là dove siamo stati messi alla prova e trovati fedeli? Una circostanza notevole e spesso rilevata è che, se guardiamo ad alcuni dei santi più eminenti della Scrittura, troveremo che i loro errori recensiti si sono verifi­cati in quelle parti dei loro doveri nelle quali ciascuno di loro era stato maggiormente provato, e in cui generalmente aveva dimostrato perfetta obbedienza. Il fedele Abramo per mancanza di fede negò che Sara fosse sua moglie. Mosè, il più mite degli uomini, fu escluso dalla terra promessa per una intemperanza verbale. La sapienza di Salomone fu sedotta ad inchinarsi agli idoli. […] Se dunque uomini, che senza dubbio conoscevano se stessi meglio di quanto ci conosciamo noi, avevano in sé tanta do­se di nascosta infermità, persino in quelle parti del loro ca­rattere che erano più libere da biasimo, che dobbiamo pen­sare di noi stessi? E se le nostre stesse virtù sono così mac­chiate da imperfezioni, che devono essere le molteplici e ignote circostanze aggravanti la colpa dei nostri peccati?Questa è una terza presunzione contro di noi.

4. Pensate anche a questo. Non c’è nessuno che, comin­ciando a esaminare se stesso e a pregare per conoscere se stesso (come Davide nel testò), non trovi entro di sé mancan­ze in abbondanza che prima gli erano interamente o quasi interamente ignote. Che sia così, lo apprendiamo da biogra­fie e agiografie, e dalla nostra esperienza. È per questo che gli uomini migliori sono sempre i più umili: avendo nella loro mente una unità di misura dell’eccellenza morale più esigente di quella che hanno gli altri, e conoscendo meglio se stessi, intravedono l’ampiezza e la profondità della propria natura peccaminosa, e sono costernati e spaventati di sé. Gli’uomini, in genere, non possono capire questo; e se a volte l’autoaccusa, abituale per gli uomini religiosi, si esprime a parole, pensano che provenga da ostentazione, o da uno strano stato di alterazione mentale, o da un accesso di malinconia e depressione. Mentre la confessione di un buon uomo contro se stesso è realmente una testimonianza contro tutte le persone irriflessive che l’ascoltano, e un invito loro rivolto ad esaminare il loro cuore. Senza dubbio, più esami­niamo noi stessi, più imperfetti e ignoranti ci troveremo.

5. Anche se un uomo persevera in preghiera e vigilanza fino al giorno della sua morte, non arriverà al fondo del suo cuore. Benché conosca sempre più di se stesso col diventare più serio e coscienzioso, pure la piena manifestazione dei segreti che là si trovano è riservata per l’altro mondo. E all’ultimo giorno, chi può dire lo spavento e il terrore di un uomo che sulla terra è vissuto per se stesso, assecondan­do la sua volontà perversa, seguendo nozioni improvvisate del vero e del falso, eludendo la croce e i rimproveri di Cristo, quando i suoi occhi si apriranno di fronte al trono di Dio, e gli saranno evidenti i suoi innumerevoli peccati, la sua abituale dimenticanza di Dio, l’abuso dei suoi talenti, il mal-uso e spreco del suo tempo, e l’originaria inesplorata peccaminosità della sua natura? Per gli stessi veri servi di Cristo, la prospettiva è terrificante. […] Senza dubbio, tutti dovremo sopporta­re la cruda e terrificante visione del nostro vero io; dovremo sopportare quell’ultima prova del fuoco prima dell’accetta­zione, ma che sarà una agonia spirituale e una seconda morte per tutti coloro che allora non saranno sostenuti dalla forza di colui che morì per portarci in salvo oltre quel fuoco, e nel quale essi sulla terra abbiano creduto.

[…] Richiamiamoci alla mente gli impedimenti che si frappongono alla conoscenza di sé, e al senso della propria ignoranza, e giudicate.

1.Per prima cosa, la conoscenza di sé non è una cosa ovvia; comporta fatica e lavoro. Supporre che la conoscenza delle lingue sia data dalla natura e supporre che la cono­scenza del nostro cuore sia naturale, sarebbero la stessa cosa. Il semplice sforzo di una abituale riflessività è penoso per molti, per non parlare della difficoltà del riflettere cor­rettamente. Chiedersi perché facciamo questo o quello, con­siderare i principi che ci guidano, e vedere se agiamo in coscienza o per più scadenti motivi, è penoso. Siamo pieni di occupazioni, e il tempo libero che abbiamo siamo pronti a dedicarlo a qualche impegno meno severo e affaticante.

2.L’amor proprio, poi, vuole la sua parte. Speriamo il meglio, e questo ci risparmia la noia di esaminarci. L’amor proprio è istintivamente conservatore. Pensiamo di caute­larci sufficientemente ammettendo che al massimo possano esserci rimaste nascoste solo alcune colpe; e le aggiungiamo quando pareggiamo i conti con la nostra coscienza. Ma se conoscessimo la verità, troveremmo che non abbiamo che debiti, debiti maggiori di quanto pensiamo e sempre in aumento.

3.Un tale giudizio favorevole di noi stessi sarà particolar­mente in noi prevalente, se avremo la sfortuna di avere inin­terrottamente buona salute, euforia, comodità. La salute del corpo e della mente è una grande benedizione, se la si sa portare; ma se non è tenuta a freno da «veglie e digiuni», darà comunemente alla persona l’illusione di essere migliore di quanto sia in realtà. Le difficoltà ad agire correttamente, sia che provengano dall’interiorità che dall’esterno, mettono a prova la coerenza; ma quando le cose procedono senza intoppi, e per attuare qualcosa non abbiamo che da deside­rarlo, non possiamo dire fino a che punto agiamo o non agiamo per senso del dovere. L’euforico si compiace di tutto, specie di se stesso. Può agire con vigore e prontezza, e scambiare per fede quella che è meramente una sua energia costitutiva. È allegro e contento; e pensa che sia quella la pace cristiana. Se è felice in famiglia, egli scambia tali affetti natu­rali per la benevolenza cristiana e per la solida tempra dell’a­more cristiano. In breve, egli è nel sogno, dal quale nulla potrebbe salvarlo tranne una umiltà più profonda; ma nulla, ordinariamente, lo libera tranne l’incontro con la sofferenza. […]

4.C’è ancora da considerare la forza dell’abitudine. La coscienza, inizialmente, ci ammonisce contro il peccato; ma se non è ascoltata, smette presto di richiamarci; in tal modo il peccato, prima conosciuto, diventa occulto. Sembra allora (ed è questa una riflessione impressionante) che più colpe­voli siamo, meno lo sappiamo; e questo perché più spesso pecchiamo, meno ne siamo angosciati. Penso che molti di noi, riflettendo, possano ritrovare, nella loro personale espe­rienza, esempi del fatto che noi gradualmente dimentichia­mo la scorrettezza di certi comportamenti, di cui inizial­mente avevamo avuto l’esatta percezione. Tanta è la forza dell’abitudine. Per suo tramite, ad esempio, gli uomini giungono a permettersi vari generi di disonestà. Giungono, negli affari, ad affermare ciò che non è vero, o quello che non sono sicuri che sia vero. Imbrogliano e ingannano; anzi, probabilmente cadono ancora più in basso nei comporta­menti egoistici, senza accorgersene, mentre continuano meticolosamente nell’osservanza dei precetti della Chiesa e conservano una religiosità formale. Oppure, indulgenti con se stessi, si danno ai piaceri della mensa, fanno sfoggio di residenze lussuose, e meno che mai pensano ai doveri cri­stiani della semplicità e dell’astinenza. Non si può supporre che essi da sempre abbiano ritenuto giustificabile un tal modo di vivere; perché altri ne sono colpiti; e ciò che altri avvertono ora, senza dubbio anch’essi lo avvertivano un tempo. Ma tale è la forza dell’abitudine. Un terzo esempio è quello del dovere della preghiera personale; inizialmente viene omessa con rimorso, ma ben presto con indifferenza. Ma non è meno peccato per il solo fatto che non avvertiamo che lo sia. L’abitudine l’ha resa un peccato nascosto.

5. Alla forza dell’abitudine deve essere aggiunta quella degli usi e costumi. Qui ogni epoca ha le sue storture; e que­ste hanno tale influenza, che persino le persone dabbene, per il fatto di vivere nel mondo, sono inconsapevolmente portate fuori strada da esse. In un’epoca è prevalso un fero­ce odio persecutorio contro gli eretici; in un’altra, un’odiosa esaltazione della ricchezza e dei mezzi per procurarsela; in un’altra, una irreligiosa venerazione delle facoltà pura­mente intellettuali; in un’altra, il lassismo morale; in un’altra, la noncuranza degli ordinamenti e della disciplina della Chiesa. Le persone religiose, se non fanno speciale attenzio­ne, risentiranno delle deviazioni di moda nella loro epoca […]. Tuttavia la loro ignoranza del male non cambia la natura del peccato: il peccato è sempre quello che è, solo le abitudini generali lo rendono segreto.

6. Ora, qual è la nostra principale guida in mezzo alle perverse e seducenti costumanze del mondo? La Bibbia, evi­dentemente. «Il mondo passa, ma la parola del Signore dura in eterno». Quanto esteso e rafforzato deve necessariamen­te essere questo segreto dominio del peccato su di noi, se consideriamo quanto poco leggiamo la Sacra Scrittura! La nostra coscienza si corrompe, è vero; ma la parola della verità, anche se cancellata dalle nostre menti, rimane nella Scrittura, luminosa nella sua eterna giovinezza e purezza. Eppure, non studiamo la Sacra Scrittura per svegliare e risa­nare le nostre menti. Chiedetevi, fratelli miei: quanto cono­sco io della Bibbia? Vi è una parte qualsiasi della Bibbia che abbiate letto con attenzione e per intero? Per esempio, uno dei Vangeli? Conoscete qualcosa di più delle opere e delle parole di nostro Signore di quanto avete sentito leggere in chiesa? Avete confrontato i suoi precetti, o quelli di S. Paolo, o quelli di qualcun altro degli Apostoli, con la vostra con­dotta giornaliera? Avete pregato e fatto degli sforzi per conformarvi ad essi? Se sì, bene; perseverate in questo. Se no, è chiaro che non possedete, perché non avete cercato di pos­sedere, un’idea adeguata di quel perfetto carattere cristiano al quale avete il dovere di tendere, e nemmeno della vostra attuale situazione di peccato; siete nel numero di quelli che «non vengono alla luce, perché non siano svelate le loro opere».

Queste osservazioni possono servire per darvi il senso della difficoltà di raggiungere una giusta conoscenza di noi stessi, e del conseguente pericolo a cui siamo esposti: di darci pace, quando non c’è pace.

Molte cose sono contro di noi; è chiaro. Ma il nostro pre­mio futuro non meriterà che lottiamo? E non merita che peniamo e soffriamo, se con ciò potremo sfuggire al fuoco inestinguibile? Ci aggrada il pensiero di scendere nella tomba con sul capo un peso di peccati ignorati e non riprovali? Possiamo accontentarci di una così irreale fede in Cristo, che ha lasciato uno spazio insufficiente all’umiliazione, o alla gratitudine, o al desiderio e sforzo di santificazione? Come possiamo sentire l’urgenza dell’aiuto di Dio, o la nostra dipendenza da lui, o il nostro debito verso di lui, o la natura del suo dono, se non conosciamo noi stessi? […] Se ricevete la verità rivelata unicamente tramite gli occhi e le orecchie, crederete a delle parole, non a delle cose; e ingannerete voi stessi. Potrete ritenervi saldi nella fede, ma sarete nella più totale ignoranza.

L’unica pratica veramente interprete dell’insegnamento scritturistico è l’obbedienza ai comandamenti di Dio, che implica conoscenza del peccato e della santità, e il desiderio e lo sforzo di piacere a lui. Senza cono­scenza di sé siete personalmente privi di radice in voi stessi; potete resistere per qualche tempo, ma a fronte dell’afflizio­ne o della persecuzione la vostra fede verrà meno. Questo è perché molti in questo tempo (ma pure in ogni epoca) diventano infedeli, eretici, scismatici, sleali spregiatori della Chiesa. Ripudiano la forma della verità, perché non è stata per loro più che una forma. Non reggono, perché non hanno mai provato che Dio fa grazia; e non hanno mai avuto espe­rienza del suo potere e del suo amore, perché non hanno mai conosciuto la loro propria debolezza e indigenza. Que­sta può essere la condizione futura di alcuni di noi, se oggi induriamo il nostro cuore: l’apostasia. Un giorno, in questo mondo, potremmo trovarci apertamente fra i nemici di Dio e della sua Chiesa.

Ma anche se ci fosse risparmiata una tale vergogna, quale vantaggio potremmo, alla fine, avere dal professare senza comprendere? Dire che si ha la fede, quando non si hanno le opere? In tal caso rimarremmo nella vigna celeste come una pianta rachitica, infruttuosi, privi in noi del principio interiore di crescita. E, alla fine, saremmo svergognati di fronte a Cristo e ai suoi angeli, come «alberi di fine stagione, senza frutto, due volte morti, sradicati», anche se morissi­mo in esteriore comunione con la Chiesa.

Pensare a queste cose, e esserne allarmati, è il primo passo verso una obbedienza accettabile; sentirsi tranquilli, è essere in pericolo. Dovremo sperimentare cos’è il peccato nell’al di là, se non ce ne rendiamo conto ora. Dio ci dà ogni grazia per scegliere la sofferenza del pentimento, prima del sopraggiungere dell’ira ventura.”

John Henry Newman – Sermoni sulla Chiesa. Conferenze sulla dottrina della giustificazione. Sermoni penitenziali. (Fonte: THE INTERNATIONAL CENTRE OF NEWMAN FRIENDS)