LA PREGHIERA DEL PADRE NOSTRO SPIEGATA DA DON DOLINDO RUOTOLO: “Credere veramente in Dio, confidare in Lui come figli ed essergli amici per la Grazia: ecco il fondamento di ogni vera preghiera”

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-Il Padre Nostro-

“Padre”, ecco il modo come l’anima deve orientarsi a Dio. Non deve considerarlo col terrore superstizioso che avevano i pagani della divinità, espresso a volte dalle stesse forme dei loro idoli, né col timore servile dell’ebraismo di allora, che aveva deviato dallo spirito dei patriarchi; doveva riguardarlo come Padre, quindi come creatore di tutto e come proprio creatore, provvido ed amorosissimo.

Il padre naturale dà la vita al figlio amando, e la conserva amando, quando non è ridotto allo stato brutale dal vizio. Dio dà la vita per un atto della sua Volontà infinita che è Amore; e la conserva con la Provvidenza che è Amore; l’anima, dunque, prega confessando la realtà di Dio, il suo Amore e la sua Provvidenza, e confessandola in un atto di viva fede. Se non c’è questa fede che ci fa parlare a Dio come all’Essere infinitamente esistente, sapiente ed amante, se non si ha con Lui l’intimità filiale che viene dalla fede veramente e praticamente sentita e convinta, la preghiera non supera la nostra povera atmosfera e diventa più uno sfogo della propria impotenza, che una fiduciosa domanda fatta a Dio.

La vacuità di tante preghiere che facciamo sta proprio nella mancanza della fede vera in Dio. Molti, moltissimi, pregando hanno ancora lo spirito idolatrico; credono e non credono a Dio, lo ammettono e non lo ammettono, esitano nel loro cuore e, subcoscientemente, vorrebbero metterlo alla prova, come può mettersi alla prova, l’efficacia di una medicina.

“Padre, sia santificato il Nome tuo”. Ecco una seconda direttiva assolutamente necessaria alla nostra preghiera: considerare tutto alla luce della gloria di Dio e volere tutto secondo i fini della sua Volontà. A volte noi giungiamo alla stoltezza somma di volere imporre le nostre vedute e i nostri interessi umani al Signore, e rimaniamo, quindi, inetti ed impotenti, nell’ambito delle nostre povere forze. Quando l’anima crede veramente ed apprezza Dio per quello che è, domanda in piena sottomissione alle esigenze della gloria di Lui, che è diffusione di misericordia e di bene anche per noi.

Come potrebbe aversi il calore del sole sottraendosi ai suoi raggi, e pretendendo di ridurli nell’ambito della propria meschinità? Il trionfo della luce del sole, e quindi la rimozione degli ostacoli che ne impediscono la diffusione, è anche il conseguimento pieno del nostro desiderio di calore vivificante. Nell’orazione bisogna, dunque, dare a Dio il posto che gli spetta, e desiderare la vita a ciò che è necessario alla vita, unicamente per la sua Gloria e per il trionfo del suo Amore in noi, nella pienezza del suo Regno: “Venga il regno tuo”. Se si pondera veramente la meschinità delle nostre aspirazioni nella preghiera, volta tutta al compimento del nostro egoismo, e se si pensa che la massa del popolo ignora quasi completamente che cosa significhi amare Dio e desiderarne la gloria, non fa più meraviglia che tante preghiere rimangano nella nostra povera cerchia, e sono inesaudite.

Nel tracciarci la direttiva delle nostre preghiere, Gesù Cristo distingue nettamente le esigenze della vita dell’anima da quelle della vita del corpo nella nostra condizione naturale. Per questo il Pater noster ha due parti determinate: alla vita dell’anima è necessaria l’intimità filiale con Dio, per la Grazia che la rende sua figlia: “Padre”. In questa semplice parola c’è la sintesi stupenda delle elevazioni dell’anima negli splendori della Grazia, che la restaura, la santifica e la eleva. L’intimità con Dio è amore nelle sue molteplici gradazioni e sfumature e questo amore si sintetizza tutto nel desiderio di glorificare Dio e di farlo regnare nella propria vita ed in quella di tutti.

Noi, quindi, domandiamo a Dio lo stato di Grazia, l’amore verso di Lui, lo zelo per la sua Gloria, la santificazione delle anime ed il suo Regno in tutte nel dominio soavissimo dell’Amore. Tutte le grandi manifestazioni della vita della santità e della vita della Chiesa stanno in queste brevi e mirabili parole. Per la vita del corpo, ordinata a quella dello spirito, noi abbiamo bisogno dell’alimento e di tutto quello che serve all’ordine ed alla missione temporale della medesima vita: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”; abbiamo bisogno della pace, bene assolutamente imprescindibile da una vita che non sia concepita, come si fa oggi, quale esasperante tramestio di prepotenze e di oppressioni.

Ora la pace non è fuori dell’anima, e tanto meno può considerarsi come l’oppressione del più forte sul più debole; essa è tranquillità dell’ordine, e questa tranquillità viene dall’armonia della coscienza e da quella della carità: “Rimetti a noi i nostri peccati, come noi li rimettiamo ad ogni nostro debitore”. Siamo tutti miserabili, e nessuno può presumere di essere da più di un altro; ci confessiamo peccatori per avere il perdono e promettiamo perdono a quelli che ci fanno del torto. Così viene stroncato nella radice quello che disturba la pace.

Grazia di Dio in noi e carità verso il prossimo sono due beni spirituali dai quali dipende la tranquilla prosperità temporale della vita; i peccatori non hanno mai bene; anche quando satana si sforza di farli apparire prosperati, e dove manca la generosa carità, manca la benedizione di Dio. Satana sfrutta la posizione di alcuni (molto pochi in realtà rispetto alle masse), che, non essendo più capaci di beni eterni, raccolgono come tenue premio di qualche opera buona, i miseri beni temporali; egli li presenta come esseri felici nel male, ma è una menzogna anche in questi la pace, perché sono infelicissimi nel loro cuore ed è una menzogna maggiore il far credere od il supporre che il peccato porti la prosperità.

No, la massa dei peccatori sta in mille tribolazioni, e la massa dei prepotenti è infelicissima, perché è stretta dai rimorsi e dalle angustie interiori che tolgono loro la pace. Che cosa sono i beni temporali senza la pace? E come si può avere pace senza il perdono di Dio e senza la Grazia? Come poi si può avere la Grazia ed il perdono senza darlo a chi ci è debitore?

Quando la nostra preghiera per i beni temporali non sta su queste direttive precise è una preghiera vana; quando cioè non si domanda ciò che serve alla vita, e non più, e non lo si domanda nell’armonia della Grazia e della carità, la preghiera diventa vana, ed a volte può farci credere, per illusione diabolica, che produca anche l’effetto contrario. Quanti hanno l’anima piena di avidità, di odio, d’invidia e di peccati di ogni genere e domandano a Dio non ciò che serve al corpo per la vita dello spirito, ma ciò che serve al corpo per la vita materiale, e si lamentano poi di non essere esauditi!

Quanti hanno peccati impuri che disordinano la vita, anche occultamente e senza che nessuno lo sappia, e si lamentano della miseria corporale che ne è immediata conseguenza! Quanti sono spietati nel giudicare e più spietati nell’inveire contro il prossimo, e pretendono da questa bolgia far risuonare la loro preghiera nei cieli, dove tutto è armonia soavissima di carità!

La vita è una prova di pochi anni, nei quali dobbiamo meritarci, per la grazia di Dio, il premio eterno. Questa prova ci viene dalla condizione stessa nella quale viviamo e può venirci anche dalle insidie e dagli assalti di satana. C’è dunque un terzo elemento della nostra vita terrena: la difesa nei pericoli. Senza la difesa provvida che può venirci solo da Dio la vita dell’anima è travolta dalla colpa e la vita del corpo dalle sventure. Perciò Gesù Cristo ci fa domandare a Dio: “Non ci indurre in tentazione”, cioè non permettere che ci vinca la tentazione e, nel provarci, Tu donaci la forza di esserti fedeli, riducendo le prove a causa della nostra fragilità. È, in fondo, un atto di umiltà che ci concilia la misericordia di Dio, poiché è la confessione della nostra debolezza, in un atto di fiducia e di abbandono alla misericordia di Dio. Chi presume di sé, crede di poter affrontare i cimenti della vita ordinaria e quelli più ardui della santità, e può esserne vinto; ma chi è conscio della propria fragilità, domanda a Dio solo la Grazia di resistere alle prove e di non cadere, e lo supplica di attenuare quelle che per la nostra miseria potrebbero travolgerci.

Con quest’ultima domanda la direttiva della preghiera dataci da Gesù è completa: credere veramente in Dio, confidare in Lui come figli ed essergli amici per la Grazia; ecco il fondamento di ogni vera preghiera. Domandare i beni dell’anima, non come nostro appagamento egoistico, ma per rispondere al nostro fine, e quindi domandare la gloria di Dio ed il suo Regno, perché quei beni così si diffondono in noi. Qualunque domanda che prescinda dalla gloria di Dio e dal suo Regno in noi è sterile e può esserci di danno. Per la vita del corpo domandare il sostentamento necessario, il pane quotidiano, senza aggravarla di ingombri inutili, è domandare la pace, frutto della giustizia e della carità. Infine considerarsi fragili nelle prove che servono al conseguimento dell’etema vita è domandare a Dio la difesa e la conservazione della vita spirituale.

Come già si è accennato, Gesù Cristo nel dare agli apostoli le direttive di qualunque preghiera nella formula che loro insegnò, espresse in una sintesi mirabile quello che era la sua medesima vita di preghiera: Egli, Figlio di Dio, era venuto in terra per proclamare la divina paternità di adozione per tutti gli uomini, e per sollevare a Lui, verso le altezze dei Cieli, le sue creature: “Padre nostro che sei nei cieli”. Egli pregava per esaltare il nome di Dio e per far risuonare in terra, nella natura umana da Lui assunta, le lodi che dall’eternità dava al Padre: “Sia santificato il tuo Nome”.

Egli era venuto per stabilirne il Regno su tutte le creature, e proclamava questo Regno realizzandolo con la sua grande preghiera che doveva culminare nel sacrificio del Golgota: “Venga il tuo regno”. Egli stabiliva il regno di Dio nel pieno compimento dei disegni dell’infinito suo Amore, ossia della sua Volontà, ed implorava che questa Volontà amorosa fosse stata in terra il legame e l’armonia di tutte le attività umane per la Gloria divina, come in cielo era l’eterno legame del Padre e del Figlio: “Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra”. Egli, Figlio di Dio, dunque, si rivolgeva al Padre; Egli, gloria sua sostanziale lo glorificava e ne stabiliva il Regno trionfante, compiendo la sua Volontà, fatto obbediente fino alla morte ed amandolo nell’infinito Amore.

Essendo vero Uomo come era vero Dio, Egli, mediatore nostro e pellegrino della terra, domandava per noi anche i beni della vita mortale: il sostentamento, la pace e la difesa da ogni pericolo, ossia quella sobria prosperità che aiuta la vita ad orientarsi a Dio e non la rende povera lotta per i beni fugaci, confusione di contrasti ed irruenza di prepotenze brutali, misero zimbello di satana e vittima delle stesse prove che debbono orientarla al Signore. Era questa la grande preghiera della vita mortale di Gesù Cristo e logicamente Egli, uscendo da una di queste sue grandi elevazioni, al discepolo che in nome di tutti lo supplicò d’insegnare loro a pregare, dette una formula sublime di preghiera che era la sintesi della sua orazione, e la direttiva di tutte le nostre preghiere.

(Don Dolindo Ruotolo, da “Faccia a faccia con Gesù: meditazioni per la Quaresima e la vita spirituale” edizioni Mimep)

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Faccia a faccia con Gesù

LE TENEBRE DI OGGI ANCHE FRA I CATTOLICI: “È necessario spegnere le false luci del mondo e riaccendere la luce di Gesù Cristo, non solo nelle nazioni ma anche tra i medesimi cattolici.” DON DOLINDO RUOTOLO

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-Le tenebre di oggi anche fra i cattolici-

Ecco, noi viviamo in un’epoca di tenebre fitte, in un momento di frenesia collettiva che ci fa correre verso la catastrofe; si affondano le navi, si distruggono immani ricchezze, si corre come esercito mobilitato verso la morte, e perché? Perché manca la luce di Gesù Cristo che è Lume di vita! Si assiste al miserando spettacolo della creazione di nuove fedi fondate sull’ignoranza, di nuove religioni fondate su idoli scelleratissimi, carichi di delitti, e persino di nuovi misticismi che mostrano come simboli e oggetto di contemplazione la rivoltella, il pugnale, la bomba a mano e il teschio di morte, non per considerare la morte in ordine alla Vita eterna ma per darla spietatamente o incontrarla disperatamente.

Gli uomini sembrano impazziti, impazziti fino al delirio; sconvolgono tutto per creare, secondo loro, un ordine nuovo, e fanno rovinare tutto, travolgendo tutto nell’immane cataclisma delle rivoluzioni e delle guerre. Si presta una fede cieca ai corifei dell’empietà, fino a considerarli come dèi, e si nega l’assenso nobilissimo dell’intelletto e del cuore a Gesù Cristo. È una cosa penosissima! È necessario spegnere le false luci del mondo e riaccendere la luce di Gesù Cristo, non solo nelle nazioni ma anche tra i medesimi cattolici.

Ci sono infatti, fra essi, gravi sintomi di assideramento e di disorientamento; serpeggiano fra loro a man salva errori funestissimi e pochi se ne accorgono, assorbendone il veleno nella vita. C’è una forte infiltrazione di razionalismo, di materialismo e di naturalismo nelle anime, un aborrimento del soprannaturale, una forzata paralisi degli slanci dell’anima verso vette più alte, un subcosciente disprezzo di tutto quello che è vita interiore e vita di santità e, soprattutto, un rispetto umano spinto fino a ostentare rispetto e simpatia per gli eretici e i perversi e disprezzo e noncuranza per tutto quello che può far temere l’accusa di piccolezza d’animo o di pietà da donnette.

Citiamo, a questo proposito, un brano del padre Faber, perché è troppo importante che si riaccenda in pieno la luce che ci ha dato Gesù Cristo tra i fedeli e – bisogna dirlo – tra quelli stessi che li guidano, perché il disorientamento è anche tra le anime consacrate a Dio.

«Vi sono molti, ai nostri tempi, i quali non dicono di non essere cristiani, ma pure scrivono e parlano come se fossero fuori e come se fossero, allo stesso tempo, cristiani e non cristiani. Essi non si diedero pena di formulare una miscredenza positiva, ma non comprendono come mai il progresso, la perfettibilità e le scoperte moderne… possano conciliarsi con quella collezione di antichi dogmi che costituiscono la religione cristiana, e inclinerebbero a rinunciare ai dogmi piuttosto che alle scoperte e invenzioni. Tali persone mettono la dignità umana fra le considerazioni di prim’ordine, mentre, secondo loro, l’assenso dell’uomo alle dottrine e alle pratiche della Chiesa è tanto degradante alla sua nobiltà intellettuale, quanto la sua obbedienza alle medesime è superstiziosa e umiliante. Papa e teologia, Madonna e Santi, grazie e Sacramenti, penitenza e Purgatorio, scapolari e rosari, ascetismo e misticismo, combinandosi per formare un carattere perfettamente distinto e riconoscibile, arrecano un tono alla mente e un fare alla condotta che non lasciano dubbio, e che difficilmente si sbaglia a riconoscerli… Le persone delle quali ora parliamo sono ben lontane dal nutrire stima per un tale carattere. Ai loro occhi è un carattere piccolo, debole, spregevole, codardo, gretto, pusillanime. Difetta di quell’espansione e ardire della grandezza morale, secondo il loro modo di misurare la grandezza. Queste persone tracciarono dei limiti al servizio di Dio, cercarono con lui un compromesso, lo ridussero da Creatore ad un ente che può imporre tasse e tributi e nulla più, perché Egli è un monarca costituzionale e non dispotico, ed essi si formarono della perfezione un’opinione sfavorevole, come di un’aggressione incostituzionale per parte di Dio e del suo esecutivo».

Noi non ci accorgiamo che Gesù Cristo non è più considerato come luce del mondo e che alla Chiesa stessa si tende a dare una fisionomia che non discordi troppo o dal mondo o dalle pompose esibizioni di sapienza, di equilibrio e di serietà delle sette. Quasi quasi ci piace quell’ipocrita austerità di riti senz’anima e senza slanci, quel bando dato a tutto quello che riscalda il cuore e lo muta in un vibrante motore spirituale che porta l’anima nei voli dell’amore. Ci mostriamo disgustati dalle pose dei Santi che ci sembrano esagerate e tendiamo sempre più a vestirci dello smoking del mondo, per mostrarci a nostro modo seri ed equilibrati, rinnegando così la divina stoltezza della Croce. Crediamo quasi indecoroso che un cardinale si mostri con la corona in mano o che baci un’immagine sacra; ci abituiamo troppo a confondere la luminosa maestà dell’anima che crede, spera e ama, con la boria di una serietà mondana, più ridicola di quella di un pagliaccio.

Siamo come schiavi, incatenati dalla miscredenza e dagli errori altrui, tremanti a ogni cenno del loro disprezzo per quello che è frutto di devozione e di pietà cristiana, premurosi di toglierci ogni segno di riconoscimento cristiano, rinnegatori della nostra divina nazionalità, diremmo snobisti di satana e di quello che satana ha prodotto per renderci come stranieri e forestieri nella stessa Chiesa, simili a quegli zulù africani che passano dal loro deserto ardente in una delle nostre rumorose piazze, smarriti nello splendore della civiltà e desiderosi del covo delle loro montagne.

(Don Dolindo Ruotolo, da “Faccia a faccia con Gesù: meditazioni per la Quaresima e la vita spirituale” edizioni Mimep)

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Faccia a faccia con Gesù

DON DOLINDO RUOTOLO: “Beato chi vive nella Chiesa e non si scandalizza delle miserie umane… Restiamo fedeli alla Chiesa, anche quando ci sembra ch’Essa ci tartassi”

Pochi ponderano l’essenza della vita della Chiesa e pochi ne vivono; pochi sanno vederla in quell’aspetto essenziale della sua natura nel quale veramente Essa è pura, immacolata e senza rughe. È questa una considerazione di massima importanza, e forse la più vitale di tutte per poter apprezzare la Chiesa Cattolica per quello che Essa è veramente innanzi a Dio. In qualunque modo la si vegga infatti, l’ombra delle miserie umane ne offusca la magnifica gloria, e ci vuole una grande fede per riconoscerla pura, immacolata, e senza rughe.

Il suo capo, il Papa, è una meraviglia stupenda; la sua potestà dà le vertigini, la sua infallibilità lo pone quasi nell’armonia dell’eterna ed essenziale Verità. Egli può chiudere o aprire il Cielo, può sciogliere e legare, può disporre di tutte le ricchezze della Redenzione, quasi arbitro di Dio stesso; ma se può tanto, egli è anche un uomo, un uomo al quale Dio ha lasciata integra la libertà, senza che il pontificale ammanto possa dargli un solo atto di perfezione personale. È possibile quindi incontrarsi nella storia, anche in un Papa cattivo, disordinato nella sua vita privata, vittima del fasto e dell’orgoglio umano. Possiamo trovare nel Papa, magari anche spiccatamente, i difetti del proprio carattere, e quindi possiamo vederlo impaziente, eccitabile all’ira, irremovibile nei suoi propositi, in una parola, poco santo. L’anima rimane turbata e crede che quelle imperfezioni ridondino nel carattere del Papa in quanto è tale, mentre non è cosi.

È un fenomeno comunissimo nella nostra vita quello di riguardare le cose e le persone dal nostro punto di vista egoistico e personale; una persona che ci fa atti di benevolenza e di cortesia, per noi è ottima, un’altra che ci fa uno sgarbo, per noi è cattiva. Non sappiamo misurare l’umana debolezza nella giusta bilancia, ma la valutiamo nelle nostre mani, e la vediamo pesante se ci dà fastidio e leggera se non ce ne dà; anche il Papa quindi può d’un tratto apparirci senza alcuna aureola di grandezza quando urta col nostro egoismo. Così si spiega come Lutero concepì un odio feroce per il Papa, mentre prima ne sollecitava la benevolenza e le grazie.

Se si guarda la Chiesa nei suoi Pastori e nel suo Sacerdozio, ahimè, quante macchie ne offuscano la grandezza! Dove sta l’uomo lì sta anche la miseria e la debolezza, e quindi nel medesimo Sacerdozio possiamo trovarci di fronte a figure ripugnanti che ci scuotono nella stessa nostra fede, massime se crediamo di averne ricevuto qualche torto. Allora una nube si distende sulla potestà soprannaturale che riveste il Ministro di Dio, e la Chiesa ci appare piena di rughe.

La dottrina della Chiesa è mirabile, ma quante discussioni inutili la rendono a volte pesante, e quante eresie ne offuscano la luminosità! L’organizzazione della Chiesa è un capolavoro di ordine, ma in quante cose all’umanità appare deficiente per gli abusi delle persone che debbono custodirla e svilupparla! (…)

Beato chi vive nella Chiesa e non si scandalizza delle miserie umane che come nebbia pesante ne offuscano gli splendori; beato chi riposa sul materno suo cuore, per sentire solo i palpiti della vita divina che la vivificano. Chi si ferma alla miserie degli uomini che la formano è simile a colui che non distingue il terriccio dalla gemma preziosa e la disprezza, andando poi in cerca di cocci di vetro che gli sembrano più rifulgenti.

Restiamo fedeli alla Chiesa, anche quando ci sembra ch’Essa ci tartassi. Sicuro, ci sono anime che sono a volte percosse dall’autorità della Chiesa, anche a torto, per calunnie o per intrighi. In questi casi la Chiesa può apparire brutta, deformata, avvilita, perchè noi riguardiamo con orrore quello che ci dà pena. Siamo fedeli anche in questi oscuri momenti che sono le supreme prove dell’amore, e serriamoci di più al cuore della Chiesa, e lavoriamo per Lei anche se ci percuote e ci annienta.

Che importa che Essa ci disprezzi? Il suo disprezzo medesimo è come acido che corrode le nostre miserie e rende più luminosa l’anima nostra, il suo rigore è come colpo di martello che raddrizza le nostre stortezze, la sua severità è come cesello che ci rende opera d’arte preziosa innanzi a Dio. Tutto ciò che viene dalla Chiesa è vivificante, anche quando per la sensibilità delle nostre piaghe ci appare castigo; sappiamo riposare tacendo anche sotto i tagli del suo ferro chirurgico, e pensiamo che allora Essa ci è maggiormente madre. Non guardiamo agli uomini che sono solo strumento nelle mani di Dio, strumenti di espiazione e di purificazione per noi, guardiamo più in alto, e diamo a Dio la massima testimonianza del nostro amore adorando la sua volontà e tacendo nelle mani della Chiesa come cagnolini frustati ma sempre accucciati ai piedi del padrone.

(Don Dolindo Ruotolo dal commento al libro delle Cronache)

PERCHÉ PAPA FRANCESCO È IL PONTEFICE LEGITTIMO DELLA CHIESA?

Dato che molti fedeli negano che il Papa vero sia Francesco e rischiano di essere oggettivamente scismatici separandosi dalla comunione con la Chiesa, ho deciso di postare alcuni pezzi trovati online per fare chiarezza sulla questione.

BUONA LETTURA E RIFLESSIONE!

Gli eretici Giovanni Wycliffe e Jan Hus respinsero numerosi Papi sulla base del fatto che erano troppo malvagi per essere veri successori di San Pietro. In risposta, il Concilio di Costanza ha formalmente condannato le seguenti definizioni dei due eretici:

-Articoli condannati di Giovanni Wicleff:

  1. Se il papa è predestinato e malvagio, e, quindi, membro del diavolo, non ha potere sui fedeli, se non forse quello che gli sia stato dato da Cesare.
  2. Non si deve temere la scomunica del papa o di qualsiasi prelato perché è una censura dell’anticristo.
  3. La chiesa romana è la sinagoga di Satana. Il papa non è vicario immediato e diretto di Cristo e degli apostoli.

(Il concilio dichiara eretico Giovanni Wicleff, ne condanna la memoria e ne ordina di esumare le sue ossa)

-Articoli condannati di Giovanni Huss (Jan Hus):

  1. Non si è tenuti a credere che questo – chiunque esso sia – particolare romano pontefice sia il capo di qualsiasi santa chiesa particolare, se Dio non lo ha predestinato.
  2. Nessuno fa le veci di Cristo o di Pietro, se non ne segue i costumi: nessun’altra sequela, infatti, è più pertinente né si riceve diversamente da Dio il potere di suo rappresentante, perché per quell’ufficio di vicario si richiede sia la conformità dei costumi, sia l’autorità di colui che lo istituisce.
  3. Il papa non è il successore certo e vero del principe degli apostoli, Pietro, se vive in modo contrario a quello di Pietro. E se è avido di denaro, allora è vicario di Giuda Iscariota. Con uguale chiarezza i cardinali non sono certi e veri successori del collegio degli altri apostoli di Cristo, se non vivono come gli apostoli, osservando i comandamenti e i consigli del signore nostro Gesù Cristo.
  4. Se il papa è cattivo, e specie se è predestinato, allora, come Giuda, l’apostolo, è diavolo, ladro e figlio della perdizione; e non è capo della santa chiesa cattolica militante, non essendo neppure suo membro.
  5. Il papa o il prelato indegno e predestinato, è solo equivocamente pastore; nella realtà è ladro e predone.
  6. Se il papa vive contrariamente a Cristo, anche se è stato scelto con regolare e legittima elezione secondo la costituzione umana vigente, la scelta invece è avvenuta per altra via che per Cristo, anche se si ammettesse che è stato eletto principalmente da Dio. Anche Giuda Iscariota, infatti, regolarmente e legittimamente eletto all’apostolato da Gesù Cristo, Dio, tuttavia salì per altra via nel recinto delle Pecore.
  7. Non perché gli elettori o la maggioranza di essi si sono trovati d’accordo secondo l’uso comune su una persona, per questo essa è legittimamente eletta, o per ciò stesso è vero e certo successore o vicario dell’apostolo Pietro, o di un altro apostolo in un ufficio ecclesiastico. Quindi, l’abbiano eletto bene o male gli elettori, noi dobbiamo guardare alle opere di chi è stato eletto. Infatti, per questo stesso che uno lavora di più, meritoriamente, al progresso della chiesa, ha anche da Dio, a questo fine, una maggiore potestà.
  8. Cristo reggerebbe meglio la sua chiesa mediante i suoi veri discepoli, sparsi sulla terra, senza questi capi mostruosi.

Fonte per il Concilio di Costanza: https://web.archive.org/web/20080604162004/http://www.totustuus.biz/users/concili/costanza.htm

-Di seguito alcuni pezzi, tradotti velocemente, da 2 articoli di un sito americano. Invito a leggere i due articoli interamente per chi conosce l’inglese:

1) Fatto dogmatico: l’unica dottrina che prova che Francesco è papa: https://onepeterfive.wpengine.com/dogmatic-fact-francis-pope/

2) Ad ogni obiezione una risposta. Perché Francesco è papa: https://onepeterfive.com/objection-answer-francis-pope/

-Ecco alcuni pezzi dei 2 articoli:

Il cardinale Louis Billot (che ha scritto l’enciclica Pascendi di Papa San Pio X), spiega tutte le condizioni che sono necessarie per un uomo a diventare un papa legittimo dal momento in cui la Chiesa accetta lui come papa:

“[Un] punto deve essere considerato assolutamente incontrovertibile e posto saldamente al di sopra di ogni dubbio: l’adesione della Chiesa universale sarà sempre, di per sé, segno infallibile della legittimità di un determinato Pontefice, e quindi anche dell’esistenza di tutte le condizioni richieste per la legittimità stessa. Non è necessario cercare lontano la prova di ciò, ma la troviamo subito nella promessa e nella provvidenza infallibile di Cristo: “Le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa”, ed “Ecco io sarò con voi tutti i giorni” … Dio può permettere che a volte una vacanza nella Sede Apostolica si prolunghi a lungo. Può anche permettere che sorgano dubbi sulla legittimità di questa o quella elezione. Non può però permettere che tutta la Chiesa accetti come Pontefice colui che non lo è così veramente e legittimamente. Pertanto, dal momento in cui il Papa è accolto dalla Chiesa e unito ad essa come capo del corpo, non è più permesso dubitare di un eventuale vizio di elezione o di un’eventuale mancanza di qualsiasi condizione necessaria per la legittimità. Infatti la suddetta adesione della Chiesa sana alla radice ogni colpa nell’elezione e prova infallibilmente l’esistenza di tutte le condizioni richieste.”

Nota l’ultima parte. Dal “momento” in cui è accettato come Papa dalla Chiesa, non è più consentito dubitare della sua elezione, né della presenza di eventuali condizioni richieste per la legittimità. Poiché Francesco è stato accettato come papa da tutta la Chiesa il giorno della sua elezione, nessuno degli argomenti attualmente in circolazione contro la sua legittimità sono validi, né per un vizio nell’elezione né per l’assenza di qualsiasi condizione (come la condizione che l’ufficio pontificio era vacante all’epoca).

Giovanni di san Tommaso spiega che la certezza che tutte le condizioni fossero soddisfatte è una conclusione teologica derivata dalla verità de fide che l’uomo è papa.

Lui scrive:

“È subito di fede divina che quest’uomo in particolare, legittimamente eletto e accettato dalla Chiesa, è il sommo pontefice e successore di Pietro… poiché è de fide che quest’uomo… è il Papa, si trae la conclusione teologica che erano veri elettori, e una reale intenzione di eleggere, così come gli altri requisiti ( condizioni ) senza i quali la verità de fide non potrebbe reggere. …

Prima dell’elezione esiste la certezza morale che tutte queste condizioni richieste nella persona siano effettivamente soddisfatte. Dopo il fatto dell’elezione e della sua accettazione, il compimento di queste condizioni è conosciuto con la certezza di una conclusione teologica, poiché esse hanno, di per sé, un’implicazione logica con una verità certa, e certificata dalla fede [cioè, che è il vero Papa]. … [T]che sia battezzato e soddisfi gli altri requisiti … si deduce di conseguenza[.] …”

Abbiamo quindi la certezza della fede, per una rivelazione implicitamente contenuta nel Credo e nella promessa fatta a Pietro, e resa più esplicita nella definizione di Martino V, e applicata e dichiarata in atto ( in exercitio ) dall’accettazione della Chiesa, che quest’uomo in particolare, eletto canonicamente secondo l’accettazione della Chiesa, è Papa.

-Risposta all’obbiezione: Se un pretendente al papato usurpasse illecitamente l’ufficio papale, senza diventare il papa legittimo, non sarebbe mai universalmente accettato come papa dalla Chiesa. D’altra parte, se la sua pretesa al papato è universalmente accettata, fornisce la certezza infallibile che è diventato papa. Il cardinale Billot spiega il motivo come segue:

“Dio può permettere che a volte una vacanza nella Sede Apostolica si prolunghi a lungo. Può anche permettere che sorgano dubbi sulla legittimità di questa o quella elezione. Non può però permettere che tutta la Chiesa accetti come Pontefice colui che non lo è così veramente e legittimamente”

-Obiezione: il Vaticano I ha definito che il papa è infallibile e quindi non può perdere la fede o insegnare l’eresia. Francesco chiaramente non ha la Fede, e ha insegnato l’eresia. Ciò dimostra che gli manca la protezione dell’ufficio pontificio e quindi è un segno che non è il papa.

Risposta: Da nessuna parte il Vaticano I ha definito che un papa non può perdere la Fede o insegnare personalmente l’eresia. Ciò che ha definito è che non può sbagliare quando definisce una dottrina, ex cathedra . Il cardinale Camillo Mazzella, che tenne la cattedra di teologia alla Gregoriana nel decennio successivo al Concilio Vaticano I, scrisse quanto segue nel De Religione et Ecclesia (1905):

” una cosa è che il Romano Pontefice non può insegnare un’eresia parlando ex cathedra (ciò che ha definito il Concilio Vaticano); ed è un’altra cosa che non può cadere nell’eresia, cioè diventare eretico come un privato. Su quest’ultima questione il Concilio non ha detto nulla ( De hac question nihil dixit Concilium ); e i teologi ei canonisti non sono d’accordo tra loro al riguardo.”

Più di un secolo dopo il Vaticano I, il cardinale Stickler scrisse:

“Nessun teologo oggi, pur accettando incondizionatamente l’infallibilità del romano pontefice, afferma con ciò che il papa, parlando in astratto, non può diventare personalmente eretico.”

-Obiezione: anche se Francesco è diventato papa dopo la sua elezione, chiaramente non ha la fede ora, quindi non può essere il papa. San Roberto Bellarmino diceva che un eretico è ipso facto deposto.

Risposta: Nel De Ecclesia Militante (Capitolo X), Bellarmino mostra quale sia la sua vera posizione riguardo alla perdita dell’incarico per eresia. Spiega che un papa che cade nell’eresia non perde il pontificato a meno che 1) non si separi pubblicamente dalla Chiesa o 2) sia condannato per eresia dalla Chiesa:

“È certo che, checché ne pensi l’uno o l’altro, un eretico occulto, se fosse Vescovo, o anche Sommo Pontefice, non perde la giurisdizione, né la dignità, né il nome del capo nella Chiesa, finché o non si separa se stesso pubblicamente dalla Chiesa , o essendo condannato per eresia, viene separato contro la sua volontà.”

Francesco non si è separato pubblicamente dalla Chiesa, né è stato condannato per eresia. Pertanto, secondo Bellarmino, non ha perso il suo ufficio. E il fatto che egli rimanga papa è confermato dall’infallibilità del Magistero ordinario e universale, che continua a riconoscerlo come papa, fornendo così «una chiara testimonianza della legittimità della sua successione» (Van Noort).

-Obiezione: Conosco molti cattolici che rifiutano Francesco come papa, quindi nego che sia “universalmente accettato” come papa.

Risposta: Anche se qualcuno nega che Francesco sia “universalmente accettato” ora , non può negare che Francesco sia stato universalmente accettato nelle settimane e nei mesi successivi alla sua elezione. Basta questo a dimostrare che è diventato papa. Come spiega il cardinale Billot, la legittimità di un pontefice romano è infallibilmente certa «dal momento in cui il Papa è accolto dalla Chiesa» . Lo stesso insegna Giovanni di S. Tommaso: “Appena gli uomini vedono o sentono che è stato eletto un Papa, e che l’elezione non è contestata , sono obbligati a credere che quell’uomo è il Papa, e ad accettarlo”.

-Obiezione: Anche se l’abdicazione di Benedetto fosse valida, l’elezione di Francesco era nulla a causa della congiura della mafia di San Gallo, vietata dall’Universi Dominici Gregis, n. 81.

Risposta: Il canonista Ed Peters ha fornito una risposta canonica a questa e ad altre obiezioni canoniche. Teologicamente, tutte queste obiezioni si rivelano false dall’accettazione universale di Francesco, che non avrebbe avuto luogo se eventuali atti illeciti dei cardinali avessero invalidato l’elezione. Rilevante anche qui è il seguente insegnamento di Sant’Alfonso:

“Non importa che nei secoli passati qualche Pontefice sia stato eletto illegittimamente o si sia impossessato del Pontificato con l’inganno; è sufficiente che sia stato poi accettato da tutta la Chiesa come Papa, poiché alla luce di tale accettazione è già diventato il Papa legittimo e vero…”

Va anche notato che l’elezione è semplicemente il meccanismo con cui la Chiesa sceglie un papa, ma è sempre Cristo che fa papa l’uomo conferendogli l’autorità pontificia. Ora, Cristo non è limitato dalla legge umana o impedito di agire a causa di atti illeciti o fraudolenti dell’uomo. Mentre è certo che Cristo sarà agente unendo l’uomo eletto (materia) al pontificato (forma) quando le leggi elettorali sono seguite, Egli non è ostacolato dal farlo a causa di un difetto nelle elezioni. Questo spiega perché alcuni uomini illecitamente eletti divennero papi legittimi.

Ciò si applicherebbe logicamente anche al contrario. Ad esempio, se un papa fingesse di dimettersi dal papato e ingannasse la Chiesa facendogli credere di averlo fatto (che è essenzialmente ciò che gli attribuiscono coloro che negano la validità delle dimissioni di Benedetto), non c’è dubbio che Cristo avrebbe spogliato il tale del pontificato. Ciò è implicitamente confermato dagli esempi storici di veri papi che furono illecitamente deposti ma che tuttavia persero l’ufficio papale quando vi si assoggettarono.

Ora, poiché è certo che solo Cristo può autorevolmente togliere dal pontificato un vero papa, se lo ha fatto nei casi di papi illegalmente deposti ma acconsentiti, non farebbe altrettanto nel caso di un papa che ha finto di dimettersi, orchestrando la propria abdicazione illegale e acconsentendovi? Senza dubbio lo avrebbe fatto, e se il prossimo papa fosse stato universalmente accettato, lo dimostrerebbe.

-il rifiuto della legittimità di un papa che è stato universalmente accettato è un “peccato mortale contro la fede”. Giovanni di San Tommaso lo qualifica come un’eresia:

“Chi negherebbe che un determinato uomo è Papa dopo che è stato pacificamente e canonicamente accettato, sarebbe non solo uno scismatico, ma anche un eretico ; poiché, non solo squarcerebbe l’unità della Chiesa… ma vi aggiungerebbe anche una dottrina perversa, negando che l’uomo accettato dalla Chiesa sia da considerare come il Papa e la regola della fede. Pertinente qui è l’insegnamento di san Girolamo (Commento a Tito, capitolo 3) e di san Tommaso (IIa IIae Q. 39 A. 1 ad 3), secondo cui ogni scisma inventa per sé qualche eresia, per giustificare il suo ritiro dalla Chiesa. Così, sebbene lo scisma sia distinto dall’eresia, nel (…) caso in esame, chi negherebbe la proposizione appena formulata non sarebbe uno scismatico puro, ma anche un eretico, come sostiene anche Suarez.”

Vale la pena notare che il motivo per cui Cartechini lo ha qualificato come “peccato mortale contro la fede”, piuttosto che eresia, è dovuto ad uno sviluppo dottrinale avvenuto negli ultimi secoli. Oggi, in senso stretto, l’eresia si limita al rifiuto di una verità formalmente rivelata (oggetto primario dell’infallibilità), mentre nei secoli passati il ​​rifiuto di qualsiasi dottrina de fide era considerato eresia (cfr ST II q 11, a 2). Ma che sia qualificata come eresia in senso stretto o solo in senso lato, in entrambi i casi, è un peccato mortale contro la fede, che priverà un cattolico dello stato di grazia e meriterà una punizione eterna.

UN FATTO STORICO

PAPA VIGILIO: “la modalità della sua elevazione alla Sede di Roma fu viziata da irregolarità e soprusi.”

Nel frattempo, morto Agapito, grazie all’influenza del re dei goti, era stato nominato papa Silverio (536-537), e non molto tempo dopo il generale bizantino Belisario, in guerra contro i goti, si pose alla difesa di Roma. L’assedio che il re goto Vitige pose alla città suggerì a Teodora il momento propizio per mettere in atto i suoi piani, del cui contenuto Vigilio, rientrato in Italia, aveva già messo al corrente Belisario. Tramite una lettera contraffatta il papa venne accusato di essersi accordato con Vitige. Si affermava che Silverio avrebbe offerto al re di lasciare segretamente aperta una delle porte della città in modo da consentire l’ingresso dei goti e liberare Roma dai bizantini. Convocato l’11 marzo 537 da Belisario per discolparsi, il papa non riuscì a confutare le accuse, quindi fu arrestato, spogliato del suo abito episcopale, vestito con una tonaca da monaco e spedito in esilio a Patara, in Licia. Un suddiacono annunciò al popolo che Silverio non era più papa. Il 29 dello stesso mese, su imposizione di Belisario, Vigilio fu consacrato vescovo di Roma al suo posto.

Liberato successivamente Silverio dall’esilio per intercessione di Giustiniano, venne posto sotto la custodia di Vigilio, che lo relegò nell’isola di Palmarola (mar Tirreno). Ma la sua elezione non poteva ancora considerarsi perfezionata e l’11 novembre 537 Silverio fu indotto a firmare un atto di volontaria abdicazione. Solo allora l’intero clero romano fu costretto ad accettare l’elezione di Vigilio, benché ottenuta con la violenza e con la simonia. Nell’isola in cui era stato deportato, ben presto Silverio morì, forse assassinato, o forse per stenti. Il Liber pontificalis afferma che papa Silverio fu nutrito “del pane della tribolazione e dell’acqua dell’angoscia” fino alla morte[6][7], avvenuta il successivo 2 dicembre.

Molto, in queste accuse contro Vigilio, sembra esagerato, ma sicuramente la modalità della sua elevazione alla Sede di Roma fu viziata da irregolarità e soprusi.

Fonte: https://it.m.wikipedia.org/wiki/Papa_Vigilio

UN PEZZO DEL CATECHISMO PER CONCLUDERE:

Il primo comandamento ci richiede di nutrire e custodire la nostra fede con prudenza e vigilanza e di respingere tutto ciò che le è contrario.

Ci sono diversi modi di peccare contro la fede:

Il dubbio volontario circa la fede trascura o rifiuta di ritenere per vero ciò che Dio ha rivelato e che la Chiesa ci propone a credere. Il dubbio involontario indica l’esitazione a credere, la difficoltà nel superare le obiezioni legate alla fede, oppure anche l’ansia causata dalla sua oscurità. Se viene deliberatamente coltivato, il dubbio può condurre all’accecamento dello spirito.

L’incredulità è la noncuranza della verità rivelata o il rifiuto volontario di dare ad essa il proprio assenso. « Viene detta eresia l’ostinata negazione, dopo aver ricevuto il Battesimo, di una qualche verità che si deve credere per fede divina e cattolica, o il dubbio ostinato su di essa; apostasia, il ripudio totale della fede cristiana; scisma, il rifiuto della sottomissione al Sommo Pontefice o della comunione con i membri della Chiesa a lui soggetti ».

(Catechismo della Chiesa Cattolica, 2088-2089)

LA MORMORAZIONE CONTRO I SUPERIORI E IL PAPA È UN GRAN MALE – COME AGISCE LA CHIESA QUANDO C’È IL RISCHIO DI UNO SCISMA?: “Chi si ribella all’autorità della Chiesa dimostra di non aver avuta nessuna missione dal Signore e di essere un’anima falsa.” RIBELLARSI ALLA CHIESA È MATRICIDIO – COMMENTO MOLTO ATTUALE E IMPORTANTE DI DON DOLINDO RUOTOLO!

Anche nella Chiesa, nei momenti più difficili della sua vita, il Signore suscita provvidenzialmente alcune anime che ricevono da Lui direttamente una missione. Sono casi piuttosto rari; su settanta anziani (i 70 d’Israele), anzi può dirsi su tutto il popolo, due soltanto furono ripieni dello Spirito Santo da Dio stesso. Queste anime, a cui il Signore affida una missione straordinaria, non possono essere giudicate con le leggi comuni, appunto perché costituiscono un’eccezione. Dio ha con loro una speciale provvidenza, ma non le sottrae per nulla all’autorità della Chiesa; chi si ribella a questa, per ciò stesso dimostra di non aver avuta nessuna missione dal Signore e di essere un’anima falsa.

In fondo Mosè, non impedendo a quei due di profetare, indirettamente li autorizzava a farlo. Lutero che s’inalberò contro la Chiesa non aveva un mandato da Dio, e perciò non profetò, ma dolorosamente bestemmiò. I protestanti perciò errano supponendo che Lutero avesse avuta la missione di riformare la Chiesa. Dio non chiama nessuno a compiere tale riforma, ma quando vuol farlo, suscita in Essa i capi provvidenziali che compiono la sua volontà.

Dio suscita direttamente nella Chiesa solo le anime che gemendo ed immolandosi, nell’ umiltà e nell’obbedienza, gettano in Lei il fermento santo di una vita novella, o vivificano in Lei gli occulti germi della sua feconda ricchezza. Queste anime, anche quando sono perseguitate e contraddette, non si ribellano, ma profetano con l’umiltà, con il dolore, con l’esempio, con le preghiere, e portano su di loro la Croce che è il segnale più bello dello Spirito di Dio. (…)

Non bisogna illudersi; i superiori rappresentano Dio, ed è un grave affronto fatto al Signore il mormorare contro di loro. Noi oggi non ci vediamo colpiti evidentemente dai divini castighi quando mormoriamo contro i superiori, ma questo non significa che Dio non se ne offenda. Nell’antica legge, com’era esterna e legale la santità, così erano più manifesti i castighi contro le prevaricazioni; nella nuova legge la santità è interiore ed il castigo è il più delle volte interiore, non si vede, ma non è meno vero e grave.

L’anima ribelle diventa lebbrosa; Dio si ritira da lei e ritira le sue grazie, come si ritirò dalla nube e ritirò la stessa nube dal Tabernacolo. L’anima senza obbedienza è corrosa dalle sue miserie come da una lebbra, e non guarisce che dopo essersi umiliata dinanzi a chi le rappresenta il Signore. È terribile il pensare che Dio sputi in faccia all’anima che non si sottomette all’autorità, e ne mormora, riguardandosi come sua eguale.

Così fanno i poveri protestanti che riguardano il Papa come uno di loro, e dicono spavaldamente: “Forse Dio parla solo al Papa ? Non ha parlato anche a noi?”
Abbiamo nella Santa Scrittura due che profetano, Eldad e Medad, ma non presumono di fare a meno di Mosè, e Dio rimane con loro; abbiamo due, Maria e Aronne, che protestano contro la supremazia di Mosè, e sono sputati in faccia da Dio. La frase apparisce dura, senza dubbio, ma l’ha detta Dio stesso: la povera chiesa protestante è sputata in faccia da Dio, perché rifiuta l’autorità e la supremazia del Papa.

Nelle stesse condizioni si trovano pure le chiese scismatiche che presumono di fare a meno dell’autorità del Papa. È vano illudersi, è vano appellarsi alle proprie ispirazioni, come faceva Maria (sorella di Mosè) quando mormorava; bisogna sottomettersi. Dio non parla che dal Tabernacolo vivo della Chiesa Cattolica, e dalla nube dove discende, che è solo il Papa. II Papa è l’uomo di fiducia nella casa di Dio, perché è il Vicario di Gesù Cristo; il Papa ha il sacro deposito della divina rivelazione ed è illuminato infallibilmente da Dio.

Non c’è cosa più sublime della sua infallibilità, in tutto ciò che riguarda la Fede ed i costumi; in questo “Egli solo vede Dio faccia a faccia, cioè come è”; lo vede nelle Sue sembianze, cioè come si rivela, senza enigmi e senza figure. Nessuno ardisca dunque di sparlare di questo servo di Dio, che gli è caro come la pupilla degli occhi! Lo sdegno divino cade sugli individui, sulle famiglie, sulle nazioni che sparlano del Papa, e Dio si ritira lasciandole nella desolazione della lebbra intellettuale e morale che le deturpa e le avvilisce. (…)

Quando l’uomo è preso dall’ambizione e vuole elevarsi, rinnova la triste ribellione degli Angeli caduti, e dalla sua altezza precipita nell’abisso. È questo il fondo di tutte le sedizioni che hanno desolata la Chiesa nel corso dei secoli, e principalmente della sedizione protestante. Come Core (cugino di Mosè) desiderava il comando e voleva compiere un ufficio che non gli spettava, così si sono levati nel suo seno uomini ambiziosi che hanno rinnegato l’autorità del Papa, che hanno preteso di avere essi una missione, che hanno lusingata l’ambizione altrui, ed hanno rinnegato le verità fondamentali della Fede, formando una falsa Chiesa e cagionando in tal modo la perdizione di tante anime. Come Core s’inalberò in un momento nel quale il popolo d’Israele era decaduto dal suo primitivo fervore, così nella Chiesa di Dio le rivolte sono frutto del decadimento della vita cristiana, sono come il verminare di una piaga purulenta. Lutero alzò il suo vessillo di rivolta in uno di questi momenti e dalla pretesa di predicare le Indulgenze passò a quella di riformare la Chiesa, ribellandosi al suo capo legittimo e sostituendosi a lui. Quando le grazie sono poche nella Chiesa, per l’impedimento che vi pone la rilassata vita dei Sacerdoti e dei fedeli, le insidie diaboliche sono molte, l’ovile santo è indifeso per il sonno dei suoi pastori, ed il male dilaga facilmente come un malanno. Dio però veglia sulla sua Chiesa e la sorregge anche nei momenti più tristi, e la potenza infernale non può giammai prevalere contro di essa. (…)

Noi vediamo le cose dal nostro limitato orizzonte e non sappiamo valutare i disegni di Dio. Egli ha formata nel mondo una meraviglia stupenda, la Chiesa Cattolica, peregrinante e militante; è una milizia singolare questa, il cui vessillo è la Croce, e la cui forza è l’immolazione ed il dolore. La Chiesa è come agnella fra i lupi, è indifesa, benché assalita fieramente da tutte le potenze dell’inferno. L’unica sua difesa e l’unica sua forza è Dio che le dona la resistenza a tutti gli assalti ; è proprio questa resistenza, storicamente provata, che ha lasciato tante volte pensosi e perplessi i suoi nemici.

Il carattere soprannaturale, evidentissimo, della forza della Chiesa e della divina assistenza che la tutela, è una delle più grandi testimonianze dell’infinita realtà divina. La Chiesa non ha che armi spirituali; quando è assalita, a somiglianza di Mosè, si getta con la faccia per terra e prega, rifugiandosi nel Santuario presso la divina Arca Eucaristica; quando è minacciata nella sua unità, fa appello a Dio, e fulmina le sue pene spirituali contro i sediziosi che intaccano la sua Fede e la sua autorità. Le sue pene spirituali sono una tremenda potenza, che Dio stesso conferma e sanziona. Mosè, vedendo che si voleva intaccare l’unità d’Israele creando un’altra autorità e cagionando per necessità uno scisma, ricorse all’unica forza che aveva, alla potenza della sua autorità, e domandò che i dissidenti sediziosi fossero inghiottiti dalla terra.

Così fa la Chiesa nei momenti nei quali è in pericolo la sua mirabile unità, solo così ha resistito all’urto dei secoli ed è ancora rigogliosa per la sua perenne giovinezza. L’uomo non sa intendere questa potenza tutta spirituale che si leva gigante nelle tempeste e negli uragani; egli è capace solo d’intimorirsi delle armi. Era dunque necessario alla vita stessa della Chiesa il formare gradatamente nell’umana coscienza la persuasione di una potenza spirituale più formidabile di un esercito schierato. Chi ardisce toccare il pesce torpedine, quando sa che da quel corpo si scarica una potente corrente elettrica che può produrre un danno? Dio vuol dimostrare che la sua Chiesa è capace di ricacciare da sè le insidie e le sedizioni facendo sperimentare la potenza della vitale corrente ch’Essa possiede. È logico quindi che in mezzo al popolo ebreo, immagine e figura della Chiesa, Egli manifesti in modo sensibile questa potenza, che non fa capo alle armi ma a Lui, e che pure è capace di travolgere ogni insidia.

(Don Dolindo Ruotolo, dal commento al libro dei Numeri)

LA NOVITÀ NELLA LITURGIA E LE ANIME SCANDALIZZATE

Quando la Chiesa apre le fonti delle sue ineffabili ricchezze, non siamo così meschini e gretti di cuore da scandalizzarci o da porre ostacolo alle sue materne sollecitudini. La Chiesa è eminentemente conservatrice, perchè è completa nella sua compagine ed è perfetta nella sua costituzione, ma alcuni scambiano la propria mania di non volere novità con l’immobile saldezza della Chiesa, e si ostinano a conservare anche quello che fu manomesso dall’incoscienza degli uomini, e che la Chiesa ridona al suo primitivo splendore.

Dimenticano queste anime grette, piovre pericolose della vita spirituale, che la Chiesa è perenne freschezza di vita, e può avere anche nel suo seno quello che Essa stessa nell’orazione del martedì santo chiama “la santa novità”.

Quando il Papa parla, i fedeli non debbono fare altro che obbedire, perchè il Papa ha in custodia le fonti della Chiesa, ed il Papa sa come deve distribuirle secondo l’opportunità dei tempi.

Alcuni, per esempio, si scandalizzano delle preghiere liturgiche tradotte in italiano o dei canti italiani fatte nelle Chiese, appellandosi alla tradizione antica. Essi dimenticano queste severe parole di San Paolo, che da sole basterebbero a disingannarli:

“Se io faccio orazione in una lingua (sconosciuta a me), il mio spirito prega, (perchè è unito a Dio), ma la mia mente rimane priva di frutto. Che farò dunque? Pregherò con lo spirito e pregherò con la mente, salmeggerò con lo spirito e salmeggerò con la mente. Se tu invero renderai grazie (cioè pregherai) con lo spirito, quegli che sta al posto dell’idiota come risponderà amen al tuo rendimento di grazie, mentre non intende quello che tu dici? Tu per certo fai il tuo rendimento di grazie, ma l’altro non è edificato. Rendo grazie al mio Dio che io parlo le lingue che parlate tutti voi, poichè nella Chiesa io amo dire piuttosto cinque parole in modo da essere compreso, per istruire anche gli altri, che diecimila parole in altra lingua. Fratelli, non siate fanciulli nell’intelligenza. (I Corint. XIV, 14-20).

Sì, non siamo fanciulli nell’intelligenza e non presumiamo di saperne più del Papa, nè pretendiamo di monopolizzare le nostre idee, perchè la Chiesa non ha monopoli. Così quando Pio X riformò il canto gregoriano, ci furono quelli che pretesero conservare i loro libroni corali, ripieni di strafalcioni, perchè credevano conservare l’antico, mentre custodivano solo ciò che era stato corrotto.

Allorchè Pio X invitò i fanciulli ad andare a Gesù, ci furono quelli ai quali l’età di sette anni, ed anche meno, stabilita dal Papa, sembrò prematura e mormorarono.

Quando il Papa vuole aprire il pozzo delle ricchezze della Chiesa, non siamo così stolti da appellarci agli usi comuni, come fecero i pastori che parlavano con Giacobbe, ma conduciamo le greggi alla fonte perché si dissetino.

(Dal commento alla Genesi del Sacerdote Dolindo Ruotolo)

RIBELLARSI ALLA CHIESA È MATRICIDIO:

La Chiesa cominciava a dare i primi passi nel mondo. Fondata sugli Apostoli, raccolta nella preghiera, sotto la protezione materna di Maria SS., guidata e retta da S. Pietro nell’unità della carità, in attesa dello Spirito Santo, che doveva vivificarla soprannaturalmente santificandola, e doveva diffonderla in tutto il mondo, i suoi caratteri erano già ben definiti e determinati.

Le sette che dolorosamente sarebbero sorte nei tempi futuri con la presunzione di riformarla, si sarebbero fondate non su Pietro e sugli Apostoli, ma su poveri traviati dalla verità e dalla disciplina, che avrebbero rifiutato il materno e dolcissimo appoggio di Maria SS., e sarebbero state fonte e fomite di dissensioni e di rovine.

Leghiamoci perciò con vivo amore alla unità della Chiesa, anche se per la miseria e la cattiveria degli uomini che ne fanno parte ciò dovesse costarci sacrificio. È una forma di martirio che è carissima e graditissima a Dio, il quale avrà cura nella sua carità infinita di farci giustizia.

Morire anche nell’obbrobrio, anche come malfattori, per l’unità e la disciplina della Chiesa, ecco la più grande abnegazione di un’anima cristiana e sacerdotale, posta alle strette dall’ingiustizia e dalla miseria umana.

Ribellarsi sarebbe un matricidio, perché la rivolta non colpisce gli uomini ma la Chiesa, e sarebbe anche un suicidio, perché la ribellione dividerebbe l’anima non dai mestatori ma dalla Chiesa. Che cosa importa la misera vita, la gloria od anche semplicemente la buona riputazione di uno o di pochi di fronte all’interesse della vita della Chiesa?

Difendersi è un diritto e può essere anche un dovere quando la propria difesa implica la difesa della gloria di Dio; ma quando non è possibile la difensiva senza l’offensiva contro i supremi poteri della Chiesa, chi l’ama veramente, per amore di Gesù Cristo che l’ha fondata e l’ha resa intangibile, si raccoglie nel silenzio, si umilia, prega e rimette al Signore la propria causa, che diventa allora causa di gloria divina.

Allontanarsi da questa linea di condotta significa agire da stolti, poiché significa compromettere la salute del corpo per salvaguardare quella di un membro. La rovina del corpo porta anche quella del povero membro offeso.

Per un patereccio punirai il cuore colpendolo? Per una infezione di pelle avvelenerai tutto il sangue? E quale salute puoi sperare da un cuore spezzato o da un sangue avvelenato? La nostra figura storica è un atomo fuggente, che rimane seppellita dall’oblio, mentre la figura della Chiesa è una perennità di sempre freschissima vita. Or tu che farai? Disseccherai l’albero per conservare la piccola pianta che vive nelle sue radici, e che da una stagione all’altra si dissecca e non lascia traccia di sé?

O poveri cuori ulcerati dall’ingiustizia, posti al cimento della malignità umana, sollevatevi al di sopra di essa e vincetela col vostro sacrificio e la vostra immolazione. Qui sta l’eroismo, qui sta la grandezza vera d’un vero e profondo amore alla Chiesa Cattolica.

Chi sente diversamente ha la sorte di Giuda traditore: compra il “campo del vasaio” e lo muta in “akeldamà”, poiché il prezzo della gloria della sua povera argilla diventa prezzo del sangue della vita della Chiesa; “acquista, si, un campo con la mercede della sua iniquità”, un campo ristretto di misera soddisfazione e di più misera vendetta, ma si “appicca” con le sue mani e “crepa nel mezzo, spargendo tutte le sue viscere”, perché rovina se stesso e cade negli orrori della morte interiore e nel disordine dei sensi.

Noi siamo nella vita mortale come in una continua attesa dello Spirito Santo, perché non possiamo vivere ed operare soprannaturalmente senza la grazia del Signore; perseveriamo perciò concordi nell’orazione unendoci alle preghiere della Chiesa, a quelle delle anime sante ed a quella della SS. Vergine Maria, dalla cui materna mediazione possiamo aspettarci gli aiuti particolari dei quali abbiamo bisogno.

Persuadiamoci che tutte le nostre iniziative e la nostra scienza non valgono nulla, e che solo per lo Spirito Santo possiamo essere rivestiti di soprannaturale vigore dall’alto.

Ogni giorno perciò tendiamo le mani allo Spirito Santo, e come piante intristite dalla siccità, imploriamo da Lui la rugiada della grazia che ci faccia rifiorire e ci faccia portare frutti abbondanti.

(Dal commento agli Atti degli Apostoli del Sacerdote Dolindo Ruotolo)

Ascoltiamo don Dolindo Ruotolo:

“La Chiesa è guidata dalla Provvidenza di Dio.
Gli scandali dei membri della Chiesa sono un segno della sua vita, poiché le malattie non colpiscono le statue o le figure dipinte, ma gli esseri vivi. Nella sua anima la Chiesa è invece immacolata, santa, senza macchie e senza rughe.

Le sette che sono un corpo senza vita, hanno spesso un volto incipriato e dipinto, si gloriano della loro apparenza, ma vanamente. Un fiore soverchiamente manierato e simmetrico, è un fiore artificiale, senza profumo e senza vita, mentre quasi sempre il fiore sbocciato da una pianta viva, ha qualche petalo che cade, o qualche foglia intristita dal gelo. La Chiesa non è una vetrina di fiori artificiali, belli solo in apparenza; è un giardino fecondo dove cresce il germe cattivo con quello buono, fino alla raccolta e alla mietitura.

Non ci scandalizziamo dunque quando veniamo a conoscenza di Sacerdoti cattivi o di membra guaste della Chiesa, piuttosto pensiamo noi a consolarla nei suoi dolori con la nostra virtù.

La Chiesa in mezzo alle sue pene dà a Dio le anime privilegiate, formate esse pure dall’angustia e dal dolore; fioriscono in Lei per la lotta fra il bene ed il male gli atti più vivi di amore, le riparazioni, l’apostolato, la virtù. Germinano in Lei i gigli candidi della purezza, i fiori vermigli del martirio, e le gemme profumate della carità in mezzo all’uragano che vorrebbe sradicare da Lei ogni vita, come germinarono dal Corpo piagato del suo Redentore i fiori dell’amore, della riparazione e della vita che salvò il mondo.

Persuadiamoci che la Chiesa è guidata da una specialissima Provvidenza di Dio, e che ogni male in Lei è utilizzato come concime delle piante buone. Essa è tutto un ricamo ammirabile della grazia, dove, proprio come nel ricamo; ci sono anche dei vuoti, che fanno risaltare la bellezza dell’insieme. Giudicarla a modo umano, significa non intendere nulla della sua divina costituzione, significa smarrirsi nelle conclusioni più stolte e più menzognere.”

(Don Dolindo Ruotolo)

“Non si rinnova il popolo cristiano con le rivoluzioni, con le ribellioni, con i sogni del proprio cervello, ma lo si rinnova, come hanno fatto i Santi, con la vita perfetta, con l’obbedienza cieca, col dolore e con l’immolazione”

Molte anime nella Chiesa sono state elette dal Signore per compiere un’opera santa di rinnovazione nel popolo cristiano, e sopraffatte dal loro orgoglio e dalla loro ambizione, sono diventate pietra di scandalo e causa di litigio e di dissensione. Chi veramente vuole cooperare al bene dei fedeli, deve essere pieno di vera santità e sopratutto pieno di sottomissione alle Autorità costituite da Dio nella Chiesa. (…)

Non si rinnova il popolo cristiano con le rivoluzioni, con le ribellioni, con i sogni del proprio cervello, ma lo si rinnova, come hanno fatto i Santi, con la vita perfetta, con l’obbedienza cieca, col dolore e con l’immolazione. Un movimento di rinascita e di riforma quando non fa capo all’autorità, diventa una congestione nell’organismo della Chiesa, e non può produrre altro che l’infiammazione, il tumore purulento e la paralisi in una parte del popolo cristiano. Il sangue non può rinnovare l’organismo se non passa per il cuore e per i polmoni, se non pulsa nel cuore e non depone le tossine che lo infettano.

I movimenti arbitrari nella Chiesa sono afflussi di sangue disordinati al cervello, che producono solo la trombosi cerebrale e la morte. Il protestantesimo che pretese e pretende rinnovare la vita della Chiesa senza passare per il Papa che ne è il cuore vivo e pulsante, non rinnova e non ha rinnovato nulla; ha reso solo anchilosate le membra del corpo mistico del Redentore e le ha private della Circolazione del Sangue divino.

(Don Dolindo Ruotolo dal commento al Terzo libro dei Re)

COME RICONOSCERE UN VERO UOMO DI DIO DA UNO FALSO?

“Intorno alle anime false si forma sempre un’atmosfera di ribellione alla Chiesa”

I Santi e le Sante vere hanno altro carattere, per la carità sono sepolti nel loro nulla, sono a contatto con poche anime, e vivono nel caldo e vivifico seno della Chiesa. Intorno alle anime false si forma sempre un’atmosfera di ribellione alla Chiesa, perché il fanatismo è sempre ostinato ed orgoglioso fino al delirio. I Santi veri sono nascosti, disprezzati, umiliati, confusi con la massa del popolo, rifuggono da ogni ostentazione, non osano consigliare, non osano parlare, e compiono gemendo la missione che loro dà il Signore.

Elia disse agli uomini che venivano a catturarlo: “Se io sono uomo di Dio, discenda il fuoco dal cielo e vi divori”. Ecco il segno di un vero Sacerdote di Dio: il fuoco che discende dal cielo, che divora nelle anime il male e le iniquità. Quando il Sacerdote non brucia intorno a sè il male che viene a catturarlo, le passioni delle creature lo assalgono per catturarne l’amore nei lacci dell’inganno, allora non è uomo di Dio, è già caduto prigioniero; deve tremare e deve ritornare a Dio spezzando col fuoco del pentimento e della penitenza i lacci di morte che lo avvincono.

Un predicatore non è uomo di Dio se alle sue parole non discende dall’alto il fuoco divino che incenerisce nelle anime le illusioni dell’idolatria della ragione e dei sensi. Un pastore di anime non è uomo di Dio se non dà fuoco di azione e di vita alla sua parrocchia od alla sua diocesi. Un cristiano, anche un semplice cristiano, non è uomo di Dio se non diffonde dalla sua vita il fuoco santo di un carattere fermo nella Fede, che incenerisce intorno a sé tutto quello che non è cristiano, senza farsi catturare dalle suggestioni del mondo o dell’empietà. Un’anima consacrata al Signore in un casa religiosa non è di Dio se non manda fuori le fiamme vive di quel purissimo amore dello Sposo divino che incenerisce intorno a lei tutto quello che non è santo e perfetto.

(Don Dolindo Ruotolo dal commento al Quarto libro dei Re)

GESÙ ALLA BEATA CONCHITA: “SE IL MONDO VA MALE È PERCHÉ MANCANO SACERDOTI SANTI – UN SACERDOTE CHE NON SIA INNAMORATO DELLA CHIESA, NON DEVE APPARTENERLE”

Che i vescovi si diano da fare e abbiano a cuore l’opera di risanamento della mia Chiesa, opera che deve cominciare dai suoi sacerdoti. C’è molta paglia e poco grano. Molta apparenza e poca realtà; molta facciata e poca sostanza; molte foglie e scarso frutto. Anche se numerosi, sono pochi quelli che soddisfano il mio Cuore. Certo, nella mia Chiesa c’è anche molto bene che fa da contrappeso al male; ma sono stanco della mediocrità.

Il mondo affonda, non perché manchino operai nella mia Vigna, ma perché mancano buoni e santi operai, che vivano solo per i miei interessi e per la gloria di Dio. Anche nelle Comunità molto lascia a desiderare, e lo voglio, a favore della mia Chiesa tanto amata, un cambiamento radicale che sia avvertito da tutti. E ciò avverrà. Sì, avverrà per mezzo dello Spirito Santo, di Maria, e per mezzo mio, il Verbo Divino. Si realizzerà nelle Opere della Croce soprattutto per dare onore al Padre mio.

È arrivato il tempo di scuotere profondamente molti cuori di Vescovi e di sacerdoti. Basta con gli indugi perché ho a cuore la salvezza delle anime. Se il mondo va male e la tiepidezza soggioga i cuori, è perché purtroppo mancano sacerdoti santi, zelanti e innamorati della mia Croce, che la portino, che la predichino, che incendino le anime con questo santo legno. Un’ondata di iniquità e di sensualità sommerge il mondo, e -devo dirlo?-, è penetrata fino al santuario e ferisce intimamente le fibre del mio Cuore.

II Maligno guadagna terreno, crede di aver trionfato, e non è giusto che i miei sacerdoti dormano e si occupino di tutto tranne che di Me. Perciò dalla radice deve venire il rimedio: dai sacerdoti d’oggi e da quelli della nuova generazione, che dia alla Chiesa sacerdoti degni, apostoli di fuoco che ardano d’amore e che, per mezzo dello Spirito Santo e con lo Spirito Santo e Maria, accendano il fuoco divino nel mondo paganizzato dal Maligno. (…)

Un sacerdote che non sia innamorato della Chiesa, non deve appartenerle; un sacerdote che posponga i santi interessi della Chiesa amata a quelli del mondo, non ha capito la sua vocazione; un sacerdote infedele, che getti fango sulla veste immacolata della mia Chiesa, non è degno di Essa e il cielo stesso lo ripudierà se non si converte, non si umilia e si pente.

La mia Chiesa è cosi buona che accoglie tutti nel suo seno. Con la sua carità, che è la mia stessa carità, perdona gli spergiuri pentiti, i traditori che si convertono, gli infedeli e gli sleali che tornano al suo ovile e li accoglie nuovamente nel suo grembo per purificarli con il mio Sangue, del quale Essa è depositaria. Ma Essa piange con Me i loro smarrimenti e le loro vergognose offese, e lo piango con Lei e per Lei. Piango in Lei per tanti sacerdoti disertori che, pur restando apparentemente al suo servizio, non vivono in santa e pura intimità con questa amata Sposa, come sarebbe loro dovere.

Come posso rivolgere a questi sacerdoti ribelli, ipocriti e infedeli alla loro vocazione quelle parole che stanno alla base del loro sacerdozio: «Mi ami più di costoro?». Con che faccia mi possono rispondere coloro che si comportano così, coloro che macchiano o cercano di macchiare il candore immacolato della mia Chiesa? Non è adulterio solo quello che si commette contro di Lei, quando chi non è puro, le getta addosso il suo fango ma l’offende anche con tutto ciò che è contrario o non è in consonanza con i suoi insegnamenti e con la sua dottrina. La si macchia con l’avarizia, con la superbia, con i peccati capitali in generale e con tutto ciò che la Chiesa condanna. Si manca di fedeltà alla Chiesa con tutto ciò che è contrario alla Legge di Dio e alla carità verso il prossimo.

Queste continue macchie che molti dei miei sacerdoti arrecano alla santa Chiesa, lo, il Sacerdote che tutti rappresento, cancello incessantemente con il mio Sangue, con le mie lacrime, offrendo sempre ai miei sacerdoti redenzione, facendomi continuamente vittima per loro, supplicando continuamente il Padre al culmine dei miei dolori mistici: «Padre, perdonali poiché non sanno quello che fanno». E in realtà i sacerdoti che commettono tali abomini verso la mia Chiesa non sanno quello che fanno, non sono ancora rientrati in se stessi, nel loro cuore, non hanno tenuto conto dei loro doveri, non sono consapevoli della gravità delle loro colpe, non hanno compreso nemmeno che vivono in Me!

Come pretendere amore divino e fedeltà verso la Sposa che lo Spirito Santo ha dato loro, se sono ormai sordi e non sanno più ascoltare ciò che unicamente può salvarli? Ma lo sto sempre qui per difendere e consolare la mia Chiesa amata con un rinnovato slancio di salvezza, perché divino, rivolto a tutti i sacerdoti, dal primo all’ultimo al fine di trasformarli in Me. (…)

Io sono il primo Sacerdote, e cerco di coprire le mancanze dei miei, benché il mio Cuore ne sia amareggiato e afflitto. Cosi devono essere i Vescovi: devono coprire con carità le mancanze dei loro figli, perdonandoli misericordiosamente con cuore di padre; ma, nello stesso tempo, devono esortarli con fermezza e allontanarli dalle occasioni pericolose. A volte però, ci sono negligenze riprovevoli nell’ordinare coloro di cui si vedevano le cattive inclinazioni e la poca virtù. Da qui hanno origine mali senza numero e in seguito sofferenze, lamenti, abusi e crimini perpetrati sull’altare che tanto mi offendono.

È meglio che ci siano pochi sacerdoti ma puri, piuttosto che molti, ma che non lo sono. I Seminari devono essere vivai di santi o germi di santità. Bisogna chiedere molta luce per coloro che operano in questi vivai di virtù. Nei luoghi di formazione non è mai troppa la vigilanza e la sollecitudine, nei confronti di quelle anime destinate ad essere mie. Bisogna pregare anche per i Noviziati. Che nessuno salga all’altare senza le condizioni perfette per questo: che coloro che devono formare quei cuori siano santi, siano idonei, siano specchi dove essi si possano guardare. Che lo Spirito Santo regni in quei luoghi come primo artefice, e l’Immacolata sia il loro amore e la loro vita.

I Seminari e i Noviziati sono il futuro della Chiesa e delle anime; e i Vescovi fanno bene a preoccuparsi dedicando ad essi, tutti i loro sforzi, sacrificando ogni cosa in loro favore. In questo modo quante future sofferenze e quanti castighi del cielo mi eviteranno! Ci sono sempre però, nel fondo di certe anime, tendenze non sante che i formatori devono saper scoprire; ma soprattutto con la preghiera, e con la luce soprannaturale dello Spirito Santo. E in caso di dubbio, meglio niente che un futuro disastroso e terribile. (…)

Molto delicato è il ruolo dei sacerdoti nei riguardi delle anime, e quindi, più di ogni altro, hanno bisogno di abnegazione, di dominio di sé, di dolcezza, di carità e di molte virtù nell’esercizio del loro ministero e nel loro porsi verso le anime.

Quanto difficile è il ruolo del sacerdote, ma Io lo aiuto in tutto. Deve essere gentile senza abbassarsi; dolce ma forte, attirare le anime, ma ponendo i limiti opportuni, discretamente paziente, mite senza eccedere e sempre, sempre prudente. Quello che fa molto male ai miei sacerdoti è la mancanza di studio; essi non devono mai mettere da parte lo studio che permette approfondimenti inesauribili.

I libri buoni e santi sono la salvezza dei sacerdoti e l’amore per loro li libererà da molti mali. A parte il fatto che gli studi permettono al sacerdote di essere colto, competente e aggiornato per poter consigliare convenientemente e servire soltanto Dio e le anime, questo studio costante -ripeto- lo libererà da un’infinità di pericoli. Ma nella scienza vi sono innumerevoli scogli e pericoli per l’orgoglio, come anche nella poca scienza. Per dedicare tempo agli studi c’è bisogno di raccoglimento, virtù questa imprescindibile per il cuore del sacerdote e per le sue relazioni con il mondo.

(Beata Conchita Cabrera de Armida, da “Sacerdoti di Cristo” Città Nuova Editrice)

GESÙ ALLA BEATA CONCHITA: LA SALVEZZA DELLE ANIME NEGLI ULTIMI ISTANTI DI VITA…”Molte anime si salvano, ripeto, nell’ultima lotta tra il Maligno e la grazia mediante la comunione dei santi”

Nella mia infinita Bontà ho anche una risorsa potentissima (unita ovviamente ai miei meriti) per salvare le anime peccatrici e ostinate, anche nell’ultimo istante di vita. Questa risorsa è “la comunione dei santi”. I miei sacerdoti spiegano poco questo mistero, importantissimo tra le molte risorse che la mia Chiesa possiede. Vorrei che lo facessero conoscere sempre di più e che le anime ne apprezzassero l’efficacia. È questo un mezzo di salvezza che ottiene risultati non indifferenti e -a volte- infallibili, perché Dio non resiste alla preghiera. I peccatori hanno nella comunione dei santi una grande risorsa, una miniera, un filone che la misericordia e l’infinita carità di Dio sfrutta a loro favore.

Che madre è la Chiesa! E quanto grande la bontà di Dio che non permette che neanche una briciola delle opere buone, fatte soprannaturalmente, cada o si sprechi! Molte anime si salvano, ripeto, nell’ultima lotta tra il Maligno e la grazia mediante la comunione dei santi; grazie alla catena ininterrotta e potente delle grazie ottenute che Dio distribuisce secondo la sua sovrana volontà. Che i miei sacerdoti spieghino ai fedeli, questo affascinante e fecondo mistero della comunione dei santi. Questa grande verità è poco apprezzata e ancor meno predicata, nonostante i grandi e numerosi trionfi che riporta tra le anime peccatrici, che senza sapere da dove provenga la grazia, profondamente colpiti, si convertono.

È una risorsa di cui mi servo per i peccatori impenitenti; è una moneta che, nella mia grande carità verso i peccatori, prelevo da questo Tesoro della Chiesa, con la quale pago i debiti e acquisto grazie straordinarie per salvare le anime negli ultimi istanti di vita. Se si potesse vedere la sorpresa di quelle anime peccatrici nell’incontrarsi con la misericordia infinita del mio Cuore! Se si potesse contemplare come, dopo una vita di crimini inauditi, di odio verso la Religione, di avversione verso la Chiesa e di migliaia di offese fatte a Me, in un istante, nell’ultimo istante, diventano contrite e umili davanti alla mia Bontà misericordiosa. Riconoscenti vorrebbero acquistare a qualunque prezzo il più grande amore e la più grande riconoscenza per riparare e cancellare la loro vita passata, mentre si gettano confuse tra le mie braccia e in esse trionfa la grazia! Per questo nel cielo c’è grande festa per un peccatore che si converte!

Queste conquiste ignote si verificano giorno per giorno, conseguite dalla comunione dei santi, cioè, dai miei meriti infiniti che danno valore a quell’insieme di buone e sante azioni compiute dai suoi figli fedeli, di cui la mia Chiesa dispone. Quante volte atti eroici, ma ignoti, che soltanto lo vedo, fatti per amore di Dio in un angolo del mondo, Mi servono per salvare un’anima, per ottenerle grazie e farla uscire da questo mondo purificata per presentarla al Padre mio quale trofeo della vittoria della grazia.

Come potrebbe la mia Chiesa non avere risorse per i suoi figli che sono ancora in vita, per quelli che stanno morendo, e per quelli che si trovano in Purgatorio? Se è nata dal mio costato, se è la Sposa di colui che è tutto amore e Carità? Pensate forse che, per esempio, nelle guerre dove muoiono migliaia e migliaia di persone lo non sia presente accanto a tutte e ad ognuna, per applicare loro le grazie della comunione dei santi, per bagnarle con il mio Sangue e dare loro il cielo mediante un atto di contrizione? Per Me basta un solo attimo di contrizione amorosa per cancellare anni e anni di crimini, di odi implacabili e di migliaia di peccati.

E Maria? È un’altra risorsa immensa di cui le anime dei peccatori dispongono per salvarsi. Ella con le sue suppliche e i suoi gemiti ottiene per i peccatori migliaia e migliaia di grazie dell’ultima ora: suscita in loro la contrizione e li salva. lo non so negare nulla a questa Madre di misericordia. Quando Ella s’interessa di un peccatore che la chiama e mette davanti al tribunale di Dio la sua intercessione amorosa, ottiene la salvezza di molti. Maria è il più grande aiuto per tutte le anime. (…)

Studiando la mia Chiesa, e approfondendo la sua essenza che è carità, si potrà capire qualcosa dell’infinita Bontà di Dio che l’ha voluto stabilire come riflesso della carità divina per santificare e salvare. Solo colui che vuole dannarsi, si danna, perché in lei può trovare tutti i mezzi necessari per salvarsi. Se permetto lotte e se concedo al Maligno una certa libertà di tentare le anime, è solo con il fine di mettere nelle mani dei miei la possibilità di guadagnare dei meriti, perché nelle lotte si riportano le vittorie che più mi glorificano. Se permetto le tentazioni non è per nuocere alle anime, ma per rendere più preziosa la loro corona nel cielo.Mai abuso delle forze di un’anima e, nella mia Sapienza e Carità infinita, misuro le tentazioni per trarre del bene e mai del male.

Se si studiasse, se si approfondisse, se si capisse almeno un po’ della Carità di Dio! Se i miei sacerdoti elevassero le anime sì da permettere loro di vedermi, non come un Nerone, ma come un Padre tutto amore, sempre pronto a perdonare, a dimenticare e a salvare! Predicare la mia giustizia è molto utile e anzi necessario, ma instaurare nelle anime il regno della fiducia, della misericordia e dell’amore lo è ancora di più! Questo faranno i miei sacerdoti trasformati in Me.

l cuori mai oppongono resistenza all’amore, perché hanno in sé una fibra d’amore che risponderà sempre, prima o poi, all’amore di un Dio, perché Dio fa tutto ciò che può per salvarli. Io sono lo stesso Gesù in cielo e in terra, e il mio Cuore ha gli stessi sentimenti d’amore e di tenerezza anche verso gli uomini ingrati. Facilmente mi lascio commuovere dalle suppliche di Maria di riversare le mie grazie; ma per salvare le anime ricorro spesso anche ai mezzi ordinari della mia Chiesa, alla comunione dei santi. Ma prometto ancora di lasciarmi commuovere dalle preghiere e dalle richieste dei miei sacerdoti trasformati in Me, di portare, fino al trono del Padre mio, le suppliche dei sacerdoti nel Sacerdote eterno, e di lì tornare con le mani piene di grazie, ordinarie e straordinarie per le anime, che poi si riverseranno, attraverso i sacerdoti altri Me, nelle anime peccatrici e indurite.

lo, il Verbo del Padre, sono la più grande possibilità salvatrice, Colui che dal Padre può ottenere ciò che nessuno è capace di ottenere. Se i miei sacerdoti saranno altri Me, se si presenteranno davanti al Padre mio come se fossero Me, con la mia umiltà amorosa, i miei meriti e la mia carità, il Padre mio, grazie alla forza della loro trastormazione in Me, mai tralascerà di ascoltare favorevolmente le loro richieste, perché vede Me in loro. Allora, se i miei sacerdoti saranno altri Me, potranno anche servirsi del tesoro della comunione dei santi per chiedere la conversione e le grazie di cui hanno bisogno tanti peccatori. È una miniera di grazie che i sacerdoti trasformati in Me avranno a loro disposizione per trarne profitto e così aiutarmi a salvare le anime ribelli e a far trionfare lo Spirito Santo sull’inferno.

(Beata Conchita Cabrera de Armida, da “Sacerdoti di Cristo” Città Nuova Editrice)

San Giovanni Crisostomo: “La preghiera è luce dell’anima, vera conoscenza di Dio, mediatrice tra Dio e l’uomo” “Essa è un desiderare Dio, un amore ineffabile che non proviene dagli uomini, ma è prodotto dalla grazia divina”

La preghiera è luce per l’anima – San Giovanni Crisostomo

La preghiera, o dialogo con Dio, è un bene sommo. È, infatti, una comunione intima con Dio. Come gli occhi del corpo vedendo la luce ne sono rischiarati, così anche l’anima che è tesa verso Dio viene illuminata dalla luce ineffabile della preghiera. Deve essere, però, una preghiera non fatta per abitudine, ma che proceda dal cuore. Non deve essere circoscritta a determinati tempi od ore, ma fiorire continuamente, notte e giorno.

Non bisogna infatti innalzare il nostro animo a Dio solamente quando attendiamo con tutto lo spirito alla preghiera. Occorre che, anche quando siamo occupati in altre faccende, sia nella cura verso i poveri, sia nelle altre attività, impreziosite magari dalla generosità verso il prossimo, abbiamo il desiderio e il ricordo di Dio, perché, insaporito dall’amore divino, come da sale, tutto diventi cibo gustosissimo al Signore dell’universo. Possiamo godere continuamente di questo vantaggio, anzi per tutta la vita, se a questo tipo di preghiera dedichiamo il più possibile del nostro tempo.

La preghiera è luce dell’anima, vera conoscenza di Dio, mediatrice tra Dio e l’uomo. L’anima, elevata per mezzo suo in alto fino al cielo, abbraccia il Signore con amplessi ineffabili. Come il bambino, che piangendo grida alla madre, l’anima cerca ardentemente il latte divino, brama che i propri desideri vengano esauditi e riceve doni superiori ad ogni essere visibile.

La preghiera funge da augusta messaggera dinanzi a Dio, e nel medesimo tempo rende felice l’anima perché appaga le sue aspirazioni. Parlo, però, della preghiera autentica e non delle sole parole.

Essa è un desiderare Dio, un amore ineffabile che non proviene dagli uomini, ma è prodotto dalla grazia divina. Di essa l’Apostolo dice: Non sappiamo pregare come si conviene, ma lo Spirito stesso intercede per noi con gemiti inesprimibili (cfr. Rm 8, 26b). Se il Signore dà a qualcuno tale modo di pregare, è una ricchezza da valorizzare, è un cibo celeste che sazia l’anima; chi l’ha gustato si accende di desiderio celeste per il Signore, come di un fuoco ardentissimo che infiamma la sua anima.

Abbellisci la tua casa di modestia e umiltà mediante la pratica della preghiera. Rendi splendida la tua abitazione con la luce della giustizia; orna le sue pareti con le opere buone come di una patina di oro puro e al posto dei muri e delle pietre preziose colloca la fede e la soprannaturale magnanimità, ponendo sopra ogni cosa, in alto sul fastigio, la preghiera a decoro di tutto il complesso. Così prepari per il Signore una degna dimora, così lo accogli in splendida reggia. Egli ti concederà di trasformare la tua anima in tempio della sua presenza.

Dalle Omelie di san Giovanni Crisostomo, vescovo (Om. 6 sulla preghiera; PG 64, 462-466)

Dio Padre rivela a Santa Caterina da Siena: “La gloria dei Beati e dei Santi in Paradiso!” “Oh, quanto diletto provano nel vedere me, che sono ogni bene!”

Tratto dal Dialogo della divina Provvidenza: le rivelazioni di Dio Padre a Santa Caterina da Siena

 

CAPITOLO 41

La gloria dei beati.

Parla Dio Padre:

“Anche l’anima giusta che finisce la vita in affetto di carità ed è legata a Dio nell’amore, non può crescere in virtù, poiché viene a mancare il tempo di quaggiù, ma può sempre amare con quella dilezione che la porta a Me, e con tale misura le viene misurato il premio. Sempre mi desidera e sempre mi ama, onde il suo desiderio non è vuoto; ma sebbene abbia fame, è saziato, e saziato ha fame; e tuttavia è lungi il fastidio della sazietà, come è lungi la pena della fame.

Nell’amore i beati godono dell’eterna mia visione, partecipando ognuno, secondo la sua misura, di quel bene, che io ho in me medesimo. Con quella misura d’amore con la quale sono venuti a me, con essa viene loro misurato. Essi sono rimasti nella mia carità ed in quella del prossimo; sono stati insieme uniti nella carità comune ed in quella particolare, che esce pure da una medesima carità.

Godono ed esultano, partecipando l’uno del bene dell’altro con l’affetto della carità, oltre al bene universale, che essi hanno tutti insieme. Godono ed esultano cogli angeli, coi quali sono collocati i santi, secondo le diverse e varie virtù, che principalmente ebbero nel mondo, essendo tutti legati nel legame della carità. Hanno poi una partecipazione singolare di bene con coloro coi quali si amavano strettamente d’amore speciale nel mondo, col quale amore crescevano in grazia, aumentando la virtù. L’uno era cagione all’altro di manifestare la gloria e lode del mio nome, in sé e nel prossimo. Nella vita eterna non hanno perduto questo affetto, ma l’hanno aggiunto al bene generale, partecipando più strettamente e con più abbondanza l’uno del bene dell’altro.

Non vorrei però che tu credessi che questo bene partico­lare, di cui ti ho parlato, l’avessero solo per sé: non è così, ma esso è partecipato da tutti quanti i gustatori, che sono i cittadini del cielo, i miei figli diletti, e da tutte le creature angeliche. Quando l’anima giunge a vita eterna, tutti parteci­pano del bene di quell’anima, e l’anima del bene loro. Non è che il vaso di ciascuno possa crescere, né che abbia bisogno di empirsi, poiché è pieno e quindi non può crescere; ma hanno un’esultanza, una giocondità, un giubilo, un’allegrezza, che si ravvivano in loro, per quanto sono venuti a conoscere di quell’anima. Vedono che per mia misericordia ella è tolta alla terra con la pienezza della grazia, e così esultano in me per il bene che quell’anima ha ricevuto dalla mia bontà.

E quell’anima gode pure in me, nelle altre anime, e negli spiriti beati, vedendo e gustando in loro la bellezza e dolcez­za della mia carità. I loro desideri gridano sempre dinanzi a me per la salvezza di tutto quanto il mondo. Poiché la loro vita finì nella carità dei prossimo, non hanno lasciata questa carità, ma sono passati con essa per la porta del mio Unige­nito Figliuolo, nel modo che ti dirò più sotto. Vedi dunque che essi restano con quel legame dell’amore, col quale finì la loro vita: esso resta e dura per tutta l’eternità.

Sono tanto conformi alla mia volontà, che non possono volere se non quello che io voglio; poiché il loro libero arbi­trio è legato per siffatto modo col legame della carità che, quando viene meno il tempo di questa vita alla creatura, che ha in sé ragione e che muore in stato di grazia, essa non può più peccare. Ed è tanto unita la sua volontà alla mia che, se il padre o la madre vedessero il figliolo nell’inferno, o il figlio ci vedesse la madre, non se ne curerebbero; anzi sono contenti di vederli puniti come miei nemici. In nessuna cosa si scordano di me; i loro desideri sono appagati. Desiderio dei beati è di vedere trionfare il mio onore in voi viandanti, che siete pellegrini in questa terra e sempre correte verso il termine della morte. Nel desiderio del mio onore bramano la vostra salute, e perciò sempre mi pregano per voi. Un tale desiderio è sempre adempiuto per parte mia, se voi ignoranti non recalcitraste contro la mia misericordia.

Hanno ancora il desiderio di riavere la dote della loro anima, che è il corpo; questo desiderio non li affligge al presente, ma godono per la certezza che hanno di vederlo appagato: non li affligge, perché, sebbene ancora non abbiano il corpo, tuttavia non manca loro la beatitudine, e perciò non risentono pena. Non pensare che la beatitudine del corpo, dopo la resurre­zione, dia maggiore beatitudine all’anima. Se fosse così, ne ver­rebbe che i beati avrebbero una beatitudine imperfetta, fino a che non riprendessero il corpo; cosa impossibile, perché in loro non manca perfezione alcuna. Non è il corpo che dia beatitudine all’anima, ma sarà l’anima a dare beatitudine al corpo; darà della sua abbondanza, rivestendo nel dì del giudizio la propria carne, che aveva lasciato in terra.

Come l’anima è resa immortale, ferma e stabilita in me, così il corpo in quella unione diventa immortale; perduta la gravezza della materia, diviene sottile e leggero. Sappi che il corpo glorificato passerebbe di mezzo a un muro. Né il fuoco né l’acqua potrebbero nuocergli, non per virtù sua ma per virtù dell’anima, la quale virtù è mia, ed è stata data a lei per grazia e per quell’amore ineffabile col quale la creai a mia immagine e somiglianza. L’occhio del tuo intelletto non è sufficiente a ve­dere, né l’orecchio a udire, né la lingua a narrare, né il cuore a pensare, il bene loro.

Oh, quanto diletto provano nel vedere me, che sono ogni bene! Oh, quanto diletto avranno, allorché il loro corpo sarà glorificato! E sebbene manchino di questo bene fino al giorno del giudizio universale, non hanno pena, perché l’anima è piena di felicità in se stessa. Una tale beatitudine sarà poi partecipata al corpo, come ti ho spiegato.

Ti parlavo del bene, che ritrarrebbe il corpo glorificato nell’Umanità glorificata del mio Figlio Unigenito, la quale dà a voi certezza della vostra resurrezione. Esultano i beati nelle sue piaghe, che sono rimaste fresche; sono conservate nel suo corpo le cicatrici, che continuamente gridano a me, sommo ed eterno Padre, misericordia. Tutti si conformano a lui in gaudio e giocondità, occhio con occhio, mano con mano, e con tutto il corpo del dolce Verbo, mio Figlio. Stando in me, starete in lui, poiché egli è una cosa sola con me; ma l’occhio del vostro corpo si diletterà nell’Umanità glorificata del Verbo Unigenito mio Figlio. Perché questo? Perché la loro vita finì nella dilezione della mia carità, e perciò dura loro eternamente.

Non possono guadagnare alcun nuovo bene, ma si godono quello che si sono portato, non potendo fare alcun atto meritorio, perché solo in vita si merita e si pecca, secondo che piace al libero arbitrio della vostra volontà. Essi non aspettano con timore, ma con allegrezza, il giudizio divino; e la faccia del mio Figlio non parrà loro terribile, né piena d’odio, perché sono morti nella carità, nella dilezione di me e nella benevolenza del prossimo. Così tu comprendi come la mutazione della faccia non sarà in lui, quando verrà a giudicare con la mia maestà, ma in coloro che saranno giudicati da lui. Ai dannati apparirà con odio e con giustizia; ai salvati, con amore e misericordia.”

(Dal Dialogo della divina provvidenza, Santa Caterina da Siena)

San Gregorio magno: “Colui che ama veramente Dio, ne osserva i comandamenti, e Dio entra nel suo cuore e vi rimane, perché l’amor di Dio riempie talmente il suo cuore, che al tempo della tentazione, non si muove” «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23)

Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23)

 

San Gregorio magno, Papa e Dottore della Chiesa:

Lo Spirito Santo stesso è amore. Perciò Giovanni dice: “Dio è amore” (1Gv 4,8). Chi con tutto il cuore cerca Dio, ha già colui che ama. E nessuno potrebbe amare Dio, se non possedesse colui che ama. Ma, ecco, se a uno di voi si domandasse se egli ami Dio, egli fiduciosamente e con sicurezza risponderebbe di sì. Però a principio della lettura avete sentito che la Verità dice: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola” (Gv 14,23). La prova dell’amore è l’azione. Perciò Giovanni nella sua epistola dice: “Chi dice di amar Dio, ma non ne osserva i precetti, è bugiardo” (1Gv 4,20). Allora veramente amiamo Dio, quando restringiamo il nostro piacere a norma dei suoi comandamenti. Infatti chi corre ancora dietro a piaceri illeciti, non può dire d’amar Dio, alla cui volontà poi contraddice.

«Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23). Pensate che festa, fratelli carissimi; avere in casa Dio! Certo, se venisse a casa vostra un ricco o un amico molto importante, voi vi affrettereste a pulir tutto, perché nulla ne turbi lo sguardo. Purifichi, dunque, le macchie delle opere, chi prepara a Dio la casa nella sua anima. Ma guardate meglio le parole: “Verremo e metteremo casa presso di lui”. In alcuni, cioè, Dio vi entra, ma non vi si ferma, perché questi, attraverso la compunzione, fanno posto a Dio, ma, al momento della tentazione, si dimenticano della loro compunzione, e tornano al peccato, come se non l’avessero mai detestato. Invece colui cha ama veramente Dio, ne osserva i comandamenti, e Dio entra nel suo cuore e vi rimane, perché l’amor di Dio riempie talmente il suo cuore, che al tempo della tentazione, non si muove. Questo, allora, ama davvero, poiché un piacere illecito non ne cambia la mente. Tanto più uno si allontana dall’amore celeste quanto più s’ingolfa nei piaceri terrestri. Perciò è detto ancora: “Chi non mi ama, non osserva i miei comandamenti”(Gv 14,24). Rientrate in voi stessi, fratelli; esaminate se veramente amate Dio, ma non credete a voi stessi, se non avete la prova delle azioni. Guardate se con la lingua, col pensiero, con le azioni amate davvero il Creatore. L’amor di Dio non è mai ozioso. Se c’è, fa cose grandi; se non ci sono le opere, non c’è amore.

“E le parole che avete udito, non son mie, ma del Padre che mi ha mandato” (Gv 14,24). Sapete, fratelli, che chi parla è il Verbo del Padre, perché il Figlio è Verbo del Padre.

“Lo Spirito Santo Paraclito, che il Padre manderà nel mio nome, v’insegnerà tutto e vi ricorderà tutto quello che vi ho detto” (Gv 14,26). Sapete quasi tutti che la parola greca Paraclito, significa avvocato o consolatore. E lo chiama avvocato, perché interviene presso il Padre in favore dei nostri delitti. Di questo stesso Spirito poi giustamente si dice: “V’insegnerà ogni cosa”, perché se lo Spirito non è vicino al cuore di chi ascolta, il discorso di chi insegna, non ha effetto.»

(da San Gregorio Magno, Papa, Omelie sui Vangeli, 30,1)

 

“La via del Signore si dirige al cuore quando si ascolta umilmente la predicazione della verità; la via del Signore si dirige al cuore, quando la vita si uniforma ai comandi di Dio. Per questo sta scritto: <<Se uno mi ama, osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà, e verremo a lui e dimoreremo in lui>> (Gv 14,23).

Chiunque monta in superbia, chiunque arde del fuoco di avarizia, chiunque si macchia con le lordure della lussuria, chiude la porta del cuore dinanzi alla verità, pone i serrami dei vizi all’entrata dell’anima, per impedire l’ingresso del Signore.”

(San Gregorio Magno, Papa e Dottore della chiesa, Omelie sui vangeli, VII , pag. 90)

 

STUPENDA OMELIA -VI DOMENICA DI PASQUA-

di Padre Mariano Pellegrini (dei Francescani dell’ Immacolata)

 

“Dio ci ama a tal punto da voler rimanere sempre con noi. Egli non si disinteressa delle sue creature. Con la sua grazia, Egli entra nell’anima come il sole entra attraverso il vetro e illumina l’interno di una stanza. Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo prendono dimora nel nostro cuore e noi, pertanto, diveniamo tempio della Santissima Trinità. Non c’è più distanza tra noi e Dio. Dio è in cielo e in terra, e anche nel nostro cuore, se accettiamo che Egli abiti dentro di noi, se noi lo amiamo. Gesù ce lo dice chiaramente nel Vangelo di oggi: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23).
Questo ci insegna che non siamo mai soli, se veramente vogliamo amare Dio. La vita del cristiano è una vita di comunione con Colui che ci ha creati e ci ha redenti. Anzi, diciamo di più: quanto più ci sembra di essere soli, tanto più siamo vicini al nostro Dio. Egli non fa sentire la sua presenza del chiasso e nel frastuono, ma solamente nel silenzio e nella solitudine. Questa certezza ci deve spingere a cercare, nel corso della giornata, dei momenti da dedicare a questa presenza silenziosa e misteriosa. Quando preghiamo, chiudiamo la porta della nostra stanza, chiudiamo i nostri occhi, e pensiamo che Dio è dentro di noi. Parliamogli con grande familiarità e Lui ci ispirerà sempre qualche buon proposito. Sarà soprattutto nel momento della prova che sperimenteremo la sua presenza benefica: quanto più si sarà lontani dagli aiuti umani, tanto più saremo vicini all’aiuto divino.
Il fatto, purtroppo, è che, quando preghiamo, siamo molto distratti. La nostra preghiera si riduce a una ripetizione superficiale di parole, alle quali nemmeno pensiamo. Per pregare bene, dobbiamo pensare innanzitutto che Dio è presente in noi e dobbiamo porre attenzione al senso delle parole che pronunciamo. Allora, e solo allora, la nostra preghiera non rimarrà mai senza effetto: od otterrà quello che domandiamo, oppure ci procurerà qualcosa di ancora più grande.
Dio in me e io in Lui! Certo, con un Ospite così vivo e così grande, badiamo bene di non sfigurare. Pensiamo spesso che Dio ci vede, che Dio è nel nostro cuore. Pertanto non dobbiamo offendere questa presenza in noi con il peccato. C’è, infatti, una condizione affinché Dio dimori in noi: dobbiamo amarlo. E lo ameremo veramente solo se osserveremo la sua parola, oppure, se non lo abbiamo fatto per il passato, se ci impegneremo ad osservarla. Anche queste sono parole di Gesù: «Chi non mi ama, non osserva le mie parole» (Gv 14,24). Se si ama veramente Dio, non costerà fatica fare la sua Volontà, osservare i suoi Comandamenti d’amore. Solo se faremo così, godremo della pace che Gesù è venuto a portare su questa terra. Altrimenti, nei nostri cuori, nelle nostre famiglie e nella società umana, vi sarà sempre guerra e divisione.
Il Vangelo di oggi ci parla inoltre del Paraclito, ovvero dello Spirito Santo. Paraclito significa Consolatore. Egli consola i nostri cuori nelle prove della vita e ci fa assaporare, nel segreto della preghiera, quella che sarà la gioia senza fine del Paradiso. Lo Spirito Santo è il santificatore della nostra anima. Il Padre lo ha inviato su questa terra nel giorno di Pentecoste. Nel brano del Vangelo di oggi, Gesù dice che il Paraclito ci insegnerà ogni cosa e ci ricorderà tutto ciò che Gesù ha insegnato (cf Gv 14,26).
Bisogna dunque pregarlo. Ci avviciniamo ormai alla sua festa. Proponiamoci fin d’ora di invocare la sua discesa nei nostri cuori, affinché Egli ci arricchisca con i suoi Sette Doni e ci faccia comprendere sempre di più le parole di Gesù.”