“Dieci Regole per celebrare bene il Sacramento della Confessione”

 

Dal Blog di Costanza Miriano:

 

“Dieci Regole per celebrare bene il Sacramento della Confessione”

di autori vari

Riceviamo da fr Filippo Maria 

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Tenendo conto che la parte principale del Sacramento della Confessione (o Penitenza o Riconciliazione) è la Misericordia di Dio che penetra nella vita del credente rendendolo una creatura nuova, ecco alcune semplici e concrete indicazioni di cui il penitente potrà tenere conto per vivere al meglio il grande mistero dell’amore di Dio racchiuso nel Sacramento:

 

  1. La confessione ben fatta va innanzitutto preparata; è bene accostarsi al Sacramento solo dopo aver fatto un diligente esame di coscienza. L’esame di coscienza poi và accompagnato dalla volontà e dal proposito di non ricadere più in quelle mancanze che si sono individuate, non dalla certezza che quelle cose non accadranno più; siamo essere limitati e sempre in cammino, e probabilmente per tutta la vita avremo qualcosa da migliorare e da cambiare… tuttavia se, ad esempio, mentre mi confesso ho già programmato di compiere un furto, ovviamente la mia confessione è invalida. Di contro, se quando vado a confessarmi non sono realmente intenzionato a cambiare qualcosa nella mia vita… sarebbe meglio non confessarsi!
  1. Prima di iniziare l’accusa dei peccati sarebbe opportuno, ma non obbligatorio, presentarsi al confessore (se questi non vi conosce, naturalmente!): chi sono, se sono sposato, se ho figli, che tipo di attività svolgo, se sono un consacrato, se in ricerca vocazionale, fidanzato, celibe, nubile e quant’altro… un conto sono i doveri cristiani di uno sposato, un conto i doveri di un consacrato, un altro conto ancora quelli di un celibe…
  1. Durante la confessione sacramentale sei chiamato a consegnare al sacerdote tutti i peccati gravi commessi dall’ultima confessione ben fatta (specificando numero e caso, almeno in maniera approssimativa). Tacere consapevolmente, per qualsiasi motivo, anche un solo peccato, rende invalida (e sacrilega) la confessione stessa.
  1. Non confessare solo i peccati «secondo te», ma tutti quegli atti che sono peccato secondo Dio e secondo la legge della Chiesa. In caso di dubbio, parlane col sacerdote.
  1. Durante l’accusa dei peccati, non ti giustificare e non giustificare il fatto che tu abbia commesso quella o quest’altra cosa… Dio sa e conosce tutto! Tu sei chiamato con grande umiltà a riconoscerti peccatore e a confidare nell’infinita misericordia di Dio.
  1. Durante l’accusa dei peccati (e prima ancora durante l’esame di coscienza) non ti paragonare a quelli che stanno peggio di te (“non ho ammazzato nessuno, non ho rubato…”); confrontati con la legge di Dio e della sua Chiesa e, se proprio vuoi paragonarti con qualcuno, esamina la vita di Gesù Cristo e confrontala con la tua!
  1. Non confessare i peccati degli altri (marito, moglie, genitori, figli, amici, ecc.); confessa i tuoi!
  1. Nella confessione dei peccati và subito al nocciolo della questione! Se hai un cancro, prima il medico curerà il cancro, poi, eventualmente, andrai dal dentista per il mal di denti…
  1. La penitenza sacramentale che il sacerdote ti impone fa parte della confessione stessa. Essa non è una punizione, ma il semplice segno che vuoi iniziare una vita nuova riparando i peccati commessi.
  1. Non lasciare la pratica della Confessione all’improvvisazione! Confessati regolarmente… decidi una scadenza entro cui confessarti (quindici giorni, un mese, un mese e mezzo, ecc.) e prestavi fede! Assumi uno stile di vita scandito dai Sacramenti.

NB La confessione sacramentale non è necessariamente la direzione spirituale. Sono due momenti distinti che però possono essere anche celebrati insieme. Nella direzione spirituale c’è un cammino di accompagnamento e di consiglio da parte della guida che porta il fedele a saper dirigere più speditamente la propria vita verso il Signore per poter compiere la Sua volontà. La confessione sacramentale ha lo scopo di rimettere i peccati e donare la grazia necessaria per la vita cristiana di tutti i giorni. È possibile confessarsi anche senza fare direzione spirituale!

 

http://costanzamiriano.com/2013/03/29/dieci-regole-per-celebrare-bene-il-sacramento-della-confessione/

Gesù: “Abbiate sempre i fianchi cinti (Lc 12,35)” “Noi cingiamo i fianchi quando, con la continenza, rintuzziamo la lussuria della carne” San Gregorio Magno, Mortificazione e Continenza della Carne.

 

“I vostri fianchi siano cinti, e le vostre lampade accese;  siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando tornerà dalle nozze, per aprirgli appena giungerà e busserà. Beati quei servi che il padrone, arrivando, troverà vigilanti! In verità io vi dico che egli si rimboccherà le vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli.” (Lc 12,35-40)

 

San Gregorio Magno:

“Con il nome di fianchi – e con riferimento al sesso maschile – il signore intendeva parlare della lussuria quando diceva: <<Abbiate sempre i fianchi cinti>> (Lc 12, ).

Noi cingiamo i fianchi quando, con la continenza, rintuzziamo la lussuria della carne e siccome non basta astenersi dal male ma bisogna anche ingegnarsi a compiere buone opere, ecco che il Signore subito aggiunge: <<E abbiate lucerne accese nelle vostre mani>> (Lc 12 ).

Noi teniamo in mano le lucerne accese, quando con le buone azioni mostriamo al prossimo i nostri esempi di virtù. A proposito di queste buone azioni dice il Signore: <<Risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre opere e rendano gloria al Padre che è nei cieli>> (Mt 5,16).

Due sono, dunque, i comandi che ci vengono rivolti: cingere i fianchi e tenere le lucerne accese; affinché nel corpo si trovi la mondezza della castità e nell’azione risplenda la luce della verità. Al nostro Redentore non può piacere una di queste virtù separata dall’altra. Se colui che opera il bene non abbandona le sozzure della lussuria; o se colui che si distingue per la castità non si esercita nelle buone opere, non piace a Dio. Si può, dunque, concludere così: la castità non è gran cosa senza le buone opere, le buone opere non valgono nulla senza la castità.”

(San Gregorio Magno, Papa e Dottore della chiesa, Omelie sui vangeli, XIII , pag. 135)

 

“Dei servi che aspettano il padrone è detto giustamente: <<Affinché  possano aprire subito, appena arriva e bussa alla porta>> (Lc 12,35).

Il Signore viene quando si avvicina per giudicarci, bussa quando, con le molestie delle malattie, ci annuncia che la morte è vicina. E noi gli apriamo prontamente, se lo riceviamo con amore. Non vuole, infatti, aprire al giudice che bussa, colui che teme di uscire da questo corpo e non ha piacere di vedere quel Giudice che sa d’aver disprezzato. Ma chi è sicuro della sua speranza e delle sue opere, subito apre al Giudice che bussa, perché serenamente lo aspetta; e quando sente che la morte è vicina si rallegra per la gloria che gli verrà dal premio.

Per questo, subito dopo è detto: <<Beati quei servi, che il padrone, al suo ritorno, troverà vigilanti>> (Lc 12,35).

Veglia colui che tiene gli occhi aperti in cerca della vera luce. Veglia chi pratica con le opere quello che tiene con la fede. Veglia chi allontana da sé le tenebre della pigrizia e della negligenza.

A tal proposito dice San Paolo: <<Vegliate, o giusti, e non vogliate peccare>> (1Cor 15,34). E ancora: <<Ormai è ora che voi vi svegliate dal sonno>> (Rm 13,11).”

(San Gregorio Magno, Papa e Dottore della chiesa, Omelie sui vangeli, XIII , pag. 136)

 

“Il Libro sacro dice: <<Così mangerete l’agnello: avrete i fianchi cinti>>.

Che cosa s’intende quando la Scrittura parla di fianchi o di lombi? S’intende sempre il piacere della carne; per questo anche il Salmista prega Dio dicendo: <<Essicca, o Signore, i miei reni>> (Sal 25,2). Se non avesse saputo che il diletto della lussuria ha la sua sede nei reni, mai il salmista avrebbe chiesto al Signore di essiccarglieli. E, poiché il dominio del diavolo sul genere umano si è affermato soprattutto per mezzo della lussuria, il Signore stesso dice così, riguardo al demonio: <<La sua potenza sta nei reni>> (Gb 40,11).

Chi mangia la Pasqua deve avere i fianchi cinti. Ciò significa: chi celebra la festa della risurrezione e della incorruzione, non sia soggetto alla corruzione, a causa dei suoi vizi. Domini i piaceri della carne, mortifichi la lussuria, perché dimostra di non conoscere la festa dell’incorruzione colui che per impudicizia rimane ancora soggetto alla corruzione. Questo per alcuni è un discorso duro. Lo so, ma la porta che conduce alla vita, è stretta e abbiamo a nostra disposizione molti esempi di purezza.”

(San Gregorio Magno, Papa e Dottore della chiesa, Omelie sui Vangeli, XXII, pag. 246)

 

“Il Vangelo ricorda che erano con Lui, a mangiare, Pietro, Tommaso, Natanaele, i figli di Zebedeo e altri due discepoli (Gv 21,1-14). E perché celebra l’ultimo banchetto con sette discepoli? Perché vuole convincerci che prenderanno parte con Lui all’eterno banchetto soltanto coloro che ora sono ripieni della grazia dello Spirito settiforme.

( … ) nel banchetto eterno godranno la divina presenza coloro che in questa vita cercano di sorpassare le cose terrene con la brama della perfezione.

( … ) Di questo celeste banchetto, dice altrove lo stesso San Giovanni: <<Beati quelli che sono invitati alla cena nuziale dell’agnello!>> (Ap 19,9).

( … ) Considerate queste cose, fratelli carissimi, e desiderate di essere ripieni della presenza di questo Spirito. Potete arguire dal presente ciò che sarà di voi in futuro. Osservate se siete ripieni di questo Spirito e potrete sapere già se sarete capaci di giungere al banchetto celeste. Chiunque ora non è ricreato interiormente dalla presenza del divino Spirito, digiunerà dalla refezione nel banchetto eterno.

Ricordate ciò che dice San Paolo a proposito dello Spirito santo: <<Se qualcuno non ha lo Spirito di cristo, non appartiene a lui>> (Rm 8,9). Questo Spirito d’amore è come un titolo che garantisce il possesso dell’uomo da parte di Dio.

Ha forse lo Spirito di Cristo, quell’anima che è lacerata dagli odi, gonfia di superbia, esasperata dall’ira fino ad accogliere le inimicizie, ho è tormentata dall’avarizia, snervata dalla lussuria?

Pensate ora quale sia lo Spirito di Cristo. Certamente quello che fa amare gli amici e i nemici; fa sprezzare le cose del mondo e bruciare d’amore per le cose celesti; fa mortificare la carne contro i vizi e frenare l’anima dalle concupiscenze. Se, dunque volete accertare il vostro diritto al possesso di Dio, cercate di riconoscere la persona di colui che possiede voi.

Quel che noi abbiamo detto, Paolo lo conferma con voce di verità: <<Se uno non ha lo Spirito di Cristo, non appartiene a lui!>>. E’ come dire: chi ora non è guidato da Dio che inabita in lui, non potrà poi rallegrarsi nella contemplazione della divina bellezza.”

(San Gregorio Magno, Papa e Dottore della chiesa, Omelie sui Vangeli, XXIV, pag. 260-261-262.

Gesù: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà, e verremo a lui e dimoreremo in lui. (Gv 14,23)” San Gregorio Magno: “la via del Signore si dirige al cuore, quando la vita si uniforma ai comandi di Dio”

“Se uno mi ama, osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà, e verremo a lui e dimoreremo in lui. (Gv 14,23)”

 

“La via del Signore si dirige al cuore quando si ascolta umilmente la predicazione della verità; la via del Signore si dirige al cuore, quando la vita si uniforma ai comandi di Dio. Per questo sta scritto: <<Se uno mi ama, osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà, e verremo a lui e dimoreremo in lui>> (Gv 14,23).

Chiunque monta in superbia, chiunque arde del fuoco di avarizia, chiunque si macchia con le lordure della lussuria, chiude la porta del cuore dinanzi alla verità, pone i serrami dei vizi all’entrata dell’anima, per impedire l’ingresso del Signore.”

(San Gregorio Magno, Papa e Dottore della chiesa, Omelie sui vangeli, VII , pag. 90)

 

“Lo Spirito Santo stesso è amore. Perciò Giovanni dice: “Dio è amore” (1Gv 4,8). Chi con tutto il cuore cerca Dio, ha già colui che ama. E nessuno potrebbe amare Dio, se non possedesse colui che ama. Ma, ecco, se a uno di voi si domandasse se egli ami Dio, egli fiduciosamente e con sicurezza risponderebbe di sì. Però a principio della lettura avete sentito che la Verità dice: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola” (Gv 14,23). La prova dell’amore è l’azione. Perciò Giovanni nella sua epistola dice: “Chi dice di amar Dio, ma non ne osserva i precetti, è bugiardo” (1Gv 4,20). Allora veramente amiamo Dio, quando restringiamo il nostro piacere a norma dei suoi comandamenti. Infatti chi corre ancora dietro a piaceri illeciti, non può dire d’amar Dio, alla cui volontà poi contraddice.

“E il Padre mio amerà lui, e verremo e metteremo casa presso di lui” (Gv 14,23). Pensate che festa, fratelli carissimi; avere in casa Dio! Certo, se venisse a casa vostra un ricco o un amico molto importante, voi vi affrettereste a pulir tutto, perché nulla ne turbi lo sguardo. Purifichi, dunque, le macchie delle opere, chi prepara a Dio la casa nella sua anima. Ma guardate meglio le parole: “Verremo e metteremo casa presso di lui”. In alcuni, cioè, Dio vi entra, ma non vi si ferma, perché questi, attraverso la compunzione, fanno posto a Dio, ma, al momento della tentazione, si dimenticano della loro compunzione, e tornano al peccato, come se non l’avessero mai detestato.

Invece colui cha ama veramente Dio, ne osserva i comandamenti, e Dio entra nel suo cuore e vi rimane, perché l’amor di Dio riempie talmente il suo cuore, che al tempo della tentazione, non si muove.

Questo, allora, ama davvero, poiché un piacere illecito non ne cambia la mente. Tanto più uno si allontana dall’amore celeste quanto più s’ingolfa nei piaceri terrestri. Perciò è detto ancora: “Chi non mi ama, non osserva i miei comandamenti (Gv 14,24)”. Rientrate in voi stessi, fratelli; esaminate se veramente amate Dio, ma non credete a voi stessi, se non avete la prova delle azioni. Guardate se con la lingua, col pensiero, con le azioni amate davvero il Creatore. L’amor di Dio non è mai ozioso. Se c’è, fa cose grandi; se non ci sono le opere, non c’è amore.

“E le parole che avete udito, non son mie, ma del Padre che mi ha mandato (Gv 14,24).” Sapete, fratelli, che chi parla è il Verbo del Padre, perché il Figlio è Verbo del Padre.

“Lo Spirito Santo Paraclito, che il Padre manderà nel mio nome, v’insegnerà tutto e vi ricorderà tutto quello che vi ho detto (Gv 14,26)”. Sapete quasi tutti che la parola greca Paraclito, significa avvocato o consolatore. E lo chiama avvocato, perché interviene presso il Padre in favore dei nostri delitti. Di questo stesso Spirito poi giustamente si dice: “V’insegnerà ogni cosa”, perché se lo Spirito non è vicino al cuore di chi ascolta, il discorso di chi insegna, non ha effetto.”

(da San Gregorio Magno, Omelie sui Vangeli, 30,1)

 

“Ma io domando: che cosa offrirà, nel giorno del giudizio, colui che sarà rapito dal cospetto del Giudice, separato dalla compagnia degli eletti, privato della luce, tormentato nel fuoco eterno? Il Signore stesso ci suggerisce questo pensiero quando dice rapidamente: <<Così avverrà alla fine del mondo: gli angeli verranno e separeranno i cattivi di mezzo ai giusti, e li getteranno nella fornace del fuoco, dove sarà pianto e stridore di denti>> (Mt 13, ).

Queste parole del signore, fratelli carissimi, sono piuttosto da temere che da spiegare. I tormenti riservati ai peccatori sono indicati chiaramente, affinché nessuno possa addurre la scusa che non lo sapeva, perché dei tormenti futuri era stato parlato oscuramente. Per di più il Signore domanda: <<Avete udito tutte queste cose? >>. E quelli rispondono: <<Si!>> (Mt 13).”

(San Gregorio Magno, Papa, Omelie sui vangeli, XI , pag. 121)

 

“Colui che ha già creduto in Cristo, ma va ancora dietro ai guadagni dell’avarizia, o si deturpa con le immondizie della lussuria, o si insuperbisce della sua dignità, o brucia nel fuoco dell’invidia, o desidera prosperità negli affari del mondo, rifiuta di seguire quel Gesù nel quale ha creduto. Va per una via sbagliata, colui che cerca gioie e piaceri, dopo che la sua guida gli ha indicato la via della penitenza.

Richiamiamo alla nostra mente i peccati commessi; pensiamo che il Giudice verrà a punirli severamente; prepariamo l’animo ai lamenti: la nostra vita si maceri per poco tempo nella penitenza, se non vuol sentire un’eterna amarezza dopo il castigo. Attraverso il pianto si giunge alla gioia; così ci promette la stessa Verità, che dice: <<Beati quelli che piangono, perché saranno consolati!>> (Mt 5,5). Per la via del piacere, invece, si arriva al pianto, come ci assicura il signore quando dice: <<Guai a voi che ora ridete, perché piangerete e vi lamenterete!>> (Lc 6,25). Se, dunque, vogliamo la gioia del premio quando saremo alla meta, accettiamo l’amarezza della penitenza finché siamo in cammino.”

(San Gregorio Magno, Papa, Omelie sui Vangeli, II, pag. 60)

 

“Se ciascuno di voi, in misura della propria capacità e dell’ispirazione che gli viene dall’alto, richiama il prossimo dal vizio, lo esorta a ben fare, lo istruisce sul regno eterno e sui castighi riservati ai peccatori, mentre annunzia la parola di salvezza, è veramente un angelo. Nessuno si scusi con il dire: io non ho l’arte di ammonire; non sono atto a esortare. Fa’ quello che puoi, se non vuoi che ti sia richiesto nei tormenti quel talento che avevi ricevuto e hai mal trafficato. Ricordi? Aveva ricevuto un solo talento quel tale che si preoccupò di nasconderlo e non di farlo fruttare.

( … ) Chi in cuor suo ha già udito la voce del divino amore, faccia risuonare alle orecchie del prossimo una parola di esortazione. Ci sarà forse chi non ha pane per fare l’elemosina ai bisognosi, ma è dono molto più prezioso quello che può dare chi ha la lingua. Val più nutrire di celeste dottrina l’anima destinata a vivere in eterno, che non saziare di pane terrestre il ventre di questo corpo destinato a morire. Non vogliate, dunque, o miei fratelli, negare al prossimo l’elemosina della parola!”

(San Gregorio Magno, Papa, Omelie sui vangeli, VI , pag. 85-86)

E Gesù gli disse: “Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato” San Gregorio Magno: “La preghiera e la Grazia di Cristo”

 

Dal Vangelo secondo Luca 18,35-43

“Mentre Gesù si avvicinava a Gerico, un cieco era seduto a mendicare lungo la strada. Sentendo passare la gente, domandò che cosa accadesse. Gli risposero: “Passa Gesù il Nazareno!”

 Allora incominciò a gridare: “Gesù, figlio di Davide, abbi compassione di me!”. Quelli che camminavano avanti lo sgridavano, perché tacesse; ma lui continuava ancora più forte: “Figlio di Davide, abbi compassione di me!”

Gesù allora si fermò e volle che gli fosse condotto davanti. Quando gli fu vicino, gli domandò: “Che vuoi che io faccia per te?”
Egli rispose: “Signore, che io riabbia la vista”.

E Gesù gli disse: “Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato”.
Subito ci vide di nuovo e cominciò a seguirlo lodando Dio. E tutto il popolo, alla vista di ciò, diede lode a Dio.”

 

Dal commento di San Gregorio Magno, Papa:

Il cieco è figura di tutto il genere umano, cacciato fuori dal Paradiso nella persona del primo padre Adamo. Da quel momento gli uomini non vedono più lo splendore della luce superna, e soffrono le pene della loro condanna.

Tuttavia, l’umanità è illuminata dalla presenza del suo Salvatore, affinché possa vedere – almeno con il desiderio – il gaudio della luce interiore, e possa altresì dirigere i passi delle buone opere sulla via della vita.

( … ) dice il Vangelo che il cieco sedeva lungo la via e mendicava; Gesù, infatti, che è la Verità, afferma: <<Io sono la Via>> (Gv 14,6).

Chiunque ignora lo splendore della luce eterna è cieco; se questo cieco già crede nel Redentore, allora è uno che siede lungo la via. Ma ciò non basta! Se egli trascura di pregare per ricevere la fede e abbandona le implorazioni, è un cieco che siede lungo la via, ma senza mendicare. Se invece ha creduto e – convinto della tenebra che gli grava il cuore – chiede di essere illuminato, in tal caso è un cieco che siede lungo la via e mendica.

Chiunque ha imparato a conoscere la tenebra della sua cecità, chiunque comprende che cosa sia questa luce d’eternità di cui siamo privi, gridi con tutte le potenze del cuore, gridi con tutta la forza dell’anima e dica: <<Gesù, figlio di David, abbi compassione di me!>>.

Ma ascoltiamo ora come fu risposto al cieco che gridava: <<Quelli che camminavano innanzi gli dicevano di tacere>>.

Che cosa simboleggiano questi tali i quali vanno innanzi a Gesù che viene?

Sono il simbolo dei desideri carnali e del tumulto dei vizi. Costoro – prima che Gesù giunga a noi – ci turbano la mente con le tentazioni e confondono la voce del cuore durante la nostra orazione.

( … ) Quando noi insistiamo fortemente nella preghiera, fermiamo nell’anima nostra Gesù che passava. Per questo il nostro testo evangelico soggiunge: <<Gesù si fermò e volle che il cieco li fosse condotto davanti>>. Osservate. Ora <<Sta>>, colui che prima <<passava>>.

E’ così quando, nella nostra preghiera, dobbiamo ancora sopportare le turbe dei fantasmi, sentiamo Gesù come se passasse; ma quando perseveriamo costantemente nella preghiera, Gesù si ferma per renderci la luce. Quando Dio si ferma nel cuore, allora si riacquista la luce perduta.

( … ) Mentre <<passava>>, il Signore udì le grida del cieco; mentre <<stava>>, compì il miracolo dell’illuminazione. Il <<passare>> è proprio dell’umanità, lo <<stare>> è proprio della Divinità. In quanto uomo il Signore poté nascere, morire, risorgere, spostarsi da un luogo all’altro. In Dio, infatti, non esiste mutazione, e mutare è lo stesso che passare. Pertanto il passaggio di cui parla il Vangelo è un passaggio dell’umanità di Cristo, non della sua divinità.

In quanto è Dio, Gesù sempre sta; Egli è dappertutto: non viene camminando, né camminando si allontana. Dicevamo, dunque, che il Signore udì, <<passando>>, le grida del cieco, e poi, <<stando>>, lo illuminò. Il che significa che in virtù della sua umanità Egli si muove a compassione del buio in cui siamo, ma solo in virtù della sua Divinità infonde in noi il lume della Grazia.

(San Gregorio Magno, Papa e Dottore della Chiesa, Da “le Omelie sui vangeli”)

Sant’Anselmo d’Aosta: “è indispensabile che, chiunque desideri che Dio dimori in lui, abbia la purezza del cuore” “Chiunque desideri ottenere il perdono delle colpe commesse, è indispensabile che ne provi dolore.”

 

“Beati i puri di cuore perché vedranno Dio. (Mt 5,8)”

 

“Non può l’uomo scorgere il cuore dell’uomo, poiché <<nessuno conosce i segreti dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui>> (1 Cor 2,11). Al contrario Dio, al quale nulla rimane nascosto, scorge senza impedimento il cuore dell’uomo e ciò a cui tende.

Chi l’avrà puro, potrà vedere Dio; chi invece non l’avrà puro, senza dubbio non potrà vederlo in alcun modo. E allora è indispensabile che, chiunque desideri che Dio dimori in lui, abbia la purezza del cuore. Nessuno la potrà avere, se non libererà il suo cuore dalle brame terrene, e non si sforzerà di ardere d’amore celeste. Nella misura in cui amerà il mondo, nella stessa misura sarà privato dell’amore celeste. E tanto più ciascuno abbandona Cristo, quanto più col peccare si allontana dalla giustizia di Dio.

( … ) Chi pertanto vuol divenire dimora dello spirito del Signore, conservi la purezza del cuore, allontani i desideri della carne. ( … ) La nostra volontà sia pertanto pura, per essere chiamata ed essere sposa di Dio; né macchia alcuna d’impurità la deturpi, per non divenire adultera. Finché s’accorda al volere di Dio, è pura, è sposa; quando invece discorda dal suo volere, si guasta, s’insozza, si prostituisce.”

(Sant’Anselmo d’Aosta, Dottore della Chiesa, I detti di Anselmo, cap. 14, pag. 269, 271.)

 

“… nell’ora della tentazione prima di dar compimento alla colpa, non si deve mai pensare alla misericordia di Dio, ma alla sua giustizia e al suo giudizio, alla sua ira e al suo sdegno. Ciò si deve ponderare, ciò portare davanti agli occhi della mente, ciò prendere sovente in considerazione con gran spavento.

Quando uno è tentato, non deve dire: <<la misericordia>> di Dio <<è grande>> (Sal 86,85,13); ben si dire: <<E’ terribile cadere nelle mani del Dio vivente>> (Eb 10,31). Quando la brama di lussuria agita chicchessia, non pensi che, in qualsiasi momento il peccatore li deplori, tutti i suoi peccati non saranno più ricordati, ma piuttosto, ripensandovi di frequente, consideri che, chiunque pecchi sperando, è maledetto. Pure questo: <<Guai, gente peccatrice, popolo carico di iniquità! Razza di scellerati, figli corrotti!>> (Is 1,4). ( … ) Nell’ora della tentazione, deve ciascuno sforzarsi in tutti i modi per non essere vinto, perché, sebbene Dio abbia garantito il perdono a chi pecca, non ha però promesso di dare a chi pecca il desiderio di pentirsi.”

(Sant’Anselmo d’Aosta, Dottore della Chiesa, I detti di Anselmo, cap.1, pag.185)

 

“Quando la suggestione del peccato colpisce un animo che dall’amore per le cose presenti tende verso i beni eterni, lo lascerà subito andare, se quell’animo si mantiene fermamente nel suo proposito. Ma se rivolgendo la sua attenzione alla suggestione, quest’animo le consentirà di entrare dentro di sé, e quasi eccitandola la rimugina col pensiero, essa lo inquieterà sempre più frequentemente pur non procurandogli ferite, perché di semplice tentazione si tratta per sempre.

Ma se l’animo la culla troppo a lungo, il cane pesante si trasforma nel cagnetto, ossia la suggestione diventa piacere, il quale attacca con più accanimento e se non è scacciato prontamente ferisce l’anima. Ecco perché, non appena comincia a insorgere, l’anima sposa di Cristo deve respingerlo, pensando come le sarebbe ignominioso comparire al suo cospetto insozzata da un piacere così vergognoso. Se infatti l’anima non respingerà il piacere, il cagnetto si trasforma nell’enorme mastino, ossia il piacere si fa consenso che impossessandosi dell’anima, se essa non vi reagisce con grande energia, la uccide.

Ma, non appena cerca di aggredire l’anima, questa deve opporsi con grande energia, cioè annientandolo in sé opponendogli un grandissimo timore della morte eterna. Dunque non prestiamo nessuna attenzione alla suggestione, reprimiamo prontamente il piacere, opponiamoci con forza al consenso. E così sforziamoci di custodire il nostro cuore affinché il diavolo non sia messo in condizione di violarlo neppure con un solo pensiero superfluo.”

(Sant’Anselmo d’Aosta, Dottore della Chiesa, SUI COMPORTAMENTI UMANI MEDIANTE SIMILITUDINI, De Humanis moribus, capitolo 40, pag.47)

 

“Chiunque desideri ottenere il perdono delle colpe commesse, è pertanto indispensabile che ne provi dolore.”

 

“Vi sono infatti taluni i quali ammettono di essere peccatori, ma non ne provano dolore alcuno. E’ indispensabile che costoro si dolgano, se vogliono meritare il perdono; poiché non conta che uno si riconosca peccatore, se non ne prova dolore. Se uno infatti peccasse contro il suo signore e non se ne dolesse, cosa pensi che direbbe di lui il signore? Come rimettergli l’offesa, finché sapesse che lui non se ne duole per nulla? Più che altro parrebbe buffo il suo chiedere perdono di cosa della quale non si duole. Chiunque desideri ottenere il perdono delle colpe commesse, è pertanto indispensabile che ne provi dolore.

Viene poi la confessione, perché deve il peccatore confessare in che modo conosce se stesso e se ne duole.”

(Sant’Anselmo d’Aosta, Dottore della Chiesa, I detti di Anselmo, cap.1, pag.177)

“E Gesù le disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più» (Gv. 8)” “Il Signore è mansueto, il Signore è longanime, è misericordioso; ma è anche giusto, è anche verace” Commento di Sant’ Agostino

“Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra. E siccome insistevano nell’interrogarlo, alzò il capo e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei». E chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi.
Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. Alzatosi allora Gesù le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed essa rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù le disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».” (Giovanni, 8)

“GESU’ E L’ADULTERA, MISERICORDIA E GIUSTIZIA DI DIO”

COMMENTO DI SANT’AGOSTINO:

E poiché essa aveva sentito quelle parole: Chi di voi è senza peccato, scagli per primo una pietra contro di lei, si aspettava di essere colpita da colui nel quale non si poteva trovar peccato. Ma egli, che aveva respinto gli avversari di lei con la voce della giustizia, alzando verso di lei gli occhi della mansuetudine, le chiese: Nessuno ti ha condannato? Ella rispose: Nessuno, Signore. Ed egli: Neppure io ti condanno, neppure io, dal quale forse hai temuto di esser condannata, non avendo trovato in me alcun peccato. Neppure io ti condanno.

Come, Signore? Tu favorisci dunque il peccato? Assolutamente no. Ascoltate ciò che segue: Va’ e d’ora innanzi non peccare più (Gv 8, 10-11). Il Signore, quindi, condanna il peccato, ma non l’uomo. Poiché se egli fosse fautore del peccato, direbbe: neppure io ti condanno; va’, vivi come ti pare, sulla mia assoluzione potrai sempre contare; qualunque sia il tuo peccato, io ti libererò da ogni pena della geenna e dalle torture dell’inferno. Ma non disse così.

7. Ne tengano conto coloro che amano nel Signore la mansuetudine, e temano la verità. Infatti dolce e retto è il Signore (Sal 24, 8). Se lo ami perché è dolce, devi temerlo perché è retto. In quanto è mansueto dice: Ho taciuto; ma in quanto è giusto aggiunge: Forse che sempre tacerò? (Is 42, 14 sec. LXX). Il Signore è misericordioso e benigno. Certamente. Aggiungi: longanime, e ancora: molto misericordioso, ma tieni conto anche di ciò che è detto alla fine del testo scritturale, cioè verace (Sal 85, 15). Allora infatti giudicherà quanti l’avranno disprezzato, egli che adesso sopporta i peccatori. Forse che disprezzi le ricchezze della sua bontà, della sua pazienza, della sua longanimità, non comprendendo che questa bontà di Dio ti spinge solo al pentimento? Con la tua ostinatezza e con il tuo cuore impenitente accumuli sul tuo capo l’ira per il giorno dell’ira, quando si manifesterà il giusto giudizio di Dio, il quale renderà a ciascuno secondo le sue opere (Rm 2, 4-6).

Il Signore è mansueto, il Signore è longanime, è misericordioso; ma è anche giusto, è anche verace. Ti dà il tempo di correggerti; ma tu fai assegnamento su questa dilazione, senza impegnarti a correggerti. Ieri sei stato cattivo? oggi sii buono. Anche oggi sei caduto nel male? almeno domani cambia. Tu invece rimandi sempre e ti riprometti moltissimo dalla misericordia di Dio, come se colui che ti ha promesso il perdono in cambio del pentimento, ti avesse anche promesso una vita molto lunga. Che ne sai cosa ti porterà il domani? Giustamente dici in cuor tuo: quando mi correggerò, Dio mi perdonerà tutti i peccati. Non possiamo certo negare che Dio ha promesso il perdono a chi si corregge e si converte; è vero, puoi citarmi una profezia secondo cui Dio ha promesso il perdono a chi si corregge; non puoi, però, citarmi una profezia secondo cui Dio ti ha promesso una vita lunga.

[Tra la speranza e la disperazione.]

8. Gli uomini corrono due pericoli contrari, ai quali corrispondono due opposti sentimenti: quello della speranza e quello della disperazione. Chi è che s’inganna sperando? chi dice: Dio è buono e misericordioso, perciò posso fare ciò che mi pare e piace, posso lasciare le briglie sciolte alle mie cupidigie, posso soddisfare tutti i miei desideri; e questo perché? perché Dio è misericordioso, buono e mansueto. Costoro sono in pericolo per abuso di speranza. Per disperazione, invece, sono in pericolo quelli che essendo caduti in gravi peccati, pensano che non potranno più essere perdonati anche se pentiti, e, considerandosi ormai destinati alla dannazione, dicono tra sé: ormai siamo dannati, perché non facciamo quel che ci pare? E’ la psicologia dei gladiatori destinati alla morte. Ecco perché i disperati sono pericolosi: non hanno più niente da perdere, e perciò debbono essere vigilati. La disperazione li uccide, così come la presunzione uccide gli altri. L’animo fluttua tra la presunzione e la disperazione.

Devi temere di essere ucciso dalla presunzione: devi temere, cioè, che contando unicamente sulla misericordia di Dio, tu non abbia ad incorrere nella condanna; altrettanto devi temere che non ti uccida la disperazione; che temendo, cioè, di non poter ottenere il perdono delle gravi colpe commesse, non ti penti e così incorri nel giudizio della Sapienza che dice: anch’io, a mia volta, godrò della vostra sventura (Prv 1, 26). Come si comporta il Signore con quelli che sono minacciati dall’uno o dall’altro male? A quanti rischiano di cadere nella falsa speranza dice: Non tardare a convertirti al Signore, né differire di giorno in giorno; perché d’un tratto scoppia la collera di lui, e nel giorno del castigo tu sei spacciato (Sir 5, 8-9). A quanti sono tentati di cadere nella disperazione cosa dice? In qualunque momento l’iniquo si convertirà, dimenticherò tutte le sue iniquità (cf. Ez 18, 21-22 27). A coloro dunque che sono in pericolo per disperazione, egli offre il porto del perdono; per coloro che sono insidiati dalla falsa speranza e si illudono con i rinvii, rende incerto il giorno della morte. Tu non sai quale sarà l’ultimo giorno; sei un ingrato; perché non utilizzi il giorno che oggi Dio ti dà per convertirti? E’ in questo senso che il Signore dice alla donna: Neppure io ti condanno: non preoccuparti del passato, pensa al futuro. Neppure io ti condanno: ho distrutto ciò che hai fatto, osserva quanto ti ho comandato, così da ottenere quanto ti ho promesso.

(Sant’Agostino, Dal commento al Vangelo di San Giovanni)

San Leonardo da Porto Maurizio: Meditazione sul Fine dell’Uomo “Tra tutte le occupazioni, l’unica utile, importante, necessaria: servire Dio e salvarsi l’anima”

 

«Dio ci ha creati per conoscerlo, servirlo e amarlo, e così giungere in Paradiso… La beatitudine promessa ci pone di fronte alle scelte morali decisive. Essa ci invita a purificare il nostro cuore dai suoi istinti cattivi e a cercare l’amore di Dio al di sopra di tutto. Ci insegna che la vera felicità non si trova in alcuna creatura, ma in Dio solo, sorgente di ogni bene e di ogni amore. Il Decalogo, il Discorso della Montagna e la catechesi apostolica ci descrivono le vie che conducono al Regno dei Cieli»

(Catechismo della Chiesa Cattolica, CCC, 1721-1724)

«La Chiesa nel suo insegnamento afferma l’esistenza dell’inferno e la sua eternità. Le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale dopo la morte discendono immediatamente negli inferi, dove subiscono le pene dell’inferno, «il fuoco eterno». La pena principale dell’inferno consiste nella separazione eterna da Dio, nel quale soltanto l’uomo può avere la vita e la felicità per le quali è stato creato e alle quali aspira»

(Catechismo della Chiesa Cattolica, CCC, 1034-1035).

 

“San Leonardo da Porto Maurizio, Meditazione sul Fine dell’Uomo”

 

La considerazione dei Novissimi, cioè delle realtà ultime, è al cuore dell’insegnamento di padre Leonardo.

«Considera, scrive, quanto sia importante per te giungere alla tua meta ultima. Ne va di tutto per te; perché, se vi arrivi, sei salvato, sei eternamente felice, colmo di tutti i beni per l’anima e per il corpo. Se invece la manchi, sei perduto, corpo e anima, perdi Dio e il paradiso, sei eternamente infelice, dannato per sempre. Ecco allora, tra tutte le occupazioni, l’unica utile, importante, necessaria: servire Dio e salvarsi.

Se tu perdessi ora una parte dei tuoi beni, te ne resterebbero degli altri; se perdessi una causa, potresti ricorrere in appello; se ti accadesse di commettere qualche errore temporale, può essere riparato. E qualora tu venissi anche a perdere tutto, che importa? Comunque, che ti piaccia o no, verrà un giorno in cui bisognerà lasciare tutto.

Ma se manchi la tua meta ultima, perdi tutti i beni e attiri su di te mali irreparabili per tutta un’eternità. Che giova all’uomo, dice il Salvatore, se guadagna tutto il mondo e poi perde la propria anima? (Mt 16,26). Salvarci! ecco la nostra grande, la nostra unica occupazione. Quando non si tratta che delle faccende di questo mondo, se non ci pensi, un altro può pensarci per te; ma quando si tratta di quella grande della tua salvezza eterna, se non ci pensi, chi può pensarci per te? Se non te ne prendi cura, chi può assumere questo incarico per te? Se non ti aiuti da te stesso a salvarti, chi ti salverà ? Quel Dio che ti ha creato senza di te non vuole salvarti senza di te. Se vuoi salvarti , bisogna che tu ci pensi»

(San Leonardo da Porto Maurizio, Meditazione sul fine dell’uomo).

Pseudo-Macario (San Macario il Grande) : Con un cuore umile e povero “Il Peccato, la Grazia e il Libero Arbitrio”

 

PSEUDO-MACARIO (SAN MACARIO IL GRANDE) : CON UN CUORE UMILE E POVERO “IL PECCATO, LA GRAZIA E IL LIBERO ARBITRIO”

1. Il vaso prezioso dell’anima si trova a grande profondità, come è detto da qualche parte: Egli scruta l’abisso e il cuore. Quando l’uomo infatti si fu allontanato dal comandamento e si trovò sotto una sentenza di collera, il peccato lo ridusse in suo potere, e il peccato è come un abisso di amarezza, sottile e profondo; penetrato nell’uomo, prese possesso dei pascoli dell’anima fin nei più profondi recessi. Potremmo paragonare l’anima e il peccato unito ad essa a un albero enorme dai molti rami, le cui radici sono immerse nelle profondità della terra; allo stesso modo il peccato, penetrando nell’anima, ne ha occupato i più profondi recessi, è diventato abitudine e predisposizione, è cresciuto con ciascuno dall’infanzia sviluppandosi con lui e insegnandogli il male.

2. Quando l’energia della grazia divina ricopre l’anima nella misura della fede di ciascuno e questa accoglie l’aiuto dall’alto, la grazia ricopre l’anima ancora parzialmente. Nessuno pensi che tutta l’anima sia illuminata. Dentro di essa resta ancora molto spazio per il peccato e sono necessarie all’uomo molta pena e fatica per accordarsi alla grazia che ha ricevuto. Per questo motivo la grazia divina iniziò a visitare l’anima parzialmente, pur potendo purificare l’uomo e portare a compimento la sua opera in un istante; fa così per mettere alla prova la libera volontà dell’uomo e vedere se mantiene integro l’amore di Dio e in nulla si unisce al malvagio, ma consegna tutto se stesso alla grazia. E così l’anima, che nel tempo ha dato buona prova di sé e non ha contristato in nulla la grazia, né le ha arrecato offesa, a poco a poco riceve aiuto. E la grazia stessa prende posto nell’anima e si radica nelle regioni e nei pensieri più profondi quando l’anima offre molteplici e buone prove e corrisponde alla grazia, finché viene tutta avvolta dalla grazia celeste che finalmente regna in essa.

3. Ma se uno non possiede una grande umiltà, viene consegnato a Satana e spogliato della grazia divina venuta a lui, e subisce la prova di numerose tribolazioni, e allora appare manifesta la sua presunzione perché egli resta ignudo e miserabile. Chi è ricco della grazia di Dio deve custodirsi in grande umiltà e contrizione di cuore e ritenersi un povero, uno che nulla possiede. Ciò che ha, infatti, non gli appartiene, un altro glielo ha dato e, quando vuole, glielo toglie. Chi si umilia in questo modo davanti a Dio e agli uomini può custodire la grazia che gli è stata data, come dice il Signore: Chi si umilia sarà innalzato. Anche se è un eletto di Dio, si consideri riprovato e, pur essendo fedele, si reputi indegno. Tali anime infatti sono gradite a Dio e sono vivificate nel Cristo, al quale è gloria e potenza nei secoli dei secoli. Amen.

Sforzati dunque di piacere al Signore attendendolo sempre dentro di te (…). E vedi come viene a te e stabilisce la sua dimora presso di te. Quanto più unifichi il tuo cuore per la ricerca di lui, tanto più egli è costretto dalla sua compassione e dalla sua bontà a venire a te e a riposare in te. Egli sta a guardare il tuo cuore, i tuoi pensieri, i tuoi sentimenti (…).

 
(Tratto da PSEUDO-MACARIO, Spirito e fuoco, ed. Qiqaion a cui si rimanda vivamente per l’approfondimento)

 

 

Pseudo Macario, Consigli spirituali:

“Il Cristianesimo è cibo e bevanda; quanto più uno se ne nutre, tanto più dalla sua dolcezza la mente è attratta trovandosene sempre insaziabilmente bisognosa. In verità lo Spirito è cibo e bevanda che mai dà sazietà.

Quando il pittore è intento a fare il ritratto del re ne deve avere davanti Il volto, cosicchè quando il re posa davanti a lui con abilità e grazia lo ritrae: ma se il re è girato dalla parte opposta, il pittore non può compiere l’opera sua, perchè il suo occhio non ne vede il volto. Così Cristo, pittore perfetto, dipinge i lineamenti del suo volto di uomo celeste su quei fedeli che sono verso di Lui costantemente orientati. Se qualcuno non lo fissa di continuo, disprezzando ogni cosa a Lui contraria, non avrà in se stesso l’immagine del Signore disegnata dalla sua luce.

Il nostro volto sia sempre in Lui fisso, con fede e amore, trascurando tutto per essere solo in Lui intenti, affinchè nel nostro intimo si imprima la sua immagine, e così portando in noi Cristo possiamo giungere alla vita senza fine.”

(Pseudo Macario, Consigli spirituali)

 

« La sua casa siamo noi » (Eb 3, 6)

Il Signore si stabilisce in un’anima fervente. Fa di essa il suo trono di gloria, vi si siede e vi dimora… Come la casa abitata dal suo padrone è tutta grazia, ordine e bellezza, così l’anima con la quale e nella quale il Signore dimora è tutta ordine e bellezza. Possiede il Signore e tutti i suoi tesori spirituali. Egli ne è l’abitante, ne è il capo.

Invece, orrenda è la casa il cui padrone è assente, il cui Signore è lontano ! Va in rovina, crolla, si riempie di sozzure e di disordine. Diventa, secondo la parola del profeta, un covo di serpenti e di demoni (Is 34, 14). La casa abbandonata si riempie di gatti, di cani, di immondizie. Com’è infelice quell’anima che non può rialzarsi dalla sua caduta funesta, che si lascia trascinare e giunge ad odiare il suo sposo e strappare i suoi pensieri da Gesù Cristo !

Ma quando il Signore la vede raccogliersi e cercare giorno e notte il suo Signore, gridare verso di lui com’egli stesso la invita : « Pregate sempre, senza stancarvi », allora « Dio le farà giustizia » (Lc 18, 1.7) – l’ha promesso – e la purificherà da ogni cattiveria. La farà sua sposa « senza macchia, né ruga » (Ef 5, 27). Credi nella sua promessa ; è verità. Guarda se la tua anima ha già trovato la luce che rischiarerà i suoi passi e il Signore che è suo cibo e bevanda. Queste cose ti mancano ancora ? Cercale giorno e notte, le troverai.

(Pseudo-Macario,Omelia 33 ; PG 34, 741-743)

Noi siamo crocifissi al mondo e Cristo è crocifisso in noi: “A Cristo crocifisso appartiene solo chi ha crocifisso nel suo corpo i piaceri carnali e vive santamente per il Vangelo”

La croce nell’anima

“Quando parlo della croce, non penso al legno, ma al dolore. In effetti questa croce si trova nella Britannia, in India e su tutta la terra. Cosa dice il Vangelo? Se non portate la mia croce e non mi seguite ogni giorno… (Lc. 14, 27). Notate cosa dice! Se un animo non è affezionato alla croce, come io alla mia per amor vostro, non può essere mio discepolo. Felice colui che porta nel suo intimo la croce, la risurrezione, il luogo della nascita e dell’ascensione di Cristo! Felice chi ha Betlemme nel suo cuore, nel cui cuore, Cristo nasce ogni giorno! Che significa del resto “Betlemme”? Casa del pane. Siamo anche noi una casa del pane, di quel pane che è disceso dal cielo. Ogni giorno Cristo vien per noi affisso alla croce.

Noi siamo crocifissi al mondo e Cristo è crocifisso in noi. Felice colui nel cui cuore Cristo risuscita ogni giorno, quando egli fa penitenza per i suoi peccati anche i più lievi. Felice chi ascende ogni giorno dal monte degli ulivi al regno dei cieli, ove crescono gli ulivi rigogliosi del Signore, ove si eleva la luce di Cristo, ove si trovano gli uliveti del Signore. Sono come un olivo fecondo nella casa di Dio (Sal. 51, 10). Accendiamo anche la nostra lampada con l’olio di quell’olivo e subito entreremo con Cristo nel regno dei cieli.”

(San Girolamo, Commento al Salmo 95)

“Anche l’apostolo Pietro, a proposito di questo mistero della croce, cioè dei dolori di Cristo, ricorda che coloro i quali a lui si consacrano devono cessar di peccare. Dice infatti: Poiché dunque Cristo patì nella carne, anche voi armatevi del medesimo pensiero, che chi ha patito nella carne l’ha finita col peccato, per vivere, nel tempo che gli rimane di vita corporale, non ai piaceri umani, ma alla volontà di Dio… (1 Pt. 4, 1 s.).

Con ciò mostra, rettamente, che a Cristo crocifisso, il quale ha patito nella carne, appartiene solo chi ha crocifisso nel suo corpo i piaceri carnali e vive santamente per il Vangelo.”

(Sant’Agostino, La fede e le opere, 9, 14-10, 15)

“Abbracciare la croce è uccidere le cupidigie, annientare i vizi, allontanarsi dalla vanità e rinunciare ad ogni errore. Nessun impudico infatti, nessun lussurioso, nessun superbo né avaro celebra la Pasqua del Signore.”

(San Leone Magno, Sermoni)

“Non devi quindi tracciare semplicemente il segno della croce con la punta delle dita, ma prima devi inciderlo nel tuo cuore con fede ardente. Se lo imprimerai in questo modo sulla tua fronte, nessuno dei demoni impuri potrà restare accanto a te, in quanto vedrà l’arma con cui è stato ferito, la spada da cui ha ricevuto il colpo mortale. Se la sola vista del luogo dove avviene l’esecuzione dei criminali fa fremere d’orrore, immagina che cosa proveranno il diavolo e i suoi demoni vedendo l’arma con cui Cristo sgominò completamente il loro potere e tagliò la testa del dragone (cf. Ap. 12, 1 ss.; 20, 1 ss.).”

(San Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di san Matteo)

Rivelazione di Maria Vergine, Madre di Dio: -L’ISTANTE DELLA MORTE- “Da quel momento dipende tutto: Salvezza Eterna o Dannazione eterna” “Inferno o Paradiso”

Dalla “Mistica città di Dio,Vita della Vergine Madre di Dio” rivelata alla Venerabile Suor Maria di Ágreda

Insegnamento della Regina del cielo:

880. Figlia mia carissima, non è senza un motivo particolare che il tuo cuore si è mosso, con speciale compassione e pietà, verso quelli che si ritrovano in punto di morte, e che è sorto in te il desiderio di aiutarli in quell’ora. In verità, come hai potuto conoscere, le anime in quell’istante soffrono incredibili e pericolose angustie per le insidie del diavolo e della stessa natura che le circonda. Da quel momento dipende tutto: l’esilio terreno si conclude, perché cada sopra di esso l’ultima sentenza di morte o di vita eterna, di pena o di gloria senza fine. E poiché l’Altissimo si compiace che tu metta in pratica la carità di cui sei stata colmata verso tutti i morenti, io ti confermo nello stesso proposito e ti esorto a concorrere con tutte le forze ed a prestarci obbedienza con tutti i tuoi sforzi. Considera, dunque, o amica, che Lucifero e i suoi ministri riconoscono dagli eventi e dalle cause naturali quando gli uomini si trovano in una pericolosa e mortale infermità; e quindi in quell’istante stesso si preparano con astuzia e con tutta la loro malignità ad investire il povero ed ignorante malato e a farlo precipitare, se possono, con varie tentazioni. Inoltre, quando si avvicina il termine delle persecuzioni contro le anime, i principi delle tenebre cercano di rifarsi da questo danno assalendo i mortali con maggior malvagità nel poco tempo che manca alla fine della vita.

881. In questa situazione si aggregano come lupi sanguinari e si sforzano di riconoscere lo stato dell’infermo sia riguardo a ciò che ha di naturale sia riguardo a ciò che ha di acquisito, considerando le sue inclinazioni, gli usi, i costumi ed anche gli affetti in cui mostra particolare suscettibilità; e ciò al fine di poterlo assaltare e di invergli per quella via maggior guerra. A quelli che sregolatamente amano la vita i demoni suggeriscono che questa loro affezione non è poi così pericolosa, ed impediscono che qualcuno li disinganni. In quelli che sono stati negligenti nell’uso dei santi sacramenti suscitano una nuova tiepidezza e propongono loro maggiori difficoltà, affinché muoiano senza avvicinarsi ad essi o li ricevano senza frutto e con cattiva predisposizione. Ad alcuni creano stati di confusione, affinché non prendano coscienza dei loro peccati; ad altri frappongono indugi ed ostacoli, perché non dichiarino i loro debiti e non mettano pace nei loro cuori. In quelli che amano la vanità risvegliano il desiderio, anche in quell’ultima ora, di molte cose vane e superbe da eseguirsi dopo la morte. Con veemenza inclinano altri avari o lussuriosi verso tutto ciò che ciecamente amarono. E così i crudeli nemici si avvalgono di tutte le cattive abitudini dei mortali per spingerli dietro agli oggetti e per rendere ad essi difficoltoso o impossibile il rimedio.

E tutti gli atti peccaminosi che gli uomini operarono in vita, e con i quali acquistarono viziosi costumi, furono altrettanti pegni ed armi offensive che diedero al comune nemico, per far loro guerra nell’ora tremenda della morte. E così ogni appetito soddisfatto viene ad aprire la via, perché il demonio penetri nel castello dell’anima. Egli, nell’interno di questa, emette il suo pestifero fiato e solleva dense tenebre – che sono i suoi stessi effetti – affinché gli uomini non riconoscano le divine ispirazioni, né abbiano vero dolore dei loro peccati, né facciano penitenza alcuna per la loro cattiva condotta in vita.

882. Generalmente questi nemici fanno in quell’ultima ora grandi stragi, infondendo negli infermi la falsa speranza di vivere più a lungo e di eseguire con il tempo ciò che Dio ispira loro per mezzo dei suoi angeli: con questo inganno essi si ritrovano beffati e perduti. Soprattutto in quel momento è grande il pericolo per quelli che hanno disprezzato in vita il rimedio dei santi sacramenti. La giustizia divina è solita castigare questo rifiuto, molto offensivo per il Signore e per i santi, abbandonando le anime in preda al loro cattivo consiglio. Queste, poiché non vollero approfittare a suo tempo del rimedio opportuno, meritano, giustamente, di essere escluse nell’ultima ora dalla salvezza eterna, che temerariamente aspettavano. Pochissimi sono i giusti in pericolo di morte che non vengono assaltati con incredibile rabbia dall’antico serpente.

Se egli pretende di far cadere coloro che sono santi e virtuosi, che cosa sperano coloro che sono dediti ai vizi, che cosa attendono i negligenti ed i pieni di peccati che hanno impiegato tutta la loro vita a demeritare la grazia e il favore divino e a schivare le opere di cui potevano avvalersi contro il nemico? Il mio santo sposo Giuseppe fu tra quelli che ebbero il privilegio di non vedere né sentire il demonio in quell’ora estrema, perché, quando gli spiriti maligni tentarono di avvicinarsi, furono arrestati da una forza potente che li allontanò e i santi angeli li precipitarono nell’abisso. Ed essi sentendosi così oppressi e schiacciati – a nostro modo di intendere – rimasero turbati, confusi e come storditi. Ciò diede occasione a Lucifero di convocare nell’inferno un’assemblea o un conciliabolo al fine di consultarsi con tutti i principi delle tenebre su quanto era accaduto, e di investigare nel mondo sulla vera o presunta venuta del Messia.

883. Comprendi ora, carissima, quanto sia pericoloso il momento della morte e quante anime periscano in quell’ora in cui cominciano a svelarsi i meriti e i peccati. Non ti dichiaro quanti sono quelli che si perdono e si dannano, perché – se lo sapessi – ne moriresti per la pena e per il vero amore che porti al Signore. La regola generale dice che la buona vita aspetta la buona morte, tutto il resto è incerto, raro e contingente. Il rimedio sicuro deve consistere nell’intraprendere da lontano il cammino. Perciò ti avverto di pensare ogni giorno, allo spuntare della luce, se quello sarà l’ultimo della tua vita, e riguardandolo come se dovesse veramente esserlo – poiché non sai se in effetti lo sarà – cerca di mettere ordine nella tua anima in modo che con volto allegro e sereno tu possa ricevere la morte, qualora venga. Non rimandare nemmeno per un istante il dolore dei tuoi peccati e il proposito di confessarli, se ne avrai commessi. Cerca di emendare fin la più piccola imperfezione, in modo da non lasciare nella tua coscienza nessuna colpa, di cui senti rimorso, senza dolertene e senza lavarti con il sangue di Cristo mio santissimo figlio. Disponi tutta te stessa in uno stato tale da poter comparire dinanzi al giusto giudice che ti deve esaminare e che deve giudicare le tue facoltà a partire dal più piccolo pensiero e dalla minima azione.

884. Ma per aiutare, come desideri, coloro che si trovano in quell’estremo pericolo, in primo luogo raccomanda, se potrai, a tutti questi il consiglio che ti ho suggerito: vivano con l’anima sempre pronta per ottenere una felice morte. Inoltre per questo fine eleverai un’orazione ogni giorno senza mai tralasciarla. Con fervorosi affetti e gemiti prega l’Onnipotente, affinché dissipi gli inganni dei demoni e rompa i lacci e le insidie che essi tramano contro quelli che agonizzano o si ritrovano in quell’istante, ed impetra che tutti loro siano confusi dalla sua divina destra. Tu sai che io recitavo questa orazione per i mortali e quindi voglio che mi imiti. Similmente, ti ordino che, per aiutarli meglio, comandi ed intimi agli stessi demoni di allontanarsi da loro e di non opprimerli. Ben puoi usare questo potere, anche se non sei presente in quei frangenti poiché, essendovi il Signore, nel suo nome puoi comandare loro e costringerli a fuggire per sua maggior gloria ed onore.

885. Riguardo alle tue sorelle, illuminale senza turbarle su quello che devono fare. Ammoniscile ed assistile, affinché ricevano subito i santi sacramenti e vi si accostino frequentemente. Procura e sforzati di animarle e consolarle, discorrendo con loro sulle cose di Dio, sui suoi misteri e sulla sacra Scrittura, affinché si risveglino i loro sentimenti e i loro buoni propositi e si dispongano a ricevere dall’alto la luce e i divini consigli. Incoraggiale nella speranza, fortificale contro le tentazioni, ed insegna loro come devono resistervi e vincerle. Quando l’Altissimo non ti darà una particolare illuminazione per comprendere le loro prove, cerca tu stessa di conoscerle prima che te le manifestino, affinché applichi a ciascuna la medicina più conveniente; le infermità spirituali, infatti, sono difficili da diagnosticare e curare. Adoperati per eseguire quanto ti insegno ed io otterrò dal Signore privilegi per te e per quelli che desidererai aiutare. Non essere parca nella carità, perché in questa virtù non devi operare in proporzione a ciò che tu sei, ma nella misura di ciò che l’Altissimo vuole operare per mezzo di te.