SE SEI UN’ANIMA CARA A DIO PREPARATI, E SAPPI CHE VERRÀ UN GIORNO IN CUI TI TROVERAI NEL TRAVAGLIOSO TEMPO DELLA TEMPESTA, DELLA DESOLAZIONE E TRIBOLAZIONE: “Quando il Signore vuole esaltare molto un’anima, molto la umilia”

Considera, anima di Dio, come è sommo beneficio del Signore metterti nello stato della desolazione, per I’esercizio di mille eroiche virtù, che in quello si esercitano; per i grandi meriti che si acquistano, e per gli avanzamenti meravigliosi che fa lo spirito in tali patimenti, senza che neppur se ne accorga l’anima mentre patisce.

Preparati intanto e sappi che, se sei assai cara a Dio, verrà un giorno in cui ti troverai nel travaglioso tempo della tempesta: quando il Signore vorrà mettere alla prova la tua virtù per scorgere se veramente lo ami, e se quelle grandi offerte che ora gli fai, e quelle magnanime espressioni siano vere. E allora lo darai a conoscere, quando ti vedrai arida, afflitta, travagliata, e tentata; quando il tuo cuore sembrerà divenuto un macigno, sconvolte le potenze e ribellati i sensi. Allora, la fantasia ti porrà innanzi mille inezie, fantasmi, apprensioni, terrori, bruttezze; la memoria si ricorderà di tutto ciò che non vorrebbe; I’intelletto si fisserà su cose disordinate, impertinenti e noiose; la volontà sarà stimolata ed inclinata al male, e talvolta alla vanità, ai piaceri, al mondo, alle cose della terra; i sensi saranno come tanti cani affamati, gli appetiti saranno sfrenati, il fomite si solleverà, la concupiscenza bollirà e farà sentire al cuore i moti più violenti dell’irascibile e del concupiscibile; le passioni si porranno in rivoluzione, la parte inferiore si armerà, starà in guerra, strepiterà, metterà tutto in scompiglio, in confusione, in tumulto: tutto ciò, che non è Dio, ti sarà sempre innanzi, e tutti i sentimenti di Dio non si faranno sentire. Il cuore nulla proverà di conforto, ma la volontà, aiutata sensibilmente dalla grazia, si manterrà salda nel non cedere, nel non consentire, sebbene sia all’oscuro e operi con la parte superiore dell’anima, in cui sta il volere e il non volere, tutto il merito e il demerito.

I demoni si scateneranno, ed a misura di quella libertà data loro da Dio, faranno ogni sforzo per abbattere l’anima; useranno astuzie, frodi, inganni, suggestioni; susciteranno ogni sorta di perversi pensieri, terrori, tentazioni, motivi contro la fede, di diffidenza, di bestemmia, di odio contro Dio, per indurre l’anima alla disperazione. Gli uomini ti saranno contrari, ti perseguiteranno, ti mortificheranno, ti copriranno di confusione, tutti ti abbandoneranno, non avrai più di chi fidarti in terra. Addio parenti, addio amici…

Patirai ancora malattie, infermità, debolezze, dolori, povertà, col mancamento d’ogni bene temporale. E ciò che recherà maggior pena, sarà che il cielo sembrerà divenuto per te di bronzo, il cuore s’indurirà, come una pietra, la mente si vedrà tutta coperta di tenebre; non comparirà uno spiraglio di luce a tuo favore: diverrai gravosa, fastidiosa, tediosa, pesante a te stessa, contraria, contraddicente e confusa nel viver tuo; terrori e timori con te non mancheranno. E quel Dio, che è amore e bontà infinita, apparirà agli occhi tuoi tutto rigore, come giudice severo che perseguita il peccato e il peccatore.

Andrai all’orazione, ma ti sembrerà di non poter fare orazione, e ti vedrai in confusione. Cercherai Dio presente, ma non lo troverai; vorrai raccoglierti, ma ti distrarrai. Supplicherai il Signore, e ti sembrerà che non ti esaudisca, che ti scacci e ti rigetti da se. Invocherai Maria, chiamerai i Santi, esclamerai pietà, ma non sentirai conforto e sollievo: ti sembrerà chiuso per te il Paradiso; ti stimerai come da tutti abbandonata.

Ti accosterai alla comunione, andrai a confessarti, ma senza sentimenti di pietà e di contrizione, diverrai come un corpo senz’anima, come un’anima senza spirito, come un legno duro ed insensato: il corpo languente aggraverà lo spirito che, desolato, non darà alcun sollievo al corpo languente. Ti eserciterai nelle opere di misericordia, praticherai gli esercizi di devozione, ma come per necessità e per abitudine, quasi fuor di te, come senza cuore, e ti sembrerà tempo perduto. Dove sono gli amorosi sospiri, dove le fervorose esclamazioni, dove gli ardenti desideri dei beni eterni, dove i teneri sentimenti, dove I’ardore della carità?

Crederai, ma come non credessi; spererai, ma come non sperassi; amerai Dio, ma come non lo amassi; e per compimento del tuo penare, ti riconoscerai inetto a vivere e non buono a morire: avrai a tedio la vita e temerai la morte. Non avrai nemmeno lo sfogo per poter piangere questa vita, che ti sembra una gran disgrazia.

Ah mio Dio! So che la mia volontà fermamente crede in Voi, e pare che vi manchi di fede. Sto certo, che Voi siete tutta la mia speranza, che mi proteggete sotto le ali della vostra protezione, e pure sembra mancarmi il cielo e la terra. Intendo, che non cerco altro, e non desidero altro, se nọn Voi, nonostante tutto sembra solo che da Voi fugga e mi allontani. So che mi amate: devo sperarlo, e lo spero! Nondimeno mi sembra, come se mi scacciaste da Voi!

Anima di Dio, non ti lagnare, non ti rattristare, non diffidare. Le tue pene, i tuoi travagli, le tentazioni, le desolazioni del tuo spirito non sono arrivati a tal segno; e pure non sai un poco soffrire per amore del tuo Gesù, che ha tanto sofferto per amor tuo. Ah questo malvagio amor proprio, che cerca sempre il suo comodo, vuol trovare il suo pascolo e star in possesso di sua proprietà; anche nelle opere più spirituali e più sante, quest’amor proprio è l’origine e la cagione di tanti disordini. Anima troppo delicata e sensibile, deh prega il Signore che ti rassodi, ti purifichi, e cambi le tue tenaci inclinazioni anche in ciò che ha l’apparenza di virtuoso e di buono: dove tanto maggiore è il pericolo, quanto l’inganno è più occulto. E quale maggior beneficio può darsi, che esser trattata dal caro Padre celeste come trattò il suo dilettissimo Unigenito Figliuolo, il quale lo caricò di dolori, lo sazio’ di obbrobri, lo annegò in un mare di pene?

L’amante Gesù tratta le anime sue dilette in quella maniera che egli fu trattato dal celeste suo Genitore. Croci ricevette, e croci dona a chi ama; ricevette spine, fiele, aceto, e di questi regali onora i suoi servi più cari e più fedeli. Fu Gesù crocifisso, morto e seppellito; e così, ancora vivi, ama veder crocifissi al mondo i suoi amatissimi eletti: mortificati nelle passioni, seppelliti a tutte le cose create, a tutto ciò che sa di terra e di amor proprio.

Eccoti, o anima, le visioni, le estasi, le rivelazioni, le profezie, le alte intelligenze, i doni sovrumani che devi desiderare, se vuoi esser perfetta: dico le spine, i chiodi, le pene, le desolazioni, le amarezze, i dolori, il fiele, l’aceto, e la croce del tuo Gesù. Alla croce abbracciati, nella croce riposa, la croce sia nel tuo cuore, né altro cercare che pene e croci in questa vita mortale. Ricordati che i forieri delle grandi misericordie di Dio, sono le grandi croci ed i molti travagli. Quando il Signore vuole esaltare molto l’anima, molto la umilia. Se desideri dolci lumi e soavi consolazioni di spirito, estasi, rivelazioni ed alte contemplazioni, sappi però, che a chi ben l’intende, basta la fede, il vangelo, e adempiere la volontà del suo Dio con l’abnegazione di sé stessa. La maggior grazia che possa fare il Signore alle anime, è fondarle appieno nelle vere e perfette virtù. In fede lo Sposo celeste sposò le anime amanti sue dilette, di cui sta scritto: “Ti fidanzerò con me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore” (Osea 2, 22). E ben si può dire d’ogni anima illuminata che cammini in viva fede, e tutte le opere sue siano nella fede appoggiate.

Resta dunque persuasa, che i gusti e le consolazioni del cielo non sono il tuo fine, ma mezzi per distaccare le anime dal mondo, dalle vanità, dalle creature, ed affezionarle a Dio, ed alle cose eterne. Chi appoggia il suo ben vivere in quei godimenti di spirito, e da quelli è mosso ad esercitare virtù sante, se quelli mancano, come sogliono mancare, ecco I’anima dissipata e l’edificio a terra. Laddove chi ben vive e santamente opera, col solo riguardo a Dio ed appoggiato nella fede, se ogni altra cosa vien meno, Dio è sempre lo stesso, e la sua santa fede non può mai mancare. Dunque, rimane sicura l’anima sempre ferma nel suo santo proposito e sempre risoluta nella carriera del divino volere.

Divinamente parlò il Padre Granata, quando disse: “La vita evangelica, ben considerata in ogni sua parte, altro non è che una continua croce”. E qual cosa poteva trovarsi di più convenevole al cristiano che una foggia di vita che sia tutta croce, come quella in cui visse e morì il Figliuolo di Dio? La croce dunque è il più conveniente rimedio alle nostre infermità. La vita cristiana è il fine delle fatiche e delle pene tollerate per noi da Cristo; sicché noi, seguendo le sue dottrine ed i suoi divini esempi, potessimo condurre vita grata e cara agli occhi di Dio. Dico, dunque, che la vera vita cristiana, non è quella che si pratica da chi attende a sollazzarsi ed a godere con la corrente del mondo, ma quella che condusse Gesù Cristo con i santi Apostoli, le cui fatiche, dolori, travagli e pene, furono così grandi che uno di loro disse: “Siamo divenuti spettacolo a Dio, agli angioli, ed agli uomini” (San paolo).

Da ciò ben può conchiudersi, come la vita del Vangelo è dolore, è croce: vita tessuta di tormenti, che affliggono I’anima e il corpo degli eletti di Dio. II Venerabile P. Avila così scrisse a Santa Teresa di Gesù: “Non è cosa nuova alla bontà del Signore, trasformare dei cattivi in buoni, e dei gran peccatori in grandi santi, con dar loro molti lumi e gusti celesti, come l’ho io stesso veduto. E chi vuol mettere limite alla bontà di Dio? Tanto più che queste consolazioni sensibili non si danno per merito, né per essere uno più virtuoso e più forte. Ma anzi, spesso, si donano ai più deboli e fiacchi; e come che quel godere non fa sempre I’anima più santa, non si dà perciò sempre ai più santi”.

Caro mio Dio, Voi siete stato, Voi siete, e Voi sarete tutta la ragione della mia speranza, l’unico oggetto degli impegni e desideri miei, quantunque oppresso mi vegga, ed annegato di pene, sotto la vostra meravigliosa mano che mi flagella. Sì, mio Signore, provveditore sapientissimo delle anime nostre, questa sia tutta la mia consolazione, vedermi in tale stato; purché non vi offenda e la vostra divina Maestà resti onorata, compiaciuta e glorificata nel mio penare. Ah, Padre celeste, forma sopra di me viva viva l’immagine del tuo caro divino Figliuolo. Fallo, Eterno Dio, per amor di Gesù Cristo, guarisci ad ogni costo quest’anima, purga i miei affetti disordinati, santifica le mie potenze, perfeziona le mie opere e azioni, attira a Te tutto me, tutto il mio cuore: sia pur col ferro, sia pur col fuoco, comunque a Te piace, purché tuo sia: Paratum cor meum, Deus, paratum cor meum.

O divina Sapienza, quanto sono profondi i vostri giudizi, quanto è ammirabile la vostra provvidenza, quanto amabile la vostra condotta! O me sconoscente ed ingrato! O me cieco, ed ignorante! Credevo, amato mio Signore, che fosse a Voi più cara quell’anima, la quale più godeva del vostro dolce e tenero amore, che era da Voi più soavemente trattata. Ed io mi ritenevo per aborrito e castigato dalla vostra giustizia, perchè mi sentivo duro, arido, desolato, atterrito, spasimante e trafitto da tali pene: chiamavo supplizi le vostre dolorose visite, e sembrava che odiaste in me i miei disordini. Ma ora alla luce di queste divine verità, ben mi accorgo del mio errore, conosco e confesso che le vostre più segnalate grazie, le finezze più sviscerate del vostro altissimo amore, sono nel caricare le anime di tribolazioni e di pene.

Infinita Bontà, infinita Misericordia, infinito Amore, sommo mio e vero Benefattore, io vi ringrazio, vi glorifico, vi benedico, e vi adoro. Quanto vi devo, amabile mio Dio, quanto vi devo! Eccomi tutto rassegnato nelle vostre mani, tutto pronto agli ordini della vostra adorabile provvidenza, disponete di me, come vi piace, fate di me quel che volete: mentre io altro non voglio, altro non desidero e non cerco, se non quello che voi ordinate; ed altro a me non piaccia in eterno, se non ciò che piace alla vostra Maestà. La vostra volontà sia tutta la regola del mio vivere, sia tutto il mio contento. Intanto mi assista con amore la vostra protezione, mi guidi la vostra direzione, mi conforti la vostra grazia: sicché forte e costante nelle pene, nelle desolazioni, nelle confusioni, nelle agonie, nella morte, non manchi la mia fede, non venga meno la mia speranza, non si rallenti il mio amore, non cessi il mio zelo, e sotto i colpi più dolorosi e più amari della vostra mano divina, canti lodi e ringraziamenti a voi, mio sommo Benefattore. Spero bensì, nell’immensa vostra pietà, se così a voi piace, che un giorno abbia ancor io cantar col Profeta, che l’abbondanza delle divine consolazioni riempirà di gioia e di contento I’anima mia, a misura della moltitudine dei miei dolori: “Quand’ero oppresso dall’angoscia, il tuo conforto mi ha consolato” (Salmo 93, 19).

Così sia sopra di me e sopra tutte le anime elette, amato Dio. Resta dunque, anima di Dio, cantando con quel divoto profeta, e dando fede e coraggio a te stesso: confortati nel Signore.

(Beato Gennaro Maria Sarnelli, da “L’anima desolata confortata a patir cristianamente” Napoli 1852)

LA PREGHIERA DEL PADRE NOSTRO SPIEGATA DA DON DOLINDO RUOTOLO: “Credere veramente in Dio, confidare in Lui come figli ed essergli amici per la Grazia: ecco il fondamento di ogni vera preghiera”

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-Il Padre Nostro-

“Padre”, ecco il modo come l’anima deve orientarsi a Dio. Non deve considerarlo col terrore superstizioso che avevano i pagani della divinità, espresso a volte dalle stesse forme dei loro idoli, né col timore servile dell’ebraismo di allora, che aveva deviato dallo spirito dei patriarchi; doveva riguardarlo come Padre, quindi come creatore di tutto e come proprio creatore, provvido ed amorosissimo.

Il padre naturale dà la vita al figlio amando, e la conserva amando, quando non è ridotto allo stato brutale dal vizio. Dio dà la vita per un atto della sua Volontà infinita che è Amore; e la conserva con la Provvidenza che è Amore; l’anima, dunque, prega confessando la realtà di Dio, il suo Amore e la sua Provvidenza, e confessandola in un atto di viva fede. Se non c’è questa fede che ci fa parlare a Dio come all’Essere infinitamente esistente, sapiente ed amante, se non si ha con Lui l’intimità filiale che viene dalla fede veramente e praticamente sentita e convinta, la preghiera non supera la nostra povera atmosfera e diventa più uno sfogo della propria impotenza, che una fiduciosa domanda fatta a Dio.

La vacuità di tante preghiere che facciamo sta proprio nella mancanza della fede vera in Dio. Molti, moltissimi, pregando hanno ancora lo spirito idolatrico; credono e non credono a Dio, lo ammettono e non lo ammettono, esitano nel loro cuore e, subcoscientemente, vorrebbero metterlo alla prova, come può mettersi alla prova, l’efficacia di una medicina.

“Padre, sia santificato il Nome tuo”. Ecco una seconda direttiva assolutamente necessaria alla nostra preghiera: considerare tutto alla luce della gloria di Dio e volere tutto secondo i fini della sua Volontà. A volte noi giungiamo alla stoltezza somma di volere imporre le nostre vedute e i nostri interessi umani al Signore, e rimaniamo, quindi, inetti ed impotenti, nell’ambito delle nostre povere forze. Quando l’anima crede veramente ed apprezza Dio per quello che è, domanda in piena sottomissione alle esigenze della gloria di Lui, che è diffusione di misericordia e di bene anche per noi.

Come potrebbe aversi il calore del sole sottraendosi ai suoi raggi, e pretendendo di ridurli nell’ambito della propria meschinità? Il trionfo della luce del sole, e quindi la rimozione degli ostacoli che ne impediscono la diffusione, è anche il conseguimento pieno del nostro desiderio di calore vivificante. Nell’orazione bisogna, dunque, dare a Dio il posto che gli spetta, e desiderare la vita a ciò che è necessario alla vita, unicamente per la sua Gloria e per il trionfo del suo Amore in noi, nella pienezza del suo Regno: “Venga il regno tuo”. Se si pondera veramente la meschinità delle nostre aspirazioni nella preghiera, volta tutta al compimento del nostro egoismo, e se si pensa che la massa del popolo ignora quasi completamente che cosa significhi amare Dio e desiderarne la gloria, non fa più meraviglia che tante preghiere rimangano nella nostra povera cerchia, e sono inesaudite.

Nel tracciarci la direttiva delle nostre preghiere, Gesù Cristo distingue nettamente le esigenze della vita dell’anima da quelle della vita del corpo nella nostra condizione naturale. Per questo il Pater noster ha due parti determinate: alla vita dell’anima è necessaria l’intimità filiale con Dio, per la Grazia che la rende sua figlia: “Padre”. In questa semplice parola c’è la sintesi stupenda delle elevazioni dell’anima negli splendori della Grazia, che la restaura, la santifica e la eleva. L’intimità con Dio è amore nelle sue molteplici gradazioni e sfumature e questo amore si sintetizza tutto nel desiderio di glorificare Dio e di farlo regnare nella propria vita ed in quella di tutti.

Noi, quindi, domandiamo a Dio lo stato di Grazia, l’amore verso di Lui, lo zelo per la sua Gloria, la santificazione delle anime ed il suo Regno in tutte nel dominio soavissimo dell’Amore. Tutte le grandi manifestazioni della vita della santità e della vita della Chiesa stanno in queste brevi e mirabili parole. Per la vita del corpo, ordinata a quella dello spirito, noi abbiamo bisogno dell’alimento e di tutto quello che serve all’ordine ed alla missione temporale della medesima vita: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”; abbiamo bisogno della pace, bene assolutamente imprescindibile da una vita che non sia concepita, come si fa oggi, quale esasperante tramestio di prepotenze e di oppressioni.

Ora la pace non è fuori dell’anima, e tanto meno può considerarsi come l’oppressione del più forte sul più debole; essa è tranquillità dell’ordine, e questa tranquillità viene dall’armonia della coscienza e da quella della carità: “Rimetti a noi i nostri peccati, come noi li rimettiamo ad ogni nostro debitore”. Siamo tutti miserabili, e nessuno può presumere di essere da più di un altro; ci confessiamo peccatori per avere il perdono e promettiamo perdono a quelli che ci fanno del torto. Così viene stroncato nella radice quello che disturba la pace.

Grazia di Dio in noi e carità verso il prossimo sono due beni spirituali dai quali dipende la tranquilla prosperità temporale della vita; i peccatori non hanno mai bene; anche quando satana si sforza di farli apparire prosperati, e dove manca la generosa carità, manca la benedizione di Dio. Satana sfrutta la posizione di alcuni (molto pochi in realtà rispetto alle masse), che, non essendo più capaci di beni eterni, raccolgono come tenue premio di qualche opera buona, i miseri beni temporali; egli li presenta come esseri felici nel male, ma è una menzogna anche in questi la pace, perché sono infelicissimi nel loro cuore ed è una menzogna maggiore il far credere od il supporre che il peccato porti la prosperità.

No, la massa dei peccatori sta in mille tribolazioni, e la massa dei prepotenti è infelicissima, perché è stretta dai rimorsi e dalle angustie interiori che tolgono loro la pace. Che cosa sono i beni temporali senza la pace? E come si può avere pace senza il perdono di Dio e senza la Grazia? Come poi si può avere la Grazia ed il perdono senza darlo a chi ci è debitore?

Quando la nostra preghiera per i beni temporali non sta su queste direttive precise è una preghiera vana; quando cioè non si domanda ciò che serve alla vita, e non più, e non lo si domanda nell’armonia della Grazia e della carità, la preghiera diventa vana, ed a volte può farci credere, per illusione diabolica, che produca anche l’effetto contrario. Quanti hanno l’anima piena di avidità, di odio, d’invidia e di peccati di ogni genere e domandano a Dio non ciò che serve al corpo per la vita dello spirito, ma ciò che serve al corpo per la vita materiale, e si lamentano poi di non essere esauditi!

Quanti hanno peccati impuri che disordinano la vita, anche occultamente e senza che nessuno lo sappia, e si lamentano della miseria corporale che ne è immediata conseguenza! Quanti sono spietati nel giudicare e più spietati nell’inveire contro il prossimo, e pretendono da questa bolgia far risuonare la loro preghiera nei cieli, dove tutto è armonia soavissima di carità!

La vita è una prova di pochi anni, nei quali dobbiamo meritarci, per la grazia di Dio, il premio eterno. Questa prova ci viene dalla condizione stessa nella quale viviamo e può venirci anche dalle insidie e dagli assalti di satana. C’è dunque un terzo elemento della nostra vita terrena: la difesa nei pericoli. Senza la difesa provvida che può venirci solo da Dio la vita dell’anima è travolta dalla colpa e la vita del corpo dalle sventure. Perciò Gesù Cristo ci fa domandare a Dio: “Non ci indurre in tentazione”, cioè non permettere che ci vinca la tentazione e, nel provarci, Tu donaci la forza di esserti fedeli, riducendo le prove a causa della nostra fragilità. È, in fondo, un atto di umiltà che ci concilia la misericordia di Dio, poiché è la confessione della nostra debolezza, in un atto di fiducia e di abbandono alla misericordia di Dio. Chi presume di sé, crede di poter affrontare i cimenti della vita ordinaria e quelli più ardui della santità, e può esserne vinto; ma chi è conscio della propria fragilità, domanda a Dio solo la Grazia di resistere alle prove e di non cadere, e lo supplica di attenuare quelle che per la nostra miseria potrebbero travolgerci.

Con quest’ultima domanda la direttiva della preghiera dataci da Gesù è completa: credere veramente in Dio, confidare in Lui come figli ed essergli amici per la Grazia; ecco il fondamento di ogni vera preghiera. Domandare i beni dell’anima, non come nostro appagamento egoistico, ma per rispondere al nostro fine, e quindi domandare la gloria di Dio ed il suo Regno, perché quei beni così si diffondono in noi. Qualunque domanda che prescinda dalla gloria di Dio e dal suo Regno in noi è sterile e può esserci di danno. Per la vita del corpo domandare il sostentamento necessario, il pane quotidiano, senza aggravarla di ingombri inutili, è domandare la pace, frutto della giustizia e della carità. Infine considerarsi fragili nelle prove che servono al conseguimento dell’etema vita è domandare a Dio la difesa e la conservazione della vita spirituale.

Come già si è accennato, Gesù Cristo nel dare agli apostoli le direttive di qualunque preghiera nella formula che loro insegnò, espresse in una sintesi mirabile quello che era la sua medesima vita di preghiera: Egli, Figlio di Dio, era venuto in terra per proclamare la divina paternità di adozione per tutti gli uomini, e per sollevare a Lui, verso le altezze dei Cieli, le sue creature: “Padre nostro che sei nei cieli”. Egli pregava per esaltare il nome di Dio e per far risuonare in terra, nella natura umana da Lui assunta, le lodi che dall’eternità dava al Padre: “Sia santificato il tuo Nome”.

Egli era venuto per stabilirne il Regno su tutte le creature, e proclamava questo Regno realizzandolo con la sua grande preghiera che doveva culminare nel sacrificio del Golgota: “Venga il tuo regno”. Egli stabiliva il regno di Dio nel pieno compimento dei disegni dell’infinito suo Amore, ossia della sua Volontà, ed implorava che questa Volontà amorosa fosse stata in terra il legame e l’armonia di tutte le attività umane per la Gloria divina, come in cielo era l’eterno legame del Padre e del Figlio: “Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra”. Egli, Figlio di Dio, dunque, si rivolgeva al Padre; Egli, gloria sua sostanziale lo glorificava e ne stabiliva il Regno trionfante, compiendo la sua Volontà, fatto obbediente fino alla morte ed amandolo nell’infinito Amore.

Essendo vero Uomo come era vero Dio, Egli, mediatore nostro e pellegrino della terra, domandava per noi anche i beni della vita mortale: il sostentamento, la pace e la difesa da ogni pericolo, ossia quella sobria prosperità che aiuta la vita ad orientarsi a Dio e non la rende povera lotta per i beni fugaci, confusione di contrasti ed irruenza di prepotenze brutali, misero zimbello di satana e vittima delle stesse prove che debbono orientarla al Signore. Era questa la grande preghiera della vita mortale di Gesù Cristo e logicamente Egli, uscendo da una di queste sue grandi elevazioni, al discepolo che in nome di tutti lo supplicò d’insegnare loro a pregare, dette una formula sublime di preghiera che era la sintesi della sua orazione, e la direttiva di tutte le nostre preghiere.

(Don Dolindo Ruotolo, da “Faccia a faccia con Gesù: meditazioni per la Quaresima e la vita spirituale” edizioni Mimep)

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Faccia a faccia con Gesù

LA PURIFICAZIONE DELL’ANIMA…IL FUOCO E LA FIAMMA DEL DIVINO AMORE: “Non si può immaginare ciò che l’anima soffre durante questa prova, che somiglia quasi ai tormenti del purgatorio” SAN GIOVANNI DELLA CROCE

Si noti bene: prima che il fuoco divino dell’amore s’introduca nella sostanza dell’anima e si unisca ad essa attraverso una purificazione totale e una purezza perfetta, la fiamma, che è lo Spirito Santo, ferisce l’anima, distruggendo e consumando le imperfezioni delle sue cattive abitudini. Questa è l’operazione dello Spirito Santo per predisporre l’anima all’unione divina e alla trasformazione amorosa in Dio. Infatti il medesimo fuoco d’amore, che in seguito si unirà all’anima per glorificarla, è quello che prima l’ha investita per purificarla. Ciò è quanto accade riguardo al fuoco: penetra il legno, ma prima lo avvolge e ferisce con le sue fiamme, essiccandolo e liberandolo dai suoi elementi eterogenei, fino a prepararlo con il suo calore, così che possa penetrarlo e assimilarlo. Gli spirituali chiamano questo procedimento via purgativa. In tale situazione l’anima soffre molto e avverte grandi pene spirituali, che si ripercuotono anche sui sensi, e per questo la fiamma diventa molto penosa.

In questo periodo di purificazione la fiamma non le apporta luce, ma la getta nelle tenebre. Se le dà qualche luce, è solo perché possa vedere e sentire le sue miserie e i suoi difetti. Non le procura soavità ma dolore; anche se talvolta le trasmette fervore d’amore, lo mescola a dolore e tormento. Non le offre nessuna consolazione, ma solo aridità; e se talvolta il Signore, per sua misericordia, le concede un po’ di gioia per darle forza e coraggio, prima o poi gliela fa scontare con altrettante prove. Non dà conforto né porta pace, ma consuma e rimprovera l’anima, facendola venir meno e tormentandola con la conoscenza di se stessa. Insomma, questa fiamma non le procura alcuna gloria, ma soltanto sofferenza e amarezza, inondandola di quella luce spirituale che le permette di conoscersi così com’è. Dio, nota Geremia, ha scagliato un fuoco e nelle mie ossa lo ha fatto penetrare (Lam 1,13); e Davide dice: Mi prova con il fuoco (Sal 16,3).

In questo periodo, dunque, l’anima sopporta nel suo intelletto profonde tenebre, grandi aridità e sofferenze nella volontà, amara conoscenza delle proprie miserie nella memoria, nella misura in cui il suo occhio spirituale, molto limpido, le permette la conoscenza di sé. Per di più l’anima soffre, nella sua stessa sostanza, abbandono ed estrema povertà; si sente arida e fredda, ma a tratti fervorosa; non trova sollievo in cosa alcuna, né un pensiero che la consoli o che elevi il suo cuore a Dio. Questa fiamma le è tanto dolorosa da farle dire rivolta a Dio, come Giobbe quando si trovò in una situazione simile: Sei diventato crudele verso di me (Gb 30,21). Quando l’anima soffre tutte queste cose insieme, le sembra veramente che Dio sia divenuto crudele e spietato con lei. Non si può immaginare ciò che l’anima soffre durante questa prova, che somiglia quasi ai tormenti del purgatorio.

Non saprei descrivere meglio questa sofferenza, fin dove arrivi o ciò che l’anima sente, se non con le parole pronunciate da Geremia a tale riguardo: Io sono l’uomo che ha provato la miseria sotto la sferza della sua ira. Egli mi ha minacciato, mi ha fatto camminare nelle tenebre e non nella luce. Solo contro di me egli ha volto e rivolto la sua mano. Egli ha consumato la mia carne e la mia pelle, ha rotto le mie ossa. Ha costruito sopra di me, mi ha circondato di veleno e di affanno. Mi ha fatto abitare in luoghi tenebrosi come i morti da lungo tempo. Mi ha costruito un muro tutt’intorno, perché non potessi più uscire; ha reso pesanti le mie catene. Anche se grido e invoco aiuto, egli rifiuta la mia preghiera. Ha sbarrato le mie vie con blocchi di pietra, ha ostruito i miei sentieri (Lam 3,1-9). Tutto questo e molto di più afferma Geremia nel testo citato.

Ora, poiché Dio impiega simili espedienti per curare e guarire l’anima dalle sue innumerevoli infermità e per darle la salute, è evidente che l’anima debba soffrire, a seconda delle sue malattie, sotto i colpi di tale purificazione e l’azione di questa cura. In questa situazione è simile a Tobia quando mise il cuore del pesce sulla brace per scacciare e far scomparire ogni genere di demoni (Tb 6,8). In tal modo vengono alla luce tutte le infermità dell’anima, dal momento che Dio gliele pone dinanzi agli occhi e gliele fa sentire per guarirla.

Così, ora, grazie alla luce e al calore del fuoco divino, l’anima vede e sente ormai quelle debolezze e miserie radicate e nascoste in sé, che prima non vedeva né sentiva. È un po’ come l’umidità contenuta nel legno: non la si nota finché il fuoco non attacca il legno, facendolo trasudare, fumigare e sprizzare scintille. Così si comporta l’anima imperfetta a contatto di questa fiamma. Oh, grande meraviglia! In questo periodo si sollevano nell’anima contrari contro contrari; quelli dell’anima contro quelli di Dio, che la investono; e, come dicono i filosofi, gli uni vogliono travolgere gli altri, si muovono guerra nell’unico campo che è l’anima, cercando questi di espellere quelli, e viceversa, per regnare incontrastati. Per dirla in altri termini, sono le virtù e le proprietà di Dio, estremamente perfette, che lottano contro le abitudini e le qualità che nell’anima sono estremamente imperfette; l’anima, dunque, subisce in sé questo combattimento.

Poiché questa fiamma è una luce intensissima, quando investe l’anima risplende nelle sue tenebre (Gv 1,5), anch’esse molto profonde. L’anima, allora, avverte le sue tenebre naturali e viziose, che si oppongono alla luce soprannaturale, ma non percepisce la luce soprannaturale perché non la possiede in sé, come invece le sue tenebre; però le tenebre non accolgono la luce (Gv 1,5). Per questo motivo l’anima sentirà le sue tenebre nella misura in cui sarà investita dalla luce, senza la quale non le potrebbe percepire. Ma solo quando la luce divina dissipa le tenebre, l’anima rimane illuminata e trasformata al punto di vedere la luce in sé, perché il suo occhio spirituale è stato purificato e rafforzato dalla luce divina. Una luce intensa è tenebra assoluta per occhi impuri e deboli, perché la sua potenza disturba ciò che è molto sensibile. Ciò spiega perché questa fiamma sia molto dolorosa per la vista dell’intelletto. (…)

Questa purificazione così intensa si verifica in poche anime, cioè solo in quelle che il Signore chiama all’unione più intima con lui. Difatti egli dispone la purificazione più o meno intensa per ciascun’anima, a seconda del grado a cui vuole elevarla e anche a seconda delle sue miserie e imperfezioni. Questa purificazione somiglia a un vero e proprio purgatorio. Difatti, come lì si purificano gli spiriti per poter arrivare alla chiara visione di Dio nell’altra vita, così qui, sulla terra, si purificano le anime per arrivare alla trasformazione in Dio per amore.

(San Giovanni della Croce, Dottore della Chiesa, da “Fiamma d’amor viva”)

GESÙ ALLA BEATA ALEXANDRINA MARIA DA COSTA: “Il dolore con l’amore fu e continua ad essere la salvezza delle anime” Il vero segreto della perfezione e dell’amore…

Beata Alexandrina Maria da Costa fotografada em 1939 – Foto: Reprodução

Il dolore accende nel cuore e nell’anima il fuoco più bruciante che produce una sete tanto struggente che solo in Gesù può essere saziata.

(Beata Alexandrina Maria da Costa)

Gesù è allietato, Gesù è consolato da coloro che soffrono salvando anime. Il dolore è la maggior prova d’amore di Gesù verso l’anima e dell’anima verso Gesù. Il dolore è la salvezza dei peccatori… Figlia mia, unisci il tuo dolore al mio, soavizzalo con l’amore del mio Cuore divino; io soavizzo il mio con il tuo. Tu mi ami e sei da me amata… Unite, o Gesù, al vostro amore i desiderii che io ho di amarvi; unite il mio dolore al vostro e utilizzate tutto per le anime…

Gesù esorta Alexandrina :

Soffri e dà amore. Il dolore e l’amore sono il trionfo di ogni combattimento. Coraggio! Il dolore, per le anime amanti della croce, è la vita reale, è la vera vita. Così è la tua, sposa fedele del mio Cuore divino… La tua vita è di amore, la tua vita è di purezza. Con l’amore, la purezza ed il dolore nascerà una generazione nuova, generazione pura, generazione casta, generazione di cuori infiammati d’amore per Me…

Sapessi tu il valore della tua sofferenza! II dolore rassegnato è potente; quando però è accompagnato dall’amore ad ogni croce e dall’amore più puro e forte al mio Cuore divino, come è il tuo, figlia mia amata, è tutto e tutto vince perché ha potere infinito. Sì, figlia mia, infinito perché sono io rivestito di te…

Nulla vi è che mi consoli e mi dia sollievo come il dolore, il dolore rassegnato, il dolore sofferto con gioia, perché è accompagnato dall’amore. Il dolore con l’amore fu e continua ad essere la salvezza delle anime… Il tuo dolore è vita, vita che dà vite; il tuo dolore è salvezza, salvezza, salvezza dell’umanità. Il tuo dolore mette in evidenza l’amore e ne dà tutta la prova. È nell’amore che ti voglio infiammata, è nel dolore che ti voglio immersa. Non negarmi queste armi che vincono il mondo; non negarmi la tua sofferenza!… Figlia mia, dove sta la croce, la vera croce, la croce reale, lì sta l’amore; e dove sta l’amore, sta Cristo.

Chi ama soffre, chi soffre è ricco; il dolore arricchisce, dà nobiltà al cuore e all’anima. Oh, se il mondo sapesse, oh, se le anime comprendessero il segreto, il vero segreto della perfezione e dell’amore! Oh, se il mondo sapesse, se le anime comprendessero il mezzo più facile per attrarre a sé le misericordie del Signore! Amare e soffrire; soffrire e amare: è il segreto della perfezione, è il più grande mezzo di salvezza…

Io ho fatto sì, figlia mia cara, che tu comprendessi i miei segreti: il dolore e l’amore. Io ho fatto e faccio che col dolore tu ti purifichi e con l’amore mi salvi le anime…

(in un’estasi pubblica): -Imparate, imparate da questo calvario! Imparate da Gesù che è puro, mansueto e umile di cuore. Imparate, imparate, figli miei, imparate ad amare, imparate a soffrire, imparate a portare la vostra croce! Io sono il Maestro, io sono il Modello che dovete imitare… (Alexandrina canta): -Nuotare nel Tuo amore, nuotare nel Tuo amore, è forza della croce, è forza della croce. Voglio amarti sempre, voglio amarti sempre, voglio sempre soffrire, sempre soffrire, sempre soffrire per Te, Gesù, per Te, Gesù!

Conclusione: Per sopportare il dolore bisogna spremersi in amore.

(Beata Alexandrina Maria da Costa, da “Figlia del dolore madre di amore” edizioni Mimep)

GIOVANNI TAULERO: Non devi scoraggiarti nella sofferenza né diffidare del cuore paterno, dicendo: “Dio mi ha dimenticato, Dio mi ha abbandonato”. Sappi che Dio castiga chi ama e flagella chi elegge per figlio.

-L’abbandono nella sofferenza è davanti a Dio come un’arpa che suona dolcemente in un soave tocco di corde-

Se ti agita qualche impazienza nelle tue sofferenze, resisti e sopportati. Come Cristo, il più perfetto di tutti gli uomini, che fu così scosso dalla sua imminente passione da dire nell’angoscia del suo cuore: «L’anima mia è triste sino alla morte. E cosa dirò io? Padre, salvami». Ah, come fu scosso il suo spirito, tanto da sprizzare nella sua agonia sudore di sangue! Così nel tuo patire devi raccogliere quanto rapidamente puoi le tue facoltà, rigenerare la sofferenza nella sua origine, essa è infatti scaturita dall’amore che è Dio, offrirla spiritualmente a Dio come un’oblazione dorata, elevarla umilmente al Padre e dire:

«O Padre di ogni paternità, io, tua povera e inferma figlia, ricevo oggi dalla tua mano paterna questa sofferenza come un nobile e prezioso dono d’amore. Padre amorevole, se devo bere il calice di questa sofferenza come un malato beve una pozione amara per vincere la sua malattia, sia fatta, Padre, la tua volontà e non la mia. Ma ti prego, dammi forza di sopportarla secondo la tua volontà, perché senza di te non posso nulla».

E quando fai questo, sappi che gli occhi dell’eterno e clementissimo Padre sono aperti e rivolti alle tue necessità, per aiutarti a tempo opportuno, se vuoi aspettare. Proprio come un padre non può sopportare a lungo il suo diletto figlio nelle angustie senza venire ad aiutarlo e paternamente ricrearlo nella sua sofferenza. Non devi scoraggiarti nella sofferenza né diffidare del cuore paterno, dicendo: “Dio mi ha dimenticato, Dio mi ha abbandonato”. Sappi che Dio castiga chi ama e flagella chi elegge per figlio (Eb 12,6).

Il Padre vide il Figlio suo sudare dolorosamente sangue, lo vide flagellare alla colonna, amaramente inaridire nelle pene sulla croce come fieno, o come un orrore nella sua ignominiosa passione, e per questo non lo amò di meno; gli era così caro sulla croce come oggi in cielo nel suo seno paterno. Allo stesso modo ne è stato di tutti i suoi cari amici i quali hanno dovuto patire tutti amaramente: gli uni furono bolliti, gli altri arrostiti, i terzi ridotti in polvere, i quarti inceneriti. Così è pure per te, o nobile anima. Se vuoi piacere particolarmente a Dio ed essere amata familiarmente da lui, devi pure accettare da lui in singolare carità una particolare sofferenza. Se persevererai sino alla fine, sarai perfetta e salva, come ha detto Cristo, la bocca stessa della verità.

L’abbandono nella sofferenza è davanti a Dio come un’arpa che suona dolcemente in un soave tocco di corde. Infatti sulle sue corde -cioè sulle facoltà dell’anima- modula un così dolce canto lo Spirito Santo in intima devozione, che le loro voci penetrano soavemente nelle orecchie del Padre celeste in un misterioso e interiore silenzio. In esso si ode un doppio canto su questa cetra: le corde grosse hanno un tono basso e le piccole un tono acuto; cioè quando le facoltà del corpo sono ricolme di sofferenza, si ode un canto basso. Ma le facoltà dell’anima, piene di devozione, cantano dolcemente nel volontario e paziente abbandono. E al di sopra di questo canto a doppia voce c’è lo Spirito Santo, maestro d’organo. Le facoltà dell’anima sono le piccole e grandi canne dell’organo, e i santi angeli calcano i mantici dell’organo: essi muovono l’aria spirituale della devozione nelle facoltà, così di frequente come lo Spirito Santo vuol modulare l’acuto canto della devozione interiore su queste facoltà dell’anima e del corpo.

O com’è soave il canto dello Spirito Santo! Chi lo sente gusta una gioia interiore ed angelica e un convito di nozze celesti, ed esso è in questo tempo il preludio dello Spirito Santo del puro gaudio che c’è lassù nell’eternità. (…)

In verità se Dio ti lascia senza molte sofferenze, non sei una delle sue più care regine. Qualunque anima vuol essere la prediletta regina dello Sposo eterno, deve diventarlo attraverso infuocate e ardenti afflizioni che penetrano bruciando l’interno midollo, che ti preparano proprio come la cera è preparata dal fuoco affinché diventi ricettiva di qualunque forma l’artista voglia imprimervi. Se il supremo artefice deve imprimere in te la forma della sua deliziosa, essenziale, eterna immagine, deve cadere senza alcun dubbio la tua vecchia immagine, e per la ragione propria di questa sublime trasformazione, devi deporre in tale operazione soprannaturale la tua vecchia forma.

È impossibile infatti per natura e pure per grazia che una cosa possa ricevere una nuova e nobile forma senza che sia rigettata la vecchia e vile forma. Ed a questo cambiamento della suddetta forma nella trasformazione dell’anima, Dio ha preordinato una pura preparazione attraverso sofferenze intensissime e toccanti le interiori midolla della vita. Qualunque anima il Padre celeste vuol altamente favorire, rapire e trasformare in maniera sublime, egli non suole lavarla lievemente, ma le fa il bagno, l’immerge e la sommerge nel mare dell’amarezza, come fece gettare in mare il profeta Giona. E Davide disse: «Signore, hai condotto sopra di me tutti i tuoi flutti». (…)

La sofferenza degli eletti non è sempre una sofferenza comune. È spesso una sofferenza così inaudita che Dio permette improvvisamente nei loro riguardi, che mai hanno pensato ad una cosa simile né mai ne hanno avuto sospetto. Fatti coraggio, anima nobile e sofferente: in tutta questa amarezza Cristo, l’eletto amico del tuo cuore tra mille, sa entrare a porte chiuse, cioè quando tutte le tue facoltà sono serrate per la durezza, e donarti una nuova e non sperimentata dolcezza. E la tua amarezza soffrila come il tuo inferno e il tuo purgatorio.

Un’anima infatti veramente pura, abbandonata e paziente se ne vola nuda e immacolata dalla bocca al cielo. Là mille anni sono più brevi di un giorno. Tu quindi non devi lasciar passare infruttuosamente nessuna sofferenza, ma devi dire nel tuo cuore : “Signore, ti offro la mia meritata benché involontaria sofferenza e la metto insieme alla tua santa Passione, affinché unita alla virtù di questa, diventi accetta al tuo Padre celeste, come la sofferenza del ladrone sulla croce divenne feconda nella tua Passione”.

Guardati nella sofferenza dal disordine. Un disordine infatti ne genera un altro, e il disordine rende l’animo burrascoso; e uno spirito disordinato è interiormente per l’anima una pena più grave della sofferenza esteriore. Sii perciò ordinato nella sofferenza, perché in tal modo Dio prepara i suoi eletti. E così quando essi non sentono che ripugnante sofferenza all’esterno e insopportabile amarezza all’interno, allora opera ulteriormente la grazia di Dio in virtù della Passione, e distacca e rade esteriormente la vecchia ruggine dei peccati, e monda e purifica interiormente l’anima dalla putrida muffa delle inclinazioni animalesche. E intanto lo spirito di Dio denuda la faccia dell’anima e la trasforma di chiarità in chiarità, finché dallo stesso Spirito del Signore non è trasformata nella sua stessa immagine.

(Giovanni Taulero, da le “Divine istituzioni del Dottore Illuminato”)

-TEMPO DI AVVENTO- MADRE CATHERINE MECTILDE DE BAR; DISPOSIZIONI PER FAR NASCERE GESÙ NELLE NOSTRE ANIME: “La prima è il vuoto in voi stessi delle creature. Nell’albergo non c’era posto per ospitare Gesù”

Non potendo dormire a causa della tosse insistente, penso desideriate che trascorra un quarto d’ora con voi in spirito per dirvi alcuni piccoli pensieri sulle disposizioni che la vostra anima deve avere per ricevere in sé la nascita di Gesù. (…)

La prima è il vuoto in voi stesse delle creature. Nell’albergo non c’era posto per ospitare Gesù. Le creature hanno occupato tutti i posti e gli interessi del nostro amor proprio sono stati anteposti all’accoglienza di Gesù e della sua santissima Madre. Se desiderate che Gesù venga a nascere in voi, fategli posto nel vostro cuore, svuotatelo di tutte le creature e dei vostri interessi. La stalla di Betlemme si trova vuota, Dio vi alloggia come nel suo palazzo e vi fa la sua entrata nel mondo.

La seconda disposizione è la fede. Gesù nasce nel mezzo della notte, nelle tenebre, senza altra luce di quella della divinità. Distaccatevi dai vostri sensi e dimorate nella fede, se volete ricevere la grazia di questo mistero. Bisogna essere nelle tenebre riguardo ai vostri sensi e al vostro spirito proprio, se volete ricevere la luce divina, e Gesù nascerà spiritualmente in voi.

La terza è il silenzio. Gesù è entrato nel mondo in un tempo di pace, in un’ora in cui tutte le creature erano immerse nel silenzio per indicarci che Lui è il Re della Pace, che ama il silenzio e che solo nella calma delle nostre passioni e potenze egli si comunica all’anima raccolta nella solitudine interiore, dove egli fa sentire la sua voce divina.

Quanto è felice l’anima che ordina così bene tutte le cose in se stessa, da far sì che il suo adorabile Signore la renda il luogo della sua nascita!

Ci sono tre tipi di silenzio che dobbiamo imparare e praticare secondo le nostre capacità:

-Primo: il silenzio delle nostre passioni che è una fedeltà attuale al rinnegamento di se stessi, in modo che le passioni mortificate non facciano più rumore.

-Secondo: il silenzio dei nostri sensi, che vorrebbero sempre vedere e sentire ciò che avviene. Questi fanno rumore e turbano il riposo di un’anima che deve consistere in una profonda attenzione a Dio. E’ per questo che bisogna farli tacere senza ascoltarli, ne metterci dalla loro parte.

-Terzo: il silenzio delle potenze della nostra anima, che devono essere annientate: – l’intelligenza deve essere in silenzio, senza ragionamenti superflui e produzioni inutili che procedono solo da una ricerca di se stessi. Deve restare in silenzio, contemplando Dio con rispetto; – la memoria deve essere in silenzio, non ricevendo volontariamente alcuna immagine o ricordo di creatura, restando semplificata alla presenza di Dio; – la volontà deve essere in silenzio, senza desideri, inclinazioni, senza ardore, costrizioni, priva di affetto e attacco a qualsivoglia cosa che non sia Dio solo. In una parola la più santa e migliore disposizione verso la quale la mia anima si sente più portata è la profonda morte in noi stesse, che chiamo il “vero annientamento”.

E’ questa santa disposizione che ha tratto il Verbo dal seno del suo divin Padre per farlo incarnare nel cuore verginale di Maria. Dio si è compiaciuto dell’umiltà della sua serva, della bassezza e del nulla nel quale la SS. Vergine era annientata al di sotto di tutte le cose. Un’anima immersa nel suo nulla rapisce lo sguardo di Dio e si può dire che egli ne resta talmente invaghito che dimentica la sua grandezza e coll’abbassarsi in lei l’innalza fino a Sé. Siate in una disposizione di vuoto, di silenzio, di fede e di annientamento perché solo Dio sia. O adorabile Gesù, nascete, vivete e regnate perfettamente in noi, e tutto quello che in noi vi è contrario sia perfettamente consumato dalla potenza del vostro amore divino.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

I SANTI e LA PREGHIERA : Perchè preghiamo?.. Perchè Dio nasca nell’anima e l’anima rinasca in Dio…Un essere tutto intimo, tutto raccolto ed uno in Dio: questa è la Grazia, questo significa “Iddio con te”.

“Certo bisogna imparare a pregare. E a pregare si impara pregando, come si impara a camminare camminando.”

S.Teresa d’Avila ha detto:

L’orazione mentale non è altro, per me, che un intimo rapporto di amicizia, un frequente trattenimento, da solo a solo, con Colui da cui sappiamo d’essere amati. (Vita 8,5)

… la porta per cui mi vennero tante grazie fu soltanto l’orazione. Se Dio vuole entrare in un’anima per prendervi le sue delizie e ricolmarla di beni, non ha altra via che questa, perché Egli la vuole sola, pura e desiderosa di riceverlo. (Vita 8,9)

Certo bisogna imparare a pregare. E a pregare si impara pregando, come si impara a camminare camminando.

…nel cominciare il cammino dell’orazione si deve prendere una risoluzione ferma e decisa di non fermarsi mai, né mai abbandonarla. Avvenga quel che vuole avvenire, succeda quel che vuole succedere, mormori chi vuole mormorare, si fatichi quanto bisogna faticare, ma piuttosto di morire a mezza strada, scoraggiati per i molti ostacoli che si presen-tano, si tenda sempre alla méta, ne vada il mondo intero. (Cammino di perfezione 21,4)

Pensate di trovarvi innanzi a Gesù Cristo, conversate con Lui e cercate di innamorarvi di Lui, tenendolo sempre presente. (Vita 12,2)

La continua conversazione con Cristo aumenta l’amore e la fiducia. (Vita 37,5)

Buon mezzo per mantenersi alla presenza di Dio è di procurarvi una sua immagine o pittura che vi faccia devozione, non già per portarla sul petto senza mai guardarla, ma per servirsene ad intrattenervi spesso con Lui ed Egli vi suggerirà quello che gli dovete dire.

Se parlando con le creature le parole non vi mancano mai, perché vi devono esse mancare parlando con il Creatore? Non temetene: io almeno non lo credo! (Cammino di perfezione 26,9)

Non siate così semplici da non domandargli nulla! (Cammino di perfezione 28,3)

Chiedetegli aiuto nel bisogno, sfogatevi con Lui e non lo dimenticate quando siete nella gioia, parlandogli non con formule complicate ma con spontaneità e secondo il bisogno. (Vita 12,2)

Cercate di comprendere quali siano le risposte di Dio alle vostre domande.Credete forse che Egli non parli perché non ne udiamo la voce? Quando è il cuore che prega, Egli risponde. (Cammino di perfezione 24,5)

A chi batte il cammino della preghiera giova molto un buon libro.

Per me bastava anche la vista dei campi, dell’acqua, dei fiori: cose che mi ricordavano il Creatore, mi scuotevano, mi raccoglievano, mi servivano da libri. (Vita 9,5)

Per molti anni, a meno che non fosse dopo la Comunione, io non osavo cominciare a pregare senza libro. (Vita 4,9)

E’ troppo bella la compagnia del buon Gesù per dovercene separare! E’ altrettanto si dica di quella della sua Santissima Madre. (Seste Mansioni 7,13)

… fate il possibile di stargli sempre accanto. Se vi abituerete a tenervelo vicino ed Egli vedrà che lo fate con amore e che cercate ogni mezzo per contentarlo, non solo non vi mancherà mai, ma, come suol dirsi, non ve lo potrete togliere d’attorno.

L’avrete con voi dappertutto e vi aiuterà in ogni vostro travaglio. Credete forse che sia poca cosa aver sempre vicino un così buon amico? (Cammino di perfezione 26,1)

Poiché Gesù vi ha dato un Padre così buono, procurate di essere tali da gettarvi fra le sue braccia e godere della sua compagnia.

E chi non farebbe di tutto per non perdere un tal Padre? Quanti motivi di consolazione! Li lascio alla vostra intuizione! In effetti, se la vostra mente si mantiene sempre tra il Padre e il Figlio, interverrà lo Spirito Santo ad innamorare la vostra volontà col suo ardentissimo amore. (Cammino di perfezione 27, 6-7)

Quelli che sanno rinchiudersi nel piccolo cielo della loro anima, ove abita Colui che la creò e che creò pure tutto il mondo, e si abituano a togliere lo sguardo e a fuggire da quanto distrae i loro sensi, vanno per buona strada e non mancheranno di arrivare all’acqua della fonte.

Essendo vicinissimi al focolare, basta un minimo soffio dell’intelletto perché si infiammino d’amore, già disposti come sono a ciò, trovandosi soli con il Signore, lontani da ogni oggetto esteriore. (Cammino di perfezione 28,5.8)

Per cominciare a raccogliersi e perseverare nel raccoglimento, si deve agire non a forza di braccia ma con dolcezza. Quando il raccoglimento è sincero, l’anima sembra che d’improvviso s’innalzi sopra tutto e se ne vada, simile a colui che per sottrarsi ai colpi di un nemico, si rifugia in una fortezza.

Dovete saper che questo raccoglimento non è una cosa soprannaturale, ma un fatto dipendente dalla nostra volontà e che noi possiamo realizzare con l’aiuto di Dio. (Cammino di perfezione 28,6; 29,4)

Sapevo benissimo di avere un’anima, ma non ne capivo il valore, né chi l’abitava, perché le vanità della vita mi avevano bendati gli occhi per non lasciarmi vedere.

Se avessi inteso, come ora, che nel piccolo albergo dell’anima mia abita un Re così grande, mi sembra che non l’avrei lasciato tanto solo…e sarei stata più diligente per conservami senza macchia. (Cammino di perfezione 28,11)

Non si creda che nuoccia al raccoglimento il disbrigo delle occupazioni necessarie.

Dobbiamo ritirarci in noi stessi, anche in mezzo al nostro lavoro, e ricordarci di tanto in tanto, sia pure di sfuggita, dell’Ospite che abbiamo in noi, per-suadendoci che per parlare con Lui non occorre alzare la voce. (Cammino di perfezione 29,5)

Il Signore ci conceda di non perdere mai di vista la sua divina presenza! (Cammino di perfezione 29,8)

Quando un’anima… non esce dall’orazione fermamente decisa a sopportare ogni cosa, tema che la sua orazione non venga da Dio. (Cammino di perfezione 36,11)

Quando un’anima si unisce così intimamente alla stessa misericordia, alla cui luce si riconosce il suo nulla e vede quanto ne sia stata perdonata, non posso credere che non sappia anch’essa perdonare a chi l’ha offesa.

Siccome le grazie ed i favori di cui si vede inon-data le appariscono come pegni dell’amore di Dio per lei, è felicissima di avere almeno qualche cosa per testimoniare l’amore che anch’ella nutre per lui. (Cammino di perfezione 36,12)

La preghiera non è qualcosa di statico, è un’amicizia che implica uno sviluppo e spinge a una trasformazione, a una somiglianza sempre più forte con l’amico. (da L’amicizia con Cristo, cap VII)

S.  Agostino ha detto:

“Nutri la tua anima con la lettura biblica: essa ti preparerà un banchetto spirituale”.

“La preghiera muore, quando il desiderio si raffredda”.

S. Tommaso d’Aquino ha detto:

“La preghiera non viene presentata a Dio per fargli conoscere qualcosa che Egli non sa, ma per spingere verso Dio l’animo di chi prega.”

S. Girolamo ha detto:

“Chi è assiduo nella lettura della Parola di Dio, quando legge si affatica, ma in seguito è felice perché gli amari semi della lettura producono in lui i dolci frutti.”

“Studiamo ora che siamo sulla terra quella Realtà la cui conoscenza resterà anche quando saremo in cielo”.

“Preghi? Sei tu che parli allo Sposo. Leggi? E’ lo Sposo che parla a te”.

S. Ignazio di Loyola ha detto:

“Pregare è seguire Cristo che va tra gli uomini, quasi accompagnandolo”.

S. Caterina da Bologna ha detto:

La preghiera è l’estatica contemplazione dell’ Altissimo, nella sua infinita bellezza e bontà: uno sguardo semplice e amoroso su Dio”.

S. Giovanni Crisostomo ha detto:

“L’uomo che prega ha le mani sul timone della storia”.

S. Giovanni Damasceno ha detto:

“La preghiera è un’elevazione della mente a Dio”.

S. Ignazio d’Antiochia ha detto:

Procurate di riunirvi più frequentemente per il rendimento di grazie e per la lode a Dio. Quando vi radunate spesso le forze di satana sono annientate ed il male da lui prodotto viene distrutto nella concordia della vostra fede.

S. Bernardo di Chiaravalle ha detto:

“I tuoi desideri gridino a Dio. la preghiera è una pia tensione del cuore verso Dio.”

Tertulliano ha detto:

L’unico compito della preghiera è richiamare le anime dei defunti dallo stesso cammino della morte, sostenere i deboli, curare i malati, liberare gli indemoniati, aprire le porte del carcere, sciogliere le catene degli innocenti. Essa lava i peccati, respinge le tentazioni, spegne le persecuzioni, conforta i pusillanimi, incoraggia i generosi, guida i pellegrini, calma le tempeste, arresta i malfattori, sostenta i poveri, ammorbidisce il cuore dei ricchi, rialza i caduti, sostiene i deboli, sorregge i forti. (L’orazione, cap. 29)

Charles de Focauld ha detto:

“Bisogna lodare Dio. Lodare è esprimere la propria ammirazione e nello stesso tempo il proprio amore, perchè l’amore è inseparabilmente unito ad un’ammirazione senza riserve.

Dunque, lodare significa struggersi ai suoi piedi in parole di ammirazione e d’amore. Significa ripetergli che Egli è infinitamente perfetto, infinitamente amabile, infinitamente amato.

Significa dirgli che Egli è buono e che l’amiamo”.

Maestro Eckhart ha detto:

“Perchè preghiamo?.. Perchè Dio nasca nell’anima e l’anima rinasca in Dio…Un essere tutto intimo, tutto raccolto ed uno in Dio: questa è la Grazia, questo significa “Iddio con te”.

Detti dei Padri del deserto:

L’importanza della preghiera del mattino

Non appena ti levi dopo il sonno, subito, in primo luogo, la tua bocca renda gloria a Dio e intoni cantici e salmi, poiché la prima preoccupazione, alla quale lo Spirito si apprende fin dall’aurora, esso continua a macinarla, come una mola, per tutto il giorno, sia grano sia zizzania. Perciò sii sempre il primo a gettar grano, prima che il nemico getti la zizzania.

Pregare prima di ogni cosa

Un anziano diceva: “Non far nulla senza pregare e non avrai rimpianti”

Detti di S. Isidoro

“Chi vuole essere sempre unito a Dio, deve pregare spesso e leggere spesso, perché nella preghiera siamo noi che parliamo a Dio, ma nella lettura della Bibbia è Dio che parla a noi”.

“Tutto il progresso spirituale si basa sulla lettura e sulla meditazione: ciò che ignoriamo, lo impariamo con la lettura; ciò che abbiamo imparato, lo conser-viamo con la meditazione.”

“La lettura della Bibbia ci procura un duplice vantaggio: istruisce la nostra intelligenza e ci introdu-ce all’amore per Iddio distogliendoci dalle cose vane.”

“Nessuno può capire il senso della Bibbia, se non acquista consuetudine e familiarità con essa mediante la lettura”.

Detti di S. Pacomio

Mettiamo freno all’effervescenza dei pensieri che ci angosciano e che salgono dal nostro cuore come acqua in ebollizione, leggendo le Scritture e ruminandole incessantemente…e ne sarete liberati .

Detti di Arisitide l’Apologeta

“E’ per la preghiera dei cristiani che il mondo sta in piedi”.

Detti di Evagrio Pontico

“La preghiera è sorgente di gioia e di grazia”.

“Quando, dedicandoti alla preghiera, sei giunto al di sopra di ogni altra gioia, allora veramente hai trovato la preghiera.

Detti di Giovanni Climaco

“La preghiera è sostegno del mondo, riconciliazione con Dio, misura del progresso spirituale, giudizio del Signore prima del futuro giudizio”.

Detti di Barsanufio

“Anche tu, mentre resti tra gli uomini, aspettati tribolazioni, rischi e urti alla sensibilità. Ma se raggiungi il porto del silenzio, per te preparato, non avrai più paura”

“Osserva, fratello, quanto siamo meschini: parliamo soltanto con le labbra e le nostre azioni mostrano che siamo differenti da ciò che diciamo”

“Evita la collera quanto puoi, non giudicare nessuno e specialmente quelli che ti mettono alla prova. Pensandoci bene, capirai che sono loro che ti conducono alla maturità”

“Mi hai scritto chiedendo che pregassi per i tuoi peccati. Ti dirò la stessa cosa: Prega per i miei”

San Giovanni Crisostomo: “La preghiera è luce dell’anima, vera conoscenza di Dio, mediatrice tra Dio e l’uomo” “Essa è un desiderare Dio, un amore ineffabile che non proviene dagli uomini, ma è prodotto dalla grazia divina”

La preghiera è luce per l’anima – San Giovanni Crisostomo

La preghiera, o dialogo con Dio, è un bene sommo. È, infatti, una comunione intima con Dio. Come gli occhi del corpo vedendo la luce ne sono rischiarati, così anche l’anima che è tesa verso Dio viene illuminata dalla luce ineffabile della preghiera. Deve essere, però, una preghiera non fatta per abitudine, ma che proceda dal cuore. Non deve essere circoscritta a determinati tempi od ore, ma fiorire continuamente, notte e giorno.

Non bisogna infatti innalzare il nostro animo a Dio solamente quando attendiamo con tutto lo spirito alla preghiera. Occorre che, anche quando siamo occupati in altre faccende, sia nella cura verso i poveri, sia nelle altre attività, impreziosite magari dalla generosità verso il prossimo, abbiamo il desiderio e il ricordo di Dio, perché, insaporito dall’amore divino, come da sale, tutto diventi cibo gustosissimo al Signore dell’universo. Possiamo godere continuamente di questo vantaggio, anzi per tutta la vita, se a questo tipo di preghiera dedichiamo il più possibile del nostro tempo.

La preghiera è luce dell’anima, vera conoscenza di Dio, mediatrice tra Dio e l’uomo. L’anima, elevata per mezzo suo in alto fino al cielo, abbraccia il Signore con amplessi ineffabili. Come il bambino, che piangendo grida alla madre, l’anima cerca ardentemente il latte divino, brama che i propri desideri vengano esauditi e riceve doni superiori ad ogni essere visibile.

La preghiera funge da augusta messaggera dinanzi a Dio, e nel medesimo tempo rende felice l’anima perché appaga le sue aspirazioni. Parlo, però, della preghiera autentica e non delle sole parole.

Essa è un desiderare Dio, un amore ineffabile che non proviene dagli uomini, ma è prodotto dalla grazia divina. Di essa l’Apostolo dice: Non sappiamo pregare come si conviene, ma lo Spirito stesso intercede per noi con gemiti inesprimibili (cfr. Rm 8, 26b). Se il Signore dà a qualcuno tale modo di pregare, è una ricchezza da valorizzare, è un cibo celeste che sazia l’anima; chi l’ha gustato si accende di desiderio celeste per il Signore, come di un fuoco ardentissimo che infiamma la sua anima.

Abbellisci la tua casa di modestia e umiltà mediante la pratica della preghiera. Rendi splendida la tua abitazione con la luce della giustizia; orna le sue pareti con le opere buone come di una patina di oro puro e al posto dei muri e delle pietre preziose colloca la fede e la soprannaturale magnanimità, ponendo sopra ogni cosa, in alto sul fastigio, la preghiera a decoro di tutto il complesso. Così prepari per il Signore una degna dimora, così lo accogli in splendida reggia. Egli ti concederà di trasformare la tua anima in tempio della sua presenza.

Dalle Omelie di san Giovanni Crisostomo, vescovo (Om. 6 sulla preghiera; PG 64, 462-466)

Dio Padre rivela a Santa Caterina da Siena: “La gloria dei Beati e dei Santi in Paradiso!” “Oh, quanto diletto provano nel vedere me, che sono ogni bene!”

Tratto dal Dialogo della divina Provvidenza: le rivelazioni di Dio Padre a Santa Caterina da Siena

 

CAPITOLO 41

La gloria dei beati.

Parla Dio Padre:

“Anche l’anima giusta che finisce la vita in affetto di carità ed è legata a Dio nell’amore, non può crescere in virtù, poiché viene a mancare il tempo di quaggiù, ma può sempre amare con quella dilezione che la porta a Me, e con tale misura le viene misurato il premio. Sempre mi desidera e sempre mi ama, onde il suo desiderio non è vuoto; ma sebbene abbia fame, è saziato, e saziato ha fame; e tuttavia è lungi il fastidio della sazietà, come è lungi la pena della fame.

Nell’amore i beati godono dell’eterna mia visione, partecipando ognuno, secondo la sua misura, di quel bene, che io ho in me medesimo. Con quella misura d’amore con la quale sono venuti a me, con essa viene loro misurato. Essi sono rimasti nella mia carità ed in quella del prossimo; sono stati insieme uniti nella carità comune ed in quella particolare, che esce pure da una medesima carità.

Godono ed esultano, partecipando l’uno del bene dell’altro con l’affetto della carità, oltre al bene universale, che essi hanno tutti insieme. Godono ed esultano cogli angeli, coi quali sono collocati i santi, secondo le diverse e varie virtù, che principalmente ebbero nel mondo, essendo tutti legati nel legame della carità. Hanno poi una partecipazione singolare di bene con coloro coi quali si amavano strettamente d’amore speciale nel mondo, col quale amore crescevano in grazia, aumentando la virtù. L’uno era cagione all’altro di manifestare la gloria e lode del mio nome, in sé e nel prossimo. Nella vita eterna non hanno perduto questo affetto, ma l’hanno aggiunto al bene generale, partecipando più strettamente e con più abbondanza l’uno del bene dell’altro.

Non vorrei però che tu credessi che questo bene partico­lare, di cui ti ho parlato, l’avessero solo per sé: non è così, ma esso è partecipato da tutti quanti i gustatori, che sono i cittadini del cielo, i miei figli diletti, e da tutte le creature angeliche. Quando l’anima giunge a vita eterna, tutti parteci­pano del bene di quell’anima, e l’anima del bene loro. Non è che il vaso di ciascuno possa crescere, né che abbia bisogno di empirsi, poiché è pieno e quindi non può crescere; ma hanno un’esultanza, una giocondità, un giubilo, un’allegrezza, che si ravvivano in loro, per quanto sono venuti a conoscere di quell’anima. Vedono che per mia misericordia ella è tolta alla terra con la pienezza della grazia, e così esultano in me per il bene che quell’anima ha ricevuto dalla mia bontà.

E quell’anima gode pure in me, nelle altre anime, e negli spiriti beati, vedendo e gustando in loro la bellezza e dolcez­za della mia carità. I loro desideri gridano sempre dinanzi a me per la salvezza di tutto quanto il mondo. Poiché la loro vita finì nella carità dei prossimo, non hanno lasciata questa carità, ma sono passati con essa per la porta del mio Unige­nito Figliuolo, nel modo che ti dirò più sotto. Vedi dunque che essi restano con quel legame dell’amore, col quale finì la loro vita: esso resta e dura per tutta l’eternità.

Sono tanto conformi alla mia volontà, che non possono volere se non quello che io voglio; poiché il loro libero arbi­trio è legato per siffatto modo col legame della carità che, quando viene meno il tempo di questa vita alla creatura, che ha in sé ragione e che muore in stato di grazia, essa non può più peccare. Ed è tanto unita la sua volontà alla mia che, se il padre o la madre vedessero il figliolo nell’inferno, o il figlio ci vedesse la madre, non se ne curerebbero; anzi sono contenti di vederli puniti come miei nemici. In nessuna cosa si scordano di me; i loro desideri sono appagati. Desiderio dei beati è di vedere trionfare il mio onore in voi viandanti, che siete pellegrini in questa terra e sempre correte verso il termine della morte. Nel desiderio del mio onore bramano la vostra salute, e perciò sempre mi pregano per voi. Un tale desiderio è sempre adempiuto per parte mia, se voi ignoranti non recalcitraste contro la mia misericordia.

Hanno ancora il desiderio di riavere la dote della loro anima, che è il corpo; questo desiderio non li affligge al presente, ma godono per la certezza che hanno di vederlo appagato: non li affligge, perché, sebbene ancora non abbiano il corpo, tuttavia non manca loro la beatitudine, e perciò non risentono pena. Non pensare che la beatitudine del corpo, dopo la resurre­zione, dia maggiore beatitudine all’anima. Se fosse così, ne ver­rebbe che i beati avrebbero una beatitudine imperfetta, fino a che non riprendessero il corpo; cosa impossibile, perché in loro non manca perfezione alcuna. Non è il corpo che dia beatitudine all’anima, ma sarà l’anima a dare beatitudine al corpo; darà della sua abbondanza, rivestendo nel dì del giudizio la propria carne, che aveva lasciato in terra.

Come l’anima è resa immortale, ferma e stabilita in me, così il corpo in quella unione diventa immortale; perduta la gravezza della materia, diviene sottile e leggero. Sappi che il corpo glorificato passerebbe di mezzo a un muro. Né il fuoco né l’acqua potrebbero nuocergli, non per virtù sua ma per virtù dell’anima, la quale virtù è mia, ed è stata data a lei per grazia e per quell’amore ineffabile col quale la creai a mia immagine e somiglianza. L’occhio del tuo intelletto non è sufficiente a ve­dere, né l’orecchio a udire, né la lingua a narrare, né il cuore a pensare, il bene loro.

Oh, quanto diletto provano nel vedere me, che sono ogni bene! Oh, quanto diletto avranno, allorché il loro corpo sarà glorificato! E sebbene manchino di questo bene fino al giorno del giudizio universale, non hanno pena, perché l’anima è piena di felicità in se stessa. Una tale beatitudine sarà poi partecipata al corpo, come ti ho spiegato.

Ti parlavo del bene, che ritrarrebbe il corpo glorificato nell’Umanità glorificata del mio Figlio Unigenito, la quale dà a voi certezza della vostra resurrezione. Esultano i beati nelle sue piaghe, che sono rimaste fresche; sono conservate nel suo corpo le cicatrici, che continuamente gridano a me, sommo ed eterno Padre, misericordia. Tutti si conformano a lui in gaudio e giocondità, occhio con occhio, mano con mano, e con tutto il corpo del dolce Verbo, mio Figlio. Stando in me, starete in lui, poiché egli è una cosa sola con me; ma l’occhio del vostro corpo si diletterà nell’Umanità glorificata del Verbo Unigenito mio Figlio. Perché questo? Perché la loro vita finì nella dilezione della mia carità, e perciò dura loro eternamente.

Non possono guadagnare alcun nuovo bene, ma si godono quello che si sono portato, non potendo fare alcun atto meritorio, perché solo in vita si merita e si pecca, secondo che piace al libero arbitrio della vostra volontà. Essi non aspettano con timore, ma con allegrezza, il giudizio divino; e la faccia del mio Figlio non parrà loro terribile, né piena d’odio, perché sono morti nella carità, nella dilezione di me e nella benevolenza del prossimo. Così tu comprendi come la mutazione della faccia non sarà in lui, quando verrà a giudicare con la mia maestà, ma in coloro che saranno giudicati da lui. Ai dannati apparirà con odio e con giustizia; ai salvati, con amore e misericordia.”

(Dal Dialogo della divina provvidenza, Santa Caterina da Siena)

San Gregorio magno: “Colui che ama veramente Dio, ne osserva i comandamenti, e Dio entra nel suo cuore e vi rimane, perché l’amor di Dio riempie talmente il suo cuore, che al tempo della tentazione, non si muove” «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23)

Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23)

 

San Gregorio magno, Papa e Dottore della Chiesa:

Lo Spirito Santo stesso è amore. Perciò Giovanni dice: “Dio è amore” (1Gv 4,8). Chi con tutto il cuore cerca Dio, ha già colui che ama. E nessuno potrebbe amare Dio, se non possedesse colui che ama. Ma, ecco, se a uno di voi si domandasse se egli ami Dio, egli fiduciosamente e con sicurezza risponderebbe di sì. Però a principio della lettura avete sentito che la Verità dice: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola” (Gv 14,23). La prova dell’amore è l’azione. Perciò Giovanni nella sua epistola dice: “Chi dice di amar Dio, ma non ne osserva i precetti, è bugiardo” (1Gv 4,20). Allora veramente amiamo Dio, quando restringiamo il nostro piacere a norma dei suoi comandamenti. Infatti chi corre ancora dietro a piaceri illeciti, non può dire d’amar Dio, alla cui volontà poi contraddice.

«Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23). Pensate che festa, fratelli carissimi; avere in casa Dio! Certo, se venisse a casa vostra un ricco o un amico molto importante, voi vi affrettereste a pulir tutto, perché nulla ne turbi lo sguardo. Purifichi, dunque, le macchie delle opere, chi prepara a Dio la casa nella sua anima. Ma guardate meglio le parole: “Verremo e metteremo casa presso di lui”. In alcuni, cioè, Dio vi entra, ma non vi si ferma, perché questi, attraverso la compunzione, fanno posto a Dio, ma, al momento della tentazione, si dimenticano della loro compunzione, e tornano al peccato, come se non l’avessero mai detestato. Invece colui cha ama veramente Dio, ne osserva i comandamenti, e Dio entra nel suo cuore e vi rimane, perché l’amor di Dio riempie talmente il suo cuore, che al tempo della tentazione, non si muove. Questo, allora, ama davvero, poiché un piacere illecito non ne cambia la mente. Tanto più uno si allontana dall’amore celeste quanto più s’ingolfa nei piaceri terrestri. Perciò è detto ancora: “Chi non mi ama, non osserva i miei comandamenti”(Gv 14,24). Rientrate in voi stessi, fratelli; esaminate se veramente amate Dio, ma non credete a voi stessi, se non avete la prova delle azioni. Guardate se con la lingua, col pensiero, con le azioni amate davvero il Creatore. L’amor di Dio non è mai ozioso. Se c’è, fa cose grandi; se non ci sono le opere, non c’è amore.

“E le parole che avete udito, non son mie, ma del Padre che mi ha mandato” (Gv 14,24). Sapete, fratelli, che chi parla è il Verbo del Padre, perché il Figlio è Verbo del Padre.

“Lo Spirito Santo Paraclito, che il Padre manderà nel mio nome, v’insegnerà tutto e vi ricorderà tutto quello che vi ho detto” (Gv 14,26). Sapete quasi tutti che la parola greca Paraclito, significa avvocato o consolatore. E lo chiama avvocato, perché interviene presso il Padre in favore dei nostri delitti. Di questo stesso Spirito poi giustamente si dice: “V’insegnerà ogni cosa”, perché se lo Spirito non è vicino al cuore di chi ascolta, il discorso di chi insegna, non ha effetto.»

(da San Gregorio Magno, Papa, Omelie sui Vangeli, 30,1)

 

“La via del Signore si dirige al cuore quando si ascolta umilmente la predicazione della verità; la via del Signore si dirige al cuore, quando la vita si uniforma ai comandi di Dio. Per questo sta scritto: <<Se uno mi ama, osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà, e verremo a lui e dimoreremo in lui>> (Gv 14,23).

Chiunque monta in superbia, chiunque arde del fuoco di avarizia, chiunque si macchia con le lordure della lussuria, chiude la porta del cuore dinanzi alla verità, pone i serrami dei vizi all’entrata dell’anima, per impedire l’ingresso del Signore.”

(San Gregorio Magno, Papa e Dottore della chiesa, Omelie sui vangeli, VII , pag. 90)

 

STUPENDA OMELIA -VI DOMENICA DI PASQUA-

di Padre Mariano Pellegrini (dei Francescani dell’ Immacolata)

 

“Dio ci ama a tal punto da voler rimanere sempre con noi. Egli non si disinteressa delle sue creature. Con la sua grazia, Egli entra nell’anima come il sole entra attraverso il vetro e illumina l’interno di una stanza. Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo prendono dimora nel nostro cuore e noi, pertanto, diveniamo tempio della Santissima Trinità. Non c’è più distanza tra noi e Dio. Dio è in cielo e in terra, e anche nel nostro cuore, se accettiamo che Egli abiti dentro di noi, se noi lo amiamo. Gesù ce lo dice chiaramente nel Vangelo di oggi: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23).
Questo ci insegna che non siamo mai soli, se veramente vogliamo amare Dio. La vita del cristiano è una vita di comunione con Colui che ci ha creati e ci ha redenti. Anzi, diciamo di più: quanto più ci sembra di essere soli, tanto più siamo vicini al nostro Dio. Egli non fa sentire la sua presenza del chiasso e nel frastuono, ma solamente nel silenzio e nella solitudine. Questa certezza ci deve spingere a cercare, nel corso della giornata, dei momenti da dedicare a questa presenza silenziosa e misteriosa. Quando preghiamo, chiudiamo la porta della nostra stanza, chiudiamo i nostri occhi, e pensiamo che Dio è dentro di noi. Parliamogli con grande familiarità e Lui ci ispirerà sempre qualche buon proposito. Sarà soprattutto nel momento della prova che sperimenteremo la sua presenza benefica: quanto più si sarà lontani dagli aiuti umani, tanto più saremo vicini all’aiuto divino.
Il fatto, purtroppo, è che, quando preghiamo, siamo molto distratti. La nostra preghiera si riduce a una ripetizione superficiale di parole, alle quali nemmeno pensiamo. Per pregare bene, dobbiamo pensare innanzitutto che Dio è presente in noi e dobbiamo porre attenzione al senso delle parole che pronunciamo. Allora, e solo allora, la nostra preghiera non rimarrà mai senza effetto: od otterrà quello che domandiamo, oppure ci procurerà qualcosa di ancora più grande.
Dio in me e io in Lui! Certo, con un Ospite così vivo e così grande, badiamo bene di non sfigurare. Pensiamo spesso che Dio ci vede, che Dio è nel nostro cuore. Pertanto non dobbiamo offendere questa presenza in noi con il peccato. C’è, infatti, una condizione affinché Dio dimori in noi: dobbiamo amarlo. E lo ameremo veramente solo se osserveremo la sua parola, oppure, se non lo abbiamo fatto per il passato, se ci impegneremo ad osservarla. Anche queste sono parole di Gesù: «Chi non mi ama, non osserva le mie parole» (Gv 14,24). Se si ama veramente Dio, non costerà fatica fare la sua Volontà, osservare i suoi Comandamenti d’amore. Solo se faremo così, godremo della pace che Gesù è venuto a portare su questa terra. Altrimenti, nei nostri cuori, nelle nostre famiglie e nella società umana, vi sarà sempre guerra e divisione.
Il Vangelo di oggi ci parla inoltre del Paraclito, ovvero dello Spirito Santo. Paraclito significa Consolatore. Egli consola i nostri cuori nelle prove della vita e ci fa assaporare, nel segreto della preghiera, quella che sarà la gioia senza fine del Paradiso. Lo Spirito Santo è il santificatore della nostra anima. Il Padre lo ha inviato su questa terra nel giorno di Pentecoste. Nel brano del Vangelo di oggi, Gesù dice che il Paraclito ci insegnerà ogni cosa e ci ricorderà tutto ciò che Gesù ha insegnato (cf Gv 14,26).
Bisogna dunque pregarlo. Ci avviciniamo ormai alla sua festa. Proponiamoci fin d’ora di invocare la sua discesa nei nostri cuori, affinché Egli ci arricchisca con i suoi Sette Doni e ci faccia comprendere sempre di più le parole di Gesù.”