“NOI SIAMO DIVENTATI CRISTO” Beato Columba Marmion

“NOI SIAMO DIVENTATI CRISTO”

Oh! Se avessimo fede in queste verità! Se comprendessimo ciò che significa per noi l’essere entrati, per mezzo del battesimo, nella Chiesa Cattolica! L’essere, per mezzo della Grazia, membra del Corpo Mistico di Cristo!

Dice Sant’Agostino: “Rallegriamoci, noi siamo diventati non soltanto cristiani, ma Cristo”.

Capite, fratelli miei, la Grazia di Dio su di noi? Trasaliamo di allegrezza, noi siamo diventati Cristo; Lui la testa, noi le membra.

Che cos’è la testa e che cosa sono le membra? Cristo e la Chiesa. Cristo, per mezzo del suo Santo Apostolo Paolo, disse: “Voi siete il corpo di Cristo e le sue membra”.

Sì, ringraziamo Gesù Cristo di associarci così intimamente alla Sua Vita. Tutto ci è comune con Lui: meriti, interessi, beni, beatitudine, gloria.

Restiamo dunque delle membra vive che non condannino se stesse, con il peccato mortale, a diventare membra morte. Ma siamo piuttosto con la Grazia che viene da Cristo, con le nostre virtù modellate sulle Sue, con tutta la nostra santità, che è soltanto una partecipazione alla Sua, delle membra piene di Vita e di Bellezza soprannaturale, delle membra di cui Cristo possa gloriarsi, delle membra, che facciano degnamente parte di quella società che Egli ha voluto: “Senza ruga, né macchia, ma santa ed immacolata”.

E poiché “noi tutti siamo uno in Cristo”, poiché sotto un medesimo Capo, Cristo, noi viviamo tutti della stessa Vita di Grazia, sotto l’azione di uno stesso Spirito, benché siamo tutte membra aventi ognuna una funzione diversa, restiamo uniti tra noi; uniti pure con tutte le anime sante che – in Cielo, membra gloriose; in Purgatorio, membra sofferenti – formano con noi un solo corpo. È questo il dogma tanto consolante della Comunione dei Santi.

Per San Paolo, i “Santi” sono coloro che appartengono a Cristo, sia che, avendo ricevuto la corona in Paradiso, abbiano già il loro posto nel Regno Eterno, sia che combattano ancora quaggiù. Ma tutte queste membra appartengono ad un solo Corpo, poiché la Chiesa è una. Esse sono solidali le une con le altre. Tutto è comune tra esse: “se un membro soffre, tutte le membra soffrono con lui; se un membro è onorato tutte dividono la sua gloria”.
Il bene di un membro dà profitto all’intero corpo e la gloria del corpo ricade su ognuna delle sue membra.

(Beato Columba Marmion, da “Cristo Vita dell’Anima”.)

“I SACRAMENTI SONO LE SORGENTI DELLA GRAZIA DI CRISTO, DELLA VITA DIVINA” Beato Columba Marmion

“I SACRAMENTI SONO LE SORGENTI DELLA GRAZIA DI CRISTO, DELLA VITA DIVINA”

Ma, mi domanderete, ora che Cristo è risalito nei cieli, che gli uomini non lo vedono più quaggiù, non lo sentono più, non lo toccano più, come si produce questa potenza di Grazia e di Vita? Come si esercita su noi e in noi l’azione di Gesù Nostro Signore? Come è Egli ora la causa efficiente della nostra santità, come produce in noi la Grazia, sorgente di Vita?

La via normale e ufficiale, per mezzo della quale ci perviene la Grazia di Cristo, è costituita prima di tutto dai Sacramenti, che Egli ha istituiti. I Sacramenti sono le sorgenti vere e pure e, nello stesso tempo, inesauribili, nelle quali troveremo infallibilmente la Vita Divina, di cui Gesù Cristo è ricolmo e di cui vuol farci parte: “Venite a Me e avrete la Vita”.

Che cos’è dunque un Sacramento?

Il Santo Concilio di Trento ci dice che il Sacramento è un segno sensibile che significa e produce una Grazia invisibile; è un simbolo che contiene e conferisce la Grazia Divina..

L’effetto dei Sacramenti è la Grazia operata nell’intimo dell’anima. Nel Sacramento c’è tutto quanto bisogna per agire, ma è necessario che la Grazia non trovi in noi un ostacolo.
Quale ostacolo?

Esso varia di natura a seconda del carattere dei segni e della Grazia che conferiscono. Così, noi possiamo ricevere la Grazia di un Sacramento soltanto se vi acconsentiamo. La mancanza di contrizione e di pentimento è un ostacolo al ricevere la Grazia del Sacramento della Confessione. Il peccato mortale costituisce un ostacolo che ci impedisce di ricevere la Grazia del Sacramento dell’Eucaristia.
Togliete l’ostacolo e la Grazia discende in voi appena ricevete il Sacramento.

Apriamo dunque completamente alla Grazia Divina le vie delle anime nostre; portiamovi tutta la carità e la purezza desiderabili, affinché Cristo faccia sovrabbondare in noi la Sua Vita Divina!

C’è analogia, dice San Tommaso d’Aquino, tra la vita naturale e la vita soprannaturale.

L’anima deve nutrirsi come il corpo: il Sacramento dell’Eucaristia è l’alimento dell’anima e può diventare un nutrimento quotidiano.

Tutti i Sacramenti, creano, nutrono, affermano, assicurano, riparano, fanno crescere e sviluppare la Vita Divina nell’anima di ognuno di noi…. Tutti i Sacramenti conferiscono la Grazia, comunicano all’anima, o aumentano in lei la Vita di Cristo, cioè la Grazia Santificante, le virtù infuse, i doni dello Spirito Santo: questo ammirabile complesso che, sotto il nome di Stato di Grazia, orna la sostanza della nostra anima e feconda soprannaturalmente le sue facoltà per assimilarla a Gesù Cristo e renderla degna degli sguardi dell’Eterno Padre.

Attingete a queste acque salutari, a queste sorgenti di salvezza! Attingetevi spesso, soprattutto all’Eucaristia, il Sacramento di Vita per eccellenza! Sono le sorgenti, che il Salvatore Gesù ha fatto scaturire per mezzo dei suoi meriti infiniti dal piede della sua Croce, o meglio dal fondo del Suo Cuore Sacro.

(Beato Columba Marmion, da “Cristo Vita dell’Anima”.)

“Se qualcuno si astiene dall’Eucaristia si separa dal corpo di Cristo, e rimane lontano dalla salvezza. È un fatto di cui preoccuparsi” San Cipriano

Noi viviamo in Cristo e riceviamo ogni giorno la sua Eucaristia come cibo di salvezza. Non accada che, a causa di peccati gravi, ci venga negato il pane celeste, e così, privati della comunione, veniamo anche separati dal corpo di Cristo. Egli stesso ha proclamato infatti: Io sono il pane di vita, che sono disceso dal cielo. Se uno mangerà del mio pane, vivrà in eterno. E il pane che io vi darò è la mia carne per la vita del mondo (cfr. Gv 6, 51).
Dice che se qualcuno mangerà del suo pane vivrà in eterno. È evidente dunque che vivono coloro che gustano il suo corpo e ricevono l’Eucaristia per diritto di comunione. Da ciò si deduce che se qualcuno si astiene dall’Eucaristia si separa dal corpo di Cristo, e rimane lontano dalla salvezza. È un fatto di cui preoccuparsi. Preghiamo il Signore che non avvenga. È lui stesso che pronunzia questa minaccia, dicendo: Se non mangerete la carne del Figlio dell’uomo e non berrete il suo sangue, non avrete la vita in voi (cfr. Gv 6, 53). Per questo chiediamo che ci sia dato ogni giorno il nostro pane, cioè Cristo, perché noi che rimaniamo e viviamo in Cristo, non ci allontaniamo dalla sua vita divina.

(Dal trattato «Sul Padre nostro» di San Cipriano, vescovo e martire)

Un libro da non perdere! Finalmente ristampato! “La pace dell’anima” del Beato Fulton Sheen

“La pace dell’anima”

Fulton J. Sheen

Data di pubblicazione: Giugno 2019
In poche parole: La teologia cristiana contiene già tutti gli elementi affrontati dalla psicanalisi, ma a differenza di quest’ultima redime veramente l’uomo e lo porta a Dio.
Link per l’acquisto:

“Tutti gli uomini sono turbati nell’anima e desiderano la pace: Fulton Sheen invita il lettore a smettere di incolpare l’inconscio per i propri mali e a esaminare invece la propria coscienza, ad allontanarsi dalla psicanalisi e rivolgersi a Dio. Infatti, i temi affrontati dalla psicanalisi (il conflitto, la repressione, il rimorso, la morbosità, il sesso) sono tutti risolti dal cristianesimo, alla luce dell’intervento divino e della libertà dell’uomo: occorre partire dall’ottica e dalle problematiche dell’uomo moderno per parlare un linguaggio nuovo, tenendo però ben presente che non c’è pace della mente senza pace dell’anima e che la psicanalisi non può in alcun modo sostituirsi al sacramento della confessione o ricondurre l’uomo a Dio.”

Un libro da non perdere assolutamente!

Il Venerabile Fulton Sheen sarà presto Beato.

“MARIA È IL RIFUGIO DEI PECCATORI” Beato Fulton Sheen

MARIA È IL RIFUGIO DEI PECCATORI

“Il dolore di Maria e il ritrovamento del Fanciullo Gesù al Tempio”

Sua Madre gli disse: “Figlio perché ci hai fatto questo? Tuo padre ed io ti abbiamo cercato con dolore!”

L’ anima di Maria si trovò immersa nelle più fitte tenebre perché Ella, per tre giorni, aveva perduto il suo Dio! Fu in tale occasione che Maria, la Madre Immacolata, diventò con più vero significato il Rifugio dei Peccatori.

Come poteva Colei che mai aveva perduto il suo Dio conoscere i tormenti di un peccatore, di un’anima che ha smarrito il proprio Dio mediante le proprie colpe?

Ecco la risposta: Che cos’è il peccato? Il peccato è la separazione da Dio. Orbene, nella privazione di quei tre giorni, Maria rimase fisicamente separata dal Figlio Gesù, e quindi anch’essa aveva perduto il suo Dio!
Dunque la separazione fisica dal Figlio può servire da simbolo per la separazione spirituale degli uomini da Dio. Il dolore dà a Maria la possibilità di indovinare i sentimenti dei peccatori, pur conservando intatta l’anima. Ella sa che cos’è il peccato: anch’ella ha perduto il suo Dio! E perciò ella sofferse per espiare la colpa di tutti coloro che già avendo posseduta la fede, la perdono; per tutti coloro che avendo un giorno amato Dio, l’hanno poi dimenticato; per i cuori che, dopo averlo pregato, un giorno lo abbandonano. Maria sentì come sua la nostalgia del Divino e del Cielo, e il vuoto dei peccatori che si sono strappati Dio dal cuore, perché ora ella era priva del suo Redentore.

Se ogni madre terrena piange la morte fisica di un figlio, quale dev’essere stata la sofferenza di Maria posta di fronte alla morte spirituale di milioni di uomini, dei quali Dio l’aveva chiamata ad esser Madre!

(Beato Fulton J. Sheen, da “L’ Eterno di Galilea”.)

IL CRISTIANO È UN SOLDATO CHE LOTTA FINO ALLA MORTE PER UNA CORONA IMMORTALE!

IL CRISTIANO È UN SOLDATO CHE LOTTA FINO ALLA MORTE PER UNA CORONA IMMORTALE!

L’ uomo rigenerato dal battesimo, l’uomo nuovo, con tendenze nobili, soprannaturali, divine, prodotte in noi dallo Spirito Santo per i meriti di Gesù e per l’intercessione della SS. Vergine e dei Santi. Ma al suo fianco c’è l’uomo naturale, l’uomo carnale, il vecchio uomo, con le tendenze malvagie che il battesimo non ha estirpato dall’anima nostra: è la triplice concupiscenza che abbiamo dal primo nostro nascere, e che il mondo e il demonio stuzzicano e rinforzano, tendenza abituale che ci porta all’amore disordinato dei piaceri sensuali, della nostra eccellenza e dei beni della terra. Questi due uomini vengono fatalmente a conflitto: la carne o l’uomo vecchio desidera e cerca il piacere senza curarsi della sua moralità; lo spirito ben gli rammenta che vi sono piaceri proibiti e pericolosi che bisogna sacrificare al dovere, vale a dire alla volontà di Dio; ma, insistendo la carne nei suoi desideri, la volontà, aiutata dalla grazia, è obbligata a mortificarla e occorrendo crocifiggerla. Il cristiano è dunque un soldato, un atleta, che lotta per una corona immortale e lotta fino alla morte. Questa lotta è perpetua; perché, non ostante i nostri sforzi non possiamo liberarci dall’uomo vecchio; non possiamo che indebolirlo, incatenarlo, e fortificare nello stesso tempo l’uomo nuovo contro i suoi assalti. Da principio la lotta è quindi più viva, più accanita, e i contrattacchi del nemico più numerosi e più violenti. Ma a mano a mano che, con sforzi energici e costanti, riportiamo vittorie, il nostro nemico s’indebolisce, le passioni si calmano, e, salvo certi momenti di prova voluti da Dio per elevarci a più alta perfezione, godiamo d’una calma relativa, presagio della vittoria definitiva. Alla grazia di Dio ne dobbiamo il buon esito. Non dimentichiamo però che le grazie concesseci sono grazie di combattimento non di riposo; che siamo lottatori, atleti, asceti, e che dobbiamo, come San Paolo, lottare sino alla fine per meritar la corona: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede”.

-Dal “Compendio di Teologia Ascetica e Mistica” di padre Adolphe Tanquerey (1854 – 1932)-

“Il Segugio del Cielo” parla dell’uomo in fuga e di Dio che lo bracca e lo insegue. Il poeta Francis Thompson racconta in prima persona la sua lontananza da Dio

Il poeta Cattolico inglese Francis Thompson (1859-1907), visse l’esperienza della dipendenza dall’oppio e del vagabondaggio per un periodo della sua vita, nel suo poemetto lirico “Il Segugio del Cielo” (1890) parla dell’uomo in fuga e di Dio che lo bracca e lo insegue. Il poeta racconta in prima persona la sua lontananza da Dio:

“Il Segugio del Cielo”

Io fuggii durante le notti e i giorni; io Lo fuggivo attraverso la fuga degli anni; io Lo fuggivo attraverso i tortuosi meandri della mia mente; mi nascosi a Lui tra il velo delle lacrime e lo scroscio del riso. Volai verso sogni chimerici e, ferito, precipitai fra le titaniche tenebre di spaventosi abissi, solo per scansare quei piedi possenti che m’inseguivano.

Ma con un rincorrere senza fretta, con indisturbata cadenza, con calcolata rapidità e maestosa insistenza, quei piedi m’inseguivano e una voce, più insistente dei loro passi, diceva: “Tutte le cose tradiscono te, quando tu tradisci Me”.

Sebbene conoscessi il Suo Amore che m’inseguiva, temevo assai che, se avessi raggiunto Lui, avrei dovuto mollare tutto il resto. Ma ogni volta che una piccola porta mi si apriva per evadere, il soffio del Suo avvicinarsi me la sbarrava in faccia. La paura era così lesta a fuggire, come quell’Amore era fulmineo a inseguirmi.

Fuggii oltre i confini del mondo; importunai l’aurea soglia delle stelle; cercai rifugio attraverso i loro usci sbarrati; bussai con dolci parole e con l’argento in bocca alla porta della pallida luna. Dissi all’Aurora: “Presto”. E al Crepuscolo: “Subito, nascondimi fra le soffici nuvole del cielo, salvami da questo Tremendo Innamorato! Avvolgimi nei tuoi veli leggeri, che Egli non mi scorga!”.

Mi avvinsi alla criniera sibilante di tutti i venti, sia che questi sorvolassero, fluidi e veloci, le sconfinate savane dei cieli, sia che, sospinti dal tuono, ne traessero il cocchio attraverso la volta azzurra, sprizzando una pioggia di lampi attorno all’urto dei loro piedi. Mai la paura fu così rapida a fuggire come quell’Amore era lesto a inseguirmi. Tuttavia, con una corsa senza fretta, a ritmo imperturbato, con deliberata prestezza e con maestosa insistenza, sentivo sempre quei piedi che m’inseguivano, e una voce più sonora dei loro passi che diceva: “Nessuno dà ricovero a te, quando tu non ricoveri Me”.

La natura, questa povera matrigna, non può spegnere la mia sete… Mai una goccia di latte cadde sulla mia bocca assetata. Il passo dell’Inseguitore si fa sempre più vicino e, più sonora del calpestìo di quei piedi, una voce mi grida: “Niente accontenta te, quando tu non accontenti Me”.

Attendo il colpo imminente del Tuo Amore! Tu hai spezzato la mia resistenza e mi hai ridotto in ginocchio, senza difesa alcuna. Anche il sogno adesso manca al sognatore e il liuto al musicista. Ahi è forse il Tuo Amore come il loglio, che non tollera che altro fiore cresca accanto al Suo? Ahi devi Tu, o Artefice Divino, devi Tu bruciare il legno prima di poter disegnare?…

“Tu non sai quanto poco saresti degno di essere amato! Chi potrebbe amare te se non Io, se non soltanto Io? Tutto ciò ch’Io ti tolsi non fu per farti danno, ma perché tu lo cercassi qui nelle Mie Braccia. Tutto ciò che la tua fanciullesca fantasia credeva perduto, Io l’ho accumulato a casa per te; alzati, afferra la Mia Mano e vieni”.

Quel passo del Divino Inseguitore, ecco, si ferma accanto a me. Io penso che, dopo tutto, la mia notte non è altro che l’ombra della Sua Mano carezzevole. E Lui mi dice: “O stolto, o cieco, o debole senza pari, Io Sono colui che cerchi! Tu respingi l’amore da te, quando respingi Me”.

Quando tu sei così triste, che non puoi esserlo di più, alza un grido; sulla tua dolorosa desolazione scintillerà il movimento della scala di Giacobbe, affollata di angeli, piantata fra Cielo e terra. Sì, nella notte, o anima mia, piangi, aggrappandoti al Cielo, agli orli della sua veste; apparirà Gesù che cammina sulle acque.

“Somma felicità è vivere sul livello del Divino!” “Dio è Amore, e l’amore è ciò che desideriamo e di cui abbiamo bisogno. Amore è il nostro destino” Beato Fulton J. Sheen

Tutte le canzoni popolari ci dicono: “Come saremo felici”. L ‘Amore Divino, invece, non ci promette l’estasi prima di essere in noi. La Croce ci spaventa, il sacrificio dell’egoismo e del peccato ci appare come una piccola morte; l’amore non sensuale ci appare come una mancanza di amore. Ma dopo esserci sottomessi, dopo aver rinunciato al campo per ottenere la Perla, una felicità ineffabile ci invade, tale da sfidare ogni descrizione. In seguito a questa scoperta, mutiamo la nostra condotta, al punto che i nostri amici credono che abbiamo smarrito la ragione: in effetti abbiamo trovato la nostra anima, che il credente non cambierebbe con null’altro al mondo.

Somma felicità è vivere sul livello del Divino! 

La religione non seduce coloro che, per non rinunciare all’egoismo, non si sono mai arrampicati abbastanza in alto per intravederne le prospettive; ma una Religione Divina con la Santa Eucaristia è molto più attraente per coloro che la sperimentano, che non il mondo per coloro che in esso peccano. Chi ha vissuto solo per la carne, per il piacere e per il guadagno non ha alcuna esperienza del gioioso brivido dello Spirito. Molti conoscono l’ansietà di una coscienza inquieta; pochi conoscono la pace di una coscienza tranquilla innalzata al livello del Divino.

In alto i cuori! La ricerca del piacere testimonia di un vuoto che solo il Divino può colmare. Chiunque non sia innamorato dell’Amore Divino insegue un paradiso artificiale; e con tanta ostinazione cercherebbe il Cielo se al Cielo appunto non fosse destinato? Nel suo cuore è un terribile vuoto. Ogni suo peccato non è che un tentativo di colmare questo vuoto. Tutti gli amanti senza Dio sono amanti delusi. Dio è Amore, e l’amore è ciò che desideriamo e di cui abbiamo bisogno. Amore è il nostro destino.

(Beato Fulton J. Sheen, da “La felicità del cuore”)

“Non è vero che non abbiamo tempo per la meditazione e la preghiera: quanto meno pensiamo a Dio, tanto meno avremo tempo per Lui” Beato Fulton J. Sheen

Il più delle volte la preghiera procede parallelamente alla vita morale. Più la nostra condotta si attiene alla Volontà Divina, più facile ci riesce pregare; più la nostra condotta si distacca dalla Divinità, più ardua diventa la preghiera… quando il peccatore non vuol trarsi dal pantano della vita perversa, allora manca la condizione essenziale alla preghiera.

Per essere efficace, una preghiera deve esprimere uno schietto desiderio di redenzione, senza né riserve né condizioni.. L’uomo che, dopo aver pregato di esser liberato dalla lussuria e poi vi si abbandona deliberatamente, distrugge con la sua riserva l’efficacia della sua preghiera. Tutte le preghiere implicano un atto di volontà, un desiderio di sviluppo, una disposizione al sacrificio; perché la preghiera è un’attivissima collaborazione tra l’anima e Dio..

Non possiamo conoscere Dio se non abbiamo consapevolezza di ciò che realmente siamo.
Meno un uomo pensa a se stesso, più pensa a Dio…

La meditazione migliora la nostra condotta..

Se i nostri pensieri sono malvagi, malvage saranno le nostre azioni. Il problema degli atti impuri è, fondamentalmente, quello dei pensieri impuri. Quando meditiamo e riempiamo la nostra mente, per un’ora o due al giorno, di idee e soluzioni basate sull’amore di Dio e del prossimo, i buoni pensieri finiscono per emergere, spontaneamente, sotto forma di buone azioni compiute senza sforzo…

I nostri pensieri generano i nostri desideri, e i nostri desideri sono gli artefici dei nostri giorni. I desideri vengono formati dal pensiero e dalla meditazione; e poiché l’azione segue le direttive del desiderio, l’anima che sia sommersa dalle Divine Aspirazioni sfugge sempre più alla stretta del mondo. Ciò accresce la felicità..

La condotta dell’uomo che concentra la meditazione in Dio subisce una metamorfosi assoluta…non possiamo tenere lontano dalla nostra mente i cattivi pensieri se non la colmiamo di buoni pensieri. Meditando, non escludiamo il peccato dalla nostra vita, bensì lo sostituiamo con l’Amore di Dio e del prossimo. Il fine della nostra vita non è dunque di evitare il peccato, il che sarebbe estenuante, ma di mantenersi costantemente nell’atmosfera dell’Amore Divino…

La purezza di cuore è condizione della preghiera: non possiamo unirci a Dio finché restiamo legati a interessi illeciti.

In ogni vera preghiera e meditazione c’è un momento in cui la Vita di Dio penetra nella nostra vita e un momento in cui la nostra vita penetra in quella di Dio. Questi momenti ci trasformano profondamente…

Non è vero che non abbiamo tempo per la meditazione: quanto meno pensiamo a Dio, tanto meno avremo tempo per Lui. Il tempo per una qualsiasi cosa dipende dal valore che ad essa attribuiamo. Il pensiero determina l’impiego del tempo: il tempo non può condizionare il pensiero. Il problema della spiritualità non è mai, quindi, un problema di tempo: è, invece, un problema di pensiero. Perché non occorre molto tempo per diventare santi: occorre solo molto Amore.

Là dove c’è amore, c’è preoccupazione per la persona amata. Gesù disse: “Perché dov’è il tuo tesoro, lì è il tuo cuore”. Il grado della nostra devozione e del nostro amore dipende dal valore che noi diamo a una determinata cosa. Sant’Agostino disse: “Amor pondus meum” ossia, l’amore è la legge di gravità.

L’uomo d’affari trova difficile pensare ai piaceri celesti perché è occupato a riempire i suoi “granai”. Il libertino trova difficile amare lo spirito perché il suo tesoro risiede nella carne. Ognuno diventa simile a ciò che ama: se ama la materia, diventa come la materia; se ama lo spirito, il suo aspetto e i suoi ideali e le sue aspirazioni si spiritualizzano. Dato il nesso tra amore e preghiera, è facile capire perché alcune anime dicono “non ho tempo per pregare”. Ed effettivamente non ne hanno, perché altri doveri e altri interessi più eccitanti li chiamano e li seducono.

(Venerabile Fulton J. Sheen. Da “La felicità del cuore”.)