Nessuna felicità terrena sarebbe completa né permanente se non fosse associata ad una buona coscienza.
La gioia spirituale è una serenità di umore in mezzo ai cambiamenti della vita, come una cima montana intorno alla quale imperversino le tempeste. Per un uomo che non ha mai radicato la sua anima nel Divino, ogni turbamento acquista proporzioni esagerate, ed egli non può riporre in nessuna singola cosa la pienezza delle sue energie perché è turbato da troppe cose.
Gioia non è sinonimo di allegria. Quest’ultima è un atto, mentre la gioia è un abito. L’allegria è simile a una meteora, la gioia è come una stella fissa; l’allegria è come una girandola, la gioia è come un fuoco. La gioia, in quanto è più permanente, rende più facili le azioni difficili.
Nessuno può essere esteriormente felice se è già infelice nel suo intimo. Se un senso di colpevolezza pesa sull’anima, non c’è somma di piacere esteriore che possa compensare la perdita di gioia interiore. Come il dolore è ausiliare inseparabile del peccato, così la gioia è la compagna della santità.
La gioia si può provare tanto nella prosperità quanto nell’avversità. Nella prosperità essa non consiste nei beni di cui godiamo, ma in quelli in cui speriamo; non già nei piaceri che andiamo sperimentando, ma nella promessa di quelli in cui crediamo senza mai averli visti. Le ricchezze possono abbondare, ma quelle che noi speriamo son quelle che i tarli non rodono, che la ruggine non attacca, che i ladri non possono rubare.
Perfino nell’avversità può esserci la gioia, ove si abbia consapevolezza che Lo Stesso Divino Maestro è morto sulla Croce per poter risorgere. A misura che va svanendo dalla vita la spinta derivante dalla Fede in Dio e nella salvezza dell’anima, anche la gioia svanisce e noi ritorniamo alla disperazione dei pagani.
(Beato Fulton J. Sheen, da “Il Sentiero della Gioia”).