“Que­sta può essere la condizione futura di alcuni di noi, se oggi induriamo il nostro cuore: l’apostasia. Un giorno, in questo mondo, potremmo trovarci apertamente fra i nemici di Dio e della Sua Chiesa” STRAORDINARIA MEDITAZIONE DI SAN JOHN HENRY NEWMAN

“I propri errori chi li conosce? Purificami, o Signore, dalle mie colpe nascoste” (Sal 18 (19), 13).

Straordinaria meditazione di San John Henry Newman:

“Può sembrare strano, ma molti cristiani trascorrono la loro vita senza alcuno sforzo di raggiungere una corretta conoscenza di se stessi. Si accontentano di impressioni vaghe e generiche circa il loro effettivo stato; se hanno qual­cosa in più di questo, si tratta di esperienze casuali, quali i fatti della vita a volte impongono. Ma nulla di esatto e siste­matico, che non rientra nemmeno nei loro desideri avere.

Quando dico che è strano, non è per suggerire che la conoscenza di sé sia facile; è quanto mai difficile conoscere se stessi anche parzialmente, e da questo punto di vista l’i­gnoranza di se stessi non è una cosa strana. La stranezza sta nel fatto che si affermi di credere e di praticare le grandi verità cristiane, mentre si è così ignoranti di se stessi, tenen­do conto che la conoscenza di sé è una condizione necessa­ria per la comprensione di quelle verità. Quindi non è trop­po dire che tutti quelli che trascurano il dovere di un abitua­le esame di coscienza, adoperano in molti casi parole senza averne il sensoLe dottrine del perdono dei peccati, e della nuova nascita dal peccato, non possono essere comprese senza una certa giusta conoscenza della natura del peccato, cioè, del nostro cuore. […]

Ripeto, senza una qualche idea giusta del nostro cuore e del peccato, non possiamo avere un’idea giusta del governo morale, di un salvatore o santificatore; e nel professare di crederci, useremmo parole senza attribuire ad esse precisi distinti significati. Perciò la conoscenza di sé è alla radice di tutta la reale conoscenza religiosaed è invano – peggio che invano -, un inganno e un danno, pensare di comprendere le dottrine cristiane come cose ovvie, unicamente in merito all’insegnamento che si può ricavare dai libri, o dall’ascolta­re prediche, o da qualsiasi altro mezzo esteriore, per quanto eccellente, preso in sé e per sé. Perché è in proporzione alla conoscenza e alla comprensione del nostro cuore e della nostra natura, che comprendiamo cosa significhi Dio gover­natore e giudice, ed è in proporzione alla nostra compren­sione della natura della disobbedienza e della nostra reale colpevolezza, che avvertiamo quale sia la benedizione della rimozione del peccato, della redenzione, del perdono, della santificazione, che altrimenti si riducono a mere parole. La conoscenza di sé è la chiave dei precetti e delle dottrine della Scrittura. […] E allora, quan­do abbiamo sperimentato cosa sia leggere se stessi, avremo utilità dalle dottrine della Chiesa e della Bibbia.

Certo, la conoscenza di sé può avere gradazioni. Probabilmente nessuno ignora se stesso totalmente; e anche il cristiano più maturo conosce se stesso solo «in parte». Comunque, la maggioranza degli uomini si accontentano di una esigua conoscenza del loro cuore, e quindi di una fede superficialeQuesto è il punto sul quale mi propongo di insistere. Gli uomini non si turbano all’idea di avere innu­merevoli colpe nascoste. Non ci pensano, non le vedono né come peccati né come ostacoli alla forza della fede, e continuano a vivere come se non avessero nulla da apprendere.

Consideriamo con attenzione la forte presunzione che esiste, che cioè noi tutti abbiamo delle serie colpe nascoste: un fatto che, credo, tutti sono pronti ad ammettere in termi­ni generali, anche se pochi amano considerare con calma e in termini pratici; cosa che ora cercherò di fare.

1. Il metodo più rapido per convincerci dell’esistenza in noi di colpe ignote a noi stessi, è considerare come chiara­mente vediamo le colpe nascoste degli altri. Non vi è ragione per supporre che noi siamo diversi dagli altri attorno a noi; e se noi vediamo in loro dei peccati che essi non vedono, si può presumere che anche loro abbiano le loro scoperte su di noi, che ci sorprenderebbe di ascoltare. […] Ad esempio: ci sono persone che agiscono principalmente per interesse, mentre pensano di compiere azioni generose e virtuose; si spendono gratuitamente, oppure si mettono a rischio, lodati dal mondo e da se stessi, come se agissero per alti principi. Ma un osserva­tore più attento può scoprire, quale causa principale delle loro buone azioni, sete di guadagno, amore degli applausi, ostentazione, o la mera soddisfazione di essere indaffarato e attivo. Questa può essere non solo la condizione degli altri, ma anche la nostra; o, se non lo è, può esserlo una infermità simile, la soggezione a qualche altro peccato, che gli altri vedono, e noi non vediamo.

Ma se dite che non c’è alcuno che veda in noi dei peccati di cui noi non siamo consapevoli (benché questa sia una supposizione alquanto temeraria da fare), pure, perché mai la gamma delle nostre mancanze dovrebbe dipendere dalla conoscenza accidentale che qualcuno ha di noi? Se anche tutto il mondo parlasse bene di noi, e le persone buone ci salutassero fraternamente, dopo tutto vi è un Giudice che prova le reni e il cuore. Egli conosce il nostro stato reale. Lo abbiamo pressantemente supplicato di dischiuderci la conoscenza del nostro cuore? Se no, questa stessa omissione fa presumere contro di noi. Anche se dappertutto nella Chiesa fossimo lodati, possiamo essere certi che egli vede in noi innumerevoli pecche, profonde e odiose, di cui non abbiamo l’idea. Se l’uomo vede tanto male nella natura umana, che cosa deve vedere Dio? «Se il nostro cuore ci con­danna, Dio è più grande del nostro cuore, e conosce ogni cosa». Dio non solo registra ogni giorno contro di noi atti peccaminosi, di cui noi non siamo consapevoli, ma anche i pensieri del cuore. Gli impulsi dell’orgoglio, della vanità, della concupiscenza, dell’impurità, del malumore, del risen­timento, che si susseguono nelle momentanee emozioni di ogni giorno, sono a lui noti. Noi non li riconosciamo; ma quanto importante sarebbe riconoscerli!

2. Questa considerazione ci è suggerita già a prima vista. Riflettiamo ora sulla scoperta di nostre mancanze nascoste, provocate da incidenti occasionali. Pietro seguiva Gesù bal­danzosamente, e non sospettava del suo cuore, fino a che nell’ora della tentazione non lo tradì, e lo portò a rinnegare il suo Signore. Davide visse anni di felice obbedienza men­tre conduceva vita privata. Quale fede illuminata e calma appare dalla sua risposta a Saul a proposito di Golia: «Il Signore mi ha liberato dagli artigli del leone e dagli arti­gli dell’orso. Egli mi libererà dalle mani di questo filisteo»! Anzi, non soltanto nella sua vita privata e segregata, fra gravi tribolazioni, e fra gli abusi di Saul, egli continuò a essere fedele al suo Dio; anni e anni egli procedette, irrobu­stendo il suo cuore, e praticando il timor di Dio; ma il potere e la ricchezza indebolirono la sua fede, e ad un certo punto prevalsero su di lui. Venne il momento in cui un profeta poté ritorcere su di lui: «Tu sei quell’uomo» che tu hai condannato. A parole, aveva conservato i suoi principi, ma li aveva smarriti nel suo cuore. Ezechia è un altro esempio di un uomo religioso che resse bene alla tribolazione, ma che ad un certo punto cadde sotto la tentazione delle ricchezze, che al seguito di altre grazie straordinarie gli erano state concesse. – E se le cose stanno così nel caso dei santi, predi­letti di Dio, quale (possiamo supporre) sarà il nostro vero stato spirituale ai suoi occhi? È questo un pensiero serio. L’ammonimento da dedurne è di non pensare mai di avere la dovuta conoscenza di sé stessi fino a che non si sia stati esposti a molti generi di tentazioni e provati da ogni lato. L’integrità da un lato del nostro carattere non attesta l’inte­grità da un altro lato. Non possiamo dire come ci comporte­remmo se venissimo a trovarci in tentazioni differenti da quelle che abbiamo sperimentato finora. Questo pensiero deve tenerci in umiltà. Siamo peccatori, ma non sappiamo quanto. Solo lui che è morto per i nostri peccati lo sa.

3. Fin qui non possiamo scansarci: dobbiamo ammettere di non conoscere noi stessi da quei lati nei quali non siamo stati messi alla prova. Ma al di là di questo; se non ci cono­scessimo nemmeno là dove siamo stati messi alla prova e trovati fedeli? Una circostanza notevole e spesso rilevata è che, se guardiamo ad alcuni dei santi più eminenti della Scrittura, troveremo che i loro errori recensiti si sono verifi­cati in quelle parti dei loro doveri nelle quali ciascuno di loro era stato maggiormente provato, e in cui generalmente aveva dimostrato perfetta obbedienza. Il fedele Abramo per mancanza di fede negò che Sara fosse sua moglie. Mosè, il più mite degli uomini, fu escluso dalla terra promessa per una intemperanza verbale. La sapienza di Salomone fu sedotta ad inchinarsi agli idoli. […] Se dunque uomini, che senza dubbio conoscevano se stessi meglio di quanto ci conosciamo noi, avevano in sé tanta do­se di nascosta infermità, persino in quelle parti del loro ca­rattere che erano più libere da biasimo, che dobbiamo pen­sare di noi stessi? E se le nostre stesse virtù sono così mac­chiate da imperfezioni, che devono essere le molteplici e ignote circostanze aggravanti la colpa dei nostri peccati?Questa è una terza presunzione contro di noi.

4. Pensate anche a questo. Non c’è nessuno che, comin­ciando a esaminare se stesso e a pregare per conoscere se stesso (come Davide nel testò), non trovi entro di sé mancan­ze in abbondanza che prima gli erano interamente o quasi interamente ignote. Che sia così, lo apprendiamo da biogra­fie e agiografie, e dalla nostra esperienza. È per questo che gli uomini migliori sono sempre i più umili: avendo nella loro mente una unità di misura dell’eccellenza morale più esigente di quella che hanno gli altri, e conoscendo meglio se stessi, intravedono l’ampiezza e la profondità della propria natura peccaminosa, e sono costernati e spaventati di sé. Gli’uomini, in genere, non possono capire questo; e se a volte l’autoaccusa, abituale per gli uomini religiosi, si esprime a parole, pensano che provenga da ostentazione, o da uno strano stato di alterazione mentale, o da un accesso di malinconia e depressione. Mentre la confessione di un buon uomo contro se stesso è realmente una testimonianza contro tutte le persone irriflessive che l’ascoltano, e un invito loro rivolto ad esaminare il loro cuore. Senza dubbio, più esami­niamo noi stessi, più imperfetti e ignoranti ci troveremo.

5. Anche se un uomo persevera in preghiera e vigilanza fino al giorno della sua morte, non arriverà al fondo del suo cuore. Benché conosca sempre più di se stesso col diventare più serio e coscienzioso, pure la piena manifestazione dei segreti che là si trovano è riservata per l’altro mondo. E all’ultimo giorno, chi può dire lo spavento e il terrore di un uomo che sulla terra è vissuto per se stesso, assecondan­do la sua volontà perversa, seguendo nozioni improvvisate del vero e del falso, eludendo la croce e i rimproveri di Cristo, quando i suoi occhi si apriranno di fronte al trono di Dio, e gli saranno evidenti i suoi innumerevoli peccati, la sua abituale dimenticanza di Dio, l’abuso dei suoi talenti, il mal-uso e spreco del suo tempo, e l’originaria inesplorata peccaminosità della sua natura? Per gli stessi veri servi di Cristo, la prospettiva è terrificante. […] Senza dubbio, tutti dovremo sopporta­re la cruda e terrificante visione del nostro vero iodovremo sopportare quell’ultima prova del fuoco prima dell’accetta­zione, ma che sarà una agonia spirituale e una seconda morte per tutti coloro che allora non saranno sostenuti dalla forza di colui che morì per portarci in salvo oltre quel fuoco, e nel quale essi sulla terra abbiano creduto.

[…] Richiamiamoci alla mente gli impedimenti che si frappongono alla conoscenza di sé, e al senso della propria ignoranza, e giudicate.

1.Per prima cosa, la conoscenza di sé non è una cosa ovvia; comporta fatica e lavoro. Supporre che la conoscenza delle lingue sia data dalla natura e supporre che la cono­scenza del nostro cuore sia naturale, sarebbero la stessa cosa. Il semplice sforzo di una abituale riflessività è penoso per molti, per non parlare della difficoltà del riflettere cor­rettamente. Chiedersi perché facciamo questo o quello, con­siderare i principi che ci guidano, e vedere se agiamo in coscienza o per più scadenti motivi, è penoso. Siamo pieni di occupazioni, e il tempo libero che abbiamo siamo pronti a dedicarlo a qualche impegno meno severo e affaticante.

2.L’amor proprio, poi, vuole la sua parte. Speriamo il meglio, e questo ci risparmia la noia di esaminarci. L’amor proprio è istintivamente conservatore. Pensiamo di caute­larci sufficientemente ammettendo che al massimo possano esserci rimaste nascoste solo alcune colpe; e le aggiungiamo quando pareggiamo i conti con la nostra coscienza. Ma se conoscessimo la verità, troveremmo che non abbiamo che debiti, debiti maggiori di quanto pensiamo e sempre in aumento.

3.Un tale giudizio favorevole di noi stessi sarà particolar­mente in noi prevalente, se avremo la sfortuna di avere inin­terrottamente buona salute, euforia, comodità. La salute del corpo e della mente è una grande benedizione, se la si sa portarema se non è tenuta a freno da «veglie e digiuni», darà comunemente alla persona l’illusione di essere migliore di quanto sia in realtà. Le difficoltà ad agire correttamente, sia che provengano dall’interiorità che dall’esterno, mettono a prova la coerenza; ma quando le cose procedono senza intoppi, e per attuare qualcosa non abbiamo che da deside­rarlo, non possiamo dire fino a che punto agiamo o non agiamo per senso del dovere. L’euforico si compiace di tutto, specie di se stesso. Può agire con vigore e prontezza, e scambiare per fede quella che è meramente una sua energia costitutiva. È allegro e contento; e pensa che sia quella la pace cristiana. Se è felice in famiglia, egli scambia tali affetti natu­rali per la benevolenza cristiana e per la solida tempra dell’a­more cristiano. In breve, egli è nel sogno, dal quale nulla potrebbe salvarlo tranne una umiltà più profonda; ma nulla, ordinariamente, lo libera tranne l’incontro con la sofferenza. […]

4.C’è ancora da considerare la forza dell’abitudine. La coscienza, inizialmente, ci ammonisce contro il peccato; ma se non è ascoltata, smette presto di richiamarci; in tal modo il peccato, prima conosciuto, diventa occulto. Sembra allora (ed è questa una riflessione impressionante) che più colpe­voli siamo, meno lo sappiamo; e questo perché più spesso pecchiamo, meno ne siamo angosciati. Penso che molti di noi, riflettendo, possano ritrovare, nella loro personale espe­rienza, esempi del fatto che noi gradualmente dimentichia­mo la scorrettezza di certi comportamenti, di cui inizial­mente avevamo avuto l’esatta percezione. Tanta è la forza dell’abitudine. Per suo tramite, ad esempio, gli uomini giungono a permettersi vari generi di disonestà. Giungono, negli affari, ad affermare ciò che non è vero, o quello che non sono sicuri che sia vero. Imbrogliano e ingannano; anzi, probabilmente cadono ancora più in basso nei comporta­menti egoistici, senza accorgersene, mentre continuano meticolosamente nell’osservanza dei precetti della Chiesa e conservano una religiosità formale. Oppure, indulgenti con se stessi, si danno ai piaceri della mensa, fanno sfoggio di residenze lussuose, e meno che mai pensano ai doveri cri­stiani della semplicità e dell’astinenza. Non si può supporre che essi da sempre abbiano ritenuto giustificabile un tal modo di vivere; perché altri ne sono colpiti; e ciò che altri avvertono ora, senza dubbio anch’essi lo avvertivano un tempo. Ma tale è la forza dell’abitudine. Un terzo esempio è quello del dovere della preghiera personale; inizialmente viene omessa con rimorso, ma ben presto con indifferenza. Ma non è meno peccato per il solo fatto che non avvertiamo che lo sia. L’abitudine l’ha resa un peccato nascosto.

5. Alla forza dell’abitudine deve essere aggiunta quella degli usi e costumi. Qui ogni epoca ha le sue storture; e que­ste hanno tale influenza, che persino le persone dabbene, per il fatto di vivere nel mondo, sono inconsapevolmente portate fuori strada da esse. In un’epoca è prevalso un fero­ce odio persecutorio contro gli eretici; in un’altra, un’odiosa esaltazione della ricchezza e dei mezzi per procurarsela; in un’altra, una irreligiosa venerazione delle facoltà pura­mente intellettuali; in un’altra, il lassismo morale; in un’altra, la noncuranza degli ordinamenti e della disciplina della Chiesa. Le persone religiose, se non fanno speciale attenzio­ne, risentiranno delle deviazioni di moda nella loro epoca […]. Tuttavia la loro ignoranza del male non cambia la natura del peccato: il peccato è sempre quello che è, solo le abitudini generali lo rendono segreto.

6. Ora, qual è la nostra principale guida in mezzo alle perverse e seducenti costumanze del mondo? La Bibbia, evi­dentemente. «Il mondo passa, ma la parola del Signore dura in eterno». Quanto esteso e rafforzato deve necessariamen­te essere questo segreto dominio del peccato su di noi, se consideriamo quanto poco leggiamo la Sacra Scrittura! La nostra coscienza si corrompe, è vero; ma la parola della verità, anche se cancellata dalle nostre menti, rimane nella Scrittura, luminosa nella sua eterna giovinezza e purezzaEppure, non studiamo la Sacra Scrittura per svegliare e risa­nare le nostre menti. Chiedetevi, fratelli miei: quanto cono­sco io della Bibbia? Vi è una parte qualsiasi della Bibbia che abbiate letto con attenzione e per intero? Per esempio, uno dei Vangeli? Conoscete qualcosa di più delle opere e delle parole di nostro Signore di quanto avete sentito leggere in chiesa? Avete confrontato i suoi precetti, o quelli di S. Paolo, o quelli di qualcun altro degli Apostoli, con la vostra con­dotta giornaliera? Avete pregato e fatto degli sforzi per conformarvi ad essi? Se sì, bene; perseverate in questo. Se no, è chiaro che non possedete, perché non avete cercato di pos­sedere, un’idea adeguata di quel perfetto carattere cristiano al quale avete il dovere di tendere, e nemmeno della vostra attuale situazione di peccato; siete nel numero di quelli che «non vengono alla luce, perché non siano svelate le loro opere».

Queste osservazioni possono servire per darvi il senso della difficoltà di raggiungere una giusta conoscenza di noi stessi, e del conseguente pericolo a cui siamo esposti: di darci pace, quando non c’è pace.

Molte cose sono contro di noi; è chiaro. Ma il nostro pre­mio futuro non meriterà che lottiamo? E non merita che peniamo e soffriamo, se con ciò potremo sfuggire al fuoco inestinguibile? Ci aggrada il pensiero di scendere nella tomba con sul capo un peso di peccati ignorati e non riprovarli? Possiamo accontentarci di una così irreale fede in Cristo, che ha lasciato uno spazio insufficiente all’umiliazione, o alla gratitudine, o al desiderio e sforzo di santificazione? Come possiamo sentire l’urgenza dell’aiuto di Dio, o la nostra dipendenza da lui, o il nostro debito verso di lui, o la natura del suo dono, se non conosciamo noi stessi? […] Se ricevete la verità rivelata unicamente tramite gli occhi e le orecchie, crederete a delle parole, non a delle cose; e ingannerete voi stessi. Potrete ritenervi saldi nella fede, ma sarete nella più totale ignoranza.

L’unica pratica veramente interprete dell’insegnamento scritturistico è l’obbedienza ai comandamenti di Dio, che implica conoscenza del peccato e della santità, e il desiderio e lo sforzo di piacere a lui. Senza cono­scenza di sé siete personalmente privi di radice in voi stessi; potete resistere per qualche tempo, ma a fronte dell’afflizio­ne o della persecuzione la vostra fede verrà meno. Questo è perché molti in questo tempo (ma pure in ogni epoca) diventano infedeli, eretici, scismatici, sleali spregiatori della Chiesa. Ripudiano la forma della verità, perché non è stata per loro più che una forma. Non reggono, perché non hanno mai provato che Dio fa grazia; e non hanno mai avuto espe­rienza del suo potere e del suo amore, perché non hanno mai conosciuto la loro propria debolezza e indigenza. Que­sta può essere la condizione futura di alcuni di noi, se oggi induriamo il nostro cuore: l’apostasia. Un giorno, in questo mondo, potremmo trovarci apertamente fra i nemici di Dio e della sua Chiesa.

Ma anche se ci fosse risparmiata una tale vergogna, quale vantaggio potremmo, alla fine, avere dal professare senza comprendere? Dire che si ha la fede, quando non si hanno le opere? In tal caso rimarremmo nella vigna celeste come una pianta rachitica, infruttuosi, privi in noi del principio interiore di crescita. E, alla fine, saremmo svergognati di fronte a Cristo e ai suoi angeli, come «alberi di fine stagione, senza frutto, due volte morti, sradicati», anche se morissi­mo in esteriore comunione con la Chiesa.

Pensare a queste cose, e esserne allarmati, è il primo passo verso una obbedienza accettabile; sentirsi tranquilli, è essere in pericolo. Dovremo sperimentare cos’è il peccato nell’al di là, se non ce ne rendiamo conto ora. Dio ci dà ogni grazia per scegliere la sofferenza del pentimento, prima del sopraggiungere dell’ira ventura.”

San John Henry Newman – Sermoni sulla Chiesa. Conferenze sulla dottrina della giustificazione. Sermoni penitenziali. (Fonte: THE INTERNATIONAL CENTRE OF NEWMAN FRIENDS)

Beato John Henry Newman: “I cristiani – avendo Cristo nel cuore – sorreggono il mondo (Amor meus crucifixus est). Più ci avviciniamo a Lui, più entra in noi; più abita in noi, più intimamente lo possediamo… Ecco, perché è così facile per noi morire per la nostra fede, tanto da stupire il mondo… Perché non ti avvicini a Lui?”

Nel romanzo “Callista”, Newman ha dimostrato cosa intende dire quando parla della “profonda ferita della natura umana” nel dialogo tra Callista e il prete Cecilio (che in realtà è Cipriano, Vescovo di Cartagine):

“Vuol dire – disse Callista con calma – che dopo questa vita finirò nel Tartaro per l’eternità?

– Tu sei felice? – chiese il sacerdote a sua volta.

Callista indugiò, abbassò gli occhi e poi disse con voce chiara e profonda:

– No.

Abbi il coraggio di guardare in faccia la realtà. Ogni giorno che passa senti su di te un peso in più. Questa è la legge della nostra vita terrena… Non puoi rifiutare di accettare ciò che non è un’opinione ma un fatto.

Voglio dire che questo peso di cui parlo non è solo un dogma della nostra fede, ma un fatto naturale innegabile. E i nostri sentimenti non potranno mai cambiarlo; anche se tu vivessi duecento anni, constateresti che è sempre più vero. Alla fine dei duecento anni, la tua infelicità sarebbe tale da non far rallegrare neppure i tuoi peggiori nemici….

– Ma tu non vivrai tanto, dovrai morire. Forse mi risponderai che così cesserai d’esistere. So però che non la pensi così. Tu pensi, come me e come una moltitudine d’altri individui, che continuerai a vivere, che continuerai ad esistere.

– Se, d’altra parte – continuò Cecilio, senza badare alla sua interruzione – tutti i tuoi pensieri seguono una stessa direzione; se tutti i tuoi bisogni, desideri, aspirazioni sono rivolti a un solo oggetto, e suppongono, per il fatto stesso della loro esistenza, che esista anche tale oggetto; e se niente in questo mondo può appagarli, e se una dottrina ti dice che vengono da quell’oggetto che hai presentito e di cui ti parlano, e così sono una risposta alla tua brama; e se quelli che hanno accettato quella risposta dicono che è soddisfacente; allora,Callista, non ti sentirai obbligata almeno a guardare quella soluzione, a esaminare ciò che ti hanno detto, e a chiedere il suo aiuto, se può darti la forza di credere in Lui?

– E’ ciò che mi diceva una mia vecchia schiava – commentò improvvisamente Callista -… Qual è il vostro rimedio, il vostro oggetto, il vostro amore, o maestro cristiano?…

Cecilio tacque un momento, come se non trovasse la risposta. Alla fine disse:

– Ogni individuo si trova nella tua situazione. Purtroppo, non amiamo l’unico amore che dura per sempre.

Noi amiamo le realtà che passano, che finiscono. Dato che le cose stanno così, colui che dovremmo amare ha deciso di riportarci a sé. Per questo, è venuto in questo mondo, sotto forma di uomo. E sotto questa forma umana, ci apre le braccia e cerca di farci tornare a Lui, nostro Creatore. Questa è la nostra fede, questo è il nostro amore, Callista…

È il solo che ama le anime – disse con foga Cecilio – ed ama ciascuno di noi come se fosse l’unica persona da amare. È morto per ciascuno di noi come se fossimo l’unica persona per cui morire. È morto su una croce obbrobriosa. “Amor meus crucifixus est”. L’amore ispirato da Lui dura per sempre, perché è l’amore dell’immutabile. È un amore che appaga perfettamente, perché è inesauribile. Più ci avviciniamo a Lui, più entra in noi; più abita in noi, più intimamente lo possediamo… Ecco, perché è così facile per noi morire per la nostra fede, tanto da stupire il mondo… Perché non ti avvicini a Lui? Perché non lasci le creature per il creatore?

Sì, la separazione dal creatore, che mette il creato al posto di Dio, questa è “la profonda ferita della natura umana”, quella ferita di cui il mondo si gloria ma che minaccia la caduta del mondo. Eppure il mondo, simile a un bambino piagnucoloso che allontana dalla sua bocca la medicina necessaria per la sua guarigione e mena colpi alla sua mamma che gliela porge, non solo rifiuta il rimedio per la sua ferita mortale, ma arriva persino a perseguitare il datore del rimedio.

Sì, sono i cristiani che sorreggono il mondo, con la loro comunione in Cristo, la loro santità, il loro vivere nel mondo senza appartenere al mondo, col dare tutto per amore di Cristo, disposti a perdere tutto pur di restare con Lui, in una parola, seguendo colui dal quale hanno ereditato il proprio nome. Sì, malgrado le forze contrarie, i cristiani – avendo Cristo nel cuore – sorreggono il mondo, non a guisa di una fascia che stringe insieme una ferita, ma come un nutrimento e una cura attenta che aiuta la ferita a guarire dal di dentro.”

(Beato John Henry Newman,Callista, Paoline, Roma 1983, p. 126-129.)

Beato John Henry Newman «Per la tua grazia, abiti in me in un modo ineffabile, mi unisci a te e a tutta l’assemblea degli angeli e dei santi»

«Se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò»


Mio Dio, eterno Paraclito, ti adoro, luce e vita. Avresti potuto limitarti a mandarmi dal di fuori buoni pensieri, e la grazia che li ispira e li compie; avresti potuto condurmi in questo modo nella vita, purificandomi soltanto con la tua azione tutta interiore al momento del mio passaggio all’altro mondo. Ma, nella tua compassione infinita, sei entrato nella mia anima, fin dall’inizio, ne hai preso possesso, ne hai fatto il tuo tempio. Per la tua grazia, abiti in me in un modo ineffabile, mi unisci a te e a tutta l’assemblea degli angeli e dei santi. Più ancora, sei personalmente presente in me, non solo con la tua grazia, ma proprio con il tuo essere, come se, pur conservando la mia personalità, io fossi in un certo modo, assorbito in te, fin da questa vita.

E siccome hai preso possesso del mio stesso corpo nella sua debolezza, anch’esso è il tuo tempio. Verità stupenda e temibile! O Dio mio, questo credo, questo so!

Posso forse peccare mentre sei così intimamente unito a me? Posso forse dimenticare chi è con me, chi è in me? Posso forse scacciare l’ospite divino per ciò che egli aborrisce più di qualunque altra cosa, per l’unica cosa al mondo che lo offende, per l’unica realtà che non è sua?… Mio Dio, ho una doppia sicurezza di fronte al peccato: primo, il timore di una tale profanazione, nella tua presenza, di tutto ciò che sei in me; e poi, la fiducia che la stessa tua presenza mi custodirà dal male… Nelle prove e nella tentazione, ti chiamerò… Proprio grazie a te, non ti abbandonerò mai.”


(Beato John Henry Newman)

Beato John Henry Newman “Fede e Settarismo” Il rischio della formazione di una setta attraverso la fede religiosa

 

Trascrivo degli scritti di John Henry Newman tratti dal dal Sermone XIV “La Sapienza, opposta alla fede e al settarismo”. L’intero sermone si può leggere in scritti filosofici ed. Bompiani

 

“L’uomo spirituale invece giudica ogni cosa, senza poter essere giudicato da nessuno” 1 Corinzi, II, 15

 

Il sistema, che è l’anima stessa, o, per essere più precisi, la causa formale della filosofia quando venga esercitata su una conoscenza adeguata, quando o nella misura in cui la conoscenza è limitata o incompleta, produce, o tende a produrre, soltanto teorici, dogmatici, filosofanti e settari.

 

Fede e Settarismo:

 

Ora, certamente, la fede si può confondere con il settarismo, con il dogmatismo, con la sicurezza di sè e con simili abitudini della mente, per diverse plausibili ragioni…..

La fede, dunque, per quanto sia una supposizione, ha questa peculiarità, che viene esercitata con senso di responsabilità. Quando le nostre supposizioni riguardano un ambito vasto, quando si sforzano di essere sistematiche e filosofiche, quando ci si abbandona ad esse in materia di speculazione, non di comportamento, non in riferimento a se stessi, ma ad altri, è allora che meritano il nome di SETTARISMO e di dogmatismo. Infatti, in tal caso facciamo un uso errato della luce che ci viene data, e confondiamo quella che è “lampada per i miei passi” ( Salmi 119, 105 ) con quello che è il sole per il cielo.

Ancora, è vero che la fede come il settarismo sostiene affermazioni dogmatiche che vanno al di là della sua conoscenza. Usa parole, frasi proposizioni, accetta dottrine e pratiche che capisce solo parzialmente, o non capisce affatto. Ora, finchè queste affermazioni non sono connesse a questioni di questo mondo, ma a cose celesti, naturalmente non sono prova di settarismo. Come la più ampia esperienza della vita non tenderebbe ad eliminare il mistero della dottrina della Santa Trinità, così neppure la più limitata ci priva del diritto di affermarla. Molta conoscenza e poca conoscenza ci lasciano davvero come eravamo, in materie di questo genere.

Ma il caso è molto diverso quando sono in discussione questioni di carattere sociale o morale, che pretendono di essere regole o massime per l’aggregazione o la condotta politiche, per il benessere del mondo, o per la guida dell’opinione pubblica.

 

Ora, che di fatto la fede possa finire nel settarismo, o possa intrecciarsi con il settarismo in questo o quel caso, naturalmente non lo nego; nello stesso tempo, queste due disposizioni della mente, qualunque siano le loro somiglianze, differiscono nel loro dogmatismo in questo:

  • Il SETTARISMO dichiara di comprendere ciò che afferma, benchè non sia così; esso argomenta e inferisce, rifiuta la fede, e fa sfoggio della ragione al suo posto. Esso sopravvive, non abbandonando l’argomentazione, ma argomentando in un unico modo. Assume non una posizione religiosa ma filosofica; avanza il diritto della sapienza, mentre la fede fin dall’inizio rende gli uomini desiderosi, con l’Apostolo, di essere folli per Cristo. Hanno i loro termini e i loro nomi per ogni cosa; e non si devono toccare più di quanto non si tocchino le cose che indicano. Parole di partiti o di politici, di tempi recenti, ai loro occhi sono tanto una parte della verità, quanto se fossero la voce della Scrittura o della Santa Chiesa. Hanno la loro unica idea o la loro nozione preferita che si presenta loro in ogni occasione. Hanno uno o due luoghi comuni, che tirano fuori di continuo, in una specie di pedanteria e hanno le loro forme, gerarchie e usi, che a loro sono tanto sacri quanto i Sacramenti datici dal Cielo.

 

  • La FEDE inizia mettendo da parte il ragionamento, e propone invece la semplice obbedienza ad un comandamento rivelato. I suoi discepoli dichiarano di non essere nè statisti nè filosofi; che non sviluppano principi nè costruiscono sistemi; che il loro fine ultimo non è la persuasione, la popolarità o il successo; che fanno solo la volontà di Dio, e desiderano la sua gloria. San Paolo diceva: “Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti. Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perchè nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio”

 

Come varia il mondo circostante, così variano anche, non i principi della dottrina di Cristo, ma la forma esteriore e il colore che essi assumono. E così la Fede è sempre lo strumento per apprendere qualcosa di nuovo, e in questo aspetto differisce dal Settarismo, che non ha elementi per avanzare in essa, ed è nella persuasione pratica di non aver niente da imparare. Per la mente angusta e il settario diciotto secoli di storia della Chiesa sono incomprensibili e inutili.

E’ la peculiarità della fede, dunque, quella di formare i suoi giudizi in un senso di dovere e responsabilità, con l’attenzione al comportamento personale, secondo le direttive rivelate, confessando la propria ignoranza, senza preoccuparsi delle conseguenze, in spirito docile e umile, eppure su un raggio di temi che neppure la stessa filosofia può superare.

In tutti questi aspetti essa è opposta al settarismo dove Gli uomini di mente limitata, lungi dal confessare ignoranza e dall’affermare la verità principalmente per dovere, dichiarano, come ho appena osservato, di comprendere la materia che affrontano e i principi che vi applicano. Non  vedono difficoltà. Ritengono di sostenere le loro dottrine almeno tanto in base alla ragione quanto in base alla fede; e si aspettano di essere in grado di convincere altri a credervi, e sono impazienti quando non riescono a farlo. Pensano di professare proprio la verità che rende facili tutte le cose. Hanno la loro unica idea o la loro nozione preferita che si presenta loro in ogni occasione. Hanno uno o due luoghi comuni, che tirano fuori di continuo, in una specie di pedanteria, essendo incapaci di discutere, in un modo naturale e non costretto, o di lasciare che i pensieri prendano il loro corso, fiduciosi che alla fine giungeranno a casa sani e salvi. Forse hanno scoperto, come pensano, l’idea guida, la semplice visione, o la somma e la sostanza del Vangelo; e insistono su questo o quel principio isolato, scelto da loro stessi a danno del resto dello schema rivelato. Vedervi meno di quanto vedono loro, significa, nel loro giudizio respingerlo; vedervi di più, significa dissimulare. Hanno i loro termini e i loro nomi per ogni cosa; e non si devono toccare più di quanto non si tocchino le cose che indicano. Parole di partiti o di politici, di tempi recenti, ai loro occhi sono tanto una parte della verità, quanto se fossero la voce della Scrittura o della Santa Chiesa. E hanno le loro forme, gerarchie e usi, che a loro sono tanto sacri quanto i Sacramenti datici dal Cielo.

Il vero Cattolicesimo è commisurato alle esigenze della mente umana; ma si trovano spesso persone sorprese di non poter persuadere tutti gli uomini a seguirle, e non possono eliminare il dissenso, predicando una parte del sistema divino, invece della sua totalità.

Nessuno è tanto imbevuto di una fede che ama da non avere forse qualcosa di settario da dimenticare; nessuno è di mente così angusta, e pieno di sè, da non essere influenzato, è da sperare, in una certa misura, dallo spirito della fede.

 

Facciamo sempre nostri la preghiera e il tentativo, che possiamo conoscere l’intero consiglio di Dio, e crescere nella misura della statura di Cristo; che ogni pregiudizio, la fiducia in se stessi, l’insincerità, l’irrealtà, la sicurezza di sè e la partigianeria possano essere eliminati da noi alla luce della Sapienza e al fuoco della fede e dell’amore; finchè non vedremo le cose come le vede Dio, con il giudizio del Suo Spirito e secondo la mente di Cristo.

 

John Henry Newman

 

 

Beato John Henry Newman: “Sarebbe così assurdo chiamare vivente l’anima che non prega”

 

«PREGATE INCESSANTEMENTE»

Beato John Henry Newman

 

1.«Pregate incessantemente!» (1Tess 5, 17). Un uomo non può essere realmente religioso un’ora, e non esserlo l’ ora seguente: questo vorrebbe dire che può essere in buona salute un’ora e in cattiva l’ora seguente …; essere religioso, significa essere abituato a pregare, pregare sempre. La Scrittura vuol dire questo, quando parla di fare tutto per la gloria di Dio, cioè mettere davanti a noi la sua presenza e la sua volontà, e agire costantemente con riferimento a Lui, affinché quel che noi facciamo formi un solo atto, un solo movimento di obbedienza, un omaggio incessante a Colui che ci ha fatti e di cui siamo servitori.

2. … Noi siamo nati con delle anime morte, morte per quanto concerne l’obbedienza religiosa. Lasciati a noi stessi, noi cresceremmo nell’ odio di Dio; e per quanto ci sarà dato di esistere, noi tenderemmo sempre più a esprimere la morte spirituale, il fuoco interiore dei tormenti dell’ inferno, crescendo in malizia per una lunga eternità … Ma Dio ha donato a tutti, anche ai bambini piccoli, una felice promessa in Cristo, e le nostre prospettive sono cambiate: questa promessa non è solo quella di una felicità futura, ma tramite il suo Santo Spirito, egli stabilisce in noi, quaggiù e subito, un nuovo inizio, una vita spirituale nuova, una vita dell’ anima …

 

3. Come Dio vivifica le nostre anime, non lo sappiamo, come non sappiamo come vivifica il nostro corpo: la nostra «vita » spirituale, dice S. Paolo, «è nascosta con Cristo in Dio» (Col 3,3). Ma come la vita del nostro corpo si manifesta con la sua attività, la presenza in noi dello Spirito Santo si manifesta con un’ attività spirituale, e questa attività è lo spirito di preghiera continua. La preghiera è per la vita spirituale quel che il battito del polso e la respirazione sono per la vita del corpo: sarebbe così assurdo supporre che la vita potesse continuare, quando il corpo è freddo, immobile e insensibile, quanto chiamare vivente l’ anima che non prega.

 

4. … Il dono della grazia che riceviamo nel battesimo non è un puro privilegio esteriore, un puro perdono esteriore nel quale il cuore non sarebbe coinvolto, qualche cosa come un semplice marchio impresso nell’ anima, distinguendola, di fatto, da quelle che non sono rigenerate, come un colore particolare o un bollo, ma senza rapporto con i pensieri, lo spirito e il cuore di un cristiano … La nuova nascita dallo Spirito Santo mette l’ anima in movimento in modo celeste, e ci dona buoni pensieri e buoni desideri, ci illumina e ci purifica, ci porta a cercare Dio: in una parola, ci dona una vita spirituale, ci apre gli occhi dello spirito, in modo che incominciamo a vedere Dio in tutte le cose tramite la fede, e ci teniamo in relazione continua con Lui tramite la preghiera.

 

John Henry Newman (1801-1890), Sermoni parrocchiali, VII

Beato John Henry Newman «Per la tua grazia, abiti in me in un modo ineffabile, mi unisci a te e a tutta l’assemblea degli angeli e dei santi»

 

« Se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò »

Mio Dio, eterno Paraclito, ti adoro, luce e vita. Avresti potuto limitarti a mandarmi dal di fuori buoni pensieri, e la grazia che li ispira e li compie; avresti potuto condurmi in questo modo nella vita, purificandomi soltanto con la tua azione tutta interiore al momento del mio passaggio all’altro mondo. Ma, nella tua compassione infinita, sei entrato nella mia anima, fin dall’inizio, ne hai preso possesso, ne hai fatto il tuo tempio. Per la tua grazia, abiti in me in un modo ineffabile, mi unisci a te e a tutta l’assemblea degli angeli e dei santi. Più ancora, sei personalmente presente in me, non solo con la tua grazia, ma proprio con il tuo essere, come se, pur conservando la mia personalità, io fossi in un certo modo, assorbito in te, fin da questa vita.

E siccome hai preso possesso del mio stesso corpo nella sua debolezza, anch’esso è il tuo tempio. Verità stupenda e temibile! O Dio mio, questo credo, questo so!

Posso forse peccare mentre sei così intimamente unito a me? Posso forse dimenticare chi è con me, chi è in me? Posso forse scacciare l’ospite divino per ciò che egli aborrisce più di qualunque altra cosa, per l’unica cosa al mondo che lo offende, per l’unica realtà che non è sua?… Mio Dio, ho una doppia sicurezza di fronte al peccato: primo, il timore di una tale profanazione, nella tua presenza, di tutto ciò che sei in me; e poi, la fiducia che la stessa tua presenza mi custodirà dal male… Nelle prove e nella tentazione, ti chiamerò… Proprio grazie a te, non ti abbandonerò mai.

Beato John Henry Newman

Beato John Henry Newman : “Così il Padre ci ama”

 

Così il Padre ci ama

 

“Iddio ci vede e ci conosce tutti, uno a uno. Chiunque tu sia, egli ti vede individualmente. Egli ti chiama col tuo nome. Egli ti comprende quale realmente ti ha fatto. Egli conosce ciò che è in te, tutti i tuoi sentimenti e pensieri più intimi, le tue disposizioni e preferenze, la tua forza e la tua debolezza. Egli ti guarda nel giorno della gioia e nel giorno della tristezza, ti ama nella speranza e nella tua tentazione, s’interessa di tutte le tue ansietà, di tutti i tuoi ricordi, di tutti gli alti e bassi del tuo spirito. Egli ha perfino contato i capelli del tuo capo e misurato la tua statura, ti circonda e ti sostiene con le sue braccia, ti solleva e ti depone. Egli osserva i tratti del tuo volto, quando piangi e sorridi, quando sei malato e quando godi buona salute. Con tenerezza Egli guarda le tue mani e i tuoi piedi; sente la tua voce, il battere del tuo cuore, ode perfino il tuo respiro. Tu non ami te stesso più di  quanto Egli ti ama. Tu non puoi fremere innanzi al dolore come Egli freme vedendolo venire sopra di te, e se tuttavia te lo impone, è perchè anche tu, se fossi davvero sapiente, lo sceglieresti per un maggior bene futuro…”

 

(John Henry Newman)

Beato John Henry Newman: “la vera religiosità è una vita nascosta nel cuore” “I veri cristiani”, disse Newman, “sono vigilanti, e i cristiani incoerenti non lo sono”

 

 “la vera religiosità è una vita nascosta nel cuore; sebbene essa non possa esistere senza le azioni, queste sono per lo più azioni segrete: segrete opere di carità, segrete preghiere, segrete rinunce, segrete lotte, segrete vittorie” (Gesù, p. 206).

“E’ compito specifico del cristiano opporsi al mondo” (Sermoni, p. 545). cioè, “essere distaccati da ciò che è presente e vivere in quello che non è visibile; vivere nel pensiero di Cristo che è venuto una volta, e che verrà nuovamente; desiderando la sua seconda venuta per il ricordo affezionato e grato della sua incarnazione nel grembo di Maria”

Vegliare con Cristo significa rinnovare la vita di Cristo nella nostra vita, comprese la sua passione e morte. “Chiunque vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mc 8,24). “I veri cristiani”, disse Newman, “sono vigilanti, e i cristiani incoerenti non lo sono” (Come guardare, p. 33).

Siamo forse tentati di trascurare il servizio di Dio per qualche scopo temporale? Questo è del mondo, e da non accettare. Siamo messi in ridicolo perla nostra condotta coscienziosa? Ancora una volta questo è un giudizio del mondo, a cui bisogna resistere. Siamo tentati di dare troppo tempo ai nostri svaghi, di stare oziosi quando dovremmo lavorare; leggere o parlare quando dovremmo occuparci del nostro dovere temporale; sperare cose impossibili, sognare di essere in uno stato di vita diverso dal nostro; troppo ansiosi dell’opinione degli altri; attenti a ricevere credito per la propria laboriosità, onestà e prudenza? Tutte queste cose sono tentazioni del mondo. Siamo insoddisfatti della nostra sorte, oppure le siamo troppo legati, piagnucolosi e abbattuti quando Dio richiama il bene che ci ha dato? Questi uomini sono di mentalità mondana (PS VII, p. 39-40).

“In questo allora,” sostiene Newman in un altro sermone, “consiste il nostro totale dovere, primo nel contemplare Dio onnipotente, come in cielo così nei nostri cuori e nell’anima; poi, pur contemplandolo, nel lavorare in Lui e per Lui, nelle opere di ogni giorno, nell’ammirare con fede la sua gloria con e senza di noi, e nel riconoscerlo con la nostra obbedienza” (PS III, p. 269).

“Vegliate, dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora” (Mt 25, 13).

“Sembra”, disse Newman, “che la volontà di Cristo sia che i suoi discepoli non debbano avere alcuna meta o fine, occupazione o affare che appartenga meramente a questo mondo” (PS II, p. 82).

Occorre compiere tutti i nostri doveri nell’obbedienza alla volontà e alla luce di Dio. Precisa: “Ogni atto di obbedienza è un avvicinarsi – un avvicinarsi a Lui che non è lontano, anche se lo sembra, ma molto vicino al visibile schermo delle cose che lo nascondono da noi. Egli è dietro questa struttura; terra e cielo non sono che un velo frapposto tra Lui e noi; il giorno verrà quando Egli strapperà quel velo e si mostrerà a noi. E allora, secondo il modo con cui lo abbiamo aspettato, ci ricompenserà” (PS IV, p. 332).

Beato John Henry Newman : Sì, malgrado le forze contrarie, i cristiani – avendo Cristo nel cuore – sorreggono il mondo “Amor meus crucifixus est”. Più ci avviciniamo a Lui, più entra in noi; più abita in noi, più intimamente lo possediamo… Ecco, perché è così facile per noi morire per la nostra fede, tanto da stupire il mondo… Perché non ti avvicini a Lui?

Nel romanzo Callista, Newman ha dimostrato cosa intende dire quando parla della “profonda ferita della natura umana” nel dialogo tra Callista e il prete Cecilio (che in realtà è Cipriano, Vescovo di Cartagine):

“Vuol dire – disse Callista con calma – che dopo questa vita finirò nel Tartaro per l’eternità?

– Tu sei felice? – chiese il sacerdote a sua volta.

Callista indugiò, abbassò gli occhi e poi disse con voce chiara e profonda:

– No.

Abbi il coraggio di guardare in faccia la realtà. Ogni giorno che passa senti sudi te un peso in più. Questa è la legge della nostra vita terrena… Non puoi rifiutare di accettare ciò che non è un’opinione ma un fatto.

Voglio dire che questo peso di cui parlo non è solo un dogma della nostra fede, ma un fatto naturale innegabile. E i nostri sentimenti non potranno mai cambiarlo; anche se tu vivessi duecento anni, constaterestiche è sempre più vero. Alla fine dei duecento anni, la tua infelicità sarebbe tale da non far rallegrare neppurei tuoi peggiori nemici….

– Ma tu non vivrai tanto, dovrai morire. Forse mi risponderai che così cesserai d’esistere. So però che non lapensi così. Tu pensi, come me e come una moltitudine d’altri individui, che continuerai a vivere, checontinuerai ad esistere.

– Se, d’altra parte – continuò Cecilio, senza badare alla sua interruzione – tutti i tuoi pensieri seguono unastessa direzione; se tutti i tuoi bisogni, desideri, aspirazioni sono rivolti a un solo oggetto, e suppongono, peril fatto stesso della loro esistenza, che esista anche tale oggetto; e se niente in questo mondo può appagarli, ese una dottrina ti dice che vengono da quell’oggetto che hai presentito e di cui ti parlano, e così sono unarisposta alla tua brama; e se quelli che hanno accettato quella risposta dicono che è soddisfacente; allora,Callista, non ti sentirai obbligata almeno a guardare quella soluzione, a esaminare ciò che ti hanno detto, e achiedere il suo aiuto, se può darti la forza di credere in Lui?

– E’ ciò che mi diceva una mia vecchia schiava – commentò improvvisamente Callista -… Qual è il vostro rimedio, il vostro oggetto, il vostro amore, o maestro cristiano?…

Cecilio tacque un momento, come se non trovasse la risposta. Alla fine disse:

– Ogni individuo si trova nella tua situazione. Purtroppo, non amiamo l’unico amore che dura per sempre.

Noi amiamo le realtà che passano, che finiscono. Dato che le cose stanno così, colui che dovremmo amare ha deciso di riportarci a sé. Per questo, è venuto in questo mondo, sotto forma di uomo. E sotto questa forma umana, ci apre le braccia e cerca di farci tornare a Lui, nostro Creatore. Questa è la nostra fede, questo è il nostro amore, Callista…

È il solo che ama le anime – disse con foga Cecilio – ed ama ciascuno di noi come se fosse l’unica persona da amare. È morto per ciascuno di noi come se fossimo l’unica persona per cui morire. È morto su una croce obbrobriosa. “Amor meus crucifixus est”. L’amore ispirato da Lui dura per sempre, perché è l’amore dell’immutabile. È un amore che appaga perfettamente, perché è inesauribile. Più ci avviciniamo a Lui, più entra in noi; più abita in noi, più intimamente lo possediamo… Ecco, perché è così facile per noi morire per la nostra fede, tanto da stupire il mondo… Perché non ti avvicini a Lui? Perché non lasci le creature per il creatore?

Sì, la separazione dal creatore, che mette il creato al posto di Dio, questa è “la profonda ferita della natura umana”, quella ferita di cui il mondo si gloria ma che minaccia la caduta del mondo. Eppure il mondo, simile a un bambino piagnucoloso che allontana dalla sua bocca la medicina necessaria per la sua guarigione e mena colpi alla sua mamma che gliela porge, non solo rifiuta il rimedio per la sua ferita mortale, ma arriva persino a perseguitare il datore del rimedio.

Sì, sono i cristiani che sorreggono il mondo, con la loro comunione in Cristo, la loro santità, il loro vivere nel mondo senza appartenere al mondo, col dare tutto per amore di Cristo, disposti a perdere tutto pur di restare con Lui, in una parola, seguendo colui dal quale hanno ereditato il proprio nome. Sì, malgrado le forze contrarie, i cristiani – avendo Cristo nel cuore – sorreggono il mondo, non a guisa di una fascia che stringe insieme una ferita, ma come un nutrimento e una cura attenta che aiuta la ferita a guarire dal di dentro.

NEWMAN J. H.,Callista, Paoline, Roma 1983, p. 126-129.

Beato John Henry Newman : “Che cos’è l’uomo, che cosa siamo noi, che cosa sono io, perché il Figlio di Dio debba prendersi tanta cura di me? Sulla Provvidenza individuale”

 

Dal Sermone IX sulla Provvidenza individuale

 

Dio ti osserva individualmente, chiunque tu sia. Egli “ti chiama con il tuo nome”. Egli ti vede, ti comprende, così come Egli ti ha creato. Egli sa quello che c’è dentro di te, tutti i tuoi sentimenti e pensieri, quelli che ti sono propri, le tue inclinazioni e le cose che ti piacciono, la tua forza e la tua debolezza. Egli ti osserva nei giorni della tua gioia come pure nel giorno del dolore. Egli ti è vicino nelle tue speranze come nelle tue tentazioni. Egli mette il Suo interesse in tutte le tue preoccupazioni, in tutte le tue tristi o liete ricordanze. Egli ha contato tutti i capelli della tua testa e i millimetri della tua statura. Egli ti abbraccia tutt’intorno e ti porta sulle Sue braccia; Egli ti raccoglie da terra e ti depone giù. Egli nota il tuo stesso volto, sia quando sorride che quando è in lacrime, sia quando è in piena salute, che quando è malaticcio. Egli guarda con tenerezza le tue mani e i tuoi piedi; Egli ode la tua voce, il battito del tuo cuore, e il tuo stesso respiro. Tu non ami te stesso meglio di quanto Egli ti ami. Tu non puoi sfuggire al dolore più di quanto Egli si dolga del tuo doverlo sopportare, e se è Lui che te lo manda, è come se fossi tu a volerlo volontariamente su te stesso, se sei saggio, nell’attesa di un bene assai più grande poscia. Tu sei non solo la Sua creatura (sebbene Egli abbia molta cura perfino dei passerotti …), sei l’uomo redento e santificato, il Suo figlio adottivo, che gode del favore di una parte di quella gloria e beatitudine che fluisce da Lui eternamente nell’Unigenito. … Tu fosti uno di quelli per i quali Cristo offri la Sua ultima preghiera, e la suggellò con il Suo sangue prezioso… Che cos’è l’uomo, che cosa siamo noi, che cosa sono io, perché il Figlio di Dio debba prendersi tanta cura di me?

Beato John Henry Newman