“Non dobbiamo quindi fidarci della nostra intelligenza circa le profezie, bensì della nostra fede”
“Deve guidarci in tutto la legge di Cristo uomo, della sua Chiesa e dei suoi ministri, che ci parlano in maniera umana e visibile.”
“Il demonio suggerisce molte cose vere e conformi alla ragione, che si avvereranno. Le anime, quindi, possono facilmente cadere nell’inganno, convinte che, essendo cose vere e che si realizzano, non possono venire che da Dio”
“Il demonio è abilissimo nell’insinuare menzogne, da cui è possibile liberarsi solo rifuggendo da tutte le rivelazioni, visioni e locuzioni soprannaturali”
SAN GIOVANNI DELLA CROCE, DOTTORE DELLA CHIESA:
Non dobbiamo quindi pensare che, sebbene le parole e le rivelazioni vengano da Dio, necessariamente debbano realizzarsi alla lettera, soprattutto quando sono legate a cause umane, che possono variare, mutare e scomparire.
Quando tali fatti dipendono da queste cause, Dio solo lo sa, ma non sempre lo rivela. Talvolta egli comunica le sue parole o le sue rivelazioni, tacendo sulle circostanze in cui si avvereranno, come fece con i niniviti, ai quali disse categoricamente che sarebbero stati distrutti al termine di quaranta giorni (Gio 3,4). Altre volte spiega le circostanze, come fece con Roboamo dicendogli: Se ascolterai quanto ti comanderò, se seguirai le mie vie e farai quanto è giusto ai miei occhi osservando i miei decreti e i miei comandi, come ha fatto Davide mio servo, io sarò con te e ti edificherò una casa stabile come l’ho edificata per Davide (1Re 11,38). Tuttavia, che manifesti o meno le condizioni delle profezie, non dobbiamo basarci sulla nostra intelligenza, perché non siamo in grado di comprendere le verità nascoste nella parola di Dio o nei significati molteplici che essa può assumere. Egli sta in cielo e parla in termini di eternità; noi, invece, ciechi, siamo su questa terra e comprendiamo solo le vie della carne e del tempo. Per questo motivo il Saggio ha detto: Non essere precipitoso con la bocca e il tuo cuore non si affretti a proferir parola davanti a Dio, perché Dio è in cielo e tu sei sulla terra (Qo 5,1).
Forse mi dirai: ma allora, se non dobbiamo comprendere queste rivelazioni né occuparci di esse, perché Dio ce le comunica? Ho detto che ogni rivelazione verrà compresa nel momento stabilito da colui che l’ha fatta e solo da chi vuole lui; si vedrà allora che era meglio così, perché Dio non fa nulla senza motivo e al di fuori della verità. Occorre, dunque, convincersi che è impossibile comprendere compiutamente il significato delle parole e delle rivelazioni di Dio, né basarsi sulle loro apparenze, senza cadere in gravi errori e in profonda confusione. (…)
Perché, dunque, stupirsi se alcune profezie o rivelazioni che Dio fa alle anime non si verificano nel senso in cui vengono intese? Nel caso infatti che Dio dica a un’anima o le riveli che essa o un’altra riceverà tale o tal altra cosa di bene o di male, qualora ci si basi su determinati atti attraverso cui questa o un’altra anima recano gloria od offesa a Dio, se tali anime perseverano in questo atteggiamento, la profezia si avvererà. Ma non è certo che questa si avvererà, perché non è certo che le anime perseverino. Non dobbiamo quindi fidarci della nostra intelligenza circa le profezie, bensì della nostra fede. (…)
Ritengo, tuttavia, molto pericoloso per un’anima desiderare conoscenze per via soprannaturale, peggio ancora che se cercasse tramite i sensi dolcezze spirituali. Non vedo, infatti, come l’anima che le pretende non pecchi almeno venialmente, sebbene abbia le migliori intenzioni e sia giunta alla perfezione. Lo stesso vale per il direttore che la guidasse in questo senso o consentisse a questo suo modo di fare. Non c’è, infatti, alcun bisogno di comportarsi così. Abbiamo la ragione naturale, la legge e la dottrina evangelica, secondo le quali ci si può sufficientemente regolare; non c’è difficoltà o necessità che non si possa risolvere e rimediare con questi mezzi graditi a Dio e vantaggiosi per le anime. Dobbiamo, anzi, ricorrere alla ragione e alla dottrina evangelica sempre e in modo tale che, se ci venissero comunicate alcune cose soprannaturali dietro nostra richiesta oppure indipendentemente dalla nostra volontà, dovremmo accogliere soltanto quelle che sono perfettamente conformi alla ragione e al dettato evangelico. In questo caso dovremmo accogliere tali cose non perché sono una rivelazione, ma perché conformi alla ragione, lasciando perdere ogni riferimento alla rivelazione. Ma anche in questi casi dovremmo considerare ed esaminare il fatto molto più attentamente che se non vi fosse stata rivelazione alcuna, perché il demonio insinua molte cose vere, cose che accadranno e del tutto conformi alla ragione, ma lo fa solo per ingannare.
In tutte le nostre necessità, sofferenze e difficoltà non ci resta, quindi, altro mezzo migliore e più sicuro che la preghiera e la speranza che Dio ci aiuterà nel modo che crederà opportuno. (…)
Questi e altri esempi mostrano come Dio accondiscenda malvolentieri ai desideri delle anime. Vi sono molte altre testimonianze nella sacra Scrittura che provano quanto detto, ma non c’è bisogno di riportarle perché la nostra asserzione è chiara di per sé. Dico solo che è pericoloso, molto più di quanto sappia esprimermi, voler trattare con Dio per tali vie. Chi si basa su questi mezzi certamente cadrà in gravi errori e spesso in una grande confusione. Chi ci farà attenzione, mi capirà per esperienza. Del resto, oltre alla facilità d’ingannarsi riguardo alle locuzioni e alle visioni provenienti da Dio, ordinariamente ve ne sono molte che vengono dal demonio. Questi, infatti, tiene generalmente nei confronti dell’anima un comportamento e un modo di fare simile a quello di Dio, per insinuarsi in essa indistintamente come il lupo penetra nell’ovile sotto le spoglie di pecora. Egli suggerisce molte cose vere e conformi alla ragione, che si avvereranno. Le anime, quindi, possono facilmente cadere nell’inganno, convinte che, essendo cose vere e che si realizzano, non possono venire che da Dio. In realtà ignorano che è facilissimo per chi, come il demonio, possiede un lume naturale così grande, conoscere gli avvenimenti o molti di essi, passati e futuri già nelle loro cause. Poiché il demonio possiede questa luce molto viva, con estrema facilità può predire che alla tal causa seguirà quel determinato effetto, anche se a volte si sbaglia perché tutte le cause dipendono dalla volontà di Dio.
Facciamo un esempio: il demonio sa che la disposizione della terra, dell’aria e del sole è tale che, necessariamente, in un determinato momento, proprio in virtù della loro disposizione, quegli elementi si deterioreranno e diffonderanno, con la peste, il contagio alle persone; sa anche dove questa colpirà di più e dove meno. Ecco prevista la peste nelle sue cause. Ci sarebbe allora da stupirsi se il demonio rivelasse ciò a un’anima, dicendo: “Tra un anno” o “tra sei mesi scoppierà la peste”, e poi la previsione si avverasse? Ma è una profezia del demonio. Allo stesso modo egli può conoscere i terremoti. Vede che le viscere della terra si vanno gonfiando di aria e potrebbe dire: “Nel tal giorno la terra tremerà”. Ma questa è una conoscenza naturale. (…)
Lo stesso si può dire di molti altri avvenimenti in tanti altri modi che non finirei di esporre. Non saprei neppure come cominciare a parlarne, perché molto intricati e sottili. Il demonio è abilissimo nell’insinuare menzogne, da cui è possibile liberarsi solo rifuggendo da tutte le rivelazioni, visioni e locuzioni soprannaturali. Per questo giustamente Dio si adira con chi le ammette, perché vede che la temerarietà di mettersi in simili pericoli è presunzione, curiosità, motivo di superbia e fonte di vanagloria, disprezzo delle cose di Dio e principio di molti mali in cui tanti sono caduti. Costoro irritano talmente Dio che egli li lascia volutamente cadere nell’errore, nell’inganno e nell’accecamento dello spirito. Permette, altresì, che abbandonino le regole ordinarie della vita, per consegnarsi ai loro capricci e alle loro fantasie, come dice Isaia: Domine miscuit in medio eius spiritum vertiginis: Il Signore ha mandato in mezzo a loro uno spirito di smarrimento (Is 19,14), che, in parole povere, significa lo spirito di capire alla rovescia. Le parole di Isaia fanno proprio al caso nostro, perché parlano di coloro che volevano conoscere il futuro per vie soprannaturali. Per questo dice che Dio ha diffuso in loro uno spirito che fa loro capire le cose a rovescio. Non perché Dio abbia voluto così o abbia appositamente dato questo spirito di errore, ma perché essi volevano intromettersi in misteri che non potevano raggiungere naturalmente. Sdegnato per questo motivo, lasciò che si smarrissero, non concedendo loro la luce per quelle cose in cui non voleva che s’intromettessero. Quando il profeta dice che Dio ha dato questo spirito di errore, vuol dire che ha agito in maniera privativa. In questo modo Dio è causa di quel danno, cioè causa privativa: egli toglie la sua luce e la sua assistenza; di conseguenza si cade inevitabilmente nell’errore.
In questo modo il Signore permette che il demonio accechi e inganni molte anime, a causa dei loro peccati e della loro presunzione. Il demonio può farlo e ottiene il suo scopo, perché esse gli credono e lo scambiano per uno spirito buono. Tanto è vero che, malgrado le insistenze per dissuaderle, non si riesce a strapparle dall’inganno. Dio permette che assimilino questo spirito, che consiste nel capire le cose a rovescio. Ciò è quanto accadde ai profeti del re Acab. Dio permise che fossero ingannati dallo spirito di menzogna, lasciando mano libera al demonio, in questi termini: Decipies, et praevalebis; egredere, et fac ita: Lo ingannerai senz’altro; ci riuscirai; va’ e fa’ così (1Re 22,22). E il demonio riuscì a ingannare il re e i profeti al punto che non vollero credere al profeta Michea, che annunciava loro la verità, del tutto contraria a quella che gli altri avevano profetizzato. Questo perché Dio permise che venissero accecati a motivo del loro attaccamento a ciò che volevano accadesse, cioè che Dio rispondesse secondo le loro voglie e i loro desideri. Ora, questo era un mezzo e una disposizione che avrebbe necessariamente indotto Dio a lasciarli di proposito nel loro accecamento e inganno.
Allo stesso modo profetizzò anche Ezechiele in nome di Dio. Parlando contro colui che, spinto dalla curiosità e dall’ambizione del suo spirito, vuole conoscere gli avvenimenti per via soprannaturale, afferma: Quando un tale uomo verrà dal profeta a consultarmi per mezzo di lui, io, il Signore, gli risponderò da me stesso e volgerò la mia faccia adirata contro di lui… e contro il profeta che ha errato circa quello che è stato domandato. Ego, Dominus, decepi prophetam illum (Ez 14,7-9 Volg.), cioè: Io, il Signore, ho ingannato quel profeta. Questo significa che Dio non interviene con la sua grazia per impedire che il profeta s’inganni, come risulta dall’altra espressione: Io, il Signore, risponderò da me nella mia ira. Dio allora ritira la sua grazia e il suo favore da quell’anima che, priva dell’assistenza divina, necessariamente cade nell’inganno. Subito il demonio provvede a rispondere ai desideri e alle voglie di quell’anima, che, soddisfatta delle risposte e delle comunicazioni conformi alla sua volontà, cade in una grave illusione. (…)
Ora, perciò, deve guidarci in tutto la legge di Cristo uomo, della sua Chiesa e dei suoi ministri, che ci parlano in maniera umana e visibile. Solo in questo modo troveremo un rimedio alla nostra ignoranza e debolezza spirituale; per questa via troveremo abbondante medicina per tutti i nostri bisogni. Cercando altrove, manifesteremmo non solo curiosità, ma anche impudenza. Non si deve credere a nulla di ciò che ci viene per via soprannaturale, ma solo all’insegnamento di Cristo uomo e, ripeto, a quello dei suoi ministri, uomini anch’essi. Tant’è vero che san Paolo si esprime in questi termini: Quod si angelus de caelo evangelizaverit, praeterquam quod evangelizavimus vobis, anathema sit: Se anche un angelo dal cielo predicasse un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anatema! (Gal 1,8).
Va notato che il Signore non ha detto: dove sarà uno ci sarò anch’io, ma: dove saranno almeno due. Con questa espressione Dio vuol farci capire che non vuole che nessuno dia credito da solo alle comunicazioni che ritiene provenienti dall’alto, né che vi si conformi o si appoggi senza il consiglio della Chiesa e dei suoi ministri. Chi è solo, non ha il Signore che gli chiarisca o gli confermi le verità nel cuore, e così rimarrà sempre debole e freddo nei confronti della verità.
(San Giovanni della Croce, Dottore della Chiesa, da “La salita al monte Carmelo, dal cap. 19 al 22”)
Per approfondire: https://www.monasterovirtuale.it/s-giovanni-della-croce/salita-del-monte-carmelo.html?start=2
SANT’AGOSTINO: -Cristiani di nome, non di fatto- “Perché mai Gesù non fu riconosciuto? Perché rimproverava a ciascuno i suoi peccati. Gli uomini che amavano i piaceri del peccato, non potevano riconoscere Dio”
DAL COMMENTO ALLA LETTERA DI SAN GIOVANNI, SANT’AGOSTINO
[Confessare il peccato e lottare con la grazia di Dio.]
3. Se voi sapete che egli è giusto, sappiate che chiunque si diporta giustamente, è nato da lui (1 Gv 2, 29). Attualmente la nostra giustizia deriva dalla fede. La giustizia perfetta si trova solo negli angeli, ma se li mettiamo a confronto con Dio, dovremo dire che a mala pena essi sono nella giustizia. Ma se esiste una giustizia relativamente perfetta nelle anime e negli spiriti creati da Dio, questa si trova negli angeli buoni santi e giusti, che non hanno abbandonato Dio con nessun peccato, non sono caduti in atti di superbia, ma sono sempre rimasti fedeli nella contemplazione del Verbo di Dio, nulla avendo di più dolce se non la visione di colui dal quale sono stati creati. Orbene in questi angeli noi troviamo la perfetta giustizia, mentre in noi si trova quella giustizia che ha avuto inizio dalla fede secondo lo Spirito. Allorché leggevamo il salmo, avete sentito queste parole: Incominciate a lodare il Signore con la confessione (Sal 146, 7). Il salmista dunque ci dice di incominciare: ora l’inizio della nostra giustizia è la confessione dei nostri peccati. Se hai incominciato a non scusare il tuo peccato, già hai dato inizio alla tua giustificazione: essa diventerà poi perfetta, quando il tuo unico diletto sarà la giustizia, e la morte sarà assorbita nella vittoria (cf. 1 Cor 15, 54), né più ti attirerà la concupiscenza, non si avrà più in te la lotta contro la carne ed il sangue e tu avrai la corona della vittoria, il trionfo sul nemico: allora ci sarà anche in te la perfetta giustizia.
Per il momento dobbiamo ancora combattere e se combattiamo significa che ancora ci troviamo nello stadio; possiamo infliggere ferite ma anche essere feriti, ed aspettiamo di vedere chi sarà il vincitore. Ora vincitore sarà colui che riesce a ferire, non facendo affidamento sulle sue forze, ma sulla spinta di Dio. Il diavolo è solo nel combatterci. Noi vinciamo il diavolo se stiamo vicini a Dio. Se pretendi di opporti da solo al diavolo, sarai sconfitto. Egli è un avversario avveduto ed esperto. Quante vittorie ha al suo attivo! Guardate da quale altezza ci ha precipitato: per farci nascere mortali, riuscì a scacciare dal paradiso i nostri progenitori. Che cosa fare dunque, dal momento che egli è tanto esperto? Si invochi l’Onnipotente contro il diavolo che è un nemico agguerrito. Abiti dentro di te colui che non può essere vinto, ed allora certamente vincerai colui che è solito vincere. Chi però il diavolo riesce sempre a vincere? Colui nel quale non abita il Signore. Adamo, infatti, mentre era nel paradiso disprezzò, come sapete, il comando del Signore e divenne superbo, desiderando essere indipendente, non più soggetto alla volontà di Dio; e così cadde dalla sua condizione di immortalità e di beatitudine (cf. Gn 3, 6). Ci fu un tempo un uomo agguerrito anche se mortale, che, sedendo nello sterco tra putridi vermi, vinse il diavolo: fu Adamo stesso che lo vinse nella persona di Giobbe, essendo questi un suo discendente; Adamo, quando era nel paradiso, subì la sconfitta; quando invece si trovò nello sterco, conseguì la vittoria. Quando era nel paradiso diede ascolto alle parole suasive della donna, che le aveva sentite suggerire dal diavolo; ma quando si trovò in mezzo allo sterco, egli disse ad Eva: Hai parlato da donnetta stolta (Gb 2, 10). Là, nel paradiso, si lasciò suggestionare, ma qui sa rispondere a tono; quando era in condizioni di felicità, si lasciò convincere; ma quando si trovò in mezzo alla disgrazia, ottenne la vittoria. Fate perciò attenzione, o fratelli, alle parole successive di questa Epistola: ci viene raccomandato di vincere il diavolo, ma non da soli. Se sapete che egli è giusto – ci dice l’apostolo Giovanni – sappiate che chi agisce con giustizia è nato da lui, cioè da Dio, da Cristo. Parlando di chi è nato da lui è a noi che si rivolge. Dunque per il fatto di essere nati da lui già siamo perfetti.
[Cristiani di nome, non di fatto.]
4. Ascoltate: Ecco quale amore ci mostrò il Padre: che siamo chiamati figli di Dio e lo siamo in realtà (1 Gv 3, 1). Chi di figlio ha soltanto il nome, non è vero figlio, che vantaggio ha da tal nome, se nulla significa per lui? Quanti si dicono medici ma non sanno curare i malati! Quanti hanno il nome di guardia, ma dormono tutta la notte! Allo stesso modo molti si dicono cristiani, ma in definitiva non lo sono, non sono ciò che il loro nome significa, non lo sono nella vita, non nei costumi, nella fede, nella speranza, nella carità. Ricordate, o fratelli, quanto avete udito: Ecco quale amore ci ha dimostrato il Padre: che siamo chiamati figli di Dio e lo siamo in realtà. Per questo il mondo non ci conosce; dal momento che il mondo non ha conosciuto il Padre, non conosce neanche noi (1 Gv 3, 1). Il mondo è tutto cristiano e in pari tempo è tutto empio; gli empi infatti sono sparsi in tutto il mondo e lo stesso si verifica per le persone pie: gli uni non conoscono gli altri. Come sappiamo che non si conoscono a vicenda? Da questo: che gli empi lanciano insulti contro coloro che vivono bene. Fate bene attenzione perché costoro si trovano forse anche in mezzo a voi.
Ciascuno di voi già vive religiosamente, già disprezza le cose del secolo, non va agli spettacoli, non si ubriaca come si trattasse di un rito, non si rende impuro (e la cosa è molto importante) nelle feste dei santi, col pretesto di ottenere il loro patrocinio. Perché mai, dunque, chi non compie tali azioni viene insultato da chi le compie? Ma come potrebbe essere oggetto di insulto, se fosse conosciuto? Perché allora non sono conosciuti? Perché il mondo non conosce il Padre. Chi sono coloro che formano il mondo? Evidentemente quelli che abitano il mondo, così come, dicendo casa, si intende parlare dei suoi abitatori. Queste cose già le abbiamo dette e ripetute, né ci stanchiamo di ripeterle. Quando sentite parlare del mondo in senso cattivo, dovete intendere solo gli amatori del mondo. Essi abitano nel mondo in quanto lo amano; e poiché lo abitano, hanno anche meritato di assumerne il nome. Il mondo perciò non ci conosce, perché non conosce il Padre. Gesù stesso camminava per le strade del mondo ed era Dio in carne umana, Dio nascosto nella debolezza della carne. Perché mai non fu riconosciuto? Perché rimproverava a ciascuno i suoi peccati. Gli uomini che amavano i piaceri del peccato, non potevano riconoscere Dio: amando ciò che la febbre suggeriva loro, facevano ingiuria al medico.
[Cristo è venuto per essere giudicato, tornerà per giudicare.]
5. Ma noi che faremo? Già siamo nati da lui, ma poiché restiamo ancora nella speranza, l’Apostolo ha aggiunto: Dilettissimi, ora siamo figli di Dio. Lo siamo già fin d’ora? Che cosa allora dobbiamo aspettare, se già siamo figli di Dio? Non ancora ci è stato rivelato ciò che saremo. Saremo qualcosa di diverso da ciò che sono i figli di Dio? Ascoltate le parole che seguono: Sappiamo che quando apparirà, saremo simili a lui, poiché lo vedremo così come egli è (1 Gv 3, 2). Comprenda la vostra Carità questa grande cosa: sappiamo che quando apparirà, saremo simili a lui, poiché lo vedremo così come egli è. Fate attenzione e vedete chi è qui indicato con la parola: è. Già voi sapete chi viene così chiamato. Viene detto è non soltanto chi è di nome ma chi è anche di fatto; chi ha un essere immutabile, eterno, incorruttibile; un essere che non migliora, perché già perfetto, né diminuisce perché eterno. Che cosa significa questo? In principio era il Verbo ed il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio (Gv 1, 1). Che cosa significano queste altre parole? Egli pur sussistendo in forma divina non giudicò un’usurpazione essere uguale a Dio (Fil 2, 6).
I cattivi non possono vedere Cristo nella sua forma divina, come il Verbo di Dio, l’Unigenito del Padre, uguale al Padre. Anche i cattivi invece potevano vederlo come Verbo fatto carne: nel giorno del giudizio lo vedranno anche i cattivi; egli verrà a giudicare, così come era venuto per essere giudicato. Egli è, nella medesima forma, uomo e Dio. Dice la Scrittura: Sia maledetto l’uomo che mette la sua speranza nell’uomo (Ger 17, 5). Egli venne come uomo, per essere giudicato, e come uomo verrà a giudicare. Se fosse impossibile vederlo, perché mai è stato scritto: Guarderanno a colui che hanno trafitto (Gv 19, 37)? Degli empi infatti è detto che lo vedranno e saranno confusi. In che senso allora non potranno vederlo, quando il Signore metterà alcuni alla sua destra ed altri alla sua sinistra? A quelli che metterà alla destra dirà: Venite, benedetti del Padre mio, possedete il Regno (Mt 25, 34). A quelli di sinistra dirà invece: Andate al fuoco eterno (Mt 25,.41). Essi vedranno in Cristo solo l’aspetto di servo, non vedranno la sua forma di Dio. Perché? Perché sono empi ed il Signore stesso dice: Beati i puri di cuore perché vedranno Dio (Mt 5, 8). Godremo dunque di una visione, o fratelli, mai contemplata dagli occhi, mai udita dalle orecchie, mai immaginata dalla fantasia (cf. 1 Cor 2, 9): una visione che supererà tutte le bellezze terrene, quella dell’oro, dell’argento, dei boschi e dei campi, del mare e del cielo, del sole e della luna, delle stelle e degli angeli; la ragione è questa: che essa è la fonte di ogni altra bellezza.
[Il desiderio amplia le nostre capacità recettive.]
6. Che cosa saremo dunque, allorché potremo godere questa visione? Che cosa ci è stato promesso? Saremo simili a lui, perché lo vedremo come è. La lingua non è riuscita ad esprimersi meglio, ma il resto immaginatelo colla mente. Che cosa sono le rivelazioni di Giovanni messe a confronto con Colui che è? Che cosa possiamo esprimere noi che siamo creature assolutamente impari alla sua grandezza? Torniamo adesso a parlare della sua unzione, di quell’unzione che insegna interiormente ciò che a parole non possiamo esprimere. Non potendo voi ora vedere questa visione, vostro impegno sia desiderarla.
La vita di un buon cristiano è tutta un santo desiderio. Ma se una cosa è oggetto di desiderio, ancora non la si vede, e tuttavia tu, attraverso il desiderio, ti dilati, cosicché potrai essere riempito quando giungerai alla visione. Ammettiamo che tu debba riempire un grosso sacco e sai che è molto voluminoso quello che ti sarà dato; ti preoccupi di allargare il sacco o l’otre o qualsiasi altro tipo di recipiente, più che puoi; sai quanto hai da metterci dentro e vedi che è piccolo; allargandolo lo rendi più capace. Allo stesso modo Dio con l’attesa allarga il nostro desiderio, col desiderio allarga l’animo e dilatandolo lo rende più capace. Viviamo dunque, o fratelli, di desiderio, poiché dobbiamo essere riempiti. Ammirate l’apostolo Paolo che dilata le capacità della sua anima, per poter accogliere ciò che avverrà. Egli dice infatti: Non che io abbia già raggiunto il fine o che io sia perfetto; non penso di avere già raggiunto la perfezione, o fratelli (Fil 3, 12-13). Ma allora che cosa fai, o Paolo, in questa vita, se non hai raggiunto la soddisfazione del tuo desiderio? Una sola cosa, inseguire con tutta l’anima la palma della vocazione celeste, dimentico di ciò che mi sta dietro, proteso invece a ciò che mi sta davanti (Fil 3, 13-14). Ha dunque affermato di essere proteso in avanti e di tendere al fine con tutto se stesso. Comprendeva bene di essere ancora incapace di accogliere ciò che occhio umano non vide, né orecchio intese, né fantasia immaginò.
In questo consiste la nostra vita: esercitarci col desiderio. Saremo tanto più vivificati da questo desiderio santo, quanto più allontaneremo i nostri desideri dall’amore del mondo. Già l’abbiamo detto più volte: il recipiente da riempire deve essere svuotato. Tu devi essere riempito di bene: liberati dunque dal male. Supponi che Dio ti voglia riempire di miele: se sei pieno di aceto, dove metterai il miele? Bisogna gettar via il contenuto del vaso, anzi bisogna addirittura pulire il vaso, pulirlo faticosamente coi detersivi, perché si presenti atto ad accogliere questa realtà misteriosa. La chiameremo impropriamente oro, la chiameremo vino. Qualunque cosa diciamo intorno a questa realtà inesprimibile, qualunque cosa ci sforziamo di dire, è racchiuso in questo nome: Dio. Ma quando lo abbiamo pronunciato, che cosa abbiamo pronunciato, che cosa abbiamo detto? Sono forse queste due sillabe tutto quel che aspettiamo? Qualunque cosa dunque siamo capaci di dire, è al di sotto della realtà: dilatiamoci col desiderio di lui, cosicché ci possa riempire, quando verrà. Saremo infatti simili a lui, perché lo vedremo così com’è.
[L’attesa paziente rafforza il desiderio.]
7. Ed ognuno che ha questa speranza in lui (1 Gv 3, 3). Vedete dunque come egli ci ha posto nella speranza. Considerate la perfetta armonia tra il pensiero dell’apostolo Paolo e quello del suo confratello nell’apostolato. Nella speranza – afferma san Paolo – noi siamo salvati. La speranza che si vede, non è speranza. Se uno vede qualcosa, come può sperarla? Se dunque speriamo ciò che non vediamo, attendiamolo nella pazienza (Rm 8, 24-25). La pazienza da parte sua mette in esercizio il desiderio. Anche a te tocca mantenerti costante, dal momento che Dio sempre resta; persevera nel cammino verso di lui, e lo raggiungerai; egli infatti, verso cui sei indirizzato, non si allontanerà. Vedete: chiunque spera in lui, si rende puro così come egli è puro (1 Gv 3, 3).
Vedete come Dio non distrugge il libero arbitrio; dice infatti si rende puro. Chi ci rende puri se non Dio? Ma Dio non ti purifica, se tu non lo vuoi. Per il fatto che insieme alla volontà di Dio metti anche la tua, tu rendi puro te stesso. Questo non si verifica in forza delle tue capacità, ma per merito di Colui che viene ad abitare dentro di te. Siccome però in questi atti c’è la parte della tua volontà, anche a te ne è attribuito il merito. Ma in tal modo che tu debba dire col salmo: Sii tu il mio aiuto, non abbandonarmi (Sal 26, 9). Se dici: sii tu il mio aiuto, significa che qualche cosa stai facendo; perché se nulla fai, in che cosa Dio dovrebbe aiutarti?
[Giustificazione e fede.]
8. Chiunque fa peccato, commette anche una iniquità (1 Gv 3, 4). Nessuno dica: il peccato non è una iniquità; non si dica: io sono peccatore ma non una persona iniqua. Perché: chiunque fa peccato, commette anche una iniquità. Il peccato è una iniquità. Che faremo dunque dei nostri peccati e delle nostre iniquità? Ascolta che cosa aggiunge Giovanni: Voi sapete che Gesù si è rivelato per togliere via il peccato e che in lui non c’è peccato (1 Gv 3, 5). Proprio colui nel quale non c’è peccato, è venuto a togliere il peccato. Se il peccato si trovasse anche in lui, occorrerebbe toglierlo da lui; ed egli non sarebbe in grado di toglierlo agli altri. Chiunque rimane in lui non pecca. Nella misura in cui uno rimane in lui, non pecca. Chiunque pecca, né lo vede, né lo conosce (1 Gv 3, 6).
Qui sorge un grande problema. Nessuna meraviglia che Giovanni affermi: chiunque pecca, né lo vede, né lo conosce. Noi ora non lo vediamo ma lo vedremo un giorno; noi non lo conosciamo ma lo conosceremo; noi crediamo in uno che ancora non conosciamo. Forse vuol dire che lo conosciamo per fede ma non lo conosciamo ancora nella visione? No, perché nella fede noi lo vediamo e lo conosciamo. Se non lo vedessimo per mezzo della fede, perché mai siamo detti illuminati? C’è una illuminazione che si attua con la fede e c’è una illuminazione che si attua nella visione diretta. Finché dura il pellegrinaggio terreno, noi non camminiamo nella visione ma nella fede (cf. 2 Cor 5, 7). Anche la nostra giustizia si attua dunque nella fede, non già nella visione, e sarà perfetta quando raggiungeremo la visione. Non dobbiamo abbandonare la giustizia che proviene dalla fede, perché il giusto vive di fede (Rm 1, 17), ci dice l’Apostolo. Chiunque rimane in lui non pecca; infatti chi pecca, né lo vede, né lo conosce. Chi pecca è uno che non crede, perché se credesse, per quanto dipendesse dalla sua fede, egli non peccherebbe.
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Pubblicato da Amici di Fulton Sheen in ottobre 7, 2012
https://perlamaggiorgloriadidio.wordpress.com/2012/10/07/santagostino-cristiani-di-nome-non-di-fatto-perche-mai-gesu-non-fu-riconosciuto-perche-rimproverava-a-ciascuno-i-suoi-peccati-gli-uomini-che-amavano-i-piaceri-del-peccato-non-potevano-ricon/