Sant’ Alfonso Maria de’ Liguori: “Dell’amore divino e dei mezzi per acquistarlo” “In un cuore ch’è pieno di terra non vi trova luogo l’amore di Dio; e quanto vi è più di terra tanto meno vi regna il divino amore. Perciò chi desidera di avere il cuore pieno di amor divino deve attendere a toglierne tutta la terra”

Sant’ Alfonso Maria de’ Liguori, Dottore della Chiesa

Dell’amore divino e dei mezzi per acquistarlo

 

Oh bel tesoro è il tesoro del divino amore, felice chi lo possiede: ponga tutta la cura e prenda tutti i mezzi necessari per conservarlo ed accrescerlo; e chi non ancor lo possedesse, deve adoperar tutti i mezzi per acquistarlo.

Vediamo ora quali sono i mezzi più necessari ed atti ad acquistarlo e conservarlo.

1. Il primo mezzo è distaccarsi dagli affetti terreni.

In un cuore ch’è pieno di terra non vi trova luogo l’amore di Dio; e quanto vi è più di terra tanto meno vi regna il divino amore. Perciò chi desidera di avere il cuore pieno di amor divino deve attendere a toglierne tutta la terra. Per farci santi bisogna imitare S. Paolo che, per guadagnarsi l’amore di Gesù Cristo, disprezzava come sterco tutti i beni di questo mondo: Arbitror omnia ut stercora, ut Christum lucrifaciam (Philip. III, 8). Eh, preghiamo lo Spirito Santo che c’infiammi del suo santo amore, perché allora anche noi disprezzeremo e terremo per vanità, per fumo e fango, tutte le ricchezze, diletti, onori e dignità di questa terra, per cui la maggior parte degli uomini miseramente si perde.

9. Eh, che quando in un cuore entra il santo amore, non si fa più conto di tutto ciò che il mondo stima: Si dederit homo omnem substantiam domus suae pro dilectione, quasi nihil despiciet eam (Cant. VIII, 7). Dice S. Francesco di Sales che quando la casa va a fuoco si gittano tutte le robe per la finestra; e volea dire che quando in un cuore arde l’amore divino, l’uomo, senza prediche e senza esortazioni del padre spirituale, da sé cerca spogliarsi de’ beni mondani, degli onori, delle ricchezze e di tutte le cose di terra, per non amare altro che Dio. S. Caterina da Genova dicea che non amava Dio per li suoi doni, ma amava i doni di Dio per più amare Dio.

10. Scrive Giliberto che ad un cuore amante di Dio è cosa dura ed insoffribile dividere il suo amore fra Dio e le creature del mondo, amando nello stesso tempo Dio e le creature: Oh quam durum est amanti animum dimidiare cum Cristo et mundo! (Gilib. Serm. 11. in Cant.) Dice all ‘incontro S. Bernardo che l’amore divino è insolente: Amor insolens est: s’intende insolente, perché Dio non soffre in un cuore che ama di aver compagni nell ‘amore, mentre lo vuole tutto per sé. – Forse Dio pretende troppo volendo che un’anima non ami altri che lui? Summa diligibilitas, avverte S. Bonaventura, unice amari debet. Un’amabilità, una bontà infinita che merita un infinito amore, qual è Dio, giustamente pretende di esser solo ad essere amato da un cuore da lui creato a posta acciocché l’ami; mentre a tal fine, di essere unicamente amato, è giunto a spendersi tutto per quel cuore, come dicea S. Bernardo di sé, parlando dell’amore che gli avea portato Gesù Cristo: Totus in meos usus expensus. Il che può dire e ben dee dire ciascuno di noi pensando a Gesù Cristo, che per ciascuno di noi ha sagrificata tutta la sua vita e tutto il suo sangue morendo su d’una croce consumato da’ dolori; e che dopo la sua morte ci ha lasciato il suo corpo, il suo sangue, la sua anima e tutto se stesso nel Sagramento dell’altare, acciocché siano cibo e bevanda delle anime nostre, e così ognuno di noi fosse tutto unito a lui stesso.

11. Felice quell’anima, scrive S. Gregorio, che giunge a tale stato che se le rende insoffribile ogni cosa che non è Dio unicamente da lei amato: Intolerabile est quidquid non sonat Deum, quem intus amat (S. Greg. Lib. 2 Mor. cap. 2). Perciò bisogna che ci guardiamo di mettere affetto alle creature, acciocché non ci rubino parte dell’amore che Dio vuole tutto per sé. Ed ancorché questi affetti sieno onesti, come son quelli che si portano a’ parenti o amici, bisogna avvertire quel che dice S. Filippo Neri, che quanto di amore noi mettiamo alle creature tanto ne togliamo a Dio.

12. Dobbiamo pertanto renderci orti chiusi, siccome fu chiamata dal Signore la sagra sposa dei Cantici: Hortus conclusus soror mea sponsa. (Cant. IV, 12). Orto chiuso chiamasi quell’anima che tiene chiusa la porta a tutti gli affetti verso le cose terrene. Quando dunque alcuna creatura vuol entrare a prendersi parte del nostro cuore, bisogna negarle affatto l’entrata, ed allora dobbiamo voltarci a Gesù Cristo e dirgli: Gesù mio, voi solo mi bastate; io non voglio amare altro che voi; Deus cordis mei, et pars mea Deus in aeternum (Ps. LXXII, 26). Mio Dio, voi avete da essere l’unico Signore del mio cuore, l’unico mio amore. E perciò non cessiamo di chiedere sempre a Dio che ci doni la grazia del suo puro amore, poiché, scrive S. Francesco di Sales: “Il puro amore di Dio consuma tutto ciò che non è Dio, per convertire ogni cosa in sé”.

2. Il secondo mezzo per acquistare l’amor divino è meditare la Passione di nostro Signore Gesù Cristo.

Circa questo punto il mio lettore può leggere il mio libro da poco tempo stampato, intitolato Riflessioni sulla Passione di Gesù Cristo, dove troverà a lungo esaminate le pene che nella sua Passione patì il nostro Salvatore.

Del resto è certo che l’essere nel mondo così poco amato Gesù Cristo nasce dalla trascuraggine e dalla ingratitudine degli uomini, di non voler considerare, almeno da quando in quando, quanto ha patito Gesù Cristo per noi e l’amore col quale per noi ha patito. Stultum visum est hominibus, scrisse S. Gregorio, Deum pro nobis mori; Sembra, dice S. Gregorio, una pazzia aver voluto un Dio morire per salvare noi miserabili servi; ma pure è di fede che Dio l’ha fatto: Dilexit nos et tradidit semetipsum pro nobis (Eph. V, 2); ed ha voluto spargere tutto il suo sangue per lavare con quello i nostri peccati: Dilexit nos, et lavit nos a peccatis nostris in sanguine suo (Apoc. I, 5).

14. Dice S. Bonaventura: Mio Dio, voi tanto mi avete amato, che pare che per amor mio siete giunto a odiare voi stesso: In tantum me diligis, Deus meus, ut te odisse videaris (S. Bonav. in Stim. amor.). E di se stesso egli ha voluto poi che noi ci fossimo cibati nella santa comunione. E qui ripiglia S. Tommaso l’Angelico e dice, parlando di questo SS. Sagramento, che Dio si è umiliato con noi quasi fosse nostro servo, e come ognuno di noi fosse suo Dio: Quasi esset servus eorum, et quilibet eorum esset Dei Deus (S. Thom. op. de sacr. Euch.).

15. Quindi l’Apostolo prende a dire: Caritas enim Christi urget nos (II Cor. V, 14). Dice S. Paolo che l’amore che ci ha portato Gesù Cristo ci stringe, ci sforza in certo modo ad amarlo. Oh Dio, che non fanno gli uomini per amore di qualche creatura quando le pongono affetto? Ed un Dio poi d’infinita bontà, d’infinita bellezza, e ch’è giunto a morire per ciascuno di noi su d’una croce, tanto poco si ama? Deh imitiamo tutti l’Apostolo che diceva: Mihi autem absit gloriari, nisi in cruce Domini nostri Iesu Christi (Gal. VI, 14). Diceva il S. Apostolo: E qual maggior gloria io posso sperare nel mondo, che avere avuto un Dio che per amor mio ha dato il sangue e la vita? E ciò deve dirlo ogni uomo che ha fede; e se ha fede, come potrà amare altro che Dio? Oh Dio, com’è possibile che un’anima, contemplando Gesù crocifisso che appeso a tre chiodi pende dalle sue medesime piaghe delle mani e dei piedi, e muore di puro dolore per nostro amore, non si veda tirato e quasi costretto ad amarlo con tutte le forze?

3. Il terzo mezzo per giungere al perfetto amor di Dio è l’uniformarsi in tutto alla divina volontà.

Dice S. Bernardo che il perfetto amante di Dio non potest velle nisi quod Deus vult (S. Bernard. Sermo ad Fratr.). Molti dicono con la bocca di star rassegnati a quel che vuole Dio; ma quando poi loro avviene qualche cosa contraria, qualche infermità molesta, non si possono dar pace. Non fanno così l’anime veramente uniformate; elle dicono: Così piace o Così è piaciuto all’amato, e subito si quietano. Amori sancto omnia dulcia sunt, dice S. Bonaventura.Sanno quest’anime che quanto nel mondo avviene tutto avviene o comandato o permesso da Dio, e perciò per quanto succede abbassano la testa umilmente e vivon contente di quanto il Signore dispone. E quantunque spesso Iddio non vuole che gli altri ci perseguitino e facciano danno, vuole non però, per giusti fini, che noi soffriamo pazientemente quella persecuzione, quel danno, che ci dispiace.

17. Diceva S. Caterina da Genova: “Se Dio mi avesse posta nel fondo dell’inferno, pure direi: Bonum est nos hic esse. Direi: mi basta che qui mi trovo per volontà dell’amato, il quale mi ama più di tutti, e sa quello ch’è meglio per me.”

Bel riposare è riposare in mano della divina volontà.

18. Dice S. Teresa: “Tutto quel che dee procurare chi si esercita nell’orazione è di conformar la sua volontà colla divina, nel che consiste la più alta perfezione.”Perciò bisogna replicar sempre a Dio la preghiera di Davide: Doce me facere voluntatem tuam (Ps. CXLII, 10): Signore, giacché mi vuoi salvo, insegnami a far sempre la tua volontà. – L’atto più perfetto d’amore che può fare un’anima verso Dio è quello che fece S. Paolo quando si convertì e disse: Domine, quid me vis facere? (Act. IX, 6.) Signore, ditemi quel che volete da me, ch’io son pronto a farlo; vale più quest’atto che mille digiuni e mille discipline. Questa dev’essere la mira di tutte le nostre opere, desideri e preghiere, il far la divina volontà. In ciò dobbiam pregare la nostra divina Madre, i santi avvocati, i nostri angeli custodi, che ci ottengano la grazia di adempire il volere di Dio. E quando ci occorrono cose contrarie al nostro amor proprio, allora con un atto di rassegnazione si guadagnano tesori di meriti: avvezziamoci allora a replicare quei detti che Gesù stesso ci ha insegnati col suo esempio. Calicem, quem dedit mihi Pater, non bibam illum? (Io. XVIII, 11.) O pure: Ita Pater, quoniam sic fuit placitum ante te (Math. XI, 26): Signore, così è piaciuto a voi, così piace anche a me. O pure col divoto Giobbe diciamo: Sicut Domino placuit, ita factum est; sit nomen Domini benedictum (Iob. I, 21). Diceva il Ven. Maestro d’Avila che “vale più nelle cose avverse un Benedetto sia Dio, che mille ringraziamenti nelle cose prospere”E qui bisogna ripetere come sovra: bel riposare è riposare in mano della volontà di Dio, poiché allora si avvera il detto dello Spirito Santo: Non contristabit iustum, quidquid ei acciderit (Prov. XII, 21).

4. Il quarto mezzo per innamorarci di Dio è l’orazione mentale.

Le verità eterne non si vedono cogli occhi di carne, come si mirano le cose visibili di questa terra, ma si vedono solamente col pensiero, colla considerazione; onde se non ci fermiamo per qualche parte di tempo a considerare l’eterne verità, e specialmente l’obbligo di amare il nostro Dio per quanto lo merita e per tanti benefici che ci ha fatti e per l’amore che ci ha portato, difficilmente un’anima si scioglie dall’affetto delle creature e ripone tutto il suo amore in Dio. Nell’orazione il Signore fa conoscere la viltà delle cose terrene e ‘l pregio de’ beni celesti; ed ivi infiamma del suo amore quei cuori che non resistono alle sue chiamate.

Molte anime poi si lamentano che vanno all’orazione e non vi trovano Dio; non vi trovano Dio, perché vi vanno col cuore pieno di terra. “Distacca il cuore dalle creature, dice S. Teresa, e cerca Dio, che lo troverai.” Il Signore è tutto bontà con chi lo cerca: Bonus est Dominus… animae quaerenti illum (Thren. III, 25). Per trovare dunque Dio nell’orazione, bisogna che si spogli l’anima dell’affetto alle cose della terra, ed allora Iddio le parlerà: Ducam eam in solitudinem, et loquar ad cor eius (Os. II, 14). Ma per trovare Dio, avverte S. Gregorio che non basta aver la solitudine del corpo, ma vi bisogna anche quella del cuore. Disse un giorno il Signore a S. Teresa: “Volentieri io parlerei a molte anime, ma il mondo fa tanto strepito nel loro cuore, che la mia voce non può sentirsi.” Ah che quando si mette nell’orazione un’anima distaccata, Dio ben le parla e le fa conoscere l’amore che le porta; e l’anima allora, dice un autore, ardendo di santo amore, non parla, ma in quel silenzio, oh quanto dice: “Il silenzio della carità, scrive questo autore, dice più a Dio, che tutta l’eloquenza umana; ogni sospiro scuopre tutto il suo interno.” Allora non si sazia di replicare: Dilectus meus mihi et ego illi (Cant. II, 16).

5. Il quinto mezzo per giungere ad un grado eminente di amor divino è la preghiera.

Noi siamo poveri di tutto, ma se preghiamo siamo ricchi di tutto, poiché Dio ha promesso di esaudire ognun che lo prega. Egli dice: Petite et dabitur vobis (Matth. VII, 7). Qual maggiore affetto può dimostrare un amico ad un altro, che dirgli: Domandami quel che vuoi e te lo darò? Questo dice il Signore ad ognuno di noi. Iddio è il Signore del tutto; promette di dare quanto gli si domanda; se dunque siamo poveri, è colpa nostra, perché non gli domandiamo le grazie che ci bisognano. E perciò l’orazione mentale è moralmente necessaria a tutti, perché fuori dell’orazione, quando stiamo intricati nelle cure del mondo, poco pensiamo all’anima; ma quando ci mettiamo all’orazione, noi vediamo i bisogni dell’anima nostra, ed allora domandiamo le grazie e l’otteniamo.

21. Tutta la vita de’ santi è stata vita di orazione e di preghiere, e tutte le grazie con cui si son fatti santi, colle preghiere le han ricevute. Se vogliamo dunque salvarci e farci santi, dobbiamo sempre stare alle porte della divina misericordia a pregare e chiedere per limosina tutto quel che ci bisogna. Ci bisogna l’umiltà, domandiamola e saremo umili; ci bisogna la pazienza nelle tribulazioni, domandiamola e saremo pazienti; desideriamo l’amore divino, domandiamolo e l’otterremo. Petite et dabitur vobis, è promessa di Dio che non può mancare. E Gesù Cristo per darci maggior confidenza nel pregare, ci ha promesso che quante grazie noi chiederemo al Padre in nome di lui o per li meriti di lui, tutte il Padre ce le darà: Amen, amen dico vobis: Si quid petieritis Patrem in nomine meo, dabit vobis (Io. XVI, 23). Ed in altro luogo disse: Quel che cercherete a me stesso in nome mio, per li meriti miei, io lo farò: Si quid petieritis me in nomine meo, hoc faciam (Io. XIV, 14). Sì, perché è di fede che quanto può Iddio, tanto può Gesù Cristo che è suo figlio.

22. Siasi un’anima fredda nel divino amore quanto si voglia, se questa ha fede, io non so come possa non vedersi spinta ad amar Gesù Cristo, considerando anche alla sfuggita quel che dicono le sacre Scritture dell’amore che ci ha portato Gesù Cristo nella sua Passione e nel SS. Sagramento dell’altare. – In quanto alla Passione scrive Isaia: Vere languores nostros ipse tulit, et dolores nostros ipse portavit (Is. LIII, 4). E nel seguente verso scrisse: Ipse autem vulneratus est propter iniquitates nostras, attritus est propter scelera nostra. Sicché è di fede che Gesù Cristo ha voluto soffrire sovra di sé le pene e i dolori per liberarne noi a cui erano dovute. E ciò perché l’ha fatto, se non per l’amore che ci ha portato? Christus dilexit nos, et tradidit semetipsum pro nobis, così dice S. Paolo (Ephes. V, 2). E S. Giovanni dice: Qui dilexit nos, et lavit nos a peccatis nostris in sanguine suo (Apoc. I, 5). – In quanto poi al Sagramento eucaristico, disse Gesù medesimo a tutti noi quando l’istituì: Accipite et manducate: hoc est corpus meum (I Cor. XI, 24). E in altro luogo: Qui manducat meam carnem, et bibit meum sanguinem, in me manet et ego in illo (Io. VI, 57). Un uomo che ha fede come ciò può leggere e non sentirsi quasi forzato ad amar questo Redentore che dopo aver sagrificato il sangue e la vita per di lui amore, gli ha lasciato il suo corpo nel Sagramento dell’altare, affinché sia cibo della di lui anima, e seco tutto si unisca nella santa comunione?

23. Si soggiunge un’altra breve riflessione sulla Passione di Gesù Cristo. Egli si fa vedere su d’una croce trafitto da tre chiodi, che da per tutto manda sangue, ed agonizza tra i dolori della morte. Dimando: Perché si fa Gesù mirar da noi in tale stato così compassionevole? Solo forse acciocché noi lo compatiamo? No, che non tanto per esser da noi compatito, quanto per esser da noi amato egli si è ridotto a tal miserevole stato. Doveva a ciascuno di noi esser motivo più che bastante di amarlo, l’averci fatto sapere ch’egli ci ama sin dall’eternità: In caritate perpetua dilexi te (Ier. XXXI, 3). Ma vedendo il Signore che ciò non bastava alla nostra tepidezza per muoverci ad amarlo come desiderava, ha voluto dimostrarci praticamente così coi fatti l’amore che ci portava, con farsi vedere pieno di piaghe morir di dolore per nostro amore, per farc’intendere co’ suoi patimenti l’amore immenso e tenero che per noi conserva. Ciò ben lo spiegò S. Paolo con quelle parole: Dilexit nos, et tradidit semetipsum pro nobis (Ephes. V, 2).

(Sant’ Alfonso Maria de’ Liguori – Dell’amore divino e dei mezzi per acquistarlo)

Sant’Alfonso Maria de Liguori: AVVERTIMENTI NECESSARI PER SALVARSI “Dio è giusto: punisce chi fa male e premia chi fa bene: manda all’inferno chi muore in peccato mortale, e dà il paradiso a chi muore in Grazia sua”

Sant’ Alfonso Maria de Liguori

(Dottore della Chiesa)

Avvertimenti necessari…per salvarsi

Cristiano mio, impara bene a memoria questi misteri della tua santa fede, e le cose necessarie per ben confessarti e comunicarti. E dopo averle imparate bene, contale in casa tua ed insegnale agli altri. Così darai gran gusto a Gesù Cristo; e tu con poca fatica partecipi e guadagni di tutto il bene che altri poi fanno per mezzo tuo.

Per salvarti non basta essere cristiano per mezzo del battesimo che hai ricevuto; ma bisogna che sappi i misteri della fede, che osservi la legge di Dio e i precetti della chiesa, e che riceva bene i ss. sagramenti.

I. Hai da credere che vi sia un solo Dio e che Dio è onnipotente: cioè, ha creato il cielo, la terra, gli angioli, gli uomini, te, tutte le cose. Dio è immenso: cioè sta in cielo, in terra, e in ogni luogo. Dio è giusto: punisce chi fa male e premia chi fa bene: manda all’inferno chi muore in peccato mortale, e dà il paradiso a chi muore in grazia sua.

Hai da credere nella ss. Trinità: cioè che quest’essere di Dio infinito, eterno, onnipotente, immenso, giusto, si trova in tre persone divine, che si chiamano Padre, Figliuolo, e Spirito santo, tre persone e un solo Dio. Hai da credere che il Figliuolo di Dio, cioè la seconda persona della ss. Trinità, si è fatt’uomo nel ventre purissimo di Maria Vergine per opera dello Spirito santo, è nato bambinello in una stalla, e morto in croce per salvare le anime nostre, e si chiama Gesù Cristo, vero Dio, e vero uomo. Il quale, dopo morto il terzo giorno è risuscitato, poi ascese al cielo e siede alla destra del Padre: e nel giorno del giudizio universale ha da venire a giudicare tutto il mondo: e manda all’inferno in anima e corpo chi è morto in peccato mortale: e porta in paradiso in anima e corpo chi è morto in grazia sua. Hai da credere che Gesù Cristo ha istituiti i ss. sagramenti, per mezzo de’ quali ci perdona i peccati, e ci santifica le anime: applicandoci i suoi meriti, e l’efficacia del suo prezioso sangue.

E tutte queste cose di fede le hai da credere fermamente, non perché te le insegna il sacerdote, ma perché Gesù Cristo le ha insegnate alla chiesa, e poi la santa chiesa le insegna a noi. E questa santa chiesa è il papa che insegna a tutti i fedeli: o i sagri pastori col papa lor capo.

II. Hai da sperare il perdono de’ tuoi peccati, la grazia di Dio, la buona morte e la gloria del paradiso. E questa speranza si fonda nelle promesse di Dio nel sangue di Gesù Cristo, e nella divina misericordia infinita. Ma avverti che per salvarti, non basta solo sperare, bisogna insieme vivere da cristiano, e sperare nel tuo Dio.

III. Hai da amare il Dio tuo, il padre tuo, il creator tuo, il redentor tuo, Gesù Cristo, sopra tutte le cose, e il prossimo come te stesso. E devi amare Dio perché è degno d’essere amato: e il prossimo tuo (cioè tutte le genti del mondo), perché Dio vuole che lo ami: ti sia amico o nemico, conoscente o non conoscente; si deve amare per amore e per ordine di Dio. I precetti della legge di Dio sono dieci: ma si riducono a questi due. Amare Dio sopra ogni cosa: cioè stimar più l’onor di Dio, la legge di Dio, la volontà di Dio, che le ricchezze, i parenti, gli onori, la stessa vita tua. E il prossimo come te stesso: cioè: Quel male che non vuoi per te, non fare ad altri; quel bene che vuoi per te, desidera e fa ad altri. Tratta gli altri come vuoi essere tu trattato da loro e da Dio. Se ciò fai, ti salverai.

Ricordati, e di’: Io credo le cose di Dio perché me le ha insegnate la s. chiesa. Io spero ogni bene perché Dio me l’ha promesso. Io amo Dio, perché Dio è degno d’essere amato.

IV. Di più ti devi confessar bene: perché se muori in peccato mortale, vai all’inferno. E la chiesa ti comanda di confessarti almeno una volta l’anno, da che entri nell’uso della ragione, dai sette anni. Per confessarti devi sapere che la confessione è uno de’ sette sagramenti istituiti da Gesù Cristo: per mezzo del quale, coll’assoluzione del confessore, Gesù Cristo applicando alle anime il suo prezioso sangue, perdona tutti i peccati a chi si confessa bene. E per confessarti bene.

1. Devi pensare tutti i peccati di pensieri, parole, opere, e omissioni che hai commessi dall’ultima confessione da te ben fatta.

2. Prima di confessarti devi pentirti con tutto il cuore di tutti i peccati commessi: deve dispiacerti il peccato sommamente, più d’ogni male: o perché t’ hai meritato l’inferno, o perché t’ hai perduto il paradiso: o meglio, perché hai offeso il tuo Dio, sommo bene, bontà infinita, degno d’essere amato.

3. Devi promettere a Dio, di non commettere più peccato mortale, e più tosto morire che offenderlo: e devi fuggire le occasioni, che ti fanno spesso cadere in peccato.

4. Devi dire tutti i peccati che ti ricordi al confessore; di pensieri, di parole e d’opere, e quante volte hai commesso quei peccati mortali: e se ne lasci anche uno solo volontariamente, per malizia, per vergogna o rossore, la confessione non è buona, Dio non ti perdona nessun peccato, commetti un sacrilegio, e sei più maledetto e più nemico di Dio, che non eri prima di confessarti. O quante anime poverelle, per timore e vergogna lasciano di dire i brutti peccati al confessore, commettono i sacrilegi, e vanno dannate!

5. Devi fare la penitenza che ti dà il confessore, subito che puoi: e farla bene.

V. Devi ancora comunicarti. E per comunicarti bene, devi sapere:

1. Che la comunione è uno de’ sette sagramenti istituiti da Gesù Cristo.

2. Che Gesù Cristo, vero Dio, e vero uomo, si trova in anima, corpo, e divinità nell’ostia consegrata ed in ogni particella di quella.

3. Che quando ti comunichi devi stare in grazia di Dio, levando il peccato mortale dall’anima con una buona confessione.

(Sant’Alfonso Maria de Liguori da  “Breve dottrina cristiana”)

Iddio vuole salvi tutti: Omnes homines vult salvos fieri. 1 Tim. 2. 4. E vuol dare a tutti l’aiuto necessario per salvarsi; ma non lo concede se non a coloro che lo dimandano, come scrive S. Agostino: Non dat nisi petentibus. In Psalm. 100. Ond’è sentenza comune de’ Teologi e Santi Padri, che la Preghiera agli Adulti è necessaria di necessità di mezzo, viene a dire, che chi non prega, e trascura di dimandare a Dio gli aiuti opportuni per vincere le tentazioni, e conservare la grazia ricevuta, non può salvarsi.

Il Signore all’incontro non può lasciare di conceder le grazie a chi le dimanda, perché l’ha promesso. Clama ad me, et exaudiam te. Jer. 33. 3. Ricorri a me, ed Io non mancherò di esaudirti. Quodcunque volueritis, petetis, et fiet vobis. Jo. 15. 7. Dimandate da Me quel che volete, e tutto otterrete. Petite, et dabitur vobis. Matth. 7. 7. Dimandate e vi sarà dato. Queste promesse non però non s’intendono fatte per beni temporali, perché questi Iddio non li dà, se non quando sono per giovare all’Anima; ma per le grazie spirituali le ha promesse assolutamente ad ognuno, che ce le dimanda; ed avendocele promesse, è obbligato a darcele: Promittendo debitorem Se fecit, dice S. Agostino. De Verb. Dom. Serm. 2

Bisogna poi avvertire, che Dio ha promesso di esaudir la Preghiera, ma a riguardo nostro è precetto grave il pregare. Petite, et dabitur vobis. Matth. 7. 7. Oportet semper orare. Luc. 18. 1. Queste parole petite, oportet, come insegna S. Tommaso (3. p. q. 39. a. 5.) importano precetto grave, che obbliga per tutta la vita, e specialmente quando l’Uomo si vede in pericolo di morte, o di cadere in peccato; perché allora, se non ricorre a Dio, certamente resterà vinto. E chi trovasi già caduto in disgrazia di Dio, esso commette nuovo peccato, se non ricorre a Dio per aiuto ad uscire dal suo miserabile stato. Ma Dio potrà esaudirlo, vedendolo fatto suo nemico? Si, ben l’esaudisce, quando il peccatore umiliato lo prega di cuore a perdonarlo; poiché sta scritto nel Vangelo: Omnis enim qui petit, accipit. Luc. 11. 10. Dicesi omnis, ognuno sia giusto, sia peccatore, quando prega, Dio ha promesso di esaudirlo. In altro luogo dice Dio: Invoca me, et eruam te. Psalm. 49. 15. Chiamami, ed Io ti libererò dall’Inferno, ove stai condannato.

No, che non vi sarà scusa nel giorno del Giudizio, per chi muore in peccato. Né gli gioverà dire, ch’egli non avea forza di resistere alla tentazione, che lo molestava; perché Gesù Cristo gli risponderà: se tu non l’avevi questa forza, perché non l’hai domandata, ch’Io ben te l’avrei data? E se già eri caduto in peccato, perché non sei ricorso a Me, ch’Io te ne avrei liberato?

Pertanto, Lettor mio, se vuoi salvarti, e mantenerti in grazia di Dio, bisogna, che spesso lo preghi a tenerti le mani sopra. Dichiarò il Concilio di Trento (Sess. 6. cap. 13. can. 22.) che a perseverare l’Uomo in grazia di Dio, non basta l’aiuto generale che Egli dona a Tutti, ma vi bisogna un aiuto speciale, il quale non si ottiene se non colla Preghiera. Perciò dicono tutti i Dottori, che ciascuno è tenuto sotto colpa grave a raccomandarsi spesso a Dio con domandargli la santa perseveranza, almeno una volta il mese. E chi si trova in mezzo a più occasioni pericolose, è obbligato a domandare più spesso la grazia della perseveranza.

Molto giova poi per ottenere questa grazia il mantenere una divozione particolare alla Madre di Dio, che si chiama la Madre della Perseveranza. Chi non si raccomanda alla Beata Vergine, difficilmente avrà la perseveranza; mentre dice S. Bernardo, che tutte le grazie divine, e specialmente questa della perseveranza, ch’è la maggiore di tutte, vengono a noi per mezzo di Maria.

Oh volesse Dio, ed i Predicatori fossero più attenti ad insinuare ai loro Uditori questo gran mezzo della Preghiera! Alcuni in tutto il lor Quaresimale appena la nomineranno una o due volte, e quasi di passaggio; quando dovrebbero parlarne di proposito più volte, e quasi in ogni Predica; gran conto dovran renderne a Dio, se trascurano di farlo E così anche molti Confessori attendono solo al proposito de’ Penitenti di non offender più Dio; e poco si prendono fastidio d’insinuar loro la preghiera, per quando saran tentati di nuovo a cadere;

ma bisogna persuadersi, che quando la tentazione è forte, se il Penitente non domanda aiuto a Dio per resistere, poco gli serviranno tutti i propositi fatti, la sola preghiera può salvarlo. È certo che chi prega, si salva, chi non prega, si danna.

E perciò, Lettor mio, replico, se vuoi salvarti, prega continuamente il Signore, che ti dia luce e forza di non cadere in peccato. In ciò bisogna essere importuno con Dio, in domandargli questa grazia. Haec importunitas (dice S. Girolamo) apud Dominum opportuna est. Ogni mattina non lasciar di pregarlo a liberarti da’ peccati di quel giorno. E quando si affaccia alla mente qualche mal pensiero, o qualche cattiva occasione, subito, senza metterti a discorrere colla tentazione, subito ricorri a Gesù Cristo, e alla Santa Vergine, dicendo: Gesù mio aiutami, Maria SS. soccorrimi. Basta allora nominare Gesù e Maria, per svanir la tentazione; ma se la tentazione persiste, seguita ad invocare Gesù e Maria per aiuto, che non resterai mai vinto.

(Sant’Alfonso Maria de Liguori, Dottore della Chiesa, da “Avvertimenti necessari ad ogni persona di qualunque stato per salvarsi”)

Fulton John Sheen: L’amore è trino “L’amore è trino in Dio perché in Lui vi sono tre Persone nell’unica Natura Divina. L’amore è trino in quanto è il riflesso di quell’Amore Divino in cui sussistono tre Persone: Padre, Figliuolo e Spirito Santo”

“L’amore è trino”

(Fulton John Sheen , Ex vescovo di New York)

Tre elementi occorrono all’amore. Quel che lega l’amante e l’amata sulla terra è un ideale ch’è al di fuori di entrambi. Come non si da pioggia senza nuvole, così è impossibile comprendere l’amore senza Dio. Nel Vecchio Testamento Dio è definito l’Essere la cui natura è di esistere: « Io sono Colui che è.» Ma nel Nuovo Testamento Dio è definito Amore : « Dio è Amore. » Ecco perché il fondamento di ogni filosofia è l’esistenza, ma la base di ogni teologia è la Carità, ossia l’amore. Se volessimo indagare il mistero per cui l’amore è trino e implica l’amante, l’amato e l’amore, dovremmo risalire a Dio stesso. L’amore è trino in Dio perché in Lui vi sono tre Persone nell’unica Natura Divina. L’amore è trino in quanto è il riflesso di quell’Amore Divino in cui sussistono tre Persone: Padre, Figliuolo e Spirito Santo. E’ la Trinità che offre una risposta alle domande di Fiatone: Se c’è un solo Dio, a che cosa può Egli pensare? Si risponde : Egli pensa un pensiero eterno, il Suo Verbo Eterno, Suo Figlio. E poi: Se c’è un solo Dio, chi ama Egli? Si risponde: Egli ama Suo Figlio, e questo reciproco amore è lo Spirito Santo. Quel grande filosofo rasentò il mistero della Trinità, perché il suo nobile intelletto parve in qualche modo intuire che un Essere infinito debba avere relazioni di pensiero e di amore, e senza né pensiero né amore Dio non può addirittura essere concepito. Ma fu soltanto quando il Verbo si fu incarnato che l’uomo conobbe il segreto di quelle relazioni e della intima vita di Dio, perché fu Gesù Cristo, suo Figliuolo, a rivelarcela. Il mistero della Trinità risponde anche a coloro che hanno voluto rappresentare Dio come un Dio egotista che sta appartato in solitario splendore fin dalla preistoria ; giacché la Trinità ci rivela che fin da prima della creazione Dio godeva della comunione con la Verità, dell’abbraccio con l’Infinito Amore, e non aveva quindi bisogno di uscir fuori da Se stesso alla ricerca della felicità. La meraviglia più grande è invece che, essendo perfetto e godendo di una perfetta felicità, Dio creasse il mondo. Per far questo, Egli non poté avere che un unico motivo. Nulla il mondo poteva aggiungere alla Sua Perfezione ; nulla poteva aggiungere alla Sua Verità ; né poteva accrescere la Sua Felicità. Dio creò il mondo soltanto perché amava, e perché l’amore tende ad effondersi negli altri. Infine, è il mistero della Trinità quello che da la risposta alla brama di felicità e ci spiega che cosa sia il Paradiso. Il Paradiso non è un luogo dove non ci si offra altro che la semplice ripetizione vocale d’infiniti alleluja tra un monotono pizzicare di arpe. Il Paradiso è il luogo dove troveremo la pienezza di tutti i massimi valori della vita. E’ uno stato dove ci sarà dato di trovare, nella loro perfezione, tutte quelle cose che possono estinguere la sete dei cuori, saziare la fame d’intelletti che morivano d’inedia, e dare requie ai desolati amori. Il Paradiso sta nella comunione con la Vita Perfetta, con la Perfetta Verità e il Perfetto Amore: Dio Padre, Dio Figliuolo e Dio Spirito Santo. Qui sta la risposta all’enigma dell’amore. L’amore implica relazione. Se vive nell’isolamento diviene egoismo ; se è assorbito nella collettività smarrisce la propria personalità e, con questa, il diritto di amare. La ragione ultima per cui all’amore occorrono tre elementi sta nel fatto che Dio è Amore, e che il Suo Amore è trino. Ogni affetto terreno degno di questo nome è l’eco di « Questo Immenso Amante ». Che non è un Ego individuale, ma un’Associazione di Amore.

Fulton John Sheen , vescovo (estratto dal libro “Tre per sposarsi”)

Il Servo di Dio Fulton John Sheen, nato Peter John (El Paso, 8 maggio 1895New York, 9 dicembre 1979), è stato  un arcivescovo cattolico statunitense.

Fu uno dei primi e più celebri telepredicatori cattolici, prima via radio e successivamente per televisione

Gesù rivela a Santa Camilla Battista da Varano: “I DOLORI MENTALI NELLA SUA PASSIONE” Settimo e Ottavo Dolore: “CHE CRISTO BENEDETTO PORTO’ NEL SUO CUORE PER L’INGRATITUDINE DEL SUO PREDILETTO POPOLO GIUDAICO E PER L’INGRATITUDINE DI TUTTE LE CREATURE”

SETTIMO DOLORE CHE CRISTO PORTO’ NEL SUO CUORE

PER L’INGRATITUDINE DEL SUO PREDILETTO POPOLO GIUDAICO

(DAI DOLORI MENTALI DI GESÙ NELLA SUA PASSIONE
RIVELATI A SANTA CAMILLA BATTISTA DA VARANO)

(Il racconto di questo dolore è breve, ma suffi­ciente a descrivere la pena interiore di Cristo per il popolo ebraico dal quale aveva assunto la natu­ra umana. Dopo i benefici straordinari concessi ai padri, il Figlio di Dio incarnato durante la vita terrena aveva operato ogni genere di bene in favo­re del popolo, il quale al momento della passione lo ricambiò con il grido: “A morte, a morte!“, che lacerò il suo cuore più che i suoi orecchi.)

Parla Gesù:

“Pensa un poco (figliola mia) quanto grande fu il colpo come di freccia con cui mi trafisse e mi accorò il popolo giudaico, ingrato ed ostinato.

Io l’avevo reso popolo santo e sacerdotale e l’a­vevo eletto a mia parte di eredità, al di sopra di tutti gli altri popoli della terra.

L’avevo liberato dalla schiavitù d’Egitto, dalle mani del Faraone, lo avevo condotto a piedi asciut­ti attraverso il Mare Rosso, per lui ero stato colon­na ombrosa di giorno e luce nella notte.

Lo nutrii di manna per quaranta anni, gli detti con la mia propria bocca la Legge sul monte Sinai, gli concessi tante vittorie contro i suoi nemici.

Assunsi natura umana da lui e per tutto il tempo della mia vita dialogai con lui e gli mostrai la via del cielo. Durante quel tempo gli feci molti bene­fici, quali dare luce ai ciechi, l’udito ai sordi, il camminare ai paralitici, la vita ai loro morti.

Ora quando intesi che con tanto furore gridava­no che fosse rilasciato Barabba e io fossi condan­nato a morte e crocifisso, mi parve che mi scop­piasse il cuore.

Figliola mia, non lo può comprendere se non chi lo prova, che dolore sia ricevere ogni male da chi ha ricevuto ogni bene!

Quanto è duro per chi è innocente sentirsi urlare da tutta la gente: ‘Muoia! muoia!’, mentre a chi è prigioniero come lui ma si sa che merita mille morti viene gridato dal popolo: ‘Viva! Viva!’.

Queste sono cose da meditare e non da raccontare”.

 

OTTAVO DOLORE CHE CRISTO BENEDETTO PORTO’ NEL SUO CUORE

PER L’INGRATITUDINE DI TUTTE LE CREATURE

(Questo capitolo presenta alcune delle pagine più belle della Varano che riconosce gli innumerevoli benefici divini: «Tu, Signore, per grazia sei nato nell’anima mia… Nelle tenebre e oscurità del mondo tu mi hai fatta capace di vedere, udire, par­lare, camminare, perché veramente io ero cieca, sorda e muta a tutte le cose spirituali; mi hai risu­scitata in Te, vera vita che dai vita a ogni cosa vivente…». Contemporaneamente sente il peso della propria ingratitudine: «Tutte le volte che ho vinto, da te solo e per te è venuta la mia vittoria, mentre tutte le volte che ho perso e perdo è stato ed è per mia malizia e poco amore che porto a te». Di fronte all’infinito amore divino e al dolore del Salvatore la Beata sente la gravità del peccato anche minimo, perciò si identifica in coloro che hanno flagellato e crocifisso Gesù e, dimenticando tutti gli altri peccatori, si ritiene sintesi dell’ingra­titudine di tutte le creature.)

Illuminata da Cristo, sole di giustizia, quell’anima benedetta espone questa ingratitudine con parole pronunciate per sé e per ogni creatura con riferimento alle grazie e ai benefici ricevuti.

Dice infatti che si sentiva nel cuore tanta umiltà che veramente confessava a Dio e a tutta la corte celeste di aver ricevuto da Dio più doni e benefici di Giuda e addirittura di averne ricevuti più lei sola di tutto il popolo eletto messo insieme e che lei aveva tradito Gesù molto peggio e più ingratamente di Giuda e che molto peggio e più ostinatamente di quel popolo ingrato lei lo aveva condannato a morte e crocifisso.

E con questa santa riflessione lei collocava la sua anima sotto i piedi dell’anima del dannato e maledetto Giuda e da quell’abisso elevava voci, urla e pianti al suo amato Dio da lei offeso, quali: “Signore mio benigno, come potrò ringraziarti per ciò che hai sofferto per me che ti ho trattato mille volte peggio di Giuda?

Tu avevi reso lui tuo discepolo, mentre hai eletto me tua figlia e sposa.

A lui hai perdonato i peccati, a me pure per tua pietà e grazia hai perdonato tutti i peccati come se non li avessi mai fatti.

A lui desti l’incarico di dispensare le cose materiali, a me ingrata hai dispensato tanti doni e grazie del tuo tesoro spirituale.

A lui hai concesso la grazia di fare miracoli, a me hai fatto più che un miracolo conducendomi volontariamente in questo luogo e nella vita con­sacrata.

O Gesù mio, io ti ho venduto e tradito non una volta come lui, ma mille ed infinite volte. O mio Dio, sai bene che peggio di Giuda io ti ho tradito col bacio quando, anche sotto parvenza di amicizia spirituale, ti ho abbandonato e mi sono accostata ai lacci di morte.

E se tanto ti ha turbato l’ingratitudine di quel popolo eletto, cosa sarà stata ed è per te la mia ingratitudine? Io ti ho trattato peggio di loro, ben­ché abbia ricevuto da te, mio vero bene, molti più benefici di loro.

O Signore mio dolcissimo, io con tutto il cuore ti ringrazio che, come gli ebrei dalla schiavitù egiziana, mi hai strappato dalla schiavitù del mondo, dai peccati, dalle mani del crudele faraone qual è il demonio infernale che dominava a suo piacimento l’anima mia poverella.

O mio Dio, condotta a piedi asciutti attraverso l’acqua del mare delle vanità mondane, per tua grazia sono passata alla solitudine del deserto della santa religione claustrale dove molte volte mi hai nutrito con la tua dolcissima manna, ricolma di ogni sapore. Ho infatti sperimentato che tutti i piaceri del mondo sono nauseabondi di fronte alla pur minima tua consolazione spirituale.

Ti ringrazio, Signore e Padre mio benigno, che molte volte sul monte Sinai della santa orazione mi hai dato con la tua dolcissima santa Parola la legge scritta con il dito della tua pietà sulle tavole di pietra del mio durissimo cuore ribelle.

Ti ringrazio, Redentore mio benignissimo, per tutte le vittorie che mi hai dato su tutti i miei nemici, i vizi capitali: tutte le volte che ho vinto, da te solo e per te è venuta la mia vittoria, mentre tutte le volte che ho perso e perdo è stato ed è per la mia malizia e il poco amore che porto a te, mio desiderato Dio.

Tu, Signore, per grazia sei nato nell’anima mia e mi hai mostrato la via e donato la luce e il lume della verità per giungere a Te, vero paradiso. Nelle tenebre e oscurità del mondo tu mi hai fatta capace di vedere, udire, parlare, camminare, perché veramente io ero cieca, sorda e muta a tutte le cose spirituali; mi hai risuscitata in Te, vera vita che dai vita a ogni cosa vivente.

Ma chi ti ha crocifisso? lo.

Chi ti ha flagellato alla colonna? Io.

Chi ti ha coronato di spine? Io.

Chi ti ha abbeverato di aceto e fiele? Io”.

Rifletteva in tal modo su tutti questi dolorosi misteri piangendo con molte lacrime, secondo la grazia che Dio le dava.

E concludendo diceva:

“Signore mio, sai perché ti dico che io ti ho fatto tutte queste cose? Perché alla tua luce ho visto la luce, cioè [ho capito] che molto più ti afflissero e procurarono dolori i peccati mortali che io ho commesso, di quanto allora non ti affliggessero e procurassero dolori le persone che ti inflissero tutti quegli strazi fisici.

Allora, Dio mio, non è necessario che tu mi fac­cia conoscere il dolore che ti dette l’ingratitudine di tutte le creature, perché, dopo che mi hai fatto la grazia di conoscere almeno in parte la mia ingrati­tudine, posso ora – sempre per la grazia che mi infondi – riflettere quanto ti hanno fatto tutte le creature complessivamente.

In questa riflessione quasi vengo meno per lo stupore che suscitano, o Gesù mio, la tua immensa carità e la pazienza verso di noi, tue creature ingratissime, poiché mai, mai tu smetti di provvedere a tutti i nostri bisogni spirituali, materiali e temporali.

E come non si possono conoscere, Dio mio, le cose innumerevoli che hai compiuto per queste tue ingrate creature in cielo, in terra, nell’acqua, nell’aria, così non riusciremo a comprendere la nostra ingratissima ingratitudine.

Confesso allora e credo che solo tu, Dio mio, puoi conoscere e sapere quanta e quale sia stata la nostra ingratitudine che come freccia avvelenata ti ha trafitto il cuore tante volte quante sono le creature che furono, sono e saranno e ogni volta che ognuna di esse ha esercitato tale ingratitudine.

Riconosco dunque e dichiaro per me e per tutte le creature tale verità: come non passa un istante né ora né giorno né mese che non usiamo appieno i tuoi benefici, così non passa un istante né un’ora né un giorno né un mese senza molte e infinite ingratitudini.

E io credo e riconosco che questa nostra pessima ingratitudine sia stata uno dei più crudeli dolori della tua afflitta anima”.

 

(Sottoscrizioni finali)

 

Concludo queste poche parole sui dolori inte­riori di Gesù Cristo a sua lode, venerdì 12 settem­bre dell’anno del Signore 1488. Amen.

Potrei riferire molte altre cose che mi disse quella suora, ad utilità e consolazione dei lettori; ma Dio sa che per prudenza mi trattengo nono­stante l’impulso interiore e specialmente perché quell’anima benedetta si trova ancora nel carcere di questa misera vita.

Forse un’altra volta in futuro Dio mi ispirerà di riferire altre sue parole che ora per prudenza tac­cio.

 

(DAI DOLORI MENTALI DI GESÙ NELLA SUA PASSIONE RIVELATI A SANTA CAMILLA BATTISTA DA VARANO)

Gesù rivela a Santa Camilla Battista da Varano: “I DOLORI MENTALI NELLA SUA PASSIONE” Quinto e Sesto Dolore: “CHE CRISTO BENEDETTO PORTO’ NEL SUO CUORE PER I DISCEPOLI E GIUDA IL TRADITORE”

QUINTO DOLORE CHE CRISTO BENEDETTO PORTO’ NEL SUO CUORE PER I SUOI AMATI E CARI DISCEPOLI

DAI DOLORI MENTALI DI GESÙ NELLA SUA PASSIONE
  RIVELATI A SANTA CAMILLA BATTISTA DA VARANO

(Gesù, dopo aver scelto gli apostoli tra molti altri discepoli, nei tre anni di vita comune li trattò con particolare familiarità per istruirli e prepa­rarli alla missione a cui li destinava. Proprio per lo speciale rapporto di amore che intercorse tra Cristo e gli apostoli, Egli provò una sofferenza particolare nel suo cuore prendendo su di sé le sofferenze a cui essi sarebbero andati incontro per testimoniare la sua risurrezione.)

Parla Gesù:

“L’altro dolore che accoltellava l’anima mia era la continua memoria del santo collegio degli Apostoli, colonne del cielo e fondamento della mia Chiesa in terra, che io vedevo come sarebbe stato disperso quali pecorelle senza pastore e conoscevo tutte le pene e martirii che avrebbero dovuto patire per me.

Sappi dunque che mai un padre ha amato con tanto cuore i figli né un fratello i fratelli né un maestro i discepoli come io amavo gli Apostoli benedetti, dilettissimi miei figlioli, fratelli e discepoli.

Benché io abbia sempre amato tutte le creature con amore infinito, tuttavia ci fu un particolare amore per quelli che effettivamente vissero con me.

Di conseguenza provai un particolare dolore per loro nella mia afflitta anima. Per essi infatti, più che per me, pronunciai quell’amara parola: ‘La mia anima è triste fino alla morte’, data la grande tenerezza che provavo nel lasciarli senza di me, loro padre e fedele maestro. Ciò mi procurava tanta angustia che questa separazione fisica da loro mi sembrava una seconda morte.

Se si riflettesse attentamente sulle parole dell’ultimo discorso che rivolsi loro, non ci sarebbe un cuore tanto indurito da non commuoversi di fronte a tutte quelle affettuose parole che mi sgorgarono dal cuore, che sembrava scoppiarmi in petto per l’amore che portavo loro.

Aggiungi che vedevo chi sarebbe stato crocifis­so a causa del mio nome, chi decapitato, chi scor­ticato vivo e che comunque tutti avrebbero chiuso l’esistenza per amore mio con vari martirii.

Per poter comprendere quanto questa pena mi fosse pesante, fai questa ipotesi: se tu avessi una persona che ami santamente e alla quale per causa tua e proprio perché l’ami vengano indirizzate parole ingiuriose oppure fatto qualche cosa che le dispiace, oh, come ti farebbe veramente male che proprio tu sia la causa di tale sofferenza per lei che tu ami tanto! Vorresti invece e cercheresti che lei per causa tua potesse avere sempre pace e gioia.

Ora proprio io, figliola mia, diventavo per loro causa non di parole ingiuriose, ma della morte, e non per uno solo ma per tutti. E di questo dolore che provai per loro non ti posso dare altro esem­pio: ti basti quanto ho detto, se vuoi provare com­passione per me”.

 

SESTO DOLORE CHE CRISTO BENEDETTO PORTO’ NEL SUO CUORE PER L’INGRATITUDINE DEL SUO AMATO DISCEPOLO GIUDA TRADITORE

(Gesù aveva scelto Giuda Iscariota come apostolo insieme agli altri undici, anche a lui aveva concesso il dono di compiere miracoli e gli aveva dato particolari incarichi. Nonostante questo egli progettò il tradimento che, ancor prima che si realizzasse, lacerò il cuore del Redentore. All’ingratitudine di Giuda si contrappose la sensibilità dell’apostolo Giovanni, che si sarebbe accorto della sofferenza del suo Signore, secondo quanto scrive la Varano in queste pagine cariche di profonda commozione.)

 

Parla Gesù:

“Ancora un altro sviscerato e intenso dolore mi affliggeva continuamente e mi feriva il cuore. Era come un coltello con tre punte acutissime e vele­nose che continuamente trapassava come una saet­ta e torturava il mio cuore amareggiato come la mirra: cioè la perfidia e ingratitudine del mio amato discepolo Giuda iniquo traditore, la durezza e perversa ingratitudine del mio eletto e prediletto popolo giudaico, la cecità e maligna ingratitudine di tutte le creature che furono, sono e saranno.

Considera prima di tutto quanto fu grande l’in­gratitudine di Giuda.

Io lo avevo eletto nel numero degli apostoli e, dopo avergli perdonato tutti i peccati, lo resi ope­ratore di miracoli e amministratore di quanto mi veniva donato e gli mostrai sempre continui segni di particolare amore perché tornasse indietro dall’iniquo suo proposito. Ma quanto più amore gli mostravo, tanto più progettava cattiverie contro di me.

Con quanta amarezza credi tu che io ruminassi nel mio cuore queste cose e tante altre?

Ma quando venni a quel gesto affettuoso e umile di lavargli i piedi insieme a tutti gli altri, allora il mio cuore si liquefece in un pianto svisce­rato. Uscivano veramente fontane di lacrime dai miei occhi sopra i suoi disonesti piedi, mentre nel mio cuore esclamavo:

‘O Giuda, che ti ho fatto perché tu così crudelmente mi tradisca? O sventurato discepolo, non è questo l’ultimo segno d’amore che ti voglio mostrare? O figliolo di perdizione, per quale motivo ti allontani così dal tuo padre e maestro? O Giuda, se desideri trenta denari, perché non vai dalla Madre tua e mia, pronta a vendere se stessa per scampare te e me da un pericolo così grande e mortale?

O discepolo ingrato, io ti bacio con tanto amore i piedi e tu con grande tradimento mi bacerai la bocca? Oh, che pessimo contraccambio mi darai! Io piango la tua perdizione, o caro e diletto figliolo, e non la mia passione e morte, perché non sono venuto per altro motivo’.

Queste ed altre parole simili gli dicevo con il cuore, rigandogli i piedi con le mie abbondantissime lacrime.

Però lui non se ne accorgeva perché io stavo inginocchiato davanti a lui con la testa inclinata come avviene nel gesto di lavare i piedi altrui, ma anche perché i miei folti lunghi capelli, stando così piegato, mi coprivano il volto bagnato di lacrime.

Ma il mio diletto discepolo Giovanni, poiché gli avevo rivelato in quella dolorosa cena ogni cosa della mia passione, vedeva e annotava ogni mio gesto; si accorse allora dell’amaro pianto che avevo fatto sopra i piedi di Giuda. Egli sapeva e capiva che ogni mia lacrima aveva origine dal tenero amore, come quello di un padre in prossi­mità della morte che sta servendo il proprio unico figlio e gli dice in cuor suo: ‘Figliolo, stai tran­quillo, questo è l’ultimo affettuoso servizio che ti potrò fare’. E io feci proprio così a Giuda quando gli lavai e baciai i piedi accostandomeli e stringen­doli con tanta tenerezza alla mia sacratissima fac­cia.

Tutti questi miei gesti e modi non consueti stava notando il benedetto Giovanni evangelista, vera aquila dagli alti voli, che per grande meraviglia e stupore era più morto che vivo. Essendo egli anima umilissima, si sedette all’ultimo posto di modo che lui fu l’ultimo davanti al quale mi ingi­nocchiai per lavare i piedi. Fu a questo punto che non si poté più contenere ed essendo io a terra e lui seduto, mi buttò le braccia al collo e mi strinse a lungo come fa una persona angustiata, versando abbondantissime lacrime. Egli mi parlava col cuore, senza voce, e diceva:

‘O caro Maestro, fratello, padre, Dio e Signore mio, quale forza d’animo ti ha sorretto nel lavare e baciare con la tua sacratissima bocca quei male­detti piedi di quel cane traditore? O Gesù, mio caro Maestro, ci lasci un grande esempio. Ma noi poverelli che faremo senza di te che sei ogni nostro bene? Che farà la sventurata tua povera madre quando le racconterò questo tuo gesto di umiltà? E ora, per farmi spezzare il cuore, vuoi lavare i miei piedi maleodoranti e sporchi di fango e polvere e baciarli con la tua bocca dolcissima come il miele?O Dio mio, questi nuovi segni d’amore sono per me innegabile fonte di maggior dolore’.

Dette queste ed altre simili parole che avrebbero fatto intenerire un cuore di sasso, si lasciò lavare porgendo i piedi con molta vergogna e riverenza.

Ti ho detto tutto questo per darti qualche notizia del dolore che provai nel mio cuore per l’ingratitudine e per l’empietà di Giuda traditore, che per quanto da parte mia gli avevo dato amore e segni di affetto, tanto mi rattristò con la sua pessima ingratitudine”.

(DAI DOLORI MENTALI DI GESÙ NELLA SUA PASSIONE RIVELATI A SANTA CAMILLA BATTISTA DA VARANO)

Gesù rivela a Santa Camilla Battista da Varano: “I DOLORI MENTALI NELLA SUA PASSIONE” Terzo e Quarto Dolore: “CHE CRISTO BENEDETTO PORTO’ NEL SUO CUORE PER LA VERGINE MARIA E LA MADDALENA”

TERZO DOLORE

CHE CRISTO BENEDETTO PORTO’ NEL SUO CUORE

PER LA GLORIOSA VERGINE MARIA

DAI DOLORI MENTALI DI GESÙ NELLA SUA PASSIONE
RIVELATI A SANTA CAMILLA BATTISTA DA VARANO

(Un terzo motivo di profonda sofferenza al cuore dell’uomo-Dio fu il dolore della sua dolcissima Madre. Per la particolare tenerezza che Maria nutriva verso questo Figlio che era contemporaneamente Figlio dell’Altissimo, il suo dolore fu straordinario rispetto a quello di altri genitori che possono fare l’esperienza di assistere al martirio di un figlio. Gesù, oltre il vedere soffrire la Madre, provò grande sofferenza nel sentirsi impedito di poterle risparmiare il dolore.)

L’ amoroso e benedetto Gesù continuava: “Ascolta,ascolta, figliola mia; non dire subito così, perché devo ancora dirti cose amarissime e specialmente circa quell’acuto coltello che passò e trafisse la mia anima, cioè il dolore della mia pura e innocente Madre, che per la mia passione e morte doveva essere tanto afflitta e accorata che mai fu né sarà una persona più addolorata di lei.

Perciò in paradiso l’abbiamo giustamente glori­ficata ed innalzata e premiata sopra tutte le schie­re angeliche ed umane.

Noi facciamo sempre così: quanto più la crea­tura in questo mondo è per amor mio afflitta, abbassata ed annientata in se stessa, tanto più nel regno dei beati per giustizia divina è innalzata, glorificata e premiata.

E dato che in questo mondo non ci fu una madre o alcuna persona più angustiata della mia dolcissima e accorata madre, così lassù non c’è, né vi sarà mai persona simile a lei.

E come in terra lei fu simile a me per pene e afflizioni, così in cielo è simile a me per potenza e gloria, però senza la mia divinità di cui siamo partecipi solo noi tre divine persone, Padre, Figlio e Spirito Santo.

Ma sappi che tutto quello che soffrii e sopportai io, Dio umanato, soffrì e patì la mia poveri e santissima Madre: salvo che io soffrii in grado pio alto e perfetto perché ero Dio e uomo, mentre lei era pura e semplice creatura priva affatto di divinità.

Mi afflisse talmente il suo dolore che, se fosse piaciuto al mio eterno Padre, sarebbe stato per me un sollievo se i suoi dolori fossero ricaduti sopra la mia anima e lei fosse rimasta libera da ogni sofferenza; è vero che le mie sofferenze e ferite sarebbero state come raddoppiate con una freccia acuminata e velenosa, ma ciò sarebbe stato per me grandissimo sollievo e lei sarebbe rimasta senza alcuna pena. Ma perché il mio indescrivibile martirio doveva essere senza alcuna consolazione, non mi fu concessa tale grazia benché più volte l’avessi domandata per tenerezza filiale e con molte lacrime”.

Allora, racconta la suora, le sembrava che le venisse meno il cuore per il dolore della gloriosa Vergine Maria. Dice che provava una certa tensione interiore da non poter proferire altra parola che questa:

“O Madre di Dio, non ti voglio più appellare Madre di Dio quanto piuttosto Madre di dolore, Madre di pena, Madre di tutte le afflizioni che si possano contare e pensare. Ebbene, d’ora in poi ti chiamerò sempre Madre di dolore.

Egli mi pare un inferno e tu mi sembri altrettanto. Allora come ti posso appellare se non Madre di dolore? Anche tu sei proprio un secondo infer­no”.

E aggiungeva:

“Basta, Signore mio, non mi parlare più dei dolori della tua benedetta Madre, perché sento di non poterli più sopportare. Mi basta questo finché sarò in vita, anche se potessi vivere mille anni”.

QUARTO DOLORE

CHE CRISTO BENEDETTO PORTO’ NEL SUO CUORE

PER LA SUA INNAMORATA DISCEPOLA MARIA MADDALENA

(La dolorosa esperienza di Maria Maddalena, presente alla passione del Signore, fu seconda solo a quella della Vergine Maria, perché lei amava senza riserve Gesù, diremmo noi come suo “sposo”, mancando il quale lei non si dette pace. Questa è l’esperienza delle anime consacrate, specie quelle contemplative come lo fu Camilla Battista la cui vicenda possiamo riconoscere nell’espressione dettale da Gesù: “Così vuol essere ogni anima quando mi ama e desidera affettuosamente: non si dà pace né riposa se non in me solo, suo amato Dio”. Simile a Maria Maddalena, la Beata durante la dolorosa prova della notte spirituale non si dette pace.)

Allora Gesù, tacendo su tale argomento perché vedeva che lei non poteva più sopportarlo, inco­minciò a dirle:

“E che dolore pensi tu che io abbia sostenuto per la pena e l’afflizione della mia diletta discepola e benedetta figliola Maria Maddalena?

Mai potreste comprenderlo né tu né altra perso­na, perché da lei e da me hanno avuto fondamento e origine tutti i santi amori spirituali che mai furo­no e saranno. Infatti la mia perfezione, di me che sono il Maestro che ama, e l’affetto e la bontà di lei, discepola amata, non possono essere compresi se non da me. Qualche cosa ne potrebbe compren­dere chi ha fatto esperienza dell’amore santo e spi­rituale, amando e sentendosi amato; mai però in quella misura, perché non esiste un tale Maestro e neppure una tale discepola, poiché di Maddalena non ne fu ne sarà mai altra che ella sola.

Giustamente si dice che dopo la mia amatissi­ma Madre non ci fu persona che più di lei si afflig­gesse per la mia passione e morte. Se un altro si fosse afflitto più di lei, dopo la mia risurrezione io sarei apparso a lui prima che a lei; ma poiché dopo la mia benedetta Madre fu lei più afflitta e non altri, così dopo la mia dolcissima Madre fu lei la prima ad essere consolata.

Io resi capace il mio amatissimo discepolo Giovanni, nel gioioso abbandono sul mio sacratis­simo petto durante la desiderata e intima cena, di vedere chiaramente la mia risurrezione e l’immenso frutto che sarebbe scaturito agli uomini dalla mia passione e morte. Sicché, per quanto il mio amato fratello Giovanni abbia provato dolore e sofferenza per la mia passione e morte più di tutti gli altri discepoli pur sapendo quanto dicevo, non pensare che abbia superato l’innamorata Maddalena. Lei non aveva la capacità di comprendere cose alte e profonde come Giovanni, il quale non avrebbe mai impedito – se gli fosse stato possibile – la mia passione e morte per l’immenso bene che ne sarebbe provenuto.

Ma non era così per l’amata discepola Maddalena. Infatti quando mi vide spirare, parve a lei che le venissero a mancare il cielo e la terra, perché in me erano tutta la sua speranza, tutto il suo amore, pace e consolazione, giacché mi amava senza ordine e misura.

Per questo anche il suo dolore fu senza ordine e misura. E potendolo conoscere solo io, lo portai volentieri nel mio cuore e provai per lei ogni tenerezza che per santo e spirituale amore si può provare e sentire, perché mi amava svisceratamente.

E osserva, se vuoi saperlo, che gli altri discepoli dopo la mia morte ritornarono alle reti che avevano abbandonato, perché non erano ancora del tutto staccati dalle cose materiali come invece questa santa peccatrice. Lei invece non ritornò alla vita mondana e scorretta; anzi, tutta infuocata e bruciante di santo desiderio, non potendo più spe­rare di vedermi vivo, mi cercava morto, convinta che nessun’altra cosa poteva ormai piacerle o sod­disfarla se non io suo caro Maestro, vivo o morto che fossi.

Che ciò sia vero lo prova il fatto che lei, per tro­vare me morto, ritenne secondaria e pertanto lasciò la viva presenza e compagnia della mia dol­cissima Madre, che è la più desiderabile, amabile e piacevole che dopo di me si può avere.

E anche la visione e i dolci colloqui con gli angeli le sembrarono niente.

Così vuol essere ogni anima quando mi ama e desidera affettuosamente: non si dà pace né riposa se non in me solo, suo amato Dio.

Insomma, fu tanto il dolore di questa mia bene­detta cara discepola che, se io somma potenza non l’avessi sostenuta, sarebbe morta.

Questo suo dolore si ripercuoteva nel mio appassionato cuore, perciò fui molto afflitto ed angustiato per lei. Ma non permisi che lei venisse meno nel suo dolore, dato che di lei volevo fare ciò che poi feci, cioè apostola degli apostoli per annunziare loro la verità della mia trionfale risurrezione, come essi poi fecero a tutto il mondo.

La volevo fare e la feci specchio, esempio, modello di tutta la beatissima vita contemplativa nella solitudine di trentatré anni rimanendo ignota al mondo, durante i quali lei poté gustare e provare gli ultimi effetti dell’amore per quanto è possibile gustare, provare, sentire in questa vita terrena.

Questo è tutto quello che riguarda il dolore che provai per la mia diletta discepola”.

(DAI “DOLORI MENTALI DI GESÙ NELLA SUA PASSIONE” RIVELATI A SANTA CAMILLA BATTISTA DA VARANO)