LA PREGHIERA DEL PADRE NOSTRO SPIEGATA DA DON DOLINDO RUOTOLO: “Credere veramente in Dio, confidare in Lui come figli ed essergli amici per la Grazia: ecco il fondamento di ogni vera preghiera”

QUI DI SEGUITO, POTETE LEGGERE UN ESTRATTO DALL’ANTOLOGIA IMPERDIBILE DI DON DOLINDO RUOTOLO APPENA PUBBLICATA DALLE SUORE DELLA CASA EDITRICE MIMEP. ALLA FINE, SE SIETE INTERESSATI, TROVERETE IL LINK PER L’ACQUISTO.

-Il Padre Nostro-

“Padre”, ecco il modo come l’anima deve orientarsi a Dio. Non deve considerarlo col terrore superstizioso che avevano i pagani della divinità, espresso a volte dalle stesse forme dei loro idoli, né col timore servile dell’ebraismo di allora, che aveva deviato dallo spirito dei patriarchi; doveva riguardarlo come Padre, quindi come creatore di tutto e come proprio creatore, provvido ed amorosissimo.

Il padre naturale dà la vita al figlio amando, e la conserva amando, quando non è ridotto allo stato brutale dal vizio. Dio dà la vita per un atto della sua Volontà infinita che è Amore; e la conserva con la Provvidenza che è Amore; l’anima, dunque, prega confessando la realtà di Dio, il suo Amore e la sua Provvidenza, e confessandola in un atto di viva fede. Se non c’è questa fede che ci fa parlare a Dio come all’Essere infinitamente esistente, sapiente ed amante, se non si ha con Lui l’intimità filiale che viene dalla fede veramente e praticamente sentita e convinta, la preghiera non supera la nostra povera atmosfera e diventa più uno sfogo della propria impotenza, che una fiduciosa domanda fatta a Dio.

La vacuità di tante preghiere che facciamo sta proprio nella mancanza della fede vera in Dio. Molti, moltissimi, pregando hanno ancora lo spirito idolatrico; credono e non credono a Dio, lo ammettono e non lo ammettono, esitano nel loro cuore e, subcoscientemente, vorrebbero metterlo alla prova, come può mettersi alla prova, l’efficacia di una medicina.

“Padre, sia santificato il Nome tuo”. Ecco una seconda direttiva assolutamente necessaria alla nostra preghiera: considerare tutto alla luce della gloria di Dio e volere tutto secondo i fini della sua Volontà. A volte noi giungiamo alla stoltezza somma di volere imporre le nostre vedute e i nostri interessi umani al Signore, e rimaniamo, quindi, inetti ed impotenti, nell’ambito delle nostre povere forze. Quando l’anima crede veramente ed apprezza Dio per quello che è, domanda in piena sottomissione alle esigenze della gloria di Lui, che è diffusione di misericordia e di bene anche per noi.

Come potrebbe aversi il calore del sole sottraendosi ai suoi raggi, e pretendendo di ridurli nell’ambito della propria meschinità? Il trionfo della luce del sole, e quindi la rimozione degli ostacoli che ne impediscono la diffusione, è anche il conseguimento pieno del nostro desiderio di calore vivificante. Nell’orazione bisogna, dunque, dare a Dio il posto che gli spetta, e desiderare la vita a ciò che è necessario alla vita, unicamente per la sua Gloria e per il trionfo del suo Amore in noi, nella pienezza del suo Regno: “Venga il regno tuo”. Se si pondera veramente la meschinità delle nostre aspirazioni nella preghiera, volta tutta al compimento del nostro egoismo, e se si pensa che la massa del popolo ignora quasi completamente che cosa significhi amare Dio e desiderarne la gloria, non fa più meraviglia che tante preghiere rimangano nella nostra povera cerchia, e sono inesaudite.

Nel tracciarci la direttiva delle nostre preghiere, Gesù Cristo distingue nettamente le esigenze della vita dell’anima da quelle della vita del corpo nella nostra condizione naturale. Per questo il Pater noster ha due parti determinate: alla vita dell’anima è necessaria l’intimità filiale con Dio, per la Grazia che la rende sua figlia: “Padre”. In questa semplice parola c’è la sintesi stupenda delle elevazioni dell’anima negli splendori della Grazia, che la restaura, la santifica e la eleva. L’intimità con Dio è amore nelle sue molteplici gradazioni e sfumature e questo amore si sintetizza tutto nel desiderio di glorificare Dio e di farlo regnare nella propria vita ed in quella di tutti.

Noi, quindi, domandiamo a Dio lo stato di Grazia, l’amore verso di Lui, lo zelo per la sua Gloria, la santificazione delle anime ed il suo Regno in tutte nel dominio soavissimo dell’Amore. Tutte le grandi manifestazioni della vita della santità e della vita della Chiesa stanno in queste brevi e mirabili parole. Per la vita del corpo, ordinata a quella dello spirito, noi abbiamo bisogno dell’alimento e di tutto quello che serve all’ordine ed alla missione temporale della medesima vita: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”; abbiamo bisogno della pace, bene assolutamente imprescindibile da una vita che non sia concepita, come si fa oggi, quale esasperante tramestio di prepotenze e di oppressioni.

Ora la pace non è fuori dell’anima, e tanto meno può considerarsi come l’oppressione del più forte sul più debole; essa è tranquillità dell’ordine, e questa tranquillità viene dall’armonia della coscienza e da quella della carità: “Rimetti a noi i nostri peccati, come noi li rimettiamo ad ogni nostro debitore”. Siamo tutti miserabili, e nessuno può presumere di essere da più di un altro; ci confessiamo peccatori per avere il perdono e promettiamo perdono a quelli che ci fanno del torto. Così viene stroncato nella radice quello che disturba la pace.

Grazia di Dio in noi e carità verso il prossimo sono due beni spirituali dai quali dipende la tranquilla prosperità temporale della vita; i peccatori non hanno mai bene; anche quando satana si sforza di farli apparire prosperati, e dove manca la generosa carità, manca la benedizione di Dio. Satana sfrutta la posizione di alcuni (molto pochi in realtà rispetto alle masse), che, non essendo più capaci di beni eterni, raccolgono come tenue premio di qualche opera buona, i miseri beni temporali; egli li presenta come esseri felici nel male, ma è una menzogna anche in questi la pace, perché sono infelicissimi nel loro cuore ed è una menzogna maggiore il far credere od il supporre che il peccato porti la prosperità.

No, la massa dei peccatori sta in mille tribolazioni, e la massa dei prepotenti è infelicissima, perché è stretta dai rimorsi e dalle angustie interiori che tolgono loro la pace. Che cosa sono i beni temporali senza la pace? E come si può avere pace senza il perdono di Dio e senza la Grazia? Come poi si può avere la Grazia ed il perdono senza darlo a chi ci è debitore?

Quando la nostra preghiera per i beni temporali non sta su queste direttive precise è una preghiera vana; quando cioè non si domanda ciò che serve alla vita, e non più, e non lo si domanda nell’armonia della Grazia e della carità, la preghiera diventa vana, ed a volte può farci credere, per illusione diabolica, che produca anche l’effetto contrario. Quanti hanno l’anima piena di avidità, di odio, d’invidia e di peccati di ogni genere e domandano a Dio non ciò che serve al corpo per la vita dello spirito, ma ciò che serve al corpo per la vita materiale, e si lamentano poi di non essere esauditi!

Quanti hanno peccati impuri che disordinano la vita, anche occultamente e senza che nessuno lo sappia, e si lamentano della miseria corporale che ne è immediata conseguenza! Quanti sono spietati nel giudicare e più spietati nell’inveire contro il prossimo, e pretendono da questa bolgia far risuonare la loro preghiera nei cieli, dove tutto è armonia soavissima di carità!

La vita è una prova di pochi anni, nei quali dobbiamo meritarci, per la grazia di Dio, il premio eterno. Questa prova ci viene dalla condizione stessa nella quale viviamo e può venirci anche dalle insidie e dagli assalti di satana. C’è dunque un terzo elemento della nostra vita terrena: la difesa nei pericoli. Senza la difesa provvida che può venirci solo da Dio la vita dell’anima è travolta dalla colpa e la vita del corpo dalle sventure. Perciò Gesù Cristo ci fa domandare a Dio: “Non ci indurre in tentazione”, cioè non permettere che ci vinca la tentazione e, nel provarci, Tu donaci la forza di esserti fedeli, riducendo le prove a causa della nostra fragilità. È, in fondo, un atto di umiltà che ci concilia la misericordia di Dio, poiché è la confessione della nostra debolezza, in un atto di fiducia e di abbandono alla misericordia di Dio. Chi presume di sé, crede di poter affrontare i cimenti della vita ordinaria e quelli più ardui della santità, e può esserne vinto; ma chi è conscio della propria fragilità, domanda a Dio solo la Grazia di resistere alle prove e di non cadere, e lo supplica di attenuare quelle che per la nostra miseria potrebbero travolgerci.

Con quest’ultima domanda la direttiva della preghiera dataci da Gesù è completa: credere veramente in Dio, confidare in Lui come figli ed essergli amici per la Grazia; ecco il fondamento di ogni vera preghiera. Domandare i beni dell’anima, non come nostro appagamento egoistico, ma per rispondere al nostro fine, e quindi domandare la gloria di Dio ed il suo Regno, perché quei beni così si diffondono in noi. Qualunque domanda che prescinda dalla gloria di Dio e dal suo Regno in noi è sterile e può esserci di danno. Per la vita del corpo domandare il sostentamento necessario, il pane quotidiano, senza aggravarla di ingombri inutili, è domandare la pace, frutto della giustizia e della carità. Infine considerarsi fragili nelle prove che servono al conseguimento dell’etema vita è domandare a Dio la difesa e la conservazione della vita spirituale.

Come già si è accennato, Gesù Cristo nel dare agli apostoli le direttive di qualunque preghiera nella formula che loro insegnò, espresse in una sintesi mirabile quello che era la sua medesima vita di preghiera: Egli, Figlio di Dio, era venuto in terra per proclamare la divina paternità di adozione per tutti gli uomini, e per sollevare a Lui, verso le altezze dei Cieli, le sue creature: “Padre nostro che sei nei cieli”. Egli pregava per esaltare il nome di Dio e per far risuonare in terra, nella natura umana da Lui assunta, le lodi che dall’eternità dava al Padre: “Sia santificato il tuo Nome”.

Egli era venuto per stabilirne il Regno su tutte le creature, e proclamava questo Regno realizzandolo con la sua grande preghiera che doveva culminare nel sacrificio del Golgota: “Venga il tuo regno”. Egli stabiliva il regno di Dio nel pieno compimento dei disegni dell’infinito suo Amore, ossia della sua Volontà, ed implorava che questa Volontà amorosa fosse stata in terra il legame e l’armonia di tutte le attività umane per la Gloria divina, come in cielo era l’eterno legame del Padre e del Figlio: “Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra”. Egli, Figlio di Dio, dunque, si rivolgeva al Padre; Egli, gloria sua sostanziale lo glorificava e ne stabiliva il Regno trionfante, compiendo la sua Volontà, fatto obbediente fino alla morte ed amandolo nell’infinito Amore.

Essendo vero Uomo come era vero Dio, Egli, mediatore nostro e pellegrino della terra, domandava per noi anche i beni della vita mortale: il sostentamento, la pace e la difesa da ogni pericolo, ossia quella sobria prosperità che aiuta la vita ad orientarsi a Dio e non la rende povera lotta per i beni fugaci, confusione di contrasti ed irruenza di prepotenze brutali, misero zimbello di satana e vittima delle stesse prove che debbono orientarla al Signore. Era questa la grande preghiera della vita mortale di Gesù Cristo e logicamente Egli, uscendo da una di queste sue grandi elevazioni, al discepolo che in nome di tutti lo supplicò d’insegnare loro a pregare, dette una formula sublime di preghiera che era la sintesi della sua orazione, e la direttiva di tutte le nostre preghiere.

(Don Dolindo Ruotolo, da “Faccia a faccia con Gesù: meditazioni per la Quaresima e la vita spirituale” edizioni Mimep)

P.S. IL LIBRO È STATO APPENA PUBBLICATO!

Vi invitiamo a leggere l’anteprima cliccando sul link qui sotto e, se siete interessati, a comprarlo sul sito della casa editrice per aiutare maggiormente le suore nel loro preziosissimo lavoro di apostolato: 👇

Faccia a faccia con Gesù

LA PURIFICAZIONE DELL’ANIMA…IL FUOCO E LA FIAMMA DEL DIVINO AMORE: “Non si può immaginare ciò che l’anima soffre durante questa prova, che somiglia quasi ai tormenti del purgatorio” SAN GIOVANNI DELLA CROCE

Si noti bene: prima che il fuoco divino dell’amore s’introduca nella sostanza dell’anima e si unisca ad essa attraverso una purificazione totale e una purezza perfetta, la fiamma, che è lo Spirito Santo, ferisce l’anima, distruggendo e consumando le imperfezioni delle sue cattive abitudini. Questa è l’operazione dello Spirito Santo per predisporre l’anima all’unione divina e alla trasformazione amorosa in Dio. Infatti il medesimo fuoco d’amore, che in seguito si unirà all’anima per glorificarla, è quello che prima l’ha investita per purificarla. Ciò è quanto accade riguardo al fuoco: penetra il legno, ma prima lo avvolge e ferisce con le sue fiamme, essiccandolo e liberandolo dai suoi elementi eterogenei, fino a prepararlo con il suo calore, così che possa penetrarlo e assimilarlo. Gli spirituali chiamano questo procedimento via purgativa. In tale situazione l’anima soffre molto e avverte grandi pene spirituali, che si ripercuotono anche sui sensi, e per questo la fiamma diventa molto penosa.

In questo periodo di purificazione la fiamma non le apporta luce, ma la getta nelle tenebre. Se le dà qualche luce, è solo perché possa vedere e sentire le sue miserie e i suoi difetti. Non le procura soavità ma dolore; anche se talvolta le trasmette fervore d’amore, lo mescola a dolore e tormento. Non le offre nessuna consolazione, ma solo aridità; e se talvolta il Signore, per sua misericordia, le concede un po’ di gioia per darle forza e coraggio, prima o poi gliela fa scontare con altrettante prove. Non dà conforto né porta pace, ma consuma e rimprovera l’anima, facendola venir meno e tormentandola con la conoscenza di se stessa. Insomma, questa fiamma non le procura alcuna gloria, ma soltanto sofferenza e amarezza, inondandola di quella luce spirituale che le permette di conoscersi così com’è. Dio, nota Geremia, ha scagliato un fuoco e nelle mie ossa lo ha fatto penetrare (Lam 1,13); e Davide dice: Mi prova con il fuoco (Sal 16,3).

In questo periodo, dunque, l’anima sopporta nel suo intelletto profonde tenebre, grandi aridità e sofferenze nella volontà, amara conoscenza delle proprie miserie nella memoria, nella misura in cui il suo occhio spirituale, molto limpido, le permette la conoscenza di sé. Per di più l’anima soffre, nella sua stessa sostanza, abbandono ed estrema povertà; si sente arida e fredda, ma a tratti fervorosa; non trova sollievo in cosa alcuna, né un pensiero che la consoli o che elevi il suo cuore a Dio. Questa fiamma le è tanto dolorosa da farle dire rivolta a Dio, come Giobbe quando si trovò in una situazione simile: Sei diventato crudele verso di me (Gb 30,21). Quando l’anima soffre tutte queste cose insieme, le sembra veramente che Dio sia divenuto crudele e spietato con lei. Non si può immaginare ciò che l’anima soffre durante questa prova, che somiglia quasi ai tormenti del purgatorio.

Non saprei descrivere meglio questa sofferenza, fin dove arrivi o ciò che l’anima sente, se non con le parole pronunciate da Geremia a tale riguardo: Io sono l’uomo che ha provato la miseria sotto la sferza della sua ira. Egli mi ha minacciato, mi ha fatto camminare nelle tenebre e non nella luce. Solo contro di me egli ha volto e rivolto la sua mano. Egli ha consumato la mia carne e la mia pelle, ha rotto le mie ossa. Ha costruito sopra di me, mi ha circondato di veleno e di affanno. Mi ha fatto abitare in luoghi tenebrosi come i morti da lungo tempo. Mi ha costruito un muro tutt’intorno, perché non potessi più uscire; ha reso pesanti le mie catene. Anche se grido e invoco aiuto, egli rifiuta la mia preghiera. Ha sbarrato le mie vie con blocchi di pietra, ha ostruito i miei sentieri (Lam 3,1-9). Tutto questo e molto di più afferma Geremia nel testo citato.

Ora, poiché Dio impiega simili espedienti per curare e guarire l’anima dalle sue innumerevoli infermità e per darle la salute, è evidente che l’anima debba soffrire, a seconda delle sue malattie, sotto i colpi di tale purificazione e l’azione di questa cura. In questa situazione è simile a Tobia quando mise il cuore del pesce sulla brace per scacciare e far scomparire ogni genere di demoni (Tb 6,8). In tal modo vengono alla luce tutte le infermità dell’anima, dal momento che Dio gliele pone dinanzi agli occhi e gliele fa sentire per guarirla.

Così, ora, grazie alla luce e al calore del fuoco divino, l’anima vede e sente ormai quelle debolezze e miserie radicate e nascoste in sé, che prima non vedeva né sentiva. È un po’ come l’umidità contenuta nel legno: non la si nota finché il fuoco non attacca il legno, facendolo trasudare, fumigare e sprizzare scintille. Così si comporta l’anima imperfetta a contatto di questa fiamma. Oh, grande meraviglia! In questo periodo si sollevano nell’anima contrari contro contrari; quelli dell’anima contro quelli di Dio, che la investono; e, come dicono i filosofi, gli uni vogliono travolgere gli altri, si muovono guerra nell’unico campo che è l’anima, cercando questi di espellere quelli, e viceversa, per regnare incontrastati. Per dirla in altri termini, sono le virtù e le proprietà di Dio, estremamente perfette, che lottano contro le abitudini e le qualità che nell’anima sono estremamente imperfette; l’anima, dunque, subisce in sé questo combattimento.

Poiché questa fiamma è una luce intensissima, quando investe l’anima risplende nelle sue tenebre (Gv 1,5), anch’esse molto profonde. L’anima, allora, avverte le sue tenebre naturali e viziose, che si oppongono alla luce soprannaturale, ma non percepisce la luce soprannaturale perché non la possiede in sé, come invece le sue tenebre; però le tenebre non accolgono la luce (Gv 1,5). Per questo motivo l’anima sentirà le sue tenebre nella misura in cui sarà investita dalla luce, senza la quale non le potrebbe percepire. Ma solo quando la luce divina dissipa le tenebre, l’anima rimane illuminata e trasformata al punto di vedere la luce in sé, perché il suo occhio spirituale è stato purificato e rafforzato dalla luce divina. Una luce intensa è tenebra assoluta per occhi impuri e deboli, perché la sua potenza disturba ciò che è molto sensibile. Ciò spiega perché questa fiamma sia molto dolorosa per la vista dell’intelletto. (…)

Questa purificazione così intensa si verifica in poche anime, cioè solo in quelle che il Signore chiama all’unione più intima con lui. Difatti egli dispone la purificazione più o meno intensa per ciascun’anima, a seconda del grado a cui vuole elevarla e anche a seconda delle sue miserie e imperfezioni. Questa purificazione somiglia a un vero e proprio purgatorio. Difatti, come lì si purificano gli spiriti per poter arrivare alla chiara visione di Dio nell’altra vita, così qui, sulla terra, si purificano le anime per arrivare alla trasformazione in Dio per amore.

(San Giovanni della Croce, Dottore della Chiesa, da “Fiamma d’amor viva”)

PREZIOSI CONSIGLI E INSEGNAMENTI SPIRITUALI DI MADRE CATHERINE MECTILDE DE BAR “Nostro Signore cerca anime vuote per riempirle di sé, e non ne trova…Il martirio della vita interiore è senza tregua: finisce solo con la morte”

“Indubbiamente colei che istituì la Congregazione monastica delle Benedettine del SS. Sacramento è una grande maestra di vita spirituale e, per tanti aspetti, una delle più grandi, non solo nella Francia del suo secolo d’oro, ma di tutta la Chiesa”

(Don Divo Barsotti)

Caterina di Bar, in religione madre Matilde del Santissimo Sacramento (Saint-Dié-des-Vosges, 31 dicembre 1614 – Parigi, 6 aprile 1698), è stata una religiosa francese, fondatrice delle monache Benedettine dell’Adorazione Perpetua del Santissimo Sacramento.

«Quando Dio vuole possedere interamente un cuore, sa come trovare i mezzi per svuotarlo e purificarlo dall’attaccamento alle creature e dalla proprietà di noi stessi. La sua mano onnipotente opera in questo cuore una croce perpetua che si fa sentire in varie modalità di sofferenze: a volte con le tenebre, a volte con i timori, a volte con gli spaventi e le ambasce»

(Madre Catherine Mectilde de Bar “Lettera del 1665”)

ALCUNI ESTRATTI DAL LIBRO “IL SAPORE DI DIO” JACA BOOK 1977

“Le anime che desiderano il regno dell’amor puro desiderano allo stesso tempo, senza pensarvi, una guerra spaventosa che deve ridurle al niente. Ce ne sono molte che desiderano l’amor puro, ma non ce n’è quasi nessuna che voglia sostenere da parte sua assalti, fulmini, rovine, rivolgimenti. Chi parla del puro amore senza conoscerlo nelle sue conseguenze, crede che sia tutto piacere e dolcezza. Ma un’anima che lo possiede conosce benissimo per esperienza che con lui non c’è tregua. Bisogna che tutto gli ceda, e che egli immoli tutto quel che ha vita in noi, per darci vita in lui. L’amor puro non è mai senza sofferenza: la croce, il dolore, il disprezzo sono il suo alimento. Di questo egli si nutre nelle anime. E se volete trattenerlo in voi, bisogna che abbiate di che alimentarlo. Fate provvista di croci e sofferenze, altrimenti non lo terrete a lungo. La croce mantiene l’amor puro e l’amor puro sostiene la croce; sembrano inseparabili,e quando l’anima non sperimenta la croce, soffre di non soffrire. Oh come siamo ancora lontane dall’avere in noi l’amor puro!”

Quante volte purtroppo ci sentiamo spinti interiormente a lasciare tutto, a ritrarre i nostri affetti dalla terra per seguire Gesù nella sua vita povera e sofferente. Ma i nostri attaccamenti sono così forti, che è necessario alla sapienza divina mandarci sconvolgimenti, perdite e incidenti vari, per portarci via a forza quel che non vogliamo proprio dare per amore. Non senza ragione le anime illuminate chiamano le afflizioni della terra visite del Signore ed effetti del suo santo amore. Se poteste penetrare l’amore che Gesù Cristo porta alle anime e il desiderio infinito che ha di santificarle, trovereste gran piacere nelle afflizioni, croci e sofferenze, poiché nella luce della verità di Dio son gli espedienti di cui si serve il suo amore per attirare i suoi eletti e obbligarli, sotto la pressione del dolore, a ritornare a lui, separandosi dalle creature. Bisogna dunque conoscere Gesù Cristo nella vita di sofferenza nella quale egli ci ha meritato la grazia, grazia che avete ricevuto al battesimo e che ricevete attualmente. Per Gesù crocifisso voi siete quello che siete. Unitevi strettamente a lui col desiderio; non fate nulla senza di lui e fate tutto per mezzo di lui. Quando avete qualcosa da soffrire, desiderate che la grazia delle sue sofferenze renda la vostra degna di lui. Nelle umiliazioni, desiderate che la sua umiltà santifichi la vostra abiezione.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Egli ha trionfato per noi del diavolo, del mondo e di noi stessi: sono questi i nostri più crudeli nemici. Uniamoci alla sua potenza divina e diamoci a lui, affinché egli trionfi in noi, atterri i nostri nemici e soprattutto l’orgoglio della vita, come il più malizioso. Abbiamo motivo di rallegrarci nel vedere Gesù vittorioso del demonio. Ma desideriamo che egli vinca anche tutto quello che trova in noi di opposto alla santità del suo regno. Ritiriamoci con lui nel deserto per esser tentate e abbandonate, per aver fame, per restare nelle tenebre, in penitenza e in povertà estrema; in breve per patire ogni sorta di disagi, privazioni e dolori, e non aver dove posare il capo. Amiamo lo spogliamento e tutto quello che ci introduce agli stati puri e santi di Gesù Cristo. Bisogna che siamo tutte rivestite di lui: San Paolo ce lo raccomanda. Non amate che Gesù Cristo, non desiderate che lui, non stimate nulla all’infuori di lui; nulla possedete se non Gesù Cristo, non gustate null’altro che Gesù, non saziatevi che di lui, non sperate altri che lui, non vogliate null’altro che Gesù Cristo, nulla cercate all’infuori di lui; non pretendete nulla se non Gesù, non compiacetevi in nulla oltre che in Gesù, non riposate che in lui, e mettete la vostra soddisfazione nell’essere tutta riempita di lui e da lui consumata.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

La fede ci insegna che Dio è Dio, che vede tutto, che sa tutto, che può tutto, che penetra tutto; nulla può essere nascosto ai suoi occhi divini; egli ha, da tutta l’eternità, disposto e ordinato le vie della nostra santificazione. La fede ci insegna che dalle nostre teste non cade un capello senza il suo comando, che nella sua mano sono il bene e il male, l’afflizione e la gioia, il riposo e la fatica ecc.; che la sua sapientissima e amabilissima Provvidenza dispone di tutto con soavità e santità , per il bene delle anime che si abbandonano a Dio e vivono di fede. Ora qual è l’esercizio della fede? Credere a queste verità che vi ho appena detto, e a tutte le altre che sono in Dio, anche se non le conoscete affatto. Come per esempio: sono contrariata? Ricevo questa contraddizione dalla mano di Dio senza permettere al mio spirito di ragionare tanto, e mi rassegno alla sua santissima volontà con pazienza credendo che Dio me la mandi per la sua gloria e la mia salvezza. Io credo che Dio mi vede. Credo che egli è pieno di amore e di misericordia per la mia anima. Credo che egli non fa nulla che non sia giusto e santo. E nelle diverse circostanze, potete farne degli atti, come dire: «Mio Dio, credo che voi mi amate di un amore infinito, poiché siete morto per me. Credo che avete cura di tutte le mie necessità e che la vostra grazia mi condurrà a voi. Credo nella vostra santa Provvidenza e che non mi cadrà un capello dal capo senza il vostro comando. Di conseguenza, credo che voi vedete il più piccolo dei miei pensieri e che non ci sia niente di casuale per voi, che tutto quello che mi mandate è buono, e non permetterete mai nulla che non sia per la vostra gloria e per il bene dei vostri eletti, nonostante non lo comprenda affatto. Credo, mio Dio, credo in voi e nei vostri santi misteri, e in tutte le verità che avete rivelato alla vostra Chiesa»…Altre volte potrete dire: «lo lavoro, o mio Dio, perché lo volete; il peccato mi ha ridotto a questa pena, la patisco per vostro amore in spirito di penitenza». Potete bere, mangiare, dormire, e così via, in questa disposizione, facendo sempre quel che Dio vuole, evitando il peccato, perché egli lo odia. L’esercizio della fede è dunque credere in Dio e nelle sue divine parole, e lavorare nella forza di questa fede. Io non conosco altro metodo.


(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Perché andiamo all’orazione? Senza dubbio per rendere a Dio i nostri omaggi di adorazione, di sacrificio e di amore. In breve, con l’intenzione di darci tutte a Gesù Cristo, nel desiderio che abbiamo di essere rivestite del suo Spirito e di diventare una sola cosa con lui. Ora, per raggiungere il fine dell’orazione, bisogna che l’anima patisca grandi e aspri sacrifici. Bisogna che accetti di essere spogliata dalle sue abitudini e privata di tanti sostegni. In una parola, bisogna che subisca quasi un rovesciamento e poi sia tutta rinnovata . È il motivo per cui tante anime soffrono nell’orazione, a volte aridità, a volte disgusti, tenebre e mille altre pene che noi sentiamo e che ci insegnano che in queste sofferenze Dio distrugge il nostro amor proprio e stabilisce segretamente il suo regno. Ma bisogna che l’anima si abbandoni alla sofferenza e si sottometta umilmente fra le mani di nostro Signore per essere vittima del suo beneplacito. Vi ho detto una volta che dobbiamo fare sulla terra quel che i beati fanno nel cielo. Essi guardano Dio in pura contemplazione e sono consumati nel suo amore. Noi dobbiamo avere una vista attuale di Dio nella fede e tendere sempre al suo amore. Ora, il perfetto amore non consiste nell’essere commossi nei sensi, ma consiste in una conformità totale. Resa perfetta, la fede realizza l’unione attuale di amore con Dio, come per i beati, unione che noi possiamo mantenere anche nelle azioni e nel trambusto dei nostri doveri, facendo tutte le cose per amore e sottomissione a Dio. C’è molta differenza fra meditazione e orazione. La meditazione è uno studio devoto, nel quale si apprendono i misteri e le verità cristiane; l’orazione li assapora, li gusta e si riempie della grazia che contengono. La prima contempla e considera la bellezza di Dio o le sue grandezze; l’altra lo adora, lo ama e si unisce a lui. La prima è complicata da molte considerazioni, argomenti, discorsi; l’altra è più pura, più semplice e porta maggiormente a unirsi a Dio. Nella prima l’intelletto umano ha di che occuparsi: la luce, i gusti, i ragionamenti nutrono l’intelletto e spesso il nostro amor proprio. Nell’altra noi siamo immolati e la nostra attività è ridotta al niente, o per lo meno è maggiormente purificata e semplificata. In quella ci appoggiamo sul nostro lavoro; in questa riceviamo l’azione divina, aprendoci con molta semplicità, in spirito di abbandono e di consenso amoroso. Nella prima è l’intelletto che agisce; nella seconda è Dio che conduce. E se un’anima ha solo un po’ di coraggio per perseverare nell’orazione, benché si senta piena di ogni sorta di miserie, sono sicura che nostro Signore l’aiuterà e l’introdurrà nella santa unione. Ma occorre molta costanza, poiché il demonio e la natura sono nemici dell’orazione,e fanno il possibile per distoglierne l’anima. Siate perseverante, figlia mia, non patirete sempre così dure lotte, ma dovete passarne ancora. Abbiate molto coraggio; tutto è per la gloria del vostro divin maestro e per l’edificazione del suo regno in voi. Io lo supplico di sostenervi e di unirci perfettamente a lui per sempre. Un grande segreto per fare molto progresso nell’orazione è il sapere ben custodire il silenzio alla presenza di nostro Signore. Col silenzio ci si annienta davanti a questa adorabile maestà, ed è nel silenzio profondo che Dio si fa intendere in modo mirabile.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

“Da quando mi sono ridotto al nulla ho trovato che nulla mi manca” Sono le parole di un gran santo, che l’aveva ben sperimentato. Vi ingannate, mia cara figlia, la vita interiore non consiste nelle luci, ma nel puro abbandono alla guida e allo Spirito di Gesù. E’ bello vedere quel che Dio ci mostra, come la nostra miseria, il nostro nulla, la nostra impotenza, per tenerci nell’umiltà e convincerci che noi non siamo nulla se non per la sua grazia. Queste conoscenze sono buone perché ci sono date da Dio. Ma quelle che sono ricercate dall’attività, dalla forza e dalla sollecitudine del nostro spirito, sono molto aride davanti a Dio, perché non hanno l’unzione della sua grazia. L’unico mezzo per fare un grande progresso nella vita spirituale, è conoscere davanti a Dio il nostro nulla, la nostra indigenza e la nostra incapacità. In questa visuale e in questa convinzione che abbiamo tante volte sperimentata, bisogna abbandonarsi a Dio, affidandosi alla sua misericordia, per essere condotti come a lui piacerà: sia nella luce che nelle tenebre; e poi semplificare il proprio spirito senza permettergli tanto di vedere e ragionare. Bisogna che vi contentiate di quel che Dio vi dà, senza cercare di possederlo in altro modo. Non è a forza di braccia che si acquistano la grazia e l’amore divino, ma a forza di umiliarsi davanti a Dio, di confessare la propria indegnità e di contentarsi di ogni povertà e estremità. Bisogna accontentarsi di non essere nulla, e “sarete tanto più quanto meno vorrete essere”. La vita di grazia non è come la vita del secolo. Nel mondo bisogna farsi avanti e farsi conoscere per comparire ed esser qualcosa secondo la vanità; ma nella vita interiore si avanza facendosi indietro. Ossia: fate fortuna non volendo essere nulla, e comparite tanto più agli occhi di Dio, quanto meno splendore e apparenza avete agli occhi vostri e a quelli delle creature. “Per essere qualcosa in tutto bisogna essere niente del tutto”.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Siate ben contenta che Nostro Signore vi faccia la grazia di tirarvi fuori dalle tenebre della vostra ignoranza e vi faccia vedere e sentire la dipendenza attuale dalla sua bontà, e come senza il suo particolarissimo soccorso non potete far nulla. Questa verità è importante e fondamentale per il nostro edificio spirituale. La tendenza naturale che abbiamo ad elevarci, cioè alla nostra esaltazione e alla vanità, obbliga Nostro Signore a tenerci a lungo, e qualche volta per tutta la vita, nella conoscenza e nei sentimenti della nostra bassezza. E benché noi proviamo, con una esperienza fin troppo palpabile, l’abisso della nostra misera corruzione, e benché la nostra coscienza ci rimproveri a ogni istante le nostre impurità e infedeltà, siamo così attaccati alla stima di noi stessi, da non poter sopportare che ci si condanni o disprezzi. Non possiamo sostenere i rifiuti che meritiamo. Siamo abbastanza convinte di non far nulla che abbia valore; tuttavia accettiamo e abbiamo una contentezza segreta in noi, quando gli altri approvano quel che facciamo. Siamo abominevoli davanti a Dio, e spesso ce lo diciamo interiormente; eppure, nelle occasioni in cui siamo un poco disprezzate, ci sentiamo morire. È cosa molto rara vedere anime che vivano nella verità. Tutti viviamo, ma purtroppo la maggior parte conduce una vita di menzogna e si nutre di vanità. Si prende l’ombra per il corpo e dell’accessorio facciamo ciò che è principale. Deploriamo il nostro accecamento, e riconosciamo come fino ad ora voi e io siamo vissute nelle tenebre e nella menzogna. L’anima che non è nella conoscenza di sé non è nella verità. Per vivere nella verità bisogna vivere nell’umiltà, o per meglio dire nel nulla… O beata perdita, o perdita salutare! Figlia mia, perché non ci siamo perdute così da non ritrovarci più che in Dio! Se conosceste questa somma felicità, vorreste patire mille e mille morti per possederla.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Ammetto che il martirio che si soffriva anticamente era crudele; ma non era di lunga durata. La vista della ricompensa li animava. Ma il martirio della vita interiore è senza tregua: finisce solo con la morte. E bisogna avere una costanza invincibile per non scoraggiarsi e non perdersi d’animo negli assalti di tante tentazioni violente che vengono ad assalirci, sia da parte del demonio, sia da parte nostra, sia da Dio stesso per provare l’anima. Ci vuole fermezza, ci vuole pazienza; e per meglio riportar vittoria bisogna annientarsi. È una guerra in cui bisogna perdere se stessi per vincere.. Voglio che nelle vostre miserie vi separiate dalla colpa, ossia odiate le vostre debolezze, la malizia e quello che disonora Dio. Ma non vi è permesso di sottrarvi alla pena e alla umiliazione. Ecco come bisogna fare: cado in un’infedeltà? subito la natura vorrebbe rattristarsene, e io provo un po’ di amarezza nel cuore, che tenderebbe a vedermi liberata da questa malizia. Noi possiamo esser messe in queste circostanze da Dio o da noi stesse. Quanto a me, ho riconosciuto per esperienza che la maggior parte dei gemiti dell’anima sono unicamente prodotti dalla fonte del nostro amor proprio. E noi abbiamo una tendenza insaziabile a liberarci dalla croce e dall’umiliazione. A questo dobbiamo un poco fare attenzione. Non c’è niente che umilia di più un’anima che le sue frequenti cadute, poiché bisogna necessariamente che essa confessi le sue debolezze, e ammetta di aver bisogno di un soccorso più potente di quello che l’orgoglio e la sufficienza penserebbero di trovare in noi. E’ quindi assolutamente necessario sperimentare il poco che siamo da noi stessi, avere diffidenza di sé e tendere a separarci continuamente dal nostro io.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Comprendete una buona volta la fortuna racchiusa nelle vostre debolezze. Vedete se, in certo modo, le vostre miserie non siano amabili. Esse vi sono così utili che, senza i sentimenti che ne avete, non potreste mai possedere solidamente la conoscenza di voi stessa. Dovete dunque odiare le vostre infedeltà perché disonorano Dio, ma non turbarvene né inquietarvene.Odiate la colpa, ma amate con affetto la pena. Doletevi di essere contraria a Dio, ma siate contenta che questo vi umilii e vi faccia conoscere il vostro fondo cattivo. Voglio si che gemiate sotto il peso di questa carne di peccato con San Paolo, ma desidero che entriate nella sua profondissima umiltà. Giacché le miserie che egli avvertiva lo gettavano in un abbassamento così estremo, che egli si diceva un piccolo aborto e indegno del nome di apostolo. Non dice forse che si gloria nelle sue infermità? E quali sono le infermità di San Paolo? Sono i pungiglioni dei peccati che egli portava e provava continuamente in sé. E mentre ne chiedeva la liberazione, ha imparato che attraverso tutte queste miserie, la sua anima si perfezionava. Mia carissima figlia, non turbatevi, il vostro stato è buono; ma non datevene tanto pensiero. Siate più abbandonata e più fiduciosa in Dio. La vostra perfezione è opera del Cristo. Siate sicura che egli la coronerà con le sue benedizioni. Ma dovete restar ferma, accettando che il suo amore distrugga in voi tutto quello che è opposto al suo regno. Compiango la vostra anima che si tormenta nelle tenebre e nell’ignoranza. E per il fatto che non comprende la via in cui nostro Signore l’attira per farla sua, si tormenta e si affatica molto inutilmente. Diventate un bimbo piccolo, più sottomessa che mai e più semplificata nei vostri pensieri. Vi assicuro che la vostra via è buona e santa, camminate con fiducia.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

La bontà di Nostro Signore non permetterà che siate tentata al di sopra delle vostre forze. Affidatevi alla sua misericordia al di là delle vostre ripugnanze e della malizia del vostro intimo che vi ritrae, per quanto può, dal vostro caro abbandono. Non rinunciate alla lotta, non cedete se non per inabissarvi nel nulla profondo. E’ il vostro rifugio, ma non l’avete ancora ben considerato. Non vi accorgete ancora come potete vivere morendo e morire vivendo. Oh, come sono pochi quelli cui Gesù diceva nella sacra Scrittura: «Vuoi essere perfetto? Dà i tuoi beni ai poveri, rinuncia a te stesso, prendi la tua croce e seguimi». Si trova anche chi dà i propri beni ai poveri, ma non si trova quasi nessuno che segua Gesù. Felice l’anima che riconosce la sua chiamata e lo segue con fedeltà. Cosa temete? di perdere voi o le creature? Ma no, non abbiate paura, giacché questa perdita è il principio della vostra felicità eterna. Abbandonando noi stessi troviamo Dio e riceviamo la grazia di seguirlo. Non abbiate più rimpianto di perdere tutto, poiché è questo l’unico mezzo di possedere Gesu. State attenta che le creature non vi trascinino e vi sottraggano a voi stessa. Non datevi premura per alcuna cosa umana, e guardatevi bene dal preferire qualcosa a Gesù Cristo. Oh, è un gran segreto sapersi abbandonare davvero, in un profondo silenzio, davanti a nostro Signore! Rimanete in pace, nella parte superiore della vo- stra anima, e acconsentite di buon grado che Egli vi purifichi come gli piacerà. Guardatevi bene dal voler dare leggi a Dio riguardo al modo con cui vi conduce. Gli stati umilianti sono i più santi e i più utili. Se fossimo illuminate con la pura luce della fede, non vorremmo più uscire dallo stato di impotenza e di abbassamento.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Com’è bello che siate ridotta nel vostro niente senza accorgervene, come dice il profeta. L’anima annientata diviene pura capacità di Gesù Cristo, non gli si oppone più. Figlia mia, quando sarà che vi vedrò in questo annientamento? Allora vedrete diversamente tutte le cose, perché i vostri sensi non vi inganneranno più. Lasciatevi condurre in segreto e quasi a vostra insaputa, al fine di evitare gli ostacoli che potreste frammettere. La mano di Dio ha una potenza infinita per introdurvi fin là, ma non le resistete. Acconsentite a tutti gli spogliamenti che la Sapienza eterna farà in voi, sia per l’attività della vostra anima, sia per le creature che ancora possedete, alle quali potete avere attaccamenti segreti. Esponetevi in assoluto spogliamento alla forza dell’Amore divino, e sperimenterete la sua potenza. Nostro Signore cerca anime vuote per riempirle di sé, e non ne trova. Siamo così meschine nei riguardi di Dio. Quando voi gli date un piccolo istante della vostra vita, o sopportate un quarto d’ora di pena, vi sembra che egli ve ne sia molto debitore! Non avete abbastanza riconoscenza per quel che Nostro Signore ha fatto per voi, né per l’amore che vi porta. Avete anche questo di cattivo, di essere troppo umana, di voler troppo conciliare la grazia con la prudenza della carne: mirate troppo in basso, e qualche volta addirittura a niente per considerazioni o timori umani. Non semplificate abbastanza il vostro spirito e non vi abbandonate abbastanza alla guida divina. Vi smarrite nelle creature. Non siete fedele, negli eventi, a vederli nel piano di Dio e nella dispensazione divina…E’ l’esercizio che dovete praticare attualmente, tenendo dolcemente il vostro spirito alla briglia, per paura che vi sfugga, come un cavallo non domato. Umiliatevi dunque a dovere. Gradite in spirito di umiltà tutta la povertà e miseria che la Provvidenza vi fa provare. Le privazioni, le tenebre e le impotenze: tutto è buono, poiché è Dio, la sapienza eterna, che le dona. Rimanete soltanto costantemente abbandonata e non preoccupatevi affatto del resto; Dio provvederà a tutti i vostri bisogni: la vostra santificazione è opera sua.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Figliola cara, non scoraggiatevi per questo stato di morte totale di sé. Non è opera delle creature, ma opera della mano onnipotente di Dio, che vi fa entrare l’anima a misura che essa si spoglia e si spropria di tutto quel che occupa e riempie il suo intimo. E’ lo stato puro e santo che avete votato nel battesimo. È quello che ci fa cessare di essere quel che siamo per far essere e vivere Gesù Cristo in noi. Questa morte appare crudele e molto dura alla natura e ai sensi; ma è piena di sapore per lo spirito. E un’anima che ha appena un po’ di stima, amore, rispetto per Dio, sacrifica di buon cuore la vita e l’essere alla divina grandezza, per un intimo desiderio di vederlo vivere e regnare in noi, di glorificarsi in noi secondo il suo beneplacito. Più vi conosco, più sono confermata sulla vostra chiamata a questa via di purezza. Non che occorra che vi siate introdotta subito ora; ma dovete sempre conservare il desiderio di arrivarvi e tendervi secondo la vostra grazia e la vostra capacità. E se ci vediamo lontane dalle disposizioni di Gesù, non dobbiamo stancarci di aspirarvi, ma fare perciò tutto quello che la Provvidenza del nostro buon Dio ha messo in nostro potere, abbandonando tutto il resto alla sua misericordia e al suo amore. La lontananza in cui vi trovate ora da questo stato beato, procede da una luce più grande che vi manifesta le vostre miserie e indegnità. Non dovete conoscere il vostro progresso in questa via; ma dovete camminarvi nell’accecamento, sottomettendovi alla guida che Dio vi ha dato, senza permettere al vostro spirito di ripiegarsi per vedere il suo avanzamento… So bene che siete ancora lontana da questo stato; ma la pazienza e la grazia portano con sé ogni cosa, e Nostro Signore vi ci farà entrare per una via che non pensate. Restate sempre molto abbandonata. Non uscite dallo stato di sacrificio in cui vi tiene. Lasciatevi guidare dal suo Spirito divino.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Sono molto consolata dalla vostra fiducia in Dio e dalla pace e quiete che possedete nel vedere la vostra lontananza e i tanti ostacoli che incontrate in questa via di purezza. Colui che da tutta l’eternità vi ha fatto l’onore e la grazia di destinarvi a questa perfezione, sarà la vostra forza e la vostra virtù per entrarvi. Non vi scoraggiate mai. Continuate a sacrificarvi, dal momento che a questo vi sentite spinta, vedendo i vostri contrasti e le vostre croci. Ecco il tempo della fedeltà; bisogna essere costante con la costanza e fermezza di Gesù Cristo… Adorate la mano preziosa e adorabile che vi crocifigge, e state bene attenta di non considerare nulla nella condotta delle creature. Guardate tutti gli eventi nel piano di Dio e sottomettetevi con rispetto. Bisogna che la sua opera si compia. Non sarete mai una vera cristiana se non siete in croce e se non consumate su di essa la vita come il vostro divino maestro. Che cosa temete, figlia mia? Un po’ di vergogna e confusione da parte delle creature? E non temete il disprezzo che avete per Dio e la sua grazia? Per una vanità ci mettiamo in pericolo di perdere un’eternità beata? Ahimé! se le creature ci potessero santificare, bisognerebbe averle in considerazione; ma esse ci fanno perire e sono attualmente opposte alla nostra santità… Lasciamole di buon cuore, non preferiamole più all’amore di Gesù. Non possiamo servire due padroni: a Dio e a noi stessi. Bisogna necessariamente lasciare l’uno o l’altro. Non è forse giusto lasciare tutto per Gesù? Colui che non rinuncia a se stesso non è degno di essere suo discepolo. Mio Dio! figlia mia, come desidero vedervi perfettamente sottomessa alla guida di Dio e tutta ricolma del suo divino Spirito; siate molto generosa nelle vostre croci, che i timori e le considerazioni umane non vi facciano per nulla desistere dal santo proposito di essere tutta di Dio.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

L’amor puro è bello, colmo di attrattive, ma noi siamo ancora troppo impure per possederlo; non potrebbe dimorare un istante in noi. Si riposa nelle anime totalmente annientate, e fino a che voi non lo siate, sopportate con pazienza di vedervi in questa dura e crudele privazione. Dovete essere persuasa che non siete degna di possederlo; e per rendervene degna bisogna che stiate nell’abisso dell’umiliazione. Poiché, fintanto che la superbia regnerà in voi, il puro amore non vi potrà inabitare. Lasciatevi dunque distruggere, umiliare e consumare nel centro del vostro niente, e dopo vedrete l’amor puro riposarsi in voi come nel suo letto di riposo. Ma sappiate che l’amor puro non potrebbe tollerare la minima impurità, il minimo interesse personale, vanità e compiacimento. E’ amabile nel suo possesso, ma rigorosissimo nella sua operazione. È un monarca così potente che riduce tutto sotto il suo impero, e non lascia un’anima in riposo senza aver fatto in essa un capovolgimento totale. È senza pietà e senza misericordia: spezza tutto, distrugge tutto. Va ancora più in là, giacché consuma tutto. Non può tollerare la minima resistenza. Ha armi molto potenti, e arriva fino a fare dei martiri. Finalmente è un grande conquistatore. Vuole assoggettare le anime al Cristo, strappandole alla tirannia in cui il peccato le ha tenute così a lungo. Le anime che desiderano il regno dell’amor puro desiderano allo stesso tempo, senza pensarvi, una guerra spaventosa che deve ridurle al niente. Ce ne sono molte che desiderano l’amor puro, ma non ce n’è quasi nessuna che voglia sostenere da parte sua assalti, fulmini, rovine, rivolgimenti. Chi parla del puro amore senza conoscerlo nelle sue conseguenze, crede che sia tutto piacere e dolcezza. Ma un’anima che lo possiede conosce benissimo per esperienza che con lui non c’è tregua. Bisogna che tutto gli ceda, e che egli immoli tutto quel che ha vita in noi, per darci vita in lui. L’amor puro non è mai senza sofferenza: la croce, il dolore, il disprezzo sono il suo alimento. Di questo egli si nutre nelle anime. E se volete trattenerlo in voi, bisogna che abbiate di che alimentarlo. Fate provvista di croci e sofferenze, altrimenti non lo terrete a lungo. La croce mantiene l’amor puro e l’amor puro sostiene la croce; sembrano inseparabili,e quando l’anima non sperimenta la croce, soffre di non soffrire. Oh come siamo ancora lontane dall’avere in noi l’amor puro! Tuttavia abbiamo qualche motivo di consolarci, giacché egli ha già inviato i suoi ufficiali a contrassegnare i suoi appartamenti. Sono sicura ch’egli vi vuole prendere alloggio, ma bisogna ch’egli li faccia ripulire e mettere in ordine. È quello che sta facendo in voi. Lasciatevi dunque purificare. E se mi dite che non ve ne rendete conto affatto, vi rispondo che i vostri occhi sono troppo impuri per vederlo, e che Dio vuole da voi non i sensi ma la fede pura. Per questo dovete esercitarla. È molto che vi predico questa lezione. Ma il vostro spirito è talmente abituato al ragionamento, a vedere e a sentire, e questa parola di fede gli è così nuova, che non la sa accettare. Tuttavia è questa la vostra via e, se non camminate in essa, non gusterete Dio, e non lo adorerete mai in spirito e verità.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Figlia mia cara, va bene così soffrite in pace tutto quello che Dio vi manda: tenebre, oscurità, impotenze.Tutto è buono, poiché lo dà Dio: egli stesso ne farà in voi l’uso che vuole. Quando dico che vi abbandoniate, intendo dire: rimanete nella vostra miseria e impotenza, e attendete con fiducia che il Signore ve ne liberi. C’è ben altro da soffrire: non siete che agli inizi. Non vi scoraggiate, vi assicuro che Nostro Signore sarà la vostra forza e non vi abbandonerà. Nostro Signore ordinò ai suoi discepoli, dopo l’ascensione, di ritirarsi, riposare e attendere di essere rivestiti del suo Spirito Santo. Fate lo stesso, vi prego, e abbandonatevi interamente a Nostro Signore, affidatevi alla sua bontà. II vostro stato presente non sarà di lunga durata; dopo il dolore viene la gioia. Non desiderate nulla, non cercate nulla, non amate nulla se non il beneplacito di Dio in tutte le cose, accontentandovi di tutti gli stati d’animo, di tutte le disposizioni interiori, in breve di tutto quello che la divina Provvidenza vi farà provare. Siate la vittima divorata e consumata e godete di essere nelle tenebre, nell’impotenza,in prigionia: tutto questo è buono e produce buoni effetti, se continuate ad essere abbandonata. Voi non vedete quel che Dio opera in voi. Sentite il vostro dolore e il gemito della natura, ma non vedete che Dio la purifica distruggendo le vostre soddisfazioni. Oh! se la vostra anima avesse abbastanza coraggio per abbandonarsi in preda all’amor puro, quali effetti meravigliosi esso produrrebbe! Ma poiché é fa soffrire e rovina il nostro amor proprio per stabilire il suo impero divino, questo ci ritrae dal nostro abbandono e ci priva di un possesso così santo. Tutta la beatitudine e felicità dell’anima è amare Dio, ed è l’occupazione dei beati nella gloria. Perché non incominciare fin da questo mondo, giacché possiamo amare, e Dio ce lo comanda? Amiamo come Dio desidera e come vuole esser da noi amato. Ora, amarlo come si deve, è amarlo in tutti i modi, riconoscere che tutto quello che fa va bene, approvare e consentire a tutti i suoi disegni, segreti e manifesti, su di noi, sottomettere ogni nostra volontà alla sua, non preferire nulla al suo amore, guardare a lui in tutte le cose, ricevere immediatamente tutto dalla sua santa mano, gradire le nostre perdite, umiliazioni e croci; insomma è esser fatta, grazie a questo amore una cosa sola con lui, con una perdita totale di noi stessi.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Alla Croce è legata la nostra santificazione, poiché è impossibile essere santi senza essere in croce. La purezza della vita è nella croce, tutte le virtù sono nella croce, la profonda umiltà è nella croce, il sacro annientamento è nella croce, la morte è nella croce, e perfino vi si incontra la vita. O croce preziosa, o croce tanto adorabile, che mortifica, vivifica, santifica! Croce potente che ha la grazia di fare i santi, di convertire i peccatori, in una parola di consumare le anime nell’amore di Gesù. Quale anima vorrebbe esser senza croce, conoscendo la sua eccellenza? Un’anima che non volesse la croce deve rinunciare alla salvezza, poiché solo nella croce la trova. Questo nome della Croce è cosi amabile alle anime che vivono di grazia, che lo portano inciso nel cuore e, se si facessero vivere senza croce, sarebbero terribilmente crocifisse di non essere in croce. Seguiamo queste anime grandi, anche se da lontano, però secondo le nostre forze e la capacità che Gesù mette in noi. Se non avete per la croce un amore così grande, almeno non ne abbiate ripugnanza; poiché è il tesoro che Nostro Signore ha posseduto sulla terra e ha lasciato in eredità ai suoi eletti. Se abbandoniamo la nostra parte, rinunciamo alla nostra eterna felicità. Perciò vi amo nella croce e nell’amore della croce vi abbraccio, stringendovi ad essa con Gesù, e offrendovi in sacrificio per esser unita e consumata sulla croce. Là vi lascio senza separarmi da voi.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Gesù Cristo ci ama con un amore troppo santo per amarci in tal modo. Ci ama per farci aver parte alla sua gloria. Ci ama per l’eternità e per farci gustare la verità divina. Ci ama per unirci a sé e farci, con la sua grazia, una cosa sola con lui. E noi non vogliamo aver riguardo al suo amore. Perché? Perché è un amore che non soddisfa l’impurità del nostro amor proprio, il quale s’immerge nella vanità di questa vita come in una felicità eterna. L’amor proprio si sazia con tutto ciò che è umano e non stima se non quel che accontenta la natura e soddisfa il nostro spirito. La luce di verità non brilla ai nostri occhi: la vanità, la menzogna sono la fiaccola che ci guida e che insensibilmente ci conduce al peccato. Ma poiché l’amore di Gesù Cristo crocifigge i nostri sensi, non lo possiamo stimare né sopportare, e così preferiamo la creatura e il piacere del peccato alla purezza e santità dell’amore di Gesù Cristo. Figlia mia, giudicate se non siamo proprio ciechi.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

E voi, carissima, cercate di ottenermi lo Spirito Santo. Ne ho molto bisogno; lo desidero e lo temo, poiché quando egli si impossessa di un cuore lo spoglia in modo tale che non si può più parlar d’altro che di morte e di spada, di croce e di supplizio; egli dà la morte [all’anima] senza misericordia, e non dà tregua: bisogna o non accoglierlo affatto o cedergli in tutto e per tutto, perché vuole regnare da sovrano assoluto; dispone di tutto a sua discrezione e si fa obbedire per bene; ma bisogna anche dire che le sue prerogative sono così divine ed è così adorabile, così santo, che per possederlo si stima vera gloria il perdere tutto, e volentieri si accetta di essere infelici secondo il mondo, per esser felici nel possesso di un bene così inestimabile, che peraltro è invidiato solo dalle anime molto illuminate dalla sua luce divina. La natura e lo spirito umano non possono trovar piacere alcuno in tutto ciò, ma bisogna lasciarli urlare e disperarsi, perché noi dobbiamo appartenere interamente a Dio, ed essere ricolmi del suo Spirito. Io lo prego che operi in voi un così potente e divino sconvolgimento che ne siate tutta trasmutata in lui e che mi otteniate la conversione.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Lo so che Egli spesso ci conduce attraverso prove assai dolorose, ma è necessario accettarle con abbandono, o altrimenti rinunciare al cristianesimo. Ah, non pensiamo di poter mettere d’accordo il nostro amor proprio con l’amore divino: bisogna che l’uno o l’altro abbia dominio assoluto. Ora, siete troppo illuminata per non preferire Gesù e per non amare gli interessi di lui più dei vostri: davvero, dobbiamo perder tutto per guadagnare lui, perché egli non si dà interamente se non a chi si dà a lui senza riserva alcuna; e fino a quando non saremo in questo reale abbandono non sperimenteremo la pura vita della grazia, perché I’anima non può gustare veramente Dio se non ha perduto il gusto delle creature. La naturale tenerezza che nutriamo per noi ci è spesso di grande ostacolo; se non siamo capaci di immolarci in modo totale, dobbiamo almeno lasciar da parte il nostro io e far di tutto perché la nostra miseria non ci impedisca di tendere a questo abbandono assoluto. Vi prego di imprimervi fortemente nell’animo una verità essenziale: vedete tutte le cose in Dio, il bene e il male, il dolce e l’amaro, la fatica e il riposo, la perdita e il guadagno, l’inquietudine e la calma, la povertà e la ricchezza, l’indigenza e l’abbondanza, la fortuna e la sfortuna, gli onori e i disprezzi: insomma ogni cosa, tranne la malizia del peccato che in Dio non può esistere; ma tutto il resto è in lui, come la fede c’insegna, e quindi dobbiamo considerare tutto come opera della sua mano adorabile e santa. È sommamente importante porre questa convinzione come fondamento, onde stabilirci nella verità e al tempo stesso svincolarci dalle creature, che di solito nelle diverse circostanze ci invadono lo spirito e prendono il posto di Dio; dobbiamo invece ritenere lui solo autore di tutte queste cose.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Bisogna che l’anima vostra riceva tutto come in prestito dalla santa mano di Dio, e che impariate a liberarvi santamente e dolcemente da tutto quello che possedete, quasi riconsegnando di tanto in tanto ogni cosa alla potenza e alla disposizione divina perché tutto si compia secondo il suo beneplacito e non secondo i vostri desideri. Dopo aver cosi rinunziato a tutte le creature quasi riconsegnandole a Gesù, dovete riconsegnargli anche voi stessa. Ed eccoci al secondo passo nella perfezione. Ora, la piena rinuncia a se stessi è la cosa più difficile della vita interiore, poiché daremmo tutto pur di conservare il nostro io; abbiamo in noi e per noi un amore così spaventosamente disordinato che non c’è nulla al mondo che non faremmo per conservare il pieno dominio dell’io. Quest’amore di noi stessi è così astuto nella salvaguardia dell’interesse proprio, che le minime occasioni atte ad annientarlo lo fanno fremere di orrore e gli suggeriscono mille sottigliezze per sfuggire il dolore. Sa, povero infelice, di essere condannato; sa che non può essere in amicizia con Gesù Cristo; sa che deve essere distrutto, perché Dio solo ha diritto di essere e quindi l’esistenza che vorrebbe usurpare non gli sarà mai accordata: per questo appunto fa di tutto per restare in vita più che può; ma insomma si tratta di una rapina fatta a Dio, che solo è e vive in sé, senza dipendere da alcuno, mentre il nostro miserabile io pretenderebbe sussistere da sé. Bisogna perciò annientarlo, in omaggio all’Essere infinito: e proprio questo l’io non vuol sopportare, giacché la brama di essere qualche cosa è così grande e così radicata in noi che, a meno di una grazia specialissima e di un’inviolabile fedeltà, non riusciremo mai a distruggerla completamente. Oh, quanti sacrifici! quante lotte, quante agonie, quanti assalti, quante violenze: insomma, quante volte dobbiamo morire!..e alla fine si è costretti a confessare che occorrono una fede e un coraggio invincibili per venirne a capo. Ma se c’è tanta fatica, c’è anche un bene infinito come ricompensa, perché perdendo noi stessi guadagniamo Cristo Gesù. Vedete dunque che felice trasformazione e che eterna beatitudine essere Gesù con Gesù, vivere e operare solo per lui e in virtù sua. Abbiate infinitamente cara questa gloriosa trasformazione e credete che davvero non esiste sorte più sublime.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Vi trovo anche troppo timorosa dell’umiliazione. Siete troppo umana, il vostro spirito vuole troppo vedere, troppo sentire, troppo conoscere. È troppo pieno della propria luce e ha soverchia paura di perdersi e di essere privato dei suoi amici. Dovete imparare a vivere di fede e a entrare per suo mezzo nel perfetto abisso del vostro niente. Ricordatevi delle parole di nostro Signore a Nicodemo: «Se uno non rinasce, non può vedere il regno di Dio». Che cos’è il regno di Dio se non il possesso che abbiamo di lui? Che egli viva in noi e ci dia vita in lui. Conoscere Dio e Gesù Cristo, suo Figlio, da lui mandato: non è forse questa la vita eterna? Mia carissima, non potete conoscere Gesù Cristo che uscendo dalle vostre luci personali per rivestirvi della luce della fede…

Dovete amare le vostre debolezze e umiliazioni. Ora, non v’è nulla che confonda di più un’anima quanto il peccato. Dovete gloriarvi nella vostra bassezza, amare il vostro nulla, la vostra impotenza e servitù, nella misura in cui vi fa conoscere il bisogno che avete di Gesù Cristo e del soccorso della sua grazia. Essa vi fa conoscere l’attuale dipendenza che avete dalla sua bontà, senza la quale perireste ogni momento. L’umiltà speculativa è buona, ma quella che è frutto di esperienza vale molto di più. I pensieri svaniscono, ma il sentimento rimane più a lungo. Amate dunque l’annientamento che Dio vuole operare in voi. Egli, volendo farvi sentire il peso della vostra miseria, permette le vostre cadute per obbligarvi a conoscere e vedere quel che potete da voi stessa. Vuol farvi sentire per esperienza che tutta la vostra capacità sta nell’offenderlo ed essergli contraria e, dopo avervi fatto conoscere da voi stessa questa verità, egli vi attira insensibilmente in un profondo abbassamento davanti alla sua maestà. Vi fa riconoscere la vostra impotenza e tutta la vostra miseria e povertà e vi tiene bene avvinta alla sua grazia e al suo amore. E così, voi conoscete per esperienza come la creatura non è che peccato e non può altro se non essere opposta a Dio, distruggendo [in sé] il suo regno e rendendosi attualmente indegna delle sue misericordie. Le anime molto orgogliose cadono assai più spesso delle altre, perché devono gustare l’amaro della loro malizia. Altrimenti non si condannerebbero quasi mai.

Nella disposizione in cui siete, la ripugnanza che sentite a sbagliare procede da un fondo corrotto. Non è il rispetto di Dio che vi trattiene su questo punto, bensì la pena di esserne respinta e umiliata. Non conoscete abbastanza voi stessa, imparate che siete peccato, e che tutta la vostra capacità è di peccare. Se da voi stessa siete così miserabile, perché vi meravigliate tanto delle vostre miserie e infedeltà? Pensate di essere impeccabile? Purtroppo, se lo foste per un verso, la vanità vi consumerebbe dall’altro. Non turbatevi più per i vostri difetti, ma imparate a umiliarvi. Dopo essere caduta, rialzatevi come se non foste caduta e, abbassandovi davanti alla grandezza di Dio, portate alla sua presenza il peso della vostra umiliazione e sopportate che Dio distrugga, per questa via, il fondo della vostra corruzione, l’orgoglio e l’ambizione segreta, la stima e la buona opinione di voi stessa che si alimentano insensibilmente in voi. Siete fatta in tal modo che non sarete mai umile se non cadendo. Ma per evitare le grandi confusioni, umiliatevi profondamente e fate uso delle piccole, per non obbligare Dio ad abbandonare il vostro orgoglio a miserie più grandi.

San Paolo si glorifica nelle sue infermità e voi fate altrettanto. Glorificatevi, non nella malizia del peccato, ma nell’abisso del vostro nulla che vi fa vedere la vostra impotenza e come dipendete dalla grazia e bontà di Dio. Quale gioia ha un’anima, che per quanto poco appartiene a Dio, di vedere per esperienza che è sostenuta da Gesù Cristo, che non ha né forza né virtù se non in lui, che non ha in se stessa né grazia né bontà alcuna. Vi confesso che questo [mi] rapisce di gioia, poiché l’anima, quando concepisce questa verità, si perde, si abbandona e si consegna interamente a Gesù Cristo. Essa prende gran piacere nel vedere lui solo santo, lui solo grande e potente, lui solo indipendente ecc., e come la propria povertà e miseria la fa stare soggetta alla sua grazia, senza la quale non potrebbe far niente. Quando cadete esponetevi davanti a Nostro Signore nel maggior abbassamento possibile, senza turbamento. Dite con grande semplicità: «Mio Dio, ecco la mia capacità e ciò che io posso fare». E dopo, rimanete umiliata davanti a Dio, soffrendo in pace le pene che la sua misericordiosa giustizia vi imporrà, senza lamentarvi, senza ripiegarvi sulla vostra infedeltà; ma abbandonatevi alla sofferenza rimanendo nel vostro niente, senza attività.

Questo perché la maggior parte delle anime credono che, nelle loro cadute, devono fare molti atti e da parte loro usare grandissima diligenza per liberarsene e uscire dalla sofferenza che sentono. Il mio pensiero è tutto al contrario. Occorre custodire il silenzio, dopo aver confessato semplicemente il proprio fallo, e sopportare con rispetto e abbandono la penitenza che Dio ci fa fare, nella misura e per tutto il tempo che a lui piacerà. Poiché nello stato in cui siete, voi non vi appartenete più, non avete più diritti né autorità su voi stessa. Gesù Cristo è il vostro maestro e il suo Santo Spirito vi deve dirigere. E voi dovete essergli soggetta con grande umiltà, lasciandolo agire in voi come a lui piace senza trovare a ridire. Sopportate dunque che egli vi umili, che vi respinga anche talvolta, fino a sentire il peso della vostra impurità, onde conoscere il vostro nulla di essere e di peccato per esperienza personale. Siete ancora molto delicata, mia carissima sorella, nella via dello Spirito. Dovete agguerrirvi in essa in tutt’altro modo: non uccidendo il corpo, ma dandovi in preda al puro amore di Gesù Cristo. Vi prego, lasciatelo fare, soltanto acconsentite ai suoi adorabili disegni e restate ferma. Vedrete che farà meraviglie degne di lui. Bisogna che sia distrutta la tenerezza naturale che avete per voi stessa, e molte altre cose che non vedete. E’ vero che occorre soffrire un po’ poiché la natura non ama affatto la propria distruzione, ma Dio vi ha dato la ragione per farvi conoscere come la vita che egli vuole stabilire in voi è migliore della vostra, e nel battesimo vi ha dato la fede per fortificarvi e darvi vita in questa verità.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

La speranza vi deve rassicurare che Dio opera in voi, e che perció non dovete cercare nelle creature quanto la sua divina maestà si degna di comunicare direttamente alla vostra anima. Non dovete fare altro che abbandonarvi umilmente e amorosamente alla sua potenza: egli compirà dei miracoli mentre la vostra anima sarà immersa nell’abisso della sua piccolezza e del suo nulla. Tutto il segreto della vita interiore e spirituale consiste nel sapersi lasciar annientare come Dio vuole: egli ha mezzi senza numero per farlo e ne usa come gli piace, ma molto spesso sceglie quelli che non piacciono a noi; lo spirito umano non trova dove poggiare il piede, e perciò si agita e fa tanto rumore che ritrae l’anima dalla sua semplicità. Restate in pace più che mai: oso assicurarvi che è quanto il Signore desidera da voi. Non considerate più la condotta che egli usa con gli altri, e vi basti esser sicura della vostra di modo che, sempre più abbandonata, tendiate dolcemente a dargli vita in voi: ecco quel che deve fare un’anima veramente cristiana. Essa non deve risparmiarsi in nulla: si tratti di sofferenze interiori, o di pene e contraddizioni esteriori, tutto serve al Signore per compiere l’opera sua. E’ un maestro così bravo che ogni pietra gli è utile per il suo lavoro. Non v’è croce, per quanto piccola, che non contenga la sua grazia, se noi vogliamo riceverla con fede pura e semplice: tutto serve ottimamente a un’anima che non vive più per se stessa. Perciò essa è sotto la mano di Dio come un oggetto delizioso nel quale egli si compiace infinitamente. Non vi preoccupate mai troppo dei vostri interessi spirituali ed eterni: basta che siate figlia di Dio e riposiate sul suo seno, abbandonandovi alla sua amabile Provvidenza, onde faccia liberamente in voi e di voi tutto quel che le piace. Un’anima che si sacrifica così amorosamente, s’immerge nell’oceano delle divine compiacenze del suo Dio; e per questo non ha bisogno di formulare tanti atti distinti: il suo stato li comprende tutti e ne contiene anche gli effetti, se resta fedele. Tuffatevi mille volte al giorno nel cuore di Dio, che è il suo Verbo fatto carne. Egli è il vostro adorabile centro: là troverete la forza, la grazia e la virtù; perdendovi così in lui, Gesù diventa il vostro tutto e opera talmente per voi da farvi scorgere la sua virtù che vi circonda e vi sostiene, vi purifica e resiste per voi al peccato. Se qualche volta vi sembra di commetterne in tutto ciò che fate, non dovete turbarvi: la corruzione della creatura è estrema ed è impossibile preservarla da mille debolezze e imperfezioni; però queste, non essendo volontarie, non la separano da Dio. Allora la creatura lo glorifica nella propria abiezione, confessando che lui solo è santo. Lasciate ai suoi piedi tutte le vostre miserie ed egli le consumerà a suo tempo. Vi sono anime che bisogna tenere sempre in vista della loro povertà e bassezza, per timore di qualche piccola compiacenza in se stesse e di vanità nei doni di Dio. Oh, come stimo felice un’anima che conosce la sua profonda miseria e che può sostenerne la vista senza turbarsi! Molti si scoraggiano quando si vedono miserabili e pieni di debolezze e di peccati: non convinti che in ciò consista tutta la loro capacità, pretendono di trovare in se stessi la virtù che non c’è, e si credono abbastanza forti a perfezionarsi da sé, operando secondo i suggerimenti del loro proprio spirito. Povero cieco! non conosci dunque che tu vieni dal nulla e non sai che il peccato ti ha spogliato di ogni bene, grazia, virtù e capacità? Più niente tu devi cercare in te stesso, niente sperare da te: Gesù sarà il tuo divino supplemento; in lui troverai tutto quel che ti manca. Mia carissima sorella, impariamo ad allontanarci da noi stessi avvicinandoci a lui. L’anima trova la sua felicità suprema nel constatare la propria dipendenza attuale dal Suo potere e dalla Sua bontà; nel vederlo sempre e al di sopra di tutte le cose come colui dal quale riceviamo continuamente la vita e ogni respiro, la forza di operare e di soffrire. Se l’anima sa tenersi unita a questo tronco adorabile che è il suo centro e la sorgente del suo essere, sarà riempita meravigliosamente di Gesù e sperimenterà ciò che non son degna di esprimere. Oh! quali verità possiederà! quanti lumi nelle sue tenebre! quanta forza nelle sue debolezze! quanti tesori nella sua povertà; quante grazie nella sua miseria! Ma tutto questo è incomprensibile a chi non ne ha fatto l’esperienza.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

Non vi confessate di mancanze nel mangiare, nel bere e così via: bisogna soddisfare con semplicità ai bisogni della natura, dal momento che lo stesso Nostro Signore li ha sofferti nella sua adorabile umanità, benché come Dio avrebbe potuto esentarsene. In queste cose si pecca solo per eccesso o per sensualità. Non crediate di potervi garantire dalle mille imperfezioni che s’infiltrano in ogni vostra azione: l’amor proprio è sempre all’erta per avere la sua parte. Purtroppo, ordinariamente, prende posto per primo e mette la mano nel piatto senza rispetto per Dio; è cosi insolente che, se non lo sorvegliate, lo vedrete spingersi fin sul trono e attirare a sé gli omaggi dovuti a Dio solo. Non si vergogna della sua pretesa di annientare Dio; tanto che, se guardiamo un po’ la nostra vita passata alla luce di Dio, ci accorgiamo come questo maledetto amor proprio ha succhiato tutta la nostra sostanza e disseccato le divine unzioni nella nostra anima, profanando tutti i doni e le grazie che la misericordia di Dio ci aveva dato come mezzi per santificarci. Vedo in me, a questo proposito, abissi spaventosi che mi devono tenere in perpetua confusione. Ma nostro Signore Gesù Cristo è così buono da non respingere un’anima che l’ha tanto misconosciuto e maltrattato; appena torna a lui la riceve e permette che il suo cuore, per quanto corrotto, non cessi di essere il divino tabernacolo di questo adorabile Salvatore, il quale ha detto di non essere venuto per i giusti, ma per i peccatori. Non dobbiamo mai perdere neanche per un momento la fiducia in Dio nonostante qualsiasi caduta, tanto più che la diffidenza gli dispiace infinitamente e ci toglie forza e coraggio di risollevarci. (…)

Continuate i vostri piccoli esercizi di pietà e la santa comunione: essa vi aiuterà non poco a uscire da voi stessa; non trovo nulla di più efficace. Ci sono anime che ricevono tanto da Gesù con la santa comunione. Proprio con questo mezzo così prezioso il Signore trasforma l’anima in sé, imprimendole la sua divina somiglianza. La comunione è un mistero che molto pochi comprendono come merita; con Dio, quanto maggiore è la semplicità, il rispetto, l’abbandono, tanto meglio è; non c’è bisogno di parlare molto: egli penetra il nostro cuore e ne vede il benché minimo movimento. Vi lascio in Dio. Pregate per la sua Chiesa e per il suo regno nelle anime. Chiedetegli la mia conversione e farete una carità di cui egli stesso sarà la ricompensa. Sono tutta vostra in Lui.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

DISPOSIZIONI PER FAR NASCERE GESÙ NELLE NOSTRE ANIME

Non potendo dormire a causa della tosse insistente, penso desideriate che trascorra un quarto d’ora con voi in spirito per dirvi alcuni piccoli pensieri sulle disposizioni che la vostra anima deve avere per ricevere in sé la nascita di Gesù. (…)

La prima è il vuoto in voi stesse delle creature. Nell’albergo non c’era posto per ospitare Gesù. Le creature hanno occupato tutti i posti e gli interessi del nostro amor proprio sono stati anteposti all’accoglienza di Gesù e della sua santissima Madre. Se desiderate che Gesù venga a nascere in voi, fategli posto nel vostro cuore, svuotatelo di tutte le creature e dei vostri interessi. La stalla di Betlemme si trova vuota, Dio vi alloggia come nel suo palazzo e vi fa la sua entrata nel mondo.

La seconda disposizione è la fede. Gesù nasce nel mezzo della notte, nelle tenebre, senza altra luce di quella della divinità. Distaccatevi dai vostri sensi e dimorate nella fede, se volete ricevere la grazia di questo mistero. Bisogna essere nelle tenebre riguardo ai vostri sensi e al vostro spirito proprio, se volete ricevere la luce divina, e Gesù nascerà spiritualmente in voi.

La terza è il silenzio. Gesù è entrato nel mondo in un tempo di pace, in un’ora in cui tutte le creature erano immerse nel silenzio per indicarci che Lui è il Re della Pace, che ama il silenzio e che solo nella calma delle nostre passioni e potenze egli si comunica all’anima raccolta nella solitudine interiore, dove egli fa sentire la sua voce divina.

Quanto è felice l’anima che ordina così bene tutte le cose in se stessa, da far sì che il suo adorabile Signore la renda il luogo della sua nascita!

Ci sono tre tipi di silenzio che dobbiamo imparare e praticare secondo le nostre capacità:

-Primo: il silenzio delle nostre passioni che è una fedeltà attuale al rinnegamento di se stessi, in modo che le passioni mortificate non facciano più rumore.

-Secondo: il silenzio dei nostri sensi, che vorrebbero sempre vedere e sentire ciò che avviene. Questi fanno rumore e turbano il riposo di un’anima che deve consistere in una profonda attenzione a Dio. E’ per questo che bisogna farli tacere senza ascoltarli, ne metterci dalla loro parte.

-Terzo: il silenzio delle potenze della nostra anima, che devono essere annientate: – l’intelligenza deve essere in silenzio, senza ragionamenti superflui e produzioni inutili che procedono solo da una ricerca di se stessi. Deve restare in silenzio, contemplando Dio con rispetto; – la memoria deve essere in silenzio, non ricevendo volontariamente alcuna immagine o ricordo di creatura, restando semplificata alla presenza di Dio; – la volontà deve essere in silenzio, senza desideri, inclinazioni, senza ardore, costrizioni, priva di affetto e attacco a qualsivoglia cosa che non sia Dio solo. In una parola la più santa e migliore disposizione verso la quale la mia anima si sente più portata è la profonda morte in noi stesse, che chiamo il “vero annientamento”.

E’ questa santa disposizione che ha tratto il Verbo dal seno del suo divin Padre per farlo incarnare nel cuore verginale di Maria. Dio si è compiaciuto dell’umiltà della sua serva, della bassezza e del nulla nel quale la SS. Vergine era annientata al di sotto di tutte le cose. Un’anima immersa nel suo nulla rapisce lo sguardo di Dio e si può dire che egli ne resta talmente invaghito che dimentica la sua grandezza e coll’abbassarsi in lei l’innalza fino a Sé. Siate in una disposizione di vuoto, di silenzio, di fede e di annientamento perché solo Dio sia. O adorabile Gesù, nascete, vivete e regnate perfettamente in noi, e tutto quello che in noi vi è contrario sia perfettamente consumato dalla potenza del vostro amore divino.

(Madre Catherine Mectilde de Bar, da “Il sapore di Dio, scritti spirituali 1652-1675”)

San Giovanni Crisostomo: “La preghiera è luce dell’anima, vera conoscenza di Dio, mediatrice tra Dio e l’uomo” “Essa è un desiderare Dio, un amore ineffabile che non proviene dagli uomini, ma è prodotto dalla grazia divina”

La preghiera è luce per l’anima – San Giovanni Crisostomo

La preghiera, o dialogo con Dio, è un bene sommo. È, infatti, una comunione intima con Dio. Come gli occhi del corpo vedendo la luce ne sono rischiarati, così anche l’anima che è tesa verso Dio viene illuminata dalla luce ineffabile della preghiera. Deve essere, però, una preghiera non fatta per abitudine, ma che proceda dal cuore. Non deve essere circoscritta a determinati tempi od ore, ma fiorire continuamente, notte e giorno.

Non bisogna infatti innalzare il nostro animo a Dio solamente quando attendiamo con tutto lo spirito alla preghiera. Occorre che, anche quando siamo occupati in altre faccende, sia nella cura verso i poveri, sia nelle altre attività, impreziosite magari dalla generosità verso il prossimo, abbiamo il desiderio e il ricordo di Dio, perché, insaporito dall’amore divino, come da sale, tutto diventi cibo gustosissimo al Signore dell’universo. Possiamo godere continuamente di questo vantaggio, anzi per tutta la vita, se a questo tipo di preghiera dedichiamo il più possibile del nostro tempo.

La preghiera è luce dell’anima, vera conoscenza di Dio, mediatrice tra Dio e l’uomo. L’anima, elevata per mezzo suo in alto fino al cielo, abbraccia il Signore con amplessi ineffabili. Come il bambino, che piangendo grida alla madre, l’anima cerca ardentemente il latte divino, brama che i propri desideri vengano esauditi e riceve doni superiori ad ogni essere visibile.

La preghiera funge da augusta messaggera dinanzi a Dio, e nel medesimo tempo rende felice l’anima perché appaga le sue aspirazioni. Parlo, però, della preghiera autentica e non delle sole parole.

Essa è un desiderare Dio, un amore ineffabile che non proviene dagli uomini, ma è prodotto dalla grazia divina. Di essa l’Apostolo dice: Non sappiamo pregare come si conviene, ma lo Spirito stesso intercede per noi con gemiti inesprimibili (cfr. Rm 8, 26b). Se il Signore dà a qualcuno tale modo di pregare, è una ricchezza da valorizzare, è un cibo celeste che sazia l’anima; chi l’ha gustato si accende di desiderio celeste per il Signore, come di un fuoco ardentissimo che infiamma la sua anima.

Abbellisci la tua casa di modestia e umiltà mediante la pratica della preghiera. Rendi splendida la tua abitazione con la luce della giustizia; orna le sue pareti con le opere buone come di una patina di oro puro e al posto dei muri e delle pietre preziose colloca la fede e la soprannaturale magnanimità, ponendo sopra ogni cosa, in alto sul fastigio, la preghiera a decoro di tutto il complesso. Così prepari per il Signore una degna dimora, così lo accogli in splendida reggia. Egli ti concederà di trasformare la tua anima in tempio della sua presenza.

Dalle Omelie di san Giovanni Crisostomo, vescovo (Om. 6 sulla preghiera; PG 64, 462-466)

CONCILIO DI TRENTO: Decreto e canoni sul peccato originale e sulla giustificazione del peccatore “Nessuno potrà essere giustificato-salvato se non l’accetterà fedelmente e fermamente”

 

(Il Concilio di Trento o Concilio Tridentino fu il XIX concilio ecumenico della Chiesa cattolica, aperto da papa Paolo III nel 1545 e chiuso, dopo numerose interruzioni, nel 1563. Con questo concilio venne definita la riforma della Chiesa cattolica (Controriforma) e la reazione alle dottrine del calvinismo e del luteranesimo (Riforma protestante).

Fu un concilio importante per la storia della Chiesa cattolica, tanto che l’aggettivo “tridentino” viene usato ancora oggi per definire alcuni aspetti caratteristici della Chiesa cattolica ereditati da questo concilio e mantenuti per i successivi tre secoli, fino ai concili Vaticano I e Vaticano II)

 

CONCILIO DI TRENTO: Decreto sul peccato originale, sulla giustificazione e canoni sulla  giustificazione

 

SESSIONE V (I7 giugno 1546)  
Decreto sul peccato originale.  

Perché la nostra fede cattolica, senza la quale è impossibile piacere a Dio (18), rimossi gli errori, resti integra e pura e perché il popolo cristiano non sia turbato da ogni vento di dottrina (19) dal momento che l’antico, famoso serpente (20), sempre nemico del genere umano, tra i moltissimi mali da cui è sconvolta la Chiesa di Dio in questi nostri tempi, ha suscitato nuovi e vecchi dissidi, anche nei riguardi del peccato originale e dei suoi rimedi il sacrosanto, ecumenico e generale Concilio Tridentino, legittimamente riunito nello Spirito santo, sotto la presidenza degli stessi tre legati della Sede Apostolica, volendo richiamare gli erranti e confermare gli incerti, seguendo le testimonianze delle sacre scritture, dei santi padri, dei concili piú venerandi ed il giudizio e il consenso della Chiesa stessa, stabilisce, confessa e dichiara quanto segue sul peccato originale.  

 

1. Chi non ammette che il primo uomo Adamo, avendo trasgredito nel paradiso il comando di Dio, ha perso subito la santità e la giustizia, nelle quali era stato creato e che è incorso per questo peccato di prevaricazione nell’ira e nell’indignazione di Dio, e, quindi, nella morte, che Dio gli aveva prima minacciato, e, con la morte, nella schiavitú di colui che, in seguito, ebbe il potere della morte e cioè il demonio (21); e che Adamo per quel peccato di prevaricazione fu peggiorato nell’anima e nel corpo: sia anatema.  

2. Chi afferma che la prevaricazione di Adamo nocque a lui solo, e non anche alla sua discendenza; che perdette per sé soltanto, e non anche per noi, la santità e giustizia che aveva ricevuto da Dio; o che egli, inquinato dal peccato di disobbedienza, abbia trasmesso a tutto il genere umano solo la morte e le pene del corpo, e non invece anche il peccato, che è la morte dell’anima: sia anatema. Contraddice infatti all’apostolo, che afferma: Per mezzo di un sol uomo il peccato entrò nel mondo e a causa del peccato la morte, e cosí la morte si trasmise a tutti gli uomini, perché in lui tutti peccarono (22).  

3. Chi afferma che il peccato di Adamo, uno per la sua origine, trasmesso con la generazione e non per imitazione, che aderisce a tutti, ed è proprio di ciascuno, possa esser tolto con le forze della natura umana, o con altro mezzo, al di fuori dei meriti dell’unico mediatore, il signore nostro Gesú Cristo, che ci ha riconciliati con Dio per mezzo del suo sangue (23), diventato per noi giustizia, santificazione e redenzione (24); o nega che lo stesso merito di Gesú Cristo venga applicato sia agli adulti che ai bambini col sacramento del battesimo, rettamente conferito secondo il modo proprio della Chiesa: sia anatema. Perché non esiste sotto il cielo altro nome dato agli uomini nel quale è stabilito che possiamo essere salvi (25). Da cui l’espressione: Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo (26) e l’altra: Tutti voi che siete stati battezzati, vi siete rivestiti di Cristo (27).  

4. Chi nega che i fanciulli, appena nati debbano esser battezzati, anche se figli di genitori battezzati oppure sostiene che essi sono battezzati per la remissione dei peccati, ma che non contraggono da Adamo alcun peccato originale, che sia necessario purificare col lavacro della rigenerazione per conseguire la vita eterna, e che, quindi, per loro la forma del battesimo per la remissione dei peccati non debba credersi vera, ma falsa sia anatema. Infatti, non si deve intendere in altro modo quello che dice l’apostolo: Per mezzo di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo, e col peccato la morte, cosí la morte si è trasmessa ad ogni uomo perché tutti gli uomini hanno peccato (28), se non nel senso in cui la Chiesa cattolica universale l’ha sempre inteso. Secondo questa norma di fede per tradizione apostolica anche i bambini, che non hanno ancora potuto commettere peccato, vengono veramente battezzati, affinché in essi sia purificato con la rigenerazione quello che contrassero con la generazione. Se, infatti, uno non rinasce per l’acqua e lo Spirito santo, non può entrare nel regno di Dio (29).  

5. Chi nega che per la grazia del signore nostro Gesú Cristo, conferita nel battesimo, sia rimesso il peccato originale, o anche se asserisce che tutto quello che è vero e proprio peccato, non viene tolto, ma solo cancellato o non imputato (30) sia anatema. In quelli infatti che sono rinati a nuova vita Dio non trova nulla di odioso, perché non vi è dannazione per coloro (31) che col battesimo sono stati sepolti con Cristo nella morte (32), i quali non camminano secondo la carne (33), ma spogliandosi dell’uomo vecchio e rivestendosi del nuovo (34), che è stato creato secondo Dio, sono diventati innocenti, immacolati, puri, senza macchia, figli cari a Dio, eredi di Dio e coeredi di Cristo (35); di modo che assolutamente nulla li trattiene dall’ingresso nel cielo. Questo santo Sinodo confessa che tuttavia nei battezzati rimane la concupiscenza o passione. Ma, essendo questa lasciata per la lotta, non può nuocere a quelli che non acconsentono e che le si oppongono virilmente con la grazia di Gesú Cristo. Anzi, chi avrà combattuto secondo le regole, sarà coronato (36). 
Il santo Sinodo dichiara che mai la Chiesa cattolica ha inteso che venga chiamato “peccato” la concupiscenza, qualche volta chiamata dall’apostolo peccato (37), per il fatto che nei rinati alla grazia non è un vero e proprio peccato, ma perché ha origine dal peccato e ad esso inclina. Chi pensasse il contrario sia anatema.  

6. Questo santo Sinodo dichiara tuttavia, che non è sua intenzione comprendere in questo decreto, dove si tratta del peccato originale, la beata ed immacolata vergine Maria, madre di Dio, ma che si debbano osservare a questo riguardo le costituzioni di Papa Sisto IV (38), di felice memoria, sotto pena di incorrere nelle sanzioni in esse contenute che il Sinodo rinnova.

 

SESSIONE VI (13 gennaio I547)

Decreto sulla giustificazione

 
Proemio
 
In questi anni è stata divulgata con grave danno per molte anime e per l’unità della chiesa, una dottrina erronea sulla giustificazione. Perciò questo sacrosanto concilio tridentino ecumenico e generale, riunito legittimamente nello Spirito santo, a lode e gloria di Dio onnipotente, per la tranquillità della chiesa e per la salvezza delle anime, sotto la presidenza dei reverendissimi signori Gianmaria del Monte, cardinale vescovo di Palestrina, Marcello Cervini, cardinale presbitero del titolo di S. Croce in Gerusalemme, cardinali della santa chiesa romana, e legati apostolici de latere, a nome del nostro santissimo padre in Cristo e signore Paolo III, per divina provvidenza papa, intende esporre a tutti i fedeli cristiani la vera e sana dottrina sulla giustificazione che Gesù Cristo, sole di giustizia (45), autore e perfezionatore della nostra fede (46), ha insegnato che gli apostoli hanno trasmesso e che la chiesa cattolica, sotto l’ispirazione dello Spirito santo, ha sempre ritenuto. E proibisce assolutamente che, d’ora innanzi, qualcuno osi credere, predicare e insegnare diversamente da quello che col presente decreto si stabilisce e si dichiara.
 
Capitolo I.
L’impotenza della natura e della legge a giustificare gli uomini.
 
Prima di tutto il santo sinodo dichiara che, per una conoscenza esatta e corretta della dottrina della giustificazione, è necessario che ognuno riconosca e confessi che tutti gli uomini, perduta l’innocenza per la prevaricazione di Adamo, fatti immondi (47) e (come dice l’Apostolo San Paolo) per natura figli dell’ira (48), come ha esposto nel decreto sul peccato originale, erano talmente servi del peccato (49) e sotto il potere del diavolo e della morte, che non solo i gentili con le forze della natura, ma neppure i Giudei con l’osservanza della lettera della legge di Mosè potevano esserne liberati e risollevati, anche se in essi il libero arbitrio non era affatto estinto, ma solo attenuato e indebolito.
 
Capitolo II.
L’economia della salvezza e il mistero della venuta di Cristo.
 
Perciò il Padre celeste, padre delle misericordie e Dio di ogni consolazione (50), quando giunse quella beata pienezza dei tempi (51), mandò agli uomini Gesù Cristo, suo figlio, annunciato e promesso, sia prima della legge, sia durante il tempo della legge da molti santi padri, affinché riscattasse i Giudei, che erano sotto la legge (52), e i gentili i quali non cercavano la giustizia, ottenessero la giustizia (53); e tutti ricevessero l’adozione di figli (54). Questo Dio ha posto quale propiziatore mediante la fede nel suo sangue (55), per i nostri peccati, e non solo per i nostri, ma anche per quelli di tutto l’universo (56).
 
Capitolo III.
Chi sono i giustificati da Gesù Cristo.
 
Ma benché egli sia risorto per tutti (57), tuttavia non tutti ricevono il beneficio della sua morte, ma solo quelli cui viene comunicato il merito della sua passione.
Come infatti gli uomini, in concreto, se non nascessero dalla discendenza del seme di Adamo, non nascerebbero ingiusti, proprio perché con questa propagazione, quando vengono concepiti, contraggono da lui la propria ingiustizia: così se essi non rinascessero nel Cristo, non potrebbero mai essere giustificati, proprio perché con quella rinascita viene attribuita loro, per il merito della sua passione la grazia per cui diventano giusti.
Per questo beneficio l’apostolo ci esorta a rendere sempre grazie al Padre, che ci ha fatti degni di partecipare alla eredità dei santi nella luce, che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasportati nel regno del Figlio del suo amore, nel quale abbiamo la redenzione e la remissione dei peccati (58).
 
Capitolo IV.
Descrizione della giustificazione dell’empio.
Suo modo sotto la grazia.
 
Queste parole indicano chiaramente che la giustificazione dell’empio è il passaggio dallo stato, in cui l’uomo nasce figlio del primo Adamo, allo stato di grazia e di adozione dei figli di Dio (59), per mezzo del secondo Adamo, Gesù Cristo, nostro Salvatore. Questo passaggio, dopo la promulgazione del Vangelo, non può avvenire senza il lavacro della rigenerazione (Battesimo) o senza il desiderio di esso, conformemente a quanto sta scritto: Se uno non rinascerà per acqua e Spirito santo, non può entrare nel regno di Dio (60).
 
Capitolo V.
Necessità degli adulti di prepararsi alla giustificazione, e da dove essa scaturisce.
 
Dichiara ancora il concilio che negli adulti l’inizio della stessa giustificazione deve prender la mosse dalla grazia preveniente di Dio, per mezzo di Gesù Cristo, cioè della chiamata, che essi ricevono senza alcun loro merito, di modo che quelli che coi loro peccati si erano allontanati da Dio, disposti dalla sua grazia, che sollecita ed aiuta, ad orientarsi verso la loro giustificazione, accettando e cooperando liberamente alla stessa grazia, così che, toccando Dio il cuore dell’uomo con l’illuminazione dello Spirito Santo, l’uomo non resti assolutamente inerte subendo quella ispirazione, che egli può anche respingere, né senza la grazia divina possa, con la sua libera volontà, rivolgersi alla giustizia dinanzi a Dio.
Perciò quando nelle sacre scritture si dice: Convertitevi a me, ed io mi rivolgerò a voi (61), si accenna alla nostra libertà e quando rispondiamo: Facci tornare, Signore, a te e noi ritorneremo (62), noi confessiamo di essere prevenuti dalla grazia di Dio.
 
Capitolo VI.
Il modo di prepararsi.
 
Gli uomini si dispongono alla stessa giustizia, quando, eccitati ed aiutati dalla grazia divina, ricevendo la fede mediante l’ascolto (63), Si volgono liberamente verso Dio, credendo vero ciò che è stato divinamente rivelato e promesso, e specialmente che l’empio viene giustificato da Dio col dono della sua grazia, mediante la redenzione che è in Cristo Gesù (64). Parimenti accade quando, riconoscendo di essere peccatori, scossi dal timore della divina giustizia passano a considerare la misericordia di Dio e sentono nascere in sé la speranza, confidando che Dio sarà loro propizio a causa del Cristo, e cominciano ad amarlo come fonte di ogni giustizia; e si rivolgono, quindi, contro il peccato con odio e detestazione, cioè con quella penitenza, che bisogna fare prima del battesimo; infine si propongono di ricevere il battesimo, di cominciare una nuova vita e di osservare i comandamenti divini.
Di questo atteggiamento sta scritto: È necessario che chiunque nascosta Dio, creda che egli esiste e che ricompensa quelli che lo cercano (65); e: Confida, figlio, ti sono rimessi i tuoi peccati (66); come pure: Il timore del Signore scaccia il peccato (67); e: Fate penitenza e ciascuno di voi sia battezzato nel nome di Gesù Cristo per la remissione dei vostri peccati e riceverete il dono dello Spirito santo (68); e: Andate dunque e istruite tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio, e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato (69) Finalmente: Rivolgete al Signore i vostri cuori (70).
 
Capitolo VII.
Cosa è la giustificazione del peccatore e quali le sue cause.
 
A questa disposizione o preparazione segue la stessa giustificazione. Essa non è solo remissione dei peccati, ma anche santificazione e rinnovamento dell’uomo interiore, attraverso l’accettazione volontaria della grazia e dei doni, per cui l’uomo da ingiusto diviene giusto, e da nemico amico, così da essere erede secondo la speranza della vita eterna (71).
Cause di questa giustificazione sono: causa finale, la gloria di Dio e del Cristo e la vita eterna; causa efficiente la misericordia di Dio, che gratuitamente lava (72) e santifica, segnando ed ungendo (73) con lo Spirito della promessa, quello santo che è pegno della nostra eredità (74); causa meritoria è il suo dilettissimo unigenito e signore nostro Gesù Cristo, il quale, pur essendo noi suoi nemici (75), per l’infinito amore con cui ci ha amato (76), ci ha meritato la giustificazione con la sua santissima passione sul legno della croce e ha soddisfatto per noi Dio Padre. Causa strumentale è il sacramento del battesimo, che è il sacramento della fede (77), senza la quale a nessuno, mai, viene concessa la giustificazione. Finalmente, unica causa formale è la giustizia di Dio, non certo quella per cui egli è giusto, ma quella per cui ci rende giusti; con essa, cioè per suo dono, veniamo rinnovati interiormente nello spirito (78), e non solo veniamo considerati giusti, ma siamo chiamati tali e lo siamo di fatto (79), ricevendo in noi ciascuno la propria giustizia, nella misura in cui lo Spirito santo la distribuisce ai singoli come vuole (80) e secondo la disposizione e la cooperazione propria di ciascuno.
Quantunque infatti nessuno possa esser giusto, se non colui al quale vengono comunicati i meriti della passione del signore nostro Gesù Cristo, ciò, tuttavia, in questa giustificazione del peccatore, si opera quando, per merito della stessa santissima passione, l’amore di Dio viene diffuso mediante lo Spirito santo nei cuori (81) di coloro che sono giustificati e inerisce loro. Per cui nella stessa giustificazione l’uomo, con la remissione dei peccati, riceve insieme tutti questi doni per mezzo di Gesù Cristo nel quale è innestato: la fede, la speranza e la carità. Infatti la fede, qualora non si aggiungano ad essa la speranza e la carità, non unisce perfettamente a Cristo né rende membra vive del suo corpo. Per questo motivo è assolutamente vero affermare che la fede senza le opere è morta ed inutile (82) e che in Cristo non valgono né la circoncisione, né la incirconcisione, ma la fede operante per mezzo della carità (83).
Questa fede, secondo la tradizione apostolica, chiedono i catecumeni alla chiesa prima del sacramento del battesimo quando chiedono la fede che dà la vita eterna, che la fede non può garantire senza la speranza e la carità. È per questo che essi ascoltano subito la parola di Cristo: Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti (84). Perciò a chi riceve la vera giustizia cristiana, non appena rinato viene comandato di conservare candida e senza macchia la prima stola, donata loro da Gesù Cristo in luogo di quella che Adamo ha perso con la sua disobbedienza per sé e per noi. Essi dovranno portarla dinanzi al tribunale del signore nostro Gesù Cristo per avere la vita eterna (85).
 
Capitolo VIII.
Come si debba intendere che il peccatore è giustificato per la fede e gratuitamente.
 
Quando poi l’apostolo dice che l’uomo viene giustificato per la fede (86) e gratuitamente (87), queste parole si devono intendere secondo l’interpretazione accettata e manifestata dal concorde e permanente giudizio della chiesa cattolica e cioè che siamo giustificati mediante la fede, perché la fede è il principio dell’umana salvezza, il fondamento e la radice di ogni giustificazione, senza la quale è impossibile piacere a Dio (88), giungere alla comunione (89) che con lui hanno i suoi figli. Si dice poi che noi siamo giustificati gratuitamente, perché nulla di ciò che precede la giustificazione – sia la fede che le opere – merita la grazia della giustificazione, se infatti è per grazia, non è per le opere; o altrimenti (come dice lo stesso apostolo (90)) la grazia non sarebbe più grazia.
 
Capitolo IX.
Contro la vana fiducia degli eretici.
 
Quantunque sia necessario credere che i peccati non vengano rimessi, né siano stati mai rimessi, se non gratuitamente dalla divina misericordia a cagione del Cristo: deve dirsi, tuttavia, che a nessuno che ostenti fiducia e certezza della remissione dei propri peccati e che si abbandoni in essa soltanto, vengono rimessi o sono stati rimessi i peccati, mentre fra gli eretici e gli scismatici potrebbe esservi, anzi vi è, in questo nostro tempo, e viene predicata con grande accanimento contro la chiesa cattolica questa fiducia vana e lontana da ogni vera pietà.
Ma neppure si può affermare che sia necessario che coloro che sono stati realmente giustificati, debbano credere assolutamente e senza alcuna esitazione, dentro di sé, di essere giustificati; e che nessuno venga assolto dai peccati e giustificato, se non chi crede fermamente di essere assolto e giustificato e che l’assoluzione e la giustificazione sia operata per questa sola fede, quasi che chi non credesse ciò, dubiti delle promesse di Dio e dell’efficacia della morte e della resurrezione del Cristo.
Infatti come nessun uomo pio deve dubitare della misericordia di Dio, del merito del Cristo, del valore e dell’efficacia dei sacramenti, così ciascuno nel considerare se stesso, la propria debolezza e le sue cattive disposizioni, ha motivo di temere ed aver paura della sua grazia, non potendo alcuno sapere con certezza di fede, scevra di falso, se ha conseguito la grazia di Dio.
 
Capitolo X.
L’aumento della grazia ricevuta.
 
Gli uomini così giustificati e divenuti amici e familiari di Dio (91), progredendo di virtù in virtù (92), si rinnovano (come dice l’apostolo (93)) di giorno in giorno, mortificando, cioè, le membra del proprio corpo (94) e mostrandole come armi di giustizia per la santificazione (95), attraverso l’osservanza dei comandamenti di Dio e della chiesa: nella stessa giustizia ricevuta per la grazia di Cristo, con la cooperazione della fede alle buone opere, essi crescono e vengono resi sempre più giusti, come è scritto: Chi è giusto, continui a compiere atti di giustizia (96), ed ancora: Non aspettare fino alla morte a giustificarti (97), e di nuovo: Voi dunque vedete che l’uomo è giustificato dalle opere e non dalla fede soltanto (98). Questo aumento della giustizia chiede la santa chiesa quando prega: Dacci, o Signore, un aumento di fede, di speranza e di carità (99).
 
Capitolo XI.
Dell’osservanza dei comandamenti e della sua necessità e possibilità.
 
Nessuno, poi, per quanto giustificato, deve ritenersi libero dall’osservanza dei comandamenti, nessuno deve far propria quell’espressione temeraria e proibita dai padri sotto pena di scomunica (100), esser cioè impossibile per l’uomo giustificato osservare i comandamenti di Dio. Dio, infatti, non comanda l’impossibile; ma quando comanda ti ammonisce di fare quello che puoi (101) e di chiedere quello che non puoi, ed aiuta perché tu possa: i suoi comandamenti non sono gravosi (102), il suo giogo è soave e il peso leggero (103).
Quelli infatti che sono figli di Dio, amano Cristo e quelli che lo amano (come dice lui stesso (104)) osservano le sue parole, cosa che con l’aiuto di Dio certamente possono fare. Quantunque infatti in questa vita mortale, per quanto santi e giusti, qualche volta essi cadono almeno in mancanze leggere e quotidiane, che si dicono anche veniali, non per questo cessano di essere giusti. Ed è propria dei giusti l’espressione, umile e verace: Rimetti a noi i nostri debiti (105).
Deriva da ciò, che gli stessi giusti debbano sentirsi tanto maggiormente obbligati a camminare per la via della giustizia, quanto più, liberi già dal peccato e fatti schiavi di Dio (106), vivendo con moderazione, giustizia e pietà (107), possono progredire per mezzo di Gesù Cristo, mediante il quale ebbero accesso a questa grazia (108). Dio infatti non abbandona con la sua grazia quelli che una volta ha giustificato, a meno che prima non sia abbandonato da essi (109).
Nessuno quindi deve cullarsi nella sola fede, credendo di essere stato costituito erede e di conseguire l’eredità per la sola fede, anche senza soffrire con Cristo per poi esser con lui glorificato (110). Cristo stesso, infatti, come dice l’apostolo, sebbene fosse Figlio, imparò, da ciò che sofferse, l’obbedienza; sicché reso perfetto, divenne principio di eterna salvezza per tutti quelli che gli obbediscono (111). Per questo lo stesso apostolo ammonisce quelli che sono stati giustificati, dicendo: Non sapete che nelle corse allo stadio tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Io dunque corro, ma non come chi è senza meta, faccio il pugilato, ma non come chi batte l’aria, anzi tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù perché non succeda che dopo avere predicato agli altri, venga io stesso squalificato (112).
Ugualmente Pietro principe degli apostoli, dice: Adoperatevi sempre più per rendere sicura la vostra vocazione e la vostra elezione; poiché facendo questo voi mai peccherete (113).
Deriva da ciò, che sono in contrasto con la dottrina della vera religione quelli che dicono che il giusto pecca, almeno venialmente, in ogni opera buona (114); o (cosa ancora più insostenibile) che merita le pene eterne. E sono pure in contrasto quelli che sostengono che in tutte le opere buone i giusti peccano, se, eccitando in quelle la loro pigrizia ed esortando se stessi a correre nello stadio, insieme anzitutto con la gloria di Dio, essi guardano anche al premio eterno poiché sta scritto: Ho piegato il mio cuore ad osservare i tuoi precetti, per la ricompensa (115). E di Mosè l’apostolo (116) dice che tendeva alla ricompensa.
 
Capitolo XII.
Bisogna evitare la presunzione temeraria della predestinazione.
 
Nessuno, inoltre, fino che vivrà in questa condizione mortale, deve presumere talmente del mistero segreto della divina predestinazione, da ritenere per certo di essere senz’altro nel numero dei predestinati (117), quasi fosse vero che chi è stato giustificato o non possa davvero più peccare, o se anche peccasse, debba ripromettersi un sicuro ravvedimento. Infatti non si possono conoscere quelli che Dio si è scelti se non per una speciale rivelazione.
 
Capitolo XIII.
Del dono della perseveranza.
 
Similmente, per quanto riguarda il dono della perseveranza, di cui sta scritto: Chi avrà perseverato sino alla fine, questi sarà salvo (118) (dono che non si può avere se non da chi ha tanta potenza da mantenere in piedi colui che già vi è (119), perché perseveri, e da riporvi colui che cade), nessuno si riprometta qualche cosa con assoluta certezza, quantunque tutti debbano nutrire e riporre fiducia fermissima nell’aiuto di Dio. Dio infatti se essi non vengono meno alla sua grazia, come ha cominciato un’opera buona, così la perfezionerà (120), suscitando il volere e l’operare (121).
Tuttavia quelli che credono di esser in piedi, guardino di non cadere (122), e lavorino per la propria salvezza con timore e tremore (123), nelle fatiche, nelle veglie, nelle elemosine, nelle preghiere e nelle offerte, nei digiuni e nella castità (124). Proprio perché sanno di essere rinati alla speranza della gloria (125), e non ancora alla gloria, devono temere per la battaglia che ancora rimane contro la carne, contro il mondo, contro il diavolo, nella quale non possono riuscire vincitori, se non si atterranno con la grazia di Dio, alle parole dell’apostolo: Noi siamo debitori, ma non verso la carne, da dovere vivere secondo la carne. Se vivete secondo la carne, morrete; se invece per mezzo dello Spirito fate morire le azioni del corpo, vivrete (126).
 
Capitolo XIV.
Di quelli che cadono e della loro riparazione.
 
Quelli poi che col peccato sono venuti meno alla grazia della giustificazione, potranno nuovamente essere giustificati, se procureranno, sotto l’ispirazione di Dio, di recuperare la grazia perduta attraverso il sacramento della penitenza, per merito del Cristo. Questo modo di essere giustificato consiste nella riparazione di colui che è caduto; quella riparazione che i santi padri chiamarono, con espressione adatta, la seconda tavola dopo il naufragio della grazia perduta (127). Infatti, per quelli che cadono in peccato dopo il battesimo, Gesù Cristo ha istituito il sacramento della penitenza, quando disse: Ricevete lo Spirito santo. A chi rimetterete i peccati saranno loro rimessi, e a chi li riterrete, saranno ritenuti (128).
Bisogna quindi, insegnare che la penitenza del cristiano dopo la caduta è di natura molto diversa da quella del battesimo e che essa comporta non solo la cessazione dai peccati e la loro detestazione, cioè un cuore contrito ed umiliato (129), ma anche la confessione sacramentale dei medesimi, almeno nel desiderio e da farsi a suo tempo e l’assoluzione del sacerdote; e così pure la soddisfazione col digiuno, con le elemosine, con le orazioni e con le altre pie pratiche della vita spirituale, non certo per la pena eterna, che è rimessa con la colpa mediante il sacramento o il desiderio del sacramento, ma per la pena temporale, che (come insegna la sacra scrittura) non sempre viene totalmente rimessa, come nel battesimo, a quelli che, ingrati verso la grazia di Dio, che hanno ricevuto, contristarono lo Spirito santo (130), ed osarono violare (131) il tempio del Signore.
Di questa penitenza sta scritto: Ricordati dunque da dove sei caduto, ravvediti e compi le opere di prima (132). Ed inoltre: La tristezza che è secondo Dio, produce un pentimento salutare che non si rimpiange, perché conduce a salvezza (133). E di nuovo: Ravvedetevi (134); e: Fate degni frutti di penitenza (135).
 
Capitolo XV.
Con qualunque peccato mortale si perde la grazia, ma non la fede.
 
Contro le maligne insinuazioni di certi spiriti, i quali con parole dolci e seducenti ingannano i cuori dei semplici (136), bisogna affermare che non solo con l’infedeltà, per cui si perde la stessa fede, ma anche con qualsiasi altro peccato mortale, sebbene non si perda la fede, si perde però la grazia della giustificazione. Con ciò difendiamo l’insegnamento della legge divina, che esclude dal regno di Dio non soltanto gli infedeli, ma anche i fedeli impuri, adulteri, effeminati, sodomiti, ladri, avari, ubriaconi, maledici, rapaci e tutti gli altri che commettono peccati mortali, da cui con l’aiuto della grazia potrebbero astenersi (137) e a causa dei quali vengono separati dalla grazia del Cristo (138).
 
Capitolo XVI.
Del frutto della giustificazione, ossia del merito delle buone opere, e del modo ai questo merito.
 
Ora agli uomini giustificati in questo modo, sia che abbiano sempre conservato la grazia ricevuta, sia che, dopo averla perduta, l’abbiano recuperata si devono proporre le parole dell’apostolo: Abbondate in ogni opera buona, sapendo che il vostro lavoro nel Signore non è vano (139). Egli infatti non è ingiusto e non dimentica ciò che avete fatto, né l’amore che avete dimostrato per il suo nome (140). E: non abbandonate dunque la vostra fiducia, alla quale è riservata una grande ricompensa (141).
Perciò a quelli che operano bene fino alla fine (142) e sperano in Dio deve proporsi la vita eterna, sia come grazia promessa misericordiosamente ai figli di Dio per i meriti del Cristo Gesù, sia come ricompensa da darsi fedelmente, per la promessa di Dio stesso, alle loro opere buone e ai loro meriti. Questa è infatti quella corona di giustizia che, dopo la sua lotta e la sua corsa, l’apostolo diceva essere stata messa da parte per lui e che gli sarebbe stata data dal giusto giudice, e non a lui solo, ma anche a tutti quelli che amano la sua venuta (143).
Poiché infatti lo stesso Gesù Cristo, come il capo nelle membra e la vite nei tralci (144), trasfonde continuamente la sua virtù in quelli che sono giustificati, virtù che sempre precede, accompagna e segue le loro opere buone, e senza la quale non potrebbero in alcun modo piacere a Dio ed esser meritorie, si deve credere che niente altro manchi agli stessi giustificati, perché si dica che essi, con le opere che hanno compiuto in Dio (145), hanno pienamente soddisfatto alla legge divina, per quanto possibile in questa vita, e che hanno veramente meritato di ottenere a suo tempo la vita eterna (se tuttavia moriranno in grazia (146)). Dice, infatti, il Cristo, nostro Salvatore: Chi berrà l’acqua che gli darò io, non avrà più sete in eterno; ma l’acqua che gli darò, diventerà in lui sorgente di acqua zampillante per la vita eterna (147).
In tal modo né si esalta la nostra giustizia come se provenisse proprio da noi (148), né si pone in ombra o si rifiuta la giustizia di Dio (149). Infatti quella giustizia che si dice nostra, perché inerente a noi ci giustifica, è quella stessa di Dio, perché ci viene infusa da Dio per i meriti del Cristo.
Né si deve trascurare che, quantunque nelle sacre Scritture si dia tanta importanza alle opere buone, che perfino a chi ha dato a uno dei suoi piccoli un bicchiere d’acqua fresca Cristo promette che non resterà senza ricompensa (150), e l’apostolo testimoni: la nostra presente tribolazione momentanea e leggera ci procura un incommensurabile e eterno cumulo di gloria (151), mai un cristiano deve confidare o gloriarsi di se stesso e non nel Signore (152), il quale è talmente buono verso tutti gli uomini, da volere che diventino loro meriti, quelli che sono suoi doni (153).
E poiché tutti pecchiamo in molte maniere (154), ciascuno deve avere dinanzi agli occhi con la misericordia e la bontà anche la severità e il giudizio, né alcuno deve giudicare se stesso, anche se non fosse consapevole di nessuna colpa (155) poiché tutta la vita degli uomini deve essere esaminata e giudicata non secondo il giudizio umano, ma secondo quello di Dio, il quale illuminerà i segreti Più occulti, e renderà manifesti i consigli dei cuori; e allora ciascuno avrà da Dio la sua lode (156); che, come sta scritto, renderà a ciascuno secondo le sue opere (157).
Dopo questa dottrina cattolica della giustificazione, – e nessuno potrà essere giustificato se non l’accetterà fedelmente e fermamente (158) -, è sembrato opportuno al santo sinodo aggiungere i seguenti canoni, perché ognuno sappia non solo quello che deve credere e seguire, ma anche quello che dovrà evitare e fuggire.

 

CANONI SULLA GIUSTIFICAZIONE

 
1. Se qualcuno afferma che l’uomo può essere giustificato davanti a Dio dalle sue opere, compiute con le sole forze umane, o con il solo insegnamento della legge, senza la grazia divina meritata da Gesù Cristo: sia anatema.
 
2. Se qualcuno afferma che la grazia divina meritata da Gesù Cristo viene data solo perché l’uomo possa più facilmente vivere giustamente e meritare la vita eterna, come se col libero arbitrio, senza la grazia egli possa realizzare l’una e l’altra cosa, benché faticosamente e con difficoltà: sia anatema.
 
3. Se qualcuno afferma che l’uomo, senza previa ispirazione ed aiuto dello Spirito santo, può credere, sperare ed amare o pentirsi come si conviene, perché gli venga conferita la grazia della giustificazione: sia anatema.
 
4. Se qualcuno dice che il libero arbitrio dell’uomo, mosso ed eccitato da Dio, non coopera in nessun modo esprimendo il proprio assenso a Dio, che lo muove e lo prepara ad ottenere la grazia della giustificazione; e che egli non può dissentire, se lo vuole, ma come cosa senz’anima non opera in nessun modo e si comporta del tutto passivamente: sia anatema.
 
5. Se qualcuno afferma che il libero arbitrio dell’uomo dopo il peccato di Adamo è perduto ed estinto; o che esso è cosa di sola apparenza anzi nome senza contenuto e finalmente inganno introdotto nella chiesa da Satana: sia anatema.
 
6. Se qualcuno afferma che non è in potere dell’uomo rendere cattive le sue vie, ma che è Dio che opera il male come il bene, non solo permettendoli, ma anche volendoli in sé e per sé, di modo che possano considerarsi opera sua propria il tradimento di Giuda non meno che la chiamata di Paolo: sia anatema.
 
7. Se qualcuno dice che tutte le opere fatte prima della giustificazione, in qualunque modo siano compiute, sono veramente peccati che meritano l’odio di Dio, e che quanto più uno si sforza di disporsi alla grazia tanto più gravemente pecca: sia anatema.
 
8. Se qualcuno afferma che il timore dell’inferno, per il quale, dolendoci dei peccati, ci rifugiamo nella misericordia di Dio o ci asteniamo dal male, è peccato e rende peggiori i peccatori: sia anatema.
 
9. Se qualcuno afferma che l’empio è giustificato dalla sola fede, così da intendere che non si richieda nient’altro con cui cooperare al conseguimento della grazia della giustificazione e che in nessun modo è necessario che egli si prepari e si disponga con un atto della sua volontà: sia anatema.
 
10. Se qualcuno dice che gli uomini sono giustificati senza la giustizia del Cristo mediante la quale egli ha meritato per noi, o che essi sono formalmente giusti proprio per essa: sia anatema.
 
11. Se qualcuno afferma che gli uomini sono giustificati o per la sola imputazione della giustizia del Cristo, o con la sola remissione dei peccati, senza la grazia e la carità che è diffusa nei loro cuori mediante lo Spirito santo (159) e inerisce ad essi; o anche che la grazia, con cui siamo giustificati, è solo favore di Dio: sia anatema.
 
12. Se qualcuno afferma che la fede giustificante non è altro che la fiducia nella divina misericordia, che rimette i peccati a motivo del Cristo, o che questa fiducia sola giustifica: sia anatema.
 
13. Chi afferma che per conseguire la remissione dei peccati è necessario che ogni uomo creda con certezza e senza alcuna esitazione della propria infermità e indisposizione, che i peccati gli sono rimessi: sia anatema.
 
14. Se qualcuno afferma che l’uomo è assolto dai peccati e giustificato per il fatto che egli crede con certezza di essere assolto e giustificato, o che nessuno è realmente giustificato, se non colui che crede di essere giustificato, e che l’assoluzione e la giustificazione venga operata per questa sola fede: sia anatema.
 
15. Se qualcuno afferma che l’uomo rinato e giustificato è tenuto per fede a credere di essere certamente nel numero dei predestinati: sia anatema.
 
16. Se qualcuno dice, con infallibile e assoluta certezza, che egli avrà certamente il grande dono della perseveranza finale (l60) (a meno che non sia venuto a conoscere ciò per una rivelazione speciale): sia anatema.
 
17. Se qualcuno afferma che la grazia della giustificazione viene concessa solo ai predestinati alla vita, e che tutti gli altri sono bensì chiamati, ma non ricevono la Grazia, in quanto predestinati al male per divino volere: sia anatema.
 
18. Se qualcuno dice che anche per l’uomo giustificato e costituito in grazia i comandamenti di Dio sono impossibili ad osservarsi, sia anatema.
 
19. Chi afferma che nel Vangelo non si comanda altro, fuorché la fede, che le altre cose sono indifferenti, né comandate, né proibite, ma libere; o che i dieci comandamenti non hanno nulla a che vedere coi cristiani: sia anatema.
 
20. Se qualcuno afferma che l’uomo giustificato e perfetto quanto si voglia non è tenuto ad osservare i comandamenti di Dio e della chiesa, ma solo a credere, come se il Vangelo non fosse altro che una semplice e assoluta promessa della vita eterna, non condizionata all’osservanza dei comandamenti: sia anatema.
 
21. Se qualcuno afferma che Gesù Cristo è stato dato agli uomini da Dio come redentore, in cui confidare e non anche come legislatore, cui obbedire: sia anatema.
 
22. Se qualcuno afferma che l’uomo giustificato può perseverare nella giustizia ricevuta senza uno speciale aiuto di Dio, o non lo può nemmeno con esso: sia anatema.
 
23. Se qualcuno afferma che l’uomo, una volta giustificato, non può più peccare, né perdere la grazia, e che quindi chi cade e pecca, in realtà non mai è stato giustificato; o, al contrario, che si può per tutta la vita evitare ogni peccato, anche veniale, senza uno speciale privilegio di Dio, come la chiesa ritiene della beata Vergine: sia anatema.
 
24. Se qualcuno afferma che la giustizia ricevuta non viene conservata ed anche aumentata dinanzi a Dio con le opere buone, ma che queste sono solo frutto e segno della giustificazione conseguita, e non anche causa del suo aumento: sia anatema.
 
25. Se qualcuno afferma che in ogni opera buona il giusto pecca almeno venialmente, o (cosa ancor più intollerabile) mortalmente, e quindi merita le pene eterne, e che non viene condannato solo perché Dio non gli imputa a dannazione quelle opere: sia anatema.
 
26. Se qualcuno afferma che i giusti non devono aspettare e sperare da Dio – per la sua misericordia e per tutti i meriti di Gesù Cristo – l’eterna ricompensa in premio delle buone opere che essi hanno compiuto in Dio (161), qualora, agendo bene ed osservando i divini comandamenti, abbiano perseverato fino alla fine: sia anatema.
 
27. Se qualcuno afferma che non vi è peccato mortale, se non quello della mancanza di fede, o che la grazia, una volta ricevuta, non può esser perduta con nessun altro peccato, per quanto grave ed enorme, salvo quello della mancanza di fede: sia anatema.
 
28. Se qualcuno afferma che, perduta la grazia col peccato, si perde sempre insieme anche la fede, o che la fede che rimane non è vera fede, in quanto non è viva (162), o che colui che ha la fede senza la carità, non è cristiano: sia anatema.
 
29. Se qualcuno afferma che chi dopo il battesimo è caduto nel peccato non può risorgere con la grazia di Dio; o che può recuperare la grazia perduta, ma per la sola fede, senza il sacramento della penitenza, come la santa chiesa romana e universale, istruita da Cristo signore e dai suoi apostoli, ha finora creduto, osservato e insegnato: sia anatema.
 
30. Se qualcuno afferma che, dopo aver ricevuto la grazia della giustificazione, a qualsiasi peccatore pentito viene rimessa la colpa e cancellato il debito della pena eterna in modo tale che non gli rimanga alcun debito di pena temporale da scontare sia in questo mondo sia nel futuro in purgatorio, prima che possa essergli aperto l’ingresso al regno dei cieli: sia anatema.
 
31. Se qualcuno afferma che colui che è giustificato pecca, quando opera bene in vista della eterna ricompensa: sia anatema.
 
32. Se qualcuno afferma che le opere buone dell’uomo giustificato sono doni di Dio, così da non essere anche meriti di colui che è giustificato, o che questi con le buone opere da lui compiute per la grazia di Dio e i meriti di Gesù Cristo (di cui è membro vivo), non merita realmente un aumento di grazia, la vita eterna e il conseguimento della stessa vita eterna (posto che muoia in grazia) ed anche l’aumento della gloria: sia anatema.
 
33. Se qualcuno afferma che con questa dottrina cattolica della giustificazione, espressa dal santo sinodo col presente decreto, si riduce in qualche modo la gloria di Dio o i meriti di Gesù Cristo nostro signore, e non piuttosto si manifesta la verità della nostra fede e infine la gloria di Dio e di Gesù Cristo: sia anatema.
 
 
18. Eb 11, 6.  19. Ef 4, 14.  20. Cfr. Ap 12, 9; 20, 2.  21. Eb 2, 14.  22. Rm 5, 12.  23. Cfr. Rm 5, 9-10.  24. 1 Cor 1, 30.  25. At 4, 12.  26. Gv 1, 29.  27. Gal 3, 27.  28. Rm 5, 12.  29. Gv 3, 5.  30. Cfr. AGOSTINO, Contra duas epistolas Pelagianorum I, 13 (26) (CSEL 60, 445).  31. Cfr. Rm 8, 1.  32. Cfr. Rm 6, 4.  33. Rm 8, 1 (solo nella vulgata).  34. Cfr. Col 3, 9-10; Ef 4, 24.  35. Rm 8, 17.  36. II Tm 2, 5.  37. Cfr. Rm 7, 14, I7, 20.  38. Cc. 1 e 2, III, 12, in Exstrav. comm. (Fr 2, 770); C. 12. D. XXXVII (Fr 1, 139). 
 
45. Cfr. Ml 3, 20 (4, 2, della Vulgata).  46. Cfr. Eb 12, 2.  47. Cfr. Is, 64, 6.  48. Ef 2, 3.  49. Cfr. Rm 6, 20.  50. II Cor 1, 3.  51. Cfr. Gal 4, 4.  52. Gal 4, 5.  53. Rm 9, 30.  54. Cfr. Gal 4, 5.  55. Rm 3, 25.  56. I Gv 2, 2.  57. II Cor 5, 15.  58. Col 1, 12-14  59. Cfr. Rm 8, 23.  60. Gv 3, 5.  61. Zc 1, 3.  62. Lm 5, 21.  63. Cfr. Rm 10, 17.  64. Rm 3, 24.  65. Eb 11, 6.  66. Mt 9, 2.  67. Ecli (Sir) 1, 27 (Vulgata), trad. it. 1, 21.  68. At 2, 38.  69. Mt 28, 19-20.  70. I Re 7, 3.  71. Tt 3, 7.  72. Cfr. I Cor 6, 11.  73. Cfr. II Cor 1, 21-22.  74. Ef 1, 13-14.  75. Cfr. Rm 5, 10.  76. Ef 2, 4.  77. Cfr. AGOSTINO, Ep. 98 ad Bonifatium, 9 (CSEL 34/2, 530 segg.).  78. Cfr. Ef 4, 23.  79. Cfr. I Gv 3, 1.  80. Cfr. I Cor 12, 11.  81. Cfr. Rm 5, 5. 
 

82. Cfr. Gc 2, 17, 20.  83. Gal 5, 6.  84. Mt 19,17.  85. Cfr. Lc 15. 22; AGOSTINO, De genesi ad litt., VI. 27 (CSEL 28/1, 199); cfr. Rituale Romano per l’amministrazione del battesimo.  86. Cfr. Rm 3, 28 e altri.  87. Cfr. Rm 3, 24.  88. Eb 11, 6.  89. II Pt 1, 4.  90. Rm 11, 6.  91. Cfr. Ef 2, 19.  92. Sal 83, 8.  93. Cfr. II Cor 4, 16.  94. Cfr. Col 3, 5.  95. Cfr. Rm 6, 13 e 19.  96. Ap 22, 11.  97. Ecli (Sir) 18, 22.  98. Gc 2, 24.  99. Nella preghiera della XIII domenica tra l’anno.  100. Cfr. tra gli altri il Conc. Arausicano II (529) dopo il c. 25 (Msi 8, 717).  101. Cfr. AGOSTINO, De natura et gratia, 43 (50) (CSEL 60, 270).  l02. Cfr. I Gv 5, 3.  103. Cfr. Mt 11, 30.  104. Cfr. Gv 14, 23.  105. Mt 6, I2.  106. Rm 6, 22.  107. Tt 2, 12.  108. Cfr. Rm 5, 2.  109. Cfr. AGOSTINO, De natura et gratia, 26 (29) (CSEL 60, 254) e anche altre volte in altre opere di Agostino.  110. Cfr. Rm 8, 17.  111. Eb 5, 8 e 9.  112. I Cor 9, 24, 26-27.  113. II Pt 1, 10.  114. Cfr. Bolla Exurge Domine, art. 31 segg. (Dn 77I segg.).  115. Sal 118, 112.  116. Cfr. Eb 11, 26.  117. Cfr. AGOSTINO, De corrept. et gr., 15 (46) (PL 44, 944).  118. Mt 10, 22; 24, 13.  119. Cfr. Rm 14, 4.  120. Cfr. Fil 1, 6.  121. Cfr. Fil 2, 13.  122. Cfr. I Cor 10, 12.  123. Cfr. Fil 2, 12.  124. Cfr. II Cor 6, 5-6. 

 

125. Cfr. I Pt 1, 3.  126. Rm 8, 12-13.  127. GEROLAMO. Ep 84, 6 e Ep 130, 9 (CSEL, 55, 128; 56, 189); TERTULLIANO, De Poenitentia, c. 7 segg. (PL 1, 1241 segg.).  128. Gv 20, 22-23; cfr. Mt 16, 19.  129. Sal 50, 19.  130. Cfr. Ef 4, 30.  131. Cfr. I Cor 3, 17.  132. Ap 2, 5.  133. II Cor 7, 10.  134. Mt 3, 2; 4, 17.  135. Lc 3, 8; Mt 3, 8.  136. Rm 16, 18.  137. Cfr. II Cor 12, 9; Fil 4, 13.  138. Cfr. I Cor 6. 9-10; I Tm 1, 9-10.  139. I Cor 15, 58.  140. Eb 6, 10.  141. Eb 10, 35.  142. Mt 10, 22.  143. Cfr. II Tm 4, 7-8.  144. Cfr. Gv 15, 1 segg.  145. Cfr. Gv 3, 21.  146 Cfr. Ap 14, 13.  147. Gv 4, 13-14.  148. Cfr. II Cor 3, 5.  149. Cfr. Rm 10, 3.  150. Cfr. Mt 10, 42; Mc 9, 40.  151. II Cor 4, 17.  152. Cfr. I Cor 1, 31, II Cor 10, 17 (gr. 9, 23-24).  153. Cfr. CELESTINO I. Ep. ad episcopos Galliae, c. 12 (PL 50, 536).  154. Gv 3, 2.  155. Cfr. I Cor 4, 3-4.  156. I Cor 4, 5.  157. Mt 16, 27; Rm 2, 6; Ap 22, 12.  158. Cfr. l’inizio del simbolo Atanasiano.  159. Cfr. Rm 5, 5.  160. Cfr. Mt 10, 22; 24, 13.  161. Cfr. Gv 3, 21.  162. Cfr. Gc 2, 26. 

 
(Dal CONCILIO DI TRENTO)
 
 

Dio Padre rivela a Santa Caterina da Siena: “La gloria dei Beati e dei Santi in Paradiso!” “Oh, quanto diletto provano nel vedere me, che sono ogni bene!”

Tratto dal Dialogo della divina Provvidenza: le rivelazioni di Dio Padre a Santa Caterina da Siena

 

CAPITOLO 41

La gloria dei beati.

Parla Dio Padre:

“Anche l’anima giusta che finisce la vita in affetto di carità ed è legata a Dio nell’amore, non può crescere in virtù, poiché viene a mancare il tempo di quaggiù, ma può sempre amare con quella dilezione che la porta a Me, e con tale misura le viene misurato il premio. Sempre mi desidera e sempre mi ama, onde il suo desiderio non è vuoto; ma sebbene abbia fame, è saziato, e saziato ha fame; e tuttavia è lungi il fastidio della sazietà, come è lungi la pena della fame.

Nell’amore i beati godono dell’eterna mia visione, partecipando ognuno, secondo la sua misura, di quel bene, che io ho in me medesimo. Con quella misura d’amore con la quale sono venuti a me, con essa viene loro misurato. Essi sono rimasti nella mia carità ed in quella del prossimo; sono stati insieme uniti nella carità comune ed in quella particolare, che esce pure da una medesima carità.

Godono ed esultano, partecipando l’uno del bene dell’altro con l’affetto della carità, oltre al bene universale, che essi hanno tutti insieme. Godono ed esultano cogli angeli, coi quali sono collocati i santi, secondo le diverse e varie virtù, che principalmente ebbero nel mondo, essendo tutti legati nel legame della carità. Hanno poi una partecipazione singolare di bene con coloro coi quali si amavano strettamente d’amore speciale nel mondo, col quale amore crescevano in grazia, aumentando la virtù. L’uno era cagione all’altro di manifestare la gloria e lode del mio nome, in sé e nel prossimo. Nella vita eterna non hanno perduto questo affetto, ma l’hanno aggiunto al bene generale, partecipando più strettamente e con più abbondanza l’uno del bene dell’altro.

Non vorrei però che tu credessi che questo bene partico­lare, di cui ti ho parlato, l’avessero solo per sé: non è così, ma esso è partecipato da tutti quanti i gustatori, che sono i cittadini del cielo, i miei figli diletti, e da tutte le creature angeliche. Quando l’anima giunge a vita eterna, tutti parteci­pano del bene di quell’anima, e l’anima del bene loro. Non è che il vaso di ciascuno possa crescere, né che abbia bisogno di empirsi, poiché è pieno e quindi non può crescere; ma hanno un’esultanza, una giocondità, un giubilo, un’allegrezza, che si ravvivano in loro, per quanto sono venuti a conoscere di quell’anima. Vedono che per mia misericordia ella è tolta alla terra con la pienezza della grazia, e così esultano in me per il bene che quell’anima ha ricevuto dalla mia bontà.

E quell’anima gode pure in me, nelle altre anime, e negli spiriti beati, vedendo e gustando in loro la bellezza e dolcez­za della mia carità. I loro desideri gridano sempre dinanzi a me per la salvezza di tutto quanto il mondo. Poiché la loro vita finì nella carità dei prossimo, non hanno lasciata questa carità, ma sono passati con essa per la porta del mio Unige­nito Figliuolo, nel modo che ti dirò più sotto. Vedi dunque che essi restano con quel legame dell’amore, col quale finì la loro vita: esso resta e dura per tutta l’eternità.

Sono tanto conformi alla mia volontà, che non possono volere se non quello che io voglio; poiché il loro libero arbi­trio è legato per siffatto modo col legame della carità che, quando viene meno il tempo di questa vita alla creatura, che ha in sé ragione e che muore in stato di grazia, essa non può più peccare. Ed è tanto unita la sua volontà alla mia che, se il padre o la madre vedessero il figliolo nell’inferno, o il figlio ci vedesse la madre, non se ne curerebbero; anzi sono contenti di vederli puniti come miei nemici. In nessuna cosa si scordano di me; i loro desideri sono appagati. Desiderio dei beati è di vedere trionfare il mio onore in voi viandanti, che siete pellegrini in questa terra e sempre correte verso il termine della morte. Nel desiderio del mio onore bramano la vostra salute, e perciò sempre mi pregano per voi. Un tale desiderio è sempre adempiuto per parte mia, se voi ignoranti non recalcitraste contro la mia misericordia.

Hanno ancora il desiderio di riavere la dote della loro anima, che è il corpo; questo desiderio non li affligge al presente, ma godono per la certezza che hanno di vederlo appagato: non li affligge, perché, sebbene ancora non abbiano il corpo, tuttavia non manca loro la beatitudine, e perciò non risentono pena. Non pensare che la beatitudine del corpo, dopo la resurre­zione, dia maggiore beatitudine all’anima. Se fosse così, ne ver­rebbe che i beati avrebbero una beatitudine imperfetta, fino a che non riprendessero il corpo; cosa impossibile, perché in loro non manca perfezione alcuna. Non è il corpo che dia beatitudine all’anima, ma sarà l’anima a dare beatitudine al corpo; darà della sua abbondanza, rivestendo nel dì del giudizio la propria carne, che aveva lasciato in terra.

Come l’anima è resa immortale, ferma e stabilita in me, così il corpo in quella unione diventa immortale; perduta la gravezza della materia, diviene sottile e leggero. Sappi che il corpo glorificato passerebbe di mezzo a un muro. Né il fuoco né l’acqua potrebbero nuocergli, non per virtù sua ma per virtù dell’anima, la quale virtù è mia, ed è stata data a lei per grazia e per quell’amore ineffabile col quale la creai a mia immagine e somiglianza. L’occhio del tuo intelletto non è sufficiente a ve­dere, né l’orecchio a udire, né la lingua a narrare, né il cuore a pensare, il bene loro.

Oh, quanto diletto provano nel vedere me, che sono ogni bene! Oh, quanto diletto avranno, allorché il loro corpo sarà glorificato! E sebbene manchino di questo bene fino al giorno del giudizio universale, non hanno pena, perché l’anima è piena di felicità in se stessa. Una tale beatitudine sarà poi partecipata al corpo, come ti ho spiegato.

Ti parlavo del bene, che ritrarrebbe il corpo glorificato nell’Umanità glorificata del mio Figlio Unigenito, la quale dà a voi certezza della vostra resurrezione. Esultano i beati nelle sue piaghe, che sono rimaste fresche; sono conservate nel suo corpo le cicatrici, che continuamente gridano a me, sommo ed eterno Padre, misericordia. Tutti si conformano a lui in gaudio e giocondità, occhio con occhio, mano con mano, e con tutto il corpo del dolce Verbo, mio Figlio. Stando in me, starete in lui, poiché egli è una cosa sola con me; ma l’occhio del vostro corpo si diletterà nell’Umanità glorificata del Verbo Unigenito mio Figlio. Perché questo? Perché la loro vita finì nella dilezione della mia carità, e perciò dura loro eternamente.

Non possono guadagnare alcun nuovo bene, ma si godono quello che si sono portato, non potendo fare alcun atto meritorio, perché solo in vita si merita e si pecca, secondo che piace al libero arbitrio della vostra volontà. Essi non aspettano con timore, ma con allegrezza, il giudizio divino; e la faccia del mio Figlio non parrà loro terribile, né piena d’odio, perché sono morti nella carità, nella dilezione di me e nella benevolenza del prossimo. Così tu comprendi come la mutazione della faccia non sarà in lui, quando verrà a giudicare con la mia maestà, ma in coloro che saranno giudicati da lui. Ai dannati apparirà con odio e con giustizia; ai salvati, con amore e misericordia.”

(Dal Dialogo della divina provvidenza, Santa Caterina da Siena)

San Gregorio magno: “Colui che ama veramente Dio, ne osserva i comandamenti, e Dio entra nel suo cuore e vi rimane, perché l’amor di Dio riempie talmente il suo cuore, che al tempo della tentazione, non si muove” «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23)

Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23)

 

San Gregorio magno, Papa e Dottore della Chiesa:

Lo Spirito Santo stesso è amore. Perciò Giovanni dice: “Dio è amore” (1Gv 4,8). Chi con tutto il cuore cerca Dio, ha già colui che ama. E nessuno potrebbe amare Dio, se non possedesse colui che ama. Ma, ecco, se a uno di voi si domandasse se egli ami Dio, egli fiduciosamente e con sicurezza risponderebbe di sì. Però a principio della lettura avete sentito che la Verità dice: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola” (Gv 14,23). La prova dell’amore è l’azione. Perciò Giovanni nella sua epistola dice: “Chi dice di amar Dio, ma non ne osserva i precetti, è bugiardo” (1Gv 4,20). Allora veramente amiamo Dio, quando restringiamo il nostro piacere a norma dei suoi comandamenti. Infatti chi corre ancora dietro a piaceri illeciti, non può dire d’amar Dio, alla cui volontà poi contraddice.

«Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23). Pensate che festa, fratelli carissimi; avere in casa Dio! Certo, se venisse a casa vostra un ricco o un amico molto importante, voi vi affrettereste a pulir tutto, perché nulla ne turbi lo sguardo. Purifichi, dunque, le macchie delle opere, chi prepara a Dio la casa nella sua anima. Ma guardate meglio le parole: “Verremo e metteremo casa presso di lui”. In alcuni, cioè, Dio vi entra, ma non vi si ferma, perché questi, attraverso la compunzione, fanno posto a Dio, ma, al momento della tentazione, si dimenticano della loro compunzione, e tornano al peccato, come se non l’avessero mai detestato. Invece colui cha ama veramente Dio, ne osserva i comandamenti, e Dio entra nel suo cuore e vi rimane, perché l’amor di Dio riempie talmente il suo cuore, che al tempo della tentazione, non si muove. Questo, allora, ama davvero, poiché un piacere illecito non ne cambia la mente. Tanto più uno si allontana dall’amore celeste quanto più s’ingolfa nei piaceri terrestri. Perciò è detto ancora: “Chi non mi ama, non osserva i miei comandamenti”(Gv 14,24). Rientrate in voi stessi, fratelli; esaminate se veramente amate Dio, ma non credete a voi stessi, se non avete la prova delle azioni. Guardate se con la lingua, col pensiero, con le azioni amate davvero il Creatore. L’amor di Dio non è mai ozioso. Se c’è, fa cose grandi; se non ci sono le opere, non c’è amore.

“E le parole che avete udito, non son mie, ma del Padre che mi ha mandato” (Gv 14,24). Sapete, fratelli, che chi parla è il Verbo del Padre, perché il Figlio è Verbo del Padre.

“Lo Spirito Santo Paraclito, che il Padre manderà nel mio nome, v’insegnerà tutto e vi ricorderà tutto quello che vi ho detto” (Gv 14,26). Sapete quasi tutti che la parola greca Paraclito, significa avvocato o consolatore. E lo chiama avvocato, perché interviene presso il Padre in favore dei nostri delitti. Di questo stesso Spirito poi giustamente si dice: “V’insegnerà ogni cosa”, perché se lo Spirito non è vicino al cuore di chi ascolta, il discorso di chi insegna, non ha effetto.»

(da San Gregorio Magno, Papa, Omelie sui Vangeli, 30,1)

 

“La via del Signore si dirige al cuore quando si ascolta umilmente la predicazione della verità; la via del Signore si dirige al cuore, quando la vita si uniforma ai comandi di Dio. Per questo sta scritto: <<Se uno mi ama, osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà, e verremo a lui e dimoreremo in lui>> (Gv 14,23).

Chiunque monta in superbia, chiunque arde del fuoco di avarizia, chiunque si macchia con le lordure della lussuria, chiude la porta del cuore dinanzi alla verità, pone i serrami dei vizi all’entrata dell’anima, per impedire l’ingresso del Signore.”

(San Gregorio Magno, Papa e Dottore della chiesa, Omelie sui vangeli, VII , pag. 90)

 

STUPENDA OMELIA -VI DOMENICA DI PASQUA-

di Padre Mariano Pellegrini (dei Francescani dell’ Immacolata)

 

“Dio ci ama a tal punto da voler rimanere sempre con noi. Egli non si disinteressa delle sue creature. Con la sua grazia, Egli entra nell’anima come il sole entra attraverso il vetro e illumina l’interno di una stanza. Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo prendono dimora nel nostro cuore e noi, pertanto, diveniamo tempio della Santissima Trinità. Non c’è più distanza tra noi e Dio. Dio è in cielo e in terra, e anche nel nostro cuore, se accettiamo che Egli abiti dentro di noi, se noi lo amiamo. Gesù ce lo dice chiaramente nel Vangelo di oggi: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23).
Questo ci insegna che non siamo mai soli, se veramente vogliamo amare Dio. La vita del cristiano è una vita di comunione con Colui che ci ha creati e ci ha redenti. Anzi, diciamo di più: quanto più ci sembra di essere soli, tanto più siamo vicini al nostro Dio. Egli non fa sentire la sua presenza del chiasso e nel frastuono, ma solamente nel silenzio e nella solitudine. Questa certezza ci deve spingere a cercare, nel corso della giornata, dei momenti da dedicare a questa presenza silenziosa e misteriosa. Quando preghiamo, chiudiamo la porta della nostra stanza, chiudiamo i nostri occhi, e pensiamo che Dio è dentro di noi. Parliamogli con grande familiarità e Lui ci ispirerà sempre qualche buon proposito. Sarà soprattutto nel momento della prova che sperimenteremo la sua presenza benefica: quanto più si sarà lontani dagli aiuti umani, tanto più saremo vicini all’aiuto divino.
Il fatto, purtroppo, è che, quando preghiamo, siamo molto distratti. La nostra preghiera si riduce a una ripetizione superficiale di parole, alle quali nemmeno pensiamo. Per pregare bene, dobbiamo pensare innanzitutto che Dio è presente in noi e dobbiamo porre attenzione al senso delle parole che pronunciamo. Allora, e solo allora, la nostra preghiera non rimarrà mai senza effetto: od otterrà quello che domandiamo, oppure ci procurerà qualcosa di ancora più grande.
Dio in me e io in Lui! Certo, con un Ospite così vivo e così grande, badiamo bene di non sfigurare. Pensiamo spesso che Dio ci vede, che Dio è nel nostro cuore. Pertanto non dobbiamo offendere questa presenza in noi con il peccato. C’è, infatti, una condizione affinché Dio dimori in noi: dobbiamo amarlo. E lo ameremo veramente solo se osserveremo la sua parola, oppure, se non lo abbiamo fatto per il passato, se ci impegneremo ad osservarla. Anche queste sono parole di Gesù: «Chi non mi ama, non osserva le mie parole» (Gv 14,24). Se si ama veramente Dio, non costerà fatica fare la sua Volontà, osservare i suoi Comandamenti d’amore. Solo se faremo così, godremo della pace che Gesù è venuto a portare su questa terra. Altrimenti, nei nostri cuori, nelle nostre famiglie e nella società umana, vi sarà sempre guerra e divisione.
Il Vangelo di oggi ci parla inoltre del Paraclito, ovvero dello Spirito Santo. Paraclito significa Consolatore. Egli consola i nostri cuori nelle prove della vita e ci fa assaporare, nel segreto della preghiera, quella che sarà la gioia senza fine del Paradiso. Lo Spirito Santo è il santificatore della nostra anima. Il Padre lo ha inviato su questa terra nel giorno di Pentecoste. Nel brano del Vangelo di oggi, Gesù dice che il Paraclito ci insegnerà ogni cosa e ci ricorderà tutto ciò che Gesù ha insegnato (cf Gv 14,26).
Bisogna dunque pregarlo. Ci avviciniamo ormai alla sua festa. Proponiamoci fin d’ora di invocare la sua discesa nei nostri cuori, affinché Egli ci arricchisca con i suoi Sette Doni e ci faccia comprendere sempre di più le parole di Gesù.”

Rivelazione della Vergine Maria alla Venerabile Suor Maria: “Così Lucifero continuamente trascina all’Inferno un gran numero di uomini, sollevandosi sempre di più contro l’Altissimo nella sua superbia” “Facendo dimenticare agli uomini i ‘Novissimi’: Morte, Giudizio, Inferno e Gloria”

Dalla “Mistica città di Dio,Vita della Vergine Madre di Dio” rivelata alla Venerabile Suor Maria di Ágreda

 

Insegnamento della Regina del cielo, parla Maria Vergine:

773. Figlia mia, tutte le opere del mio Figlio santissimo e mie sono colme di insegnamenti e istruzioni per gli uomini che le considerano con attenta stima. Sua Maestà si allontanò da me affinché cercandolo con dolore e lacrime lo ritrovassi poi con gioia a mio vantaggio spirituale. Anche tu devi cercare il Signore con amaro dolore, affinché questo dolore ti procuri un’incessante sollecitudine, senza riposare su cosa alcuna per tutto il tempo della tua vita, sino a quando tu non arrivi a possederlo e non lo lasci più. Perché tu comprenda meglio il mistero del Signore, sappi che la sua sapienza infinita plasma le creature capaci della sua eterna felicità ponendole sì sul cammino che conduce ad essa, ma allo stesso tempo così lontane e non sicure di arrivarvi. Fintanto che non siano giunte a possedere l’eterna felicità, vivano sempre pronte e nel dolore, affinché la sollecitudine generi in esse un continuo timore e orrore per il peccato, il quale fa perdere la beatitudine. Anche nel tumulto della conversazione umana la creatura non si lasci legare né avviluppare dalle cose visibili e terrene. Il Creatore aiuta in questa sollecitudine, aggiungendo alla ragione naturale le virtù della fede e della speranza, le quali stimolano l’amore con cui cercare e trovare il fine ultimo. Oltre a queste virtù e ad altre infuse con il battesimo, manda ispirazioni e aiuti per ridestare e rimuovere l’anima lontana dallo stesso Signore, affinché non lo dimentichi né si scordi di se stessa mentre è priva della sua amabile presenza. Anzi continui la sua strada sino a giungere al bene desiderato, dove troverà la pienezza del suo amore e dei suoi desideri.

774. Potrai, dunque, capire quanto grande sia la cecità dei mortali e quanto scarso il numero di coloro che si concedono il tempo di considerare attentamente l’ordine meraviglioso della loro creazione e giustificazione e le opere che l’Altissimo ha compiuto per così alto fine. A questa dimenticanza fanno seguito tanti mali, quanti ne soffrono le creature attaccandosi al possesso dei beni terreni e dei piaceri ingannevoli, come se questi fossero la loro felicità e il fine ultimo: è cattiveria grande, rivolta contro la volontà del Signore. I mortali vogliono in questa breve e transitoria vita dilettarsi di ciò che è visibile, come se fosse il loro ultimo fine, mentre dovrebbero usare le creature come mezzo per raggiungere il sommo Bene e non per perderlo. Avverti, dunque, o carissima, questo rischio della stoltezza umana. Tutto ciò che è dilettevole, piacevole e poco serio giudicalo un errore; di’ all’appagamento dei sensi che si lascia ingannare invano e che è madre della stoltezza, rende il cuore ubriaco, impedisce e distrugge tutta la vera sapienza. Vivi sempre con il santo timore di perdere la vita eterna e sino a quando non l’avrai raggiunta non ti rallegrare in altre cose se non nel Signore. Fuggi dalle conversazioni umane e temine i pericoli. Se per obbedienza o a gloria sua Dio ti porrà in mezzo ad essi, devi confidare nella sua protezione, e tuttavia con la necessaria prudenza non devi essere né svogliata né negligente. Non ti affidare all’amicizia e alla relazione con le creature, perché vi è riposto il tuo pericolo più grande. Il Signore ti ha dato un animo grato e un’indole dolce, affinché tu sia incline a non resistergli nelle sue opere, usando per suo amore i benefici che ti ha concesso. Se permetterai che in te entri l’amore delle creature, queste sicuramente ti trasporteranno, allontanandoti dal sommo Bene. Altererai, così, l’ordine e le opere della sua sapienza infinita. È cosa molto indegna utilizzare il più grande beneficio della natura con un oggetto che non sia il più nobile di tutta la natura stessa. Sublima le azioni delle tue facoltà e rappresenta ad esse l’oggetto nobilissimo dell’essere di Dio e del suo Figlio diletto tuo sposo, il più bello tra i figli dell’uomo, e amalo con tutto il tuo cuore, la tua anima e la tua mente.

792. Figlia mia, l’Altissimo, buono e clemente, ha dato e continua a dare l’esistenza a tutti gli esseri viventi, non nega ad alcuno la sua provvidenza e illumina fedelmente ogni uomo, affinché possa intraprendere il cammino della conoscenza di Lui e poi entrare nel gaudio perenne, se non oscura questa luce con le sue colpe, abbandonando la conquista del regno dei cieli. Dio, con le anime che per i suoi segreti giudizi chiama a far parte della Chiesa, si dimostra più generoso. Nel battesimo, infatti, comunica loro con la grazia le virtù “infuse essenzialmente”, dette così perché nessuno può acquistarle da se stesso, e quelle “infuse accidentalmente”, che cioè potrebbero ottenere con le opere. Egli le anticipa loro perché siano più pronte e devote nell’osservare la sua santa legge. Ad alcune, oltre alla fede, la sua benevolenza aggiunge speciali doni soprannaturali di maggior intelligenza e forza per comprendere e attuare i comandamenti evangelici. In questo favore si è mostrato verso di te più liberale di quanto non lo sia stato con molte generazioni; perciò ti devi contraddistinguere nella carità e nella corrispondenza che gli spetta, stando sempre umiliata e abbracciata alla polvere.

793. Con la sollecitudine e l’affetto di una madre, ti voglio insegnare l’astuzia con la quale satana si sforza di distruggere questi benefici dell’Onnipotente. Da quando le creature cominciano a usare la ragione, molti demoni le seguono una per una con vigilanza e, proprio nel momento in cui esse dovrebbero innalzare la mente alla cognizione di Dio e iniziare ad esercitare le virtù ricevute, con incredibile furore e sagacia tentano di sradicare la semenza divina. Se non ci riescono, fanno in modo che questa non dia frutto, incitando gli uomini ad atti viziosi, inutili e infantili. Li distraggono con tale iniquità perché non si servano della fede, della speranza e di quanto ancora è stato loro elargito, non si ricordino che sono cristiani e non cerchino di conoscere il loro Dio, i misteri della redenzione e della vita eterna. Inoltre, questi nemici introducono nei genitori una stolta inavvertenza o un cieco amore carnale verso i propri figli e spingono i maestri ad altre negligenze, affinché non si preoccupino della maleducazione, permettano loro di corrompersi e di acquisire cattive consuetudini e di perdere le loro buone inclinazioni, avviandosi così alla rovina.

794. Il pietosissimo Signore, però, non tralascia di ovviare a questo rischio. Rinnova loro la luce interiore con altri aiuti e sante ispirazioni, con la dottrina della Chiesa attraverso i suoi predicatori e ministri, con l’uso e il rimedio efficace dei sacramenti, e con altri mezzi che servono a ricondurli sulla via della salvezza. Se nonostante questi numerosi provvedimenti sono pochi coloro che tornano alla salute spirituale, la causa di ciò sta nell’empia legge dei vizi e nelle abitudini depravate che si prendono durante la fanciullezza. Siccome è vera la sentenza: «Quali furono i giorni della gioventù, tale sarà anche la vecchiaia», i diavoli acquistano sempre più coraggio e potere sulle anime. Pensano, infatti, che, come le dominavano quando esse avevano commesso meno e minori colpe, così lo potranno fare con più facilità quando senza timore si saranno macchiate di molte altre e più gravi. Poi le muovono alla trasgressione e le colmano d’insensata audacia. Ciascun peccato compiuto da una persona toglie a questa forze interiori e la soggioga maggiormente a satana che, come tiranno, se ne impossessa e l’assoggetta a tale malvagità e meschinità da schiacciarla sotto i piedi della sua iniquità; quindi la conduce dove vuole, da un precipizio a un altro. Questo è il castigo che spetta a chi la prima volta si sottomette a lui. Così Lucifero continuamente trascina all’inferno un gran numero di uomini, sollevandosi sempre di più contro l’Altissimo nella sua superbia. Per tale via ha introdotto nel mondo la sua prepotenza, facendo dimenticare agli uomini i “novissimi”: morte, giudizio, inferno e gloria; ha gettato tante nazioni di abisso in abisso, sino a farle cadere in errori così ciechi e bestiali quanto quelli che contengono tutte le eresie e le false sette degli infedeli. Pensa, dunque, figlia mia, a un pericolo così grande e non scordarti mai dei precetti di Dio e delle verità cattoliche. Non ci sia giorno in cui tu non mediti su questo; consiglia alle tue religiose e a tutti coloro ai quali parlerai di fare lo stesso, perché il nemico, il diavolo, si affatica e veglia per oscurare il loro intelletto e deviarlo dalla legge divina, affinché l’intelligenza non indirizzi la volontà, potenza cieca, a compiere gli atti per la giustificazione, che si consegue tramite viva fede, speranza certa, amore fervente e cuore contrito e umiliato.

“Maria di Ágreda, nata María Fernández Coronel y Arana (Ágreda, 2 aprile 1602Ágreda, 24 maggio 1665), è stata  una mistica, cattolica, spagnola, appartenente all’ordine delle monache Concezioniste francescane con il nome “Maria di Gesù di Ágreda“.

È stata un’originalissima figura di donna, religiosa, mistica e scrittrice della Spagna del XVII secolo; è in corso il processo di beatificazione; la Chiesa cattolica le ha attribuito il titolo di venerabile.”

Beato John Henry Newman: “I cristiani – avendo Cristo nel cuore – sorreggono il mondo (Amor meus crucifixus est). Più ci avviciniamo a Lui, più entra in noi; più abita in noi, più intimamente lo possediamo… Ecco, perché è così facile per noi morire per la nostra fede, tanto da stupire il mondo… Perché non ti avvicini a Lui?”

Nel romanzo “Callista”, Newman ha dimostrato cosa intende dire quando parla della “profonda ferita della natura umana” nel dialogo tra Callista e il prete Cecilio (che in realtà è Cipriano, Vescovo di Cartagine):

“Vuol dire – disse Callista con calma – che dopo questa vita finirò nel Tartaro per l’eternità?

– Tu sei felice? – chiese il sacerdote a sua volta.

Callista indugiò, abbassò gli occhi e poi disse con voce chiara e profonda:

– No.

Abbi il coraggio di guardare in faccia la realtà. Ogni giorno che passa senti su di te un peso in più. Questa è la legge della nostra vita terrena… Non puoi rifiutare di accettare ciò che non è un’opinione ma un fatto.

Voglio dire che questo peso di cui parlo non è solo un dogma della nostra fede, ma un fatto naturale innegabile. E i nostri sentimenti non potranno mai cambiarlo; anche se tu vivessi duecento anni, constateresti che è sempre più vero. Alla fine dei duecento anni, la tua infelicità sarebbe tale da non far rallegrare neppure i tuoi peggiori nemici….

– Ma tu non vivrai tanto, dovrai morire. Forse mi risponderai che così cesserai d’esistere. So però che non la pensi così. Tu pensi, come me e come una moltitudine d’altri individui, che continuerai a vivere, che continuerai ad esistere.

– Se, d’altra parte – continuò Cecilio, senza badare alla sua interruzione – tutti i tuoi pensieri seguono una stessa direzione; se tutti i tuoi bisogni, desideri, aspirazioni sono rivolti a un solo oggetto, e suppongono, per il fatto stesso della loro esistenza, che esista anche tale oggetto; e se niente in questo mondo può appagarli, e se una dottrina ti dice che vengono da quell’oggetto che hai presentito e di cui ti parlano, e così sono una risposta alla tua brama; e se quelli che hanno accettato quella risposta dicono che è soddisfacente; allora,Callista, non ti sentirai obbligata almeno a guardare quella soluzione, a esaminare ciò che ti hanno detto, e a chiedere il suo aiuto, se può darti la forza di credere in Lui?

– E’ ciò che mi diceva una mia vecchia schiava – commentò improvvisamente Callista -… Qual è il vostro rimedio, il vostro oggetto, il vostro amore, o maestro cristiano?…

Cecilio tacque un momento, come se non trovasse la risposta. Alla fine disse:

– Ogni individuo si trova nella tua situazione. Purtroppo, non amiamo l’unico amore che dura per sempre.

Noi amiamo le realtà che passano, che finiscono. Dato che le cose stanno così, colui che dovremmo amare ha deciso di riportarci a sé. Per questo, è venuto in questo mondo, sotto forma di uomo. E sotto questa forma umana, ci apre le braccia e cerca di farci tornare a Lui, nostro Creatore. Questa è la nostra fede, questo è il nostro amore, Callista…

È il solo che ama le anime – disse con foga Cecilio – ed ama ciascuno di noi come se fosse l’unica persona da amare. È morto per ciascuno di noi come se fossimo l’unica persona per cui morire. È morto su una croce obbrobriosa. “Amor meus crucifixus est”. L’amore ispirato da Lui dura per sempre, perché è l’amore dell’immutabile. È un amore che appaga perfettamente, perché è inesauribile. Più ci avviciniamo a Lui, più entra in noi; più abita in noi, più intimamente lo possediamo… Ecco, perché è così facile per noi morire per la nostra fede, tanto da stupire il mondo… Perché non ti avvicini a Lui? Perché non lasci le creature per il creatore?

Sì, la separazione dal creatore, che mette il creato al posto di Dio, questa è “la profonda ferita della natura umana”, quella ferita di cui il mondo si gloria ma che minaccia la caduta del mondo. Eppure il mondo, simile a un bambino piagnucoloso che allontana dalla sua bocca la medicina necessaria per la sua guarigione e mena colpi alla sua mamma che gliela porge, non solo rifiuta il rimedio per la sua ferita mortale, ma arriva persino a perseguitare il datore del rimedio.

Sì, sono i cristiani che sorreggono il mondo, con la loro comunione in Cristo, la loro santità, il loro vivere nel mondo senza appartenere al mondo, col dare tutto per amore di Cristo, disposti a perdere tutto pur di restare con Lui, in una parola, seguendo colui dal quale hanno ereditato il proprio nome. Sì, malgrado le forze contrarie, i cristiani – avendo Cristo nel cuore – sorreggono il mondo, non a guisa di una fascia che stringe insieme una ferita, ma come un nutrimento e una cura attenta che aiuta la ferita a guarire dal di dentro.”

(Beato John Henry Newman,Callista, Paoline, Roma 1983, p. 126-129.)

San Bernardo di Chiaravalle: “Quando Dio ama, altro non desidera che essere amato. Non per altro ama, se non per essere amato, sapendo che coloro che l’ameranno si beeranno di questo stesso amore”

L’amore dello Sposo, anzi lo Sposo-amore cerca soltanto il ricambio dell’amore e la fedeltà.

San Bernardo di Chiaravalle:

L’amore è sufficiente per se stesso, piace per se stesso e in ragione di sé. È se stesso merito e premio. L’amore non cerca ragioni, non cerca vantaggi all’infuori di sé. Il suo vantaggio sta nell’esistere.

Amo perché amo, amo per amare. Grande cosa è l’amore se si rifà al suo principio, se ricondotto alla sua origine, se riportato alla sua sorgente. Di là sempre prende alimento per continuare a scorrere.

L’amore è il solo tra tutti i moti dell’anima, tra i sentimenti e gli affetti, con cui la creatura possa corrispondere al Creatore, anche se non alla pari; l’unico con il quale possa contraccambiare il prossimo e, in questo caso, certo alla pari.

Quando Dio ama, altro non desidera che essere amato. Non per altro ama, se non per essere amato, sapendo che coloro che l’ameranno si beeranno di questo stesso amore. L’amore dello Sposo, anzi lo Sposo-amore cerca soltanto il ricambio dell’amore e la fedeltà. Sia perciò lecito all’amata di riamare. Perché la sposa, e la sposa dell’Amore non dovrebbe amare? Perché non dovrebbe essere amato l’Amore?

Giustamente, rinunziando a tutti gli altri suoi affetti, attende tutta e solo all’Amore, ella che nel ricambiare l’amore mira a uguagliarlo. Si obietterà, però, che, anche se la sposa si sarà tutta trasformata nell’Amore, non potrà mai raggiungere il livello della fonte perenne dell’amore. È certo che non potranno mai essere equiparati l’amante e l’Amore, l’anima e il Verbo, la sposa e lo Sposo, il Creatore e la creatura. La sorgente, infatti, dà sempre molto più di quanto basti all’assetato.

Ma che importa tutto questo? Cesserà forse e svanirà del tutto il desiderio della sposa che attende il momento delle nozze, cesserà la brama di chi sospira, l’ardore di chi ama, la fiducia di chi pregusta, perché non è capace di correre alla pari con un gigante, gareggiare in dolcezza col miele, in mitezza con l’agnello, in candore con il giglio, in splendore con il sole, in carità con colui che è l’Amore? No certo.

Sebbene infatti la creatura ami meno, perché è inferiore, se tuttavia ama con tutta se stessa, non le resta nulla da aggiungere. Nulla manca dove c’è tutto. Perciò per lei amare così è aver celebrato le nozze, poiché non può amare così ed essere poco amata. Il matrimonio completo e perfetto sta nel consenso dei due, a meno che uno dubiti che l’anima sia amata dal Verbo, e prima e di più.”

(San Bernardo di Chiaravalle, abate  e Dottore della Chiesa, Dai “Discorsi sul Cantico dei Cantici”)