Rivelazioni di Dio Padre a Santa Caterina da Siena “Gesù è il ponte, la Via per la salvezza…disse Egli: «Io sono via, verità, e vita; chi va per me non va per le tenebre ma per la luce» Quelli che seguono questa via sono figli della verità, perché seguono la verità, e passano per la porta della verità, e trovansi in me, unito con la porta e via del mio Figlio, Verità eterna, mare pacifico”

“Dal Dialogo della divina Provvidenza: le rivelazioni di Dio Padre a Santa Caterina da Siena”

PARLA DIO PADRE:

E passato il ponte si giogne alla porta, la quale porta è esso ponte, per la quale tutti vi conviene entrare. (Gv 10,9) E però disse egli: «Io sono via, verità, e vita; chi va per me non va per le tenebre ma per la luce».

E in altro luogo disse la mia Verità che nessuno poteva venire a me se non per lui, (Gv 14,6 Jn 8,12) e così è.

E, se bene ti ricorda, così ti dissi e mostrato te l’ ho, volendoti fare vedere la via. Così, se egli dice che è via, egli dice la verità; e già te gli ho mostrato che egli è via, in forma d’uno ponte. E dice che è verità, e così è, perciò che egli è unito con me che sono somma Verità, e chi lo segue va per la verità.

Ed è vita, e chi segue questa verità riceve la vita della grazia e non può perire di fame, perché la Verità vi s’è fatto cibo; né può cadere in tenebre perché egli è luce, privato della bugia, anco con la verità confuse e distrusse la bugia del demonio, la quale egli disse ad Eva. La quale bugia ruppe la strada del cielo e la Verità l’ha racconcia e murata col sangue.

Quegli che segueno questa via sono figli della verità, perché segueno la verità, e passano per la porta della verità, e trovansi in me, unito con la porta e via del mio Figlio, Verità eterna, mare pacefico.

Ma chi non tiene per questa via tiene di sotto per lo fiume, il quale è via non posta con pietre ma con acqua. E perché l’acqua non ha ritegno alcun, nessuno vi può andare che non annieghi.

Cosí sono fatti i diletti e gli stati del mondo (23v), e perché l’affetto non è posto sopra la pietra, (Mt 7,24-27) ma è posto con disordinato amore nelle creature e nelle cose create, amandole e tenendole fuore di me, ed elle son fatte come l’acqua che continuamente corre, così corre l’uomo come elleno; ben che a lui pare che corrano le cose create che egli ama, ed egli è pure egli che continuamente corre verso il termine della morte. Vorrebbe tenere sé, cioè la vita sua e le cose che egli ama, che non corrissero venendogli meno: o per la morte, che egli lassi loro, o per mia dispensazione, che le cose create siano tolte dinanzi alle creature; ed egli non può tenerle.

Costoro segueno la bugia, tenendo per la via della bugia, e sono figli del demonio il quale è padre delle bugie (Gv 8,4) e perché passano per la porta della bugia ricevono eterna dannazione. Sì che vedi che Io ti ho mostrata la verità e mostrata la bugia, cioè la via mia che è verità, e quella del demonio che è bugia.

Queste sono due strade, e per ciascuna si passa con fatica.

Mira quanta è l’ignoranza e cecità dell’uomo che, essendogli fatta la via, vuole tenere per l’acqua. La quale via è di tanto diletto a coloro che vanno per essa, che ogni amarezza lo’ diventa dolce e ogni grande peso lo’ diventa leggiero. (Mt 11,30) Essendo nelle tenebre del corpo trovano il lume, ed essendo mortali trovano la vita immortale, gustando per affetto d’amore, col lume della fede, la Verità eterna che promette di dare refrigerio a chi s’affatica per me che sono grato e conoscente e sono giusto, che a ognuno rendo giustamente secondo che merita, così ogni bene è remunerato e ogni colpa punita.

Lo diletto che ha colui che va per questa via non sarebbe la lingua tua sufficiente a poterlo narrare, né l’orecchie a poterlo udire, né l’occhio a poterlo vedere, poiché in questa vita gusta e participa di quello bene che gli è apparecchiato nella vita durabile. (1Co 2,9) Bene è (24r) dunque matto colui che schifa tanto bene ed sceglie innanzi di gustare in questa vita la caparra de l’inferno tenendo per la via di sotto dove va con molte fatiche e sanza nessuno refrigerio e senza alcun bene; poiché per lo peccato loro sono privati di me che sono sommo ed eterno bene.

Bene hai dunque ragione, e voglio, che tu e gli altri servi miei stiate in continua amarezza per le offese fattemi., e compassione della ignoranza e danno loro, con la quale ignoranza m’offendono.

Ora hai veduto e udito del ponte come egli sta, e questo ho detto per dichiarare quello che Io ti dissi, che era ponte l’unigenito mio Figlio, e così vedi che è la verità, fatto nel modo che Io ti ho detto cioè unita l’altezza con la bassezza.

Poi che l’unigenito mio Figlio ritornò a me doppo la resurrezione quaranta dì, questo ponte si levò dalla terra, cioè dalla conversazione degli uomini, e salse in cielo per la virtù della natura mia divina, e siede dalla mano dritta di me, Padre eterno. Sì come disse l’angelo ai discepoli il dì dell’ascensione stando quasi come morti, perché i cuori loro erano levati in alto e saliti in cielo colla Sapienza del mio Figlio.

Disse: «Non state più qui, ché egli siede dalla mano dritta del Padre». (Ac 1,11) Levato in alto e tornato a me, Padre, Io mandai il maestro, cioè lo Spirito santo, il quale venne con la potenza mia e con la sapienza del mio Figlio, e con la clemenza sua, d’esso Spirito santo. (Let94) Egli è una cosa con me Padre e col Figlio mio. Così fortificò la via della dottrina che lassò la mia Verità nel mondo. E però, partendosi la presenza, non si partì la dottrina né le virtù, vere pietre fondate sopra questa dottrina, la quale è la via che v’ha fatto questo dolce e glorioso ponte. Prima adoperò egli e con le sue opere fece la via, dando la dottrina a voi per esempio più che per parole; anco prima fece che egli dicesse. (Ac 1,1) Questa dottrina certificò la clemenza dello Spirito santo, (Let 164) fortificando le menti dei discepoli a confessare la verità e annunziare questa via, cioè la dottrina (24v) di Cristo crocifisso, riprendendo per mezzo di loro il mondo delle ingiustizie e dei falsi giudicii, delle quali ingiustizie e giudicio di sotto più distesamente ti narrarò. (Jn 16,8; § 35 -XXXVI) Ti ho detto questo affinché nelle menti di chi ode non potesse cadere veruna tenebre che obfuscasse la mente, cioè che volessero dire che di questo corpo di Cristo se ne fece ponte per l’unione della natura divina unita con la natura umana; questo vedo che egli è la verità. Ma questo ponte si partì da noi salendo in cielo. Egli c’era una via che c’insegnava la verità, vedendo l’esempio e costumi suoi, ora che ci è rimaso? e dove truovo la via? Dicotelo, cioè dico a coloro a cui cadesse questa ignoranza.

La via della dottrina sua, la quale Io ti ho detta, confermata dagli apostoli e dichiarata nel sangue dei martiri, illuminata col lume dei dottori e confessata per li confessori, e trattane la carta per gli evangelisti, i quali stanno tutti come testimoni a confessare la verità nil corpo mistico della santa Chiesa. (Ep 4,7-12; § 85 ,1993) Essi sono come lucerna posta in sul candelabro (Mt 5,15 Mc 4,21 Lc 8,16) per mostrare la via della verità, la quale conduce a vita con perfetto lume, come detto ti ho.

E come te la dicono? Per prova, perché l’hanno provata in loro medesimi. Sì che ogni persona è illuminata in conoscere la verità, se egli vuole, cioè che egli non si voglia togliere il lume della ragione col proprio disordinato amore. Sì che egli è verità che la dottrina sua è vera, ed è rimasa come navicella a trare l’anime fuore del mare tempestoso e conducerle a porto di salvezza.

Sì che in prima Io vi feci il ponte del mio Figlio attualmente, come ho detto, conversando con gli uomini; e levato il ponte attuale rimase il ponte e la via della dottrina, como detto è, essendo la dottrina unita con la potenza mia, con la sapienza del Figlio e con la clemenza dello Spirito santo.

Questa potenza dà virtù di fortezza a chi segue questa via, la sapienza gli dà lume (25r) che in essa via conosce la verità, e lo Spirito santo gli dà amore, il quale consuma e tolle ogni amore sensitivo dell’anima, e solo gli rimane l’amore delle virtù. Sì che in ogni modo, o attuale o per dottrina, egli è via verità e vita, la quale via è il ponte che vi conduce all’altezza del cielo.

Questo volse egli dire quando disse: «Io venni dal Padre e ritorno al Padre» e «tornerò a voi». (Jn 16,28) Cioè a dire: il Padre mio mi mandò a voi e àmmi fatto vostro ponte affinché esciate del fiume e potiate arrivare alla vita. Poi dice: «E tornarò a voi: Io non vi lassarò orfani ma mandaròvi lo Paraclito». (Jn 14,18 Jn 14,26) Quasi dicesse la mia Verità: Io n’andarò al Padre e tornarò, cioè che, venendo lo Spirito santo, il quale è detto Paraclito, vi mostrerà piú chiaramente e vi confermerà me, via di verità, cioè la dottrina che io vi ho data.

Disse che tornarebbe ed egli tornò, poiché lo Spirito santo non venne solo, ma venne con la potenza di me Padre, con la sapienza del Figlio, e con essa clemenza di Spirito santo. (Let94) Vedi dunque che torna, non attualmente ma con la virtù come detto ti ho, fortificando la strada della dottrina. La quale via e strada non può venire meno, né essere tolta a colui che la vuole seguire, perché ella è ferma e stabile e procede da me che non mi muovo.

Perciò virilmente dovete seguire la via e senza alcuna nuvola, ma col lume della fede, la quale v’è data per principale vestimento nel santo battesimo.

Ora ti ho mostrato a pieno e dichiarato il ponte attuale e la dottrina, la quale è una cosa insieme col ponte; ed ho mostrato all’ignorante chi gli manifesta questa via, che ella è verità, e dove stanno coloro che la ‘nsegnano. E dissi che erano gli apostoli ed evangelisti, martiri e confessori e santi dottori, posti nel luogo della santa Chiesa come lucerne. (Mt 5,14-15) E Ti ho mostrato e detto come venendo a me egli tornò a voi, non presenzialmente ma con (25v) la virtù, come detto è, cioè venendo lo Spirito santo sopra discepoli, poiché presenzialmente non tornarà se non ne l’ultimo dì del giudicio, quando verrà colla mia maestà e potenza divina a giudicare il mondo, e a rendere bene ai buoni e remunerargli delle loro fatiche, l’anima e il corpo insieme, e a rendere male di pena eternale a coloro che iniquamente sono vissuti nel mondo.

Ora ti voglio dire quello che Io, Verità, ti promisi, § 22 ,398) cioè di mostrarti quelli che vanno imperfettamente e quelli che vanno perfettamente e altri con la grande perfezione, e in che modo vanno; e gli iniqui che con le iniquità loro s’anniegano nel fiume, giungendo ai crociati tormenti.

Ora dico a voi, carissimi figli miei, che voi teniate sopra il ponte e non di sotto, poiché quella non è la via della verità, anco è quella della bugia dove vanno gl’iniqui peccatori, per li quali Io vi prego che voi mi preghiate, e per li quali Io vi richiedo lacrime e sudori, affinché da me ricevano misericordia. –

Allora quell’anima, quasi come ebbra, non si poteva tenere, ma quasi stando nel cospetto di Dio diceva: – O eterna misericordia, la quale ricopri i difetti delle tue creature, non mi maraviglio che tu dica di coloro che escono del peccato mortale e tornano a te: «Io non mi ricordarò che tu m’offendessi mai». (Jr 31,34 Ez 18,21-22 He 10,17) O misericordia ineffabile, non mi maraviglio che tu dica questo a coloro che escono dal peccato, quando tu dici di coloro che ti persegueno; «Io voglio che mi preghiate per loro, affinché Io lo’ facci misericordia».

O misericordia, la quale esce dalla deità tua, Padre eterno, la quale governa con la tua potenza tutto quanto il mondo! Nella misericordia tua fummo creati; nella misericordia tua fummo ricreati nel sangue del tuo Figlio.

La misericordia tua ci conserva. La misericordia tua fece giocare in sul legno della croce il Figlio tuo alle braccia, giocando la morte con la vita e la vita con la morte. E allora la vita (26r) sconfisse la morte della colpa nostra, e la morte della colpa tolse la vita corporale allo immacolato Agnello. Chi rimase vénto? La morte. Chi ne fu cagione? La misericordia tua.

La tua misericordia dà vita; ella dà lume per mezzo del quale si conosce la tua clemenza in ogni creatura, nei giusti e nei peccatori. Nell’altezza del cielo riluce la tua misericordia, cioè nei santi tuoi. Se io mi vollo alla terra, ella abonda della tua misericordia. Nelle tenebre dell’inferno riluce la tua misericordia non dando tanta pena ai dannati quanta meritano.

Con la misericordia tua mitighi la giustizia; per misericordia ci hai lavati nel sangue; per misericordia volesti conversare con le tue creature. O pazzo d’amore: non ti bastò incarnare, che anco volesti morire? Non bastò la morte, che anco descendesti all’inferno, traendone i santi padri, per adempire la tua verità e misericordia in loro? Poiché la tua bontà promette bene a coloro che ti servono in verità, imperò discendesti al limbo per trare di pena chi t’aveva servito, e renderlo’ il frutto delle loro fatiche! La misericordia tua vedo che ti costrinse a dare anco più a l’uomo, cioè lassandoti in cibo affinché noi debili avessimo conforto, e gl’ignoranti smemorati non perdessero la ricordanza dei benefici tuoi. § 112 E però lo dài ogni dì a l’uomo, rappresentandoti nel sacramento dell’altare nil corpo mistico della santa Chiesa. Questo chi l’ha fatto? La misericordia tua.

O misericordia! Il cuore ci s’affoga a pensare di te, ché ovunque io mi vollo a pensare non truovo altro che misericordia. O Padre eterno, perdona all’ignoranza mia, che ho presunto di favellare innanzi a te, ma l’amore della tua misericordia me ne scusi dprima della benignità tua.

Ho voluto che l’abbi gustata questa misericordia ed anco la dignità dell’uomo la quale di sopra ti mostrai, affinché tu meglio conosca la crudeltà e la indegnità degl’iniqui uomini che tengono per la via di sotto.

Apre l’occhio dell’intelletto e mira costoro che volontariamente s’annegano, e mira in quanta indegnità essi sono caduti per le colpe loro.

Prima è che essi sono diventati infermi, e questo si è quando concepirono il peccato mortale nelle menti loro; poi lo partoriscono e perdono la vita della grazia.

E come il morto, che nessuno sentimento può adoperare, né si muove da se medesimo, se non quanto egli è levato da altrui, così costoro, che sono annegati nel fiume de l’amore disordinato del mondo, sono morti a grazia. E perché essi sono morti, la memoria non ritiene il ricordo della mia misericordia; l’occhio dell’intelletto non vede né conosce la mia verità, perché il sentimento è morto, cioè che l’intelletto non s’ha posto dinanzi altro che sé, con l’amore morto della propria sensualità. E però la volontà ancora è morta alla volontà mia, perché non ama altro che cose morte.

Essendo morte queste tre facoltà, tutte le opere sue, e attuali e mentali, sono morte quanto che a grazia; e già non si può difendere da’nimici suoi, né aiutarsi per se medesimo, se non quanto è aiutato da me.

Bene è vero che ogni volta che (27r) questo morto, nel quale è rimasto solo il libero arbitrio, mentre che egli è nel corpo mortale dimanda l’aiuto mio, lo può avere, ma per sé non potrà mai.

Egli è fatto incomportabile a se medesimo e, volendo signoreggiare lo mondo, egli è signoreggiato da quella cosa che non è, cioè dal peccato. Il peccato è non nulla ed essi son fatti servi e schiavi del peccato.

Io gli feci arbori d’amore con vita di grazia, la quale ebbero nel santo battesimo, ed essi sono fatti arbori di morte, perché sono morti come detto ti ho.

Sai dove egli tiene la radice questo albero? Nell’altezza della superbia, la quale l’amore sensitivo proprio di loro medesimi nutre; il suo midollo è la impazienza, e il suo figlio è la indiscrezione. Questi sono quattro principali vizi che in tutto uccidono l’anima di colui il quale ti dissi che era albero di morte, perché n’hanno tratta la vita della grazia.

Dentro dall’albero si nutre uno verme di conscienzia, il quale, mentre che l’uomo vive in peccato mortale, è accecato dal proprio amore, e però poco lo sente.

I frutti di questo albero sono mortali: perché hanno tratto l’umore dalla radice della superbia, la tapinella anima è piena d’ingratitudine, così procede ogni male. E se ella fosse grata dei benefici ricevuti conoscerebbe me, e conoscendo me conoscerebbe sé e così starebbe nella mia carità; ma ella come cieca si va attaccando pure per lo fiume, e non vede che l’acqua non l’aspetta.

Tanto sono diversi i frutti di questo albero, che danno morte, quanto sono diversi i peccati. Alcuni ne vedi che sono cibi da bestie, e questi sono quelli che immondamente vivono, facendo del corpo e della mente loro come il porco che s’involle nel loto. Così s’invollono nel loto della carnalità – o anima brutta dove hai lasciata la tua dignità? tu eri fatta sorella degli angeli ora sei fatta animale bruto – in tanta miseria che non tanto che siano sostenuti da me, che sono somma purezza, ma i demoni, di (27v) cui essi sono fatti amici e servi, non possono vedere commettere tanta immondizia.

Alcun peccato è che tanto sia abominevole e tanto tolga il lume dell’intelletto all’uomo quanto questo…..

Come dunque daranno la vita per la salvezza delle anime, quando non danno la sustanzia? come daranno la carità, quando essi si rodono per invidia? O miserabili vizi, i quali atterrano il cielo dell’anima. «Cielo» la chiamo, perché Io la feci cielo dove Io abitavo per grazia, celandomi dentro da lei, e facendo mansione per affetto d’amore. Ora s’è partita da me sì come adultera, amando sé le creature e le cose create più che me. Anco di sé s’ha fatto Dio, e me persegue (Ac 9,4 Ac 22,7 Ac 26,14) con molti e diversi peccati. E tutto questo fa perché non ripensa il beneficio del sangue sparto con tanto fuoco d’amore……

….questo volse dire la mia Verità quando disse: «Io mandarò il Paraclito, che riprenderà il mondo della ingiustizia e del falso giudicio». (Jn 16,8) Allora fu ripreso, quando mandai lo Spirito santo sopra gli appostoli.

Tre reprensioni sono. L’una fu data quando lo Spirito santo venne sopra i discepoli, come detto è, i quali fortificati dalla potenza mia, illuminati dalla sapienza del Figlio mio diletto, tutto ricevettono nella plenitudine dello Spirito santo. Allora lo Spirito santo, che è una cosa con me e col Figlio mio, riprendette il mondo, per la bocca dei discepoli, con la dottrina della mia Verità. (Ac 2,22-36) Essi e tutti gli altri che sono discesi da loro, seguendo la verità, la quale intesero per mezzo di loro, riprendono il mondo.

Questa è quella continua reprensione che Io fo al mondo col mezzo della santa Scrittura e dei servi miei ponendosi lo Spirito santo nelle lingue loro, annunziando la verità, sì come il demonio si pone in su la bocca dei servi suoi, cioè di coloro che passano per lo fiume iniquamente.

Questa è quella dolce reprensione posta continua nel modo detto, per grandissimo affetto d’amore che Io ho alla salvezza delle anime.

E non possono dire «io non ebbi chi mi riprendesse», poiché già l’è mostrata la verità, mostrandolo’ il vizio e la virtù e fattolo’ vedere il frutto della virtù e il danno del vizio, per darlo’ amore e timore santo con odio del vizio e amore della virtù. E già non l’è stata mostrata questa dottrina e verità per angelo, affinché non possano dire «l’angelo è spirito beato e non può offendere, e non sente le molestie della carne come noi, né la gravezza del corpo nostro». Questo l’ è tolto che non lo possono dire, perché l’è stata data da la mia Verità, Verbo incarnato con la carne vostra mortale.

Chi sono stati gli altri che hanno seguito questo Verbo? Creature mortali e passibili come voi, con la lotta della carne contro lo spirito, sì come ebbe il glorioso San Paolo mio banditore, (2Co 12,7) e così di molti altri santi i quali, chi da una cosa chi da un’altra, sono stati passionati. Le quali passioni Io permettevo e permetto per accrescimento di grazia e per aumentare la virtù nell’anime loro. E così nacquero di peccato come voi, e nutriti d’uno medesimo cibo; e così sono Dio Io ora come allora: non è infermata né può infermare la mia potenza, sì che Io posso sovvenire e voglio e so sovvenire a chi vuol essere sovvenuto da me. Allora vuole essere sovvenuto da me quando esce del fiume dl peccato e va per lo ponte, seguendo la dottrina della mia Verità.

Sì che non hanno scusa, poiché sono ripresi ed è loro mostrata la verità continuamente. Così se essi non si correggeranno mentre che essi hanno il tempo, saranno condannati nella seconda reprensione, la quale si farà ne l’ultima estremità della morte, dove grida la mia giustizia dicendo: “Surgite mortui, venite ad giudicium” (Mi 6,1); cioè: tu che sei morto alla grazia e morto giungi alla morte corporale, levati su e vieni dinanzi al sommo Giudice con la ingiustizia e falso giudicio tuo e col lume spento della fede. Il quale lume traesti acceso del santo battesimo, e tu lo spegnesti col vento della superbia e vanità di cuore, del quale facevi vela ai venti che erano contrari alla salvezza tua; e il vento della propria reputazione nutrivi con la vela dell’amore proprio, così correvi per lo fiume delle delizie e stati del mondo con la propria volontà, seguendo la fragile carne e le molestie e tentazioni del demonio. Il quale demonio con la vela della tua propria volontà t’ha menato per la via di sotto, la quale è uno fiume corrente, così t’ha condotto con lui insieme all’eterna dannazione. 

Questa seconda reprensione, carissima figlia, è in fatto perché è giunta all’ultimo dove non può avere rimedio, perché s’è condotta alla estremità della morte dove il verme della coscienza, del quale Io ti dissi ch’era accecato per il proprio amore che egli aveva di sé, ora, nel punto della morte, perché vede sé non potere uscire delle mie mani, questo verme comincia a vedere, e però rode con reprensione se medesimo, vedendo che per suo difetto è condotto in tanto male.

Se essa anima avesse lume che conoscesse e dolessesi della colpa sua, non per la pena dell’inferno che ne le segue, ma perché ha offeso me che sono somma ed eterna Bontà, anco trovarebbe misericordia.

Ma se passa il punto della morte senza lume, e solo col verme della coscienza e senza la speranza del sangue, o con propria passione dolendosi del danno suo più che per le offese fattemi., egli giunge all’eterna dannazione ed allora è ripreso crudelmente dalla mia giustizia, ed è ripreso della ingiustizia e dlo falso giudicio. E non tanto della ingiustizia e giudicio generale, il quale ha usato nel mondo generalmente in tutte le sue opere, ma molto maggiormente sarà ripreso della ingiustizia e giudicio particolare, il quale ha (30v) usato nell’ultimo, cioè d’avere posta, giudicando, maggiore la miseria sua che la misericordia mia. (Gn 4,13) Questo è quello peccato che non è perdonato né di qua né di là, perché non ha voluto, spregiando, la mia misericordia, (Mt 12,31-32) poiché più m’è grave questo che tutti gli altri peccati che egli ha commessi.

Così la disperazione di Giuda mi dispiacque più, e più fu grave al mio Figlio, che non fu il tradimento ch’egli gli fece. Sì che sono ripresi di questo falso giudicio, d’avere posto maggiore il peccato loro che la misericordia mia, e però sono puniti con i demoni e crociati eternamente con loro.

(dal “Dialogo della divina Provvidenza” di Santa Caterina da Siena”)

Rivelazioni di Dio Padre a Santa Caterina da Siena, IL Peccato, La Grazia, Il Libero arbitrio, Giustizia e Misericordia: “Morendo nella colpa del peccato mortale, la divina giustizia li mette all’inferno, nel fuoco il quale dura eternamente” “Mentre che avete il tempo, vi potete levare dalla puzza del peccato col vero pentimento e ricorrendo ai miei sacerdoti con i sacramenti”

“Dal Dialogo della divina Provvidenza: le rivelazioni di Dio Padre a Santa Caterina da Siena”

 

SULL’INCARNAZIONE DEL VERBO

– IL PECCATO, LA GRAZIA E IL LIBERO ARBITRIO, LA GIUSTIZIA E MISERICORDIA DI DIO –

PARLA DIO PADRE:

“E però donai il Verbo de l’unigenito mio Figlio, perché la massa de l’umana generazione era corrotta per lo peccato del primo uomo Adam; e però tutti voi, vaselli fatti di questa massa, eravate corrotti e non disposti ad avere vita eterna. Così per questo Io, altezza, unii me con la bassezza della vostra umanità, per rimediare alla corruzione e morte dell’umana generazione e per restituirla a grazia, la quale per lo peccato perdette. (1Gv 4,9-10) Non potendo Io sostenere pena, e della colpa voleva la divina mia giustizia che n’uscisse la pena, e non essendo sufficiente pur uomo a soddisfare – che se egli avesse pure in alcuna cosa soddisfatto, non soddisfaceva altro che per sé e non per l’altre creature che hanno in loro ragione; benché di questa colpa né per sé né per altrui poteva egli soddisfare, perché la colpa era fatta contro a me, che sono infinita bontà – volendo Io pure restituire l’uomo, il quale era indebolito, e non poteva soddisfare per la cagione detta e perché era molto indebolito, mandai il Verbo del mio Figlio vestito di questa medesima natura che voi, massa corrotta d’Adam, affinché sostenesse pena in quella natura medesima che aveva offeso; e sostenendo sopra il corpo suo fino all’obrobiosa morte della croce, placasse l’ira mia.

E così satisfeci alla mia giustizia e saziai la divina mia misericordia, la quale misericordia volse soddisfare la colpa dell’uomo e disponerlo a quel bene per mezzo del quale Io l’avevo creato. Sì che la natura umana unita con la natura divina fu sufficiente a soddisfare per tutta l’umana generazione, non solo per la pena che sostenne nella natura finita, cioè della massa d’Adam, ma per la virtù della deità eterna, natura divina infinita. Unita l’una natura e l’altra, ricevetti e accettai lo sacrificio del sangue de l’unigenito mio Figlio, intriso e impastato con la natura divina col fuoco della divina mia carità, la quale fu quello legame che il tenne confitto e chiavellato in croce.

Or per questo modo fu sufficiente a soddisfare la colpa la natura umana, solo per virtù della natura divina.

Per questo modo fu tolta la colpa del peccato d’Adam, e rimase solo il segno, cioè l’inclinazione al peccato, e ogni difetto corporale, sì come la conseguenza che rimane quando l’uomo è guarito della piaga.

Cosí la colpa d’Adamo, la quale menò marcia mortale: venuto il grande medico de l’unigenito mio Figlio, curò questo infermo, bevendo la medicina amara, la quale l’uomo bere non poteva perché era molto indebolito (Mt 9,12 Lc 5,31). Lui fece come baglia che piglia la medicina in persona del fanciullo, perché ella è grande e forte ed il fanciullo non è forte per potere portare l’amarezza. Sì che egli fu baglia, portando con la grandezza e fortezza della deità, unita con la natura vostra, l’amara medicina della penosa morte della croce, per sanare e dar vita a voi, fanciulli indeboliti per la colpa. Solo lo segno rimase del peccato originale, il quale peccato contraete dal padre e dalla madre quando sete concepiti da loro. Il quale segno si toglie dell’anima, bene che non a tutto, e questo si fa nel santo battesimo, il quale battesimo ha virtù e dà vita di grazia in virtù di questo glorioso e prezioso sangue.

Subito che l’anima ha ricevuto lo santo battesimo l’è tolto il peccato originale, e l’è infusa la grazia. E l’inclinazione al peccato, che è la conseguenza che rimane del peccato originale, come detto è, indebolisce, ma può l’anima frenarlo se ella vuole.

Allora il vasello dell’anima è disposto a ricevere e aumentare in sé la grazia, assai e poco; secondo che piacerà a lei di voler disporre se medesima, con affetto e desiderio, ad amare e servire me. Così si può disporre al male come al bene, non ostante che egli abbi ricevuta la grazia nel santo battesimo. Così, venuto il tempo della discrezione, per lo libero arbitrio può usare il bene e il male secondo che piace alla volontà sua.

Ed è tanta la libertà che ha l’uomo, e tanto è fatto forte per la virtù di questo glorioso sangue, che né demonio né creatura lo può costringere a una minima colpa, più che egli si voglia. Tolta gli fu la servitudine e fatto libero, affinché signoreggiasse la sua propria sensualità e avesse il fine per il quale era stato creato.

O miserabile uomo, che si diletta nel loto come fa l’animale, e non riconosce tanto beneficio quanto ha ricevuto da me! Più non poteva ricevere la miserabile creatura piena di tanta ignoranza.

Voglio che tu sappi, figlia mia, che per la grazia che hanno ricevuta, avendoli ricreati nel sangue de l’unigenito mio Figlio, e restituita a grazia l’umana generazione sì come detto ti ho non riconoscendola ma andando sempre di male in peggio e di colpa in colpa, sempre perseguendomi con molte ingiurie e tenendo tanto a vile le grazie che Io gli ho fatte e fo che non tanto che essi se le reputino a grazia, ma i lo’ pare ricevere alcune volte da me ingiuria, né più né meno come se Io volesse altro che la loro santificazione – dico che lo’ sarà più duro, e degni saranno di maggiore punizione. E così saranno più puniti ora, poi che hanno ricevuta la redenzione del sangue del mio Figlio, che innanzi la redenzione, cioè innanzi che fusse tolta via la marcia del peccato d’Adam. (Jn 15,22) Cosa ragionevole è che chi più riceve più renda, e più sia tenuto a colui da cui egli riceve. Molto era tenuto l’uomo a me per l’essere che Io gli avevo dato creandolo ad immagine e similitudine mia. Era tenuto di rendermi gloria, ed egli me la tolse e volsela dare a sé; per la qual cosa trapassò l’obedienzia mia posta a lui e diventommi nimico; ed Io con l’umiltà distrussi la superbia sua, umiliandomi e pigliando la vostra umanità, cavandovi della servitudine del demonio, e fecivi liberi. E non tanto che Io vi dessi libertà, ma, se tu vedi bene, l’uomo è fatto Dio e Dio è fatto uomo per l’unione della natura divina nella natura umana.

Questo è uno debito il quale hanno ricevuto, cioè il tesoro del sangue dove essi sono ricreati a grazia. Sì che vedi quanto essi sono più obligati a rendere a me dopo la redenzione che innanzi la redenzione. Sono tenuti di rendere gloria e loda a me, seguendo le vestigia della Parola incarnata de l’unigenito mio Figlio, e allora mi rendono debito d’amore di me e carità del prossimo, con vere e reali virtù, sì come di sopra ti dissi. Non facendolo, perché molto mi debbono amare, cadono in maggiore offesa, e però Io, per divina mia giustizia, rendo loro più gravezza di pena, dando loro l’eterna dannazione. Così molto ha più pena uno falso cristiano che uno pagano, e più lo consuma il fuoco senza consumare, per divina giustizia, cioè affligge; e affliggendo si sentono consumare col verme (16v) della coscienza, e nondimeno non consuma, (Mc 9,47) perché i dannati non perdono l’essere per alcun tormento che ricevano. Così Io ti dico che essi dimandano la morte e non la possono avere, perché non possono perdere l’essere. Perderon l’essere della grazia per la colpa loro, ma l’essere no.

Sì che la colpa è molto più punita dopo la redenzione del sangue che prima, perché hanno più ricevuto; e non pare che se n’aveggano né si sentano dei mali loro. Essi mi sono fatti nimici, avendoli reconciliati col mezzo del sangue del mio Figlio.

Uno rimedio ci ha, col quale Io placarò l’ira mia, cioè col mezzo dei servi miei, se solliciti saranno di costringermi con la lagrima e legarmi col legame del desiderio. Tu vedi che con questo legame tu mi possiedi legato, il quale legame Io ti diei perché volevo fare misericordia al mondo. E però do Io fame e desiderio nei servi miei verso l’onore di me e salvezza delle anime affinché, costretto dalle lacrime loro, mitighi il furore della divina mia giustizia. (Oraz XII 166ss.) Tolle dunque le lacrime il sudore tuo, e trale della fontana della divina mia carità, tu e gli altri servi miei, e con esse lavate la faccia alla sposa mia, ché Io ti prometto che con questo mezzo le sarà renduta la bellezza sua. Non con coltello né con guerra nei con crudeltà riavarà la bellezza sua, ma con la pace e umili e continue orazioni, sudori e lacrime gittate con veemente desiderio, dei servi miei. (Let 272; § 86 , 2142ss.) E cosí adempirò il desiderio tuo con molto sostenere gittando lume la pazienza vostra nelle tenebre degl’iniqui uomini del mondo. E non temete perché il mondo vi perseguiti, ché Io sarò per voi, e in nessuna cosa vi mancarà la mia Provvidenza.”…..

“Allora Dio, come ebbro d’amore verso la salvezza nostra, teneva modo da accendere maggiore amore e dolore in quella anima in questo modo, mostrando con quanto amore aveva creato l’uomo, sì come di sopra alcuna cosa dicemmo, e diceva: – Or non vedi tu che ognuno mi percuote, (Is 50,6 Ps 101,5) e Io li ho creati con tanto fuoco d’amore, e dotatili di grazia, e molti quasi infiniti doni ho dato a loro per grazia e non per debito? Or vedi figlia, con quanti e diversi peccati essi mi percuotono, e specialmente col miserabile e abominevole amore proprio di loro medesimi, da cui procede ogni male.”…..

Sappi che alcun può uscire delle mie mani, poiché Io sono colui che sono, (Ex 3,14) e voi non sete per voi medesimi, se non quanto siete fatti da me, il quale sono creatore di tutte le cose che participano essere, eccetto che del peccato che non è, e però non è fatto da me. E perché non è in me, non è degno d’essere amato. E però offende la creatura, perché ama quello che non debba amare, cioè il peccato, e odia me; ché è tenuta e obligata d’amarmi, ché sono sommamente buono e gli ho dato l’essere con tanto fuoco d’amore. Ma di me non possono uscire: o eglino ci stanno per giustizia, per le colpe loro, o eglino ci stanno per misericordia.

Apre dunque l’occhio dell’intelletto e mira nella mia mano, e vedrai ch’egli è la verità quello che Io ti ho detto. – Allora ella, levando l’occhio per obbedire al sommo Padre, vedeva nel pugno suo rinchiuso tutto l’universo mondo, dicendo Dio: – Figlia mia, or vedi e sappi che alcun me ne può essere tolto, poiché tutti ci stanno, o per giustizia o per misericordia (Tb 13,2 Sg 16,15) come detto è, poiché sono miei e creati da me, e amogli ineffabilmente. E però, non ostanti le iniquità loro, Io lo’ farò misericordia col mezzo dei servi miei, e adempirò la petizione tua, che con tanto amore e dolore me l’hai addimandata.”….

“E perché Io ti dissi che del Verbo de l’unigenito mio Figlio avevo fatto ponte, e così è la verità, voglio che sappiate, figli miei, che la strada si ruppe per lo peccato e disobbedienza di Adam, (Is 59,2) per sì fatto modo che alcun poteva arrivare a vita durabile, e non mi rendevano gloria per quel modo che dovevano, non participando quel bene per mezzo del quale Io gli avevo creati, e non avendolo non s’adempiva la mia verità.

Questa verità è che Io l’avevo creato ad imagine e similitudine mia perché egli avesse vita eterna, e participasse me e gustasse la somma ed eterna dolcezza e bontà mia. Per lo peccato suo non giungeva a questo termine, e non s’adempiva la verità mia; e questo era poiché la colpa aveva serrato il cielo e la porta della mia misericordia.

Questa colpa germinò spine e tribolazioni con molte molestie, la creatura trovò ribellione a se medesima: subito che l’uomo ebbe ribellato a me, esso medesimo si fu ribelle.

La carne ribellò subito contro lo spirito perdendo lo stato della innocenzia, e diventò animale immondo, e tutte le cose create le furono ribelle, dove in prima gli sarebbero state obbedienti se egli si fosse conservato nello stato dove Io lo posi. Non conservandosi, trapassò l’obedienzia mia e meritò morte eternale ne l’anima e nel corpo. (Gn 1,28 Gn 3,17-19) E corse, di subito che ebbe peccato, un fiume tempesto che sempre lo percuote con l’onde sue, portando fatiche e molestie da sé e molestie dal demonio e dal mondo. Tutti annegavate, poiché alcun, con tutte le sue giustizie, non poteva arrivare a vita eterna.

E però Io, volendo rimediare a tanti vostri mali, vi ho dato il ponte del mio Figlio, affinché passando il fiume non annegaste; il qual fiume è questo mare tempestoso di questa tenebrosa vita.

Vedi quanto è tenuta la creatura a me, e quanto è ignorante a volersi pure annegare e non pigliare il rimedio che Io gli ho dato.

Apre l’occhio dell’intelletto tuo e vedrai gli accecati e ignoranti; e vedrai gl’imperfetti, e perfetti che in verità seguono me, affinché tu ti doglia della dannazione degli ignoranti, e rallegrati della perfezione dei diletti figli miei. Ancora vedrai che modo tengono quelli che vanno a lume e quelli che vanno a tenebre.

Ma innanzi voglio che riguardi il ponte de l’unigenito mio Figlio, e vedi la grandezza sua che tiene dal cielo alla terra; cioè riguarda che è unita con la grandezza della deità la terra della vostra umanità. E però dico che tiene dal cielo alla terra: cioè per l’unione che Io ho fatto nell’uomo. Questo fu di necessità a volere rifare la via che era interrotta, sì come Io ti dissi, affinché giungeste a vita e passaste l’amarezza del mondo. Pure di terra non si poteva fare di tanta grandezza che fosse sufficiente a passare il fiume e darvi vita eterna; cioè che pure la terra della natura dell’uomo non era sufficiente a soddisfare la colpa e togliere via la marcia del peccato d’Adam, la quale marcia corruppe tutta l’umana generazione e trasse puzza da lei, sì come di sopra ti dissi. Convennesi dunque unire con l’altezza della natura mia, Deità eterna, affinché fusse sufficiente a soddisfare a tutta l’umana generazione: la natura umana sostenesse la pena, e la natura divina unita con essa natura umana accettasse il sacrificio del mio Figlio offerto a me per voi, per togliervi la morte e darvi la vita.

Sì che l’altezza s’umiliò alla terra della vostra umanità, e unita l’una con l’altra se ne fece ponte e rifece la strada. Perché si fece via? Affinché in verità veniste a godere con la natura angelica. E non basterebbe a voi, ad avere la vita, perché il Figlio mio vi sia fatto ponte, se voi non passaste per esso.

(Parla Santa Caterina) Qui mostrava, la Verità eterna, che egli ci aveva creati senza noi, ma non ci salverà senza noi. Ma vuole che noi ci mettiamo la volontà libera, col libero arbitrio esercitando il tempo con le vere virtù. E però soggiunse, a mano a mano, dicendo: 

“Tutti vi conviene passare per questo ponte, cercando la gloria e loda del nome mio nella salvezza delle anime, con pena sostenendo le molte fatiche, seguendo le vestigia di questo dolce e amoroso Verbo: in altro modo non potreste venire a me.

Voi siete miei lavoratori, ché vi ho messi a lavorare nella vigna della santa Chiesa. (Mt 20,1-16) Voi lavorate nel corpo universale della religione cristiana, messi da me per grazia, avendovi dato il lume del santo battesimo, il quale battesimo aveste nel corpo mistico della santa Chiesa per le mani dei ministri, i quali Io ho posto a lavorare con voi.

Voi sete nel corpo universale, ed essi sono nel corpo mistico, posti a pascere l’anime vostre ministrandovi il sangue nei sacramenti che ricevete da lei traendone essi le spine dei peccati mortali e piantandovi la grazia. Essi sono miei lavoratori nella vigna delle anime vostre, legati nella vigna della santa Chiesa.

Ogni creatura che ha in sé ragione ha la vigna per se medesima, cioè la vigna dell’anima sua, della quale la volontà, col libero arbitrio, nel tempo n’è fatto lavoratore, cioè mentre che egli vive. Ma poi che è passato il tempo nessuno lavorio può fare né buono né cattivo; ma mentre che egli vive può lavorare la vigna sua, nella quale Io l’ho posto. E ha ricevuto tanta fortezza questo lavoratore dell’anima, che né demonio né altra creatura glielo può togliere se egli non vuole; poiché ricevendo il santo battesimo si fortificò, § 14 ,116-120; § 14 ,130-133) e fugli dato uno coltello d’amore di virtù e odio del peccato.

Il quale amore e odio trova nel sangue, poiché per amore di voi e odio del peccato morì l’unigenito mio Figlio dandovi il sangue, per lo qual sangue aveste vita nel santo battesimo. § 75 ; § 115 ,484-5) Sì che avete il coltello, il quale dovete usare col libero arbitrio, mentre che avete il tempo, per divellere le spine dei peccati mortali e piantare le virtù. Poiché in altro modo da essi lavoratori che Io ho posto nella santa Chiesa, dei quali ti dissi che toglievano il peccato mortale della vigna dell’anima e davano la grazia ministrandovi il sangue nei sacramenti che ordinati sono nella santa Chiesa, non ricevereste il frutto del sangue.

Conviensi dunque che prima vi leviate con la contrizione del cuore, pentimento del peccato e amore della virtù e allora riceverete il frutto d’esso sangue. Ma in altro modo non lo potreste ricevere, non disponendovi dalla parte vostra come tralci uniti nella vite de l’unigenito mio Figlio, il quale disse: «Io sono vite vera e voi siete tralci, e il Padre mio è il lavoratore». (Gv 15,1) E così è la verità, che Io sono il lavoratore, poiché ogni cosa che ha essere è uscito ed esce di me. La potenza mia è inestimabile, e con la mia potenza e virtù governo tutto l’universo mondo: nessuna cosa è fatta o governata senza me. Sì che Io sono il lavoratore che piantai la vite vera de l’unigenito mio Figlio nella terra della vostra umanità, affinché voi, tralci, uniti con la vite, faceste frutto.

E però chi non farà frutto di sante e buone opere sarà tagliato da questa vite e seccarassi. § 11 ,630ss.) Poiché, separato da essa vite, perde la vita della grazia ed è messo nel fuoco eternale, sì come il tralcio che non fa frutto, che è tagliato subito dalla vite ed è messo nel fuoco, perché non è buono ad altro. (Gv 15,6) Or così questi cotali tagliati per l’offese loro, morendo nella colpa del peccato mortale, la divina giustizia, non essendo buoni ad altro, gli mette nel fuoco il quale dura eternamente.

Costoro non hanno lavorata la vigna loro, anco l’hanno disfatta, la loro e l’altrui: non solo che ci abbiano messa qualche pianta buona di virtù ma essi n’hanno (20v) tratto il seme della grazia, il quale avevano ricevuto nel lume del santo battesimo partecipando il sangue del mio Figlio, il quale fu il vino che vi porse questa vite vera. Ma essi ne l’hanno tratto, questo seme, e dato da mangiare agli animali, cioè a diversi e molti peccati, e messolo sotto ai piedi del disordinato affetto. (Lc 8,6 Lc 8,12) Col quale affetto hanno offeso me e fatto danno a loro e al prossimo.

Ma i servi miei non fanno così, e così dovete fare voi, cioè essere uniti e innestati in questa vite, e allora riporterete molto frutto perché parteciparete de l’umore di questa vite; (Rm 11,17; OrazX) e stando nel Verbo del mio Figlio state in me perché Io sono una cosa con lui ed egli con me. (Jn 10,30) Stando in lui seguiterete la dottrina sua; seguendo la sua dottrina partecipate della sustanzia di questo Verbo, cioè partecipate della deità eterna unita nell’umanità, traendone voi un amore divino dove l’anima s’inebria. E però ti dissi che partecipate della sustanzia della vite.

Sai che modo Io tengo, poi che i servi miei sono uniti in seguire la dottrina del dolce e amoroso Verbo? Io li poto, affinché facciano molto frutto, e il frutto loro sia provato e non insalvatichisca. Sì come il tralcio che sta nella vite, che il lavoratore lo pota perché facci migliore vino e più, e quello che non fa frutto taglia e mette nel fuoco, e così fo Io, lavoratore vero. I servi miei, che stanno in me, Io li poto con le molte tribolazioni, affinché facciano piú frutto e migliore, e sia provata in loro la virtù. (Gv 15,2; § 145 , 1345) E quegli che non fanno frutto sono tagliati e messi nel fuoco, come detto ti ho.

Questi cotali sono lavoratori veri, e lavorano bene l’anima loro, traendone ogni amore proprio, rivoltando la terra dell’affetto loro in me. E nutrono e crescono il seme della grazia, il quale ebbero nel santo battesimo. Lavorando la loro, lavorano quella del prossimo, e non possono lavorare l’una senza l’altra.

E già sai che Io ti dissi che ogni male si faceva col mezzo del prossimo e ogni bene. Sì che voi siete miei lavoratori esciti di me, sommo ed eterno lavoratore, il quale vi ho uniti e innestati nella vite per l’unione che Io ho fatto con voi.

Tiene a mente che tutte le creature che hanno in loro ragione hanno la vigna loro di per sé, la quale è unita senza alcun mezzo col prossimo loro, cioè l’uno con l’altro; e sono tanto uniti, che nessuno può fare bene a sé che non facci al prossimo suo, né male che non lo facci a lui.

Di tutti quanti voi è fatta una vigna universale, cioè di tutta la congregazione cristiana, i quali sete uniti nella vigna del corpo mistico della santa Chiesa, così traete la vita. Nella quale vigna è piantata questa vite de l’unigenito mio Figlio, in cui dovete essere innestati. Non essendo voi innestati in lui, sete subito ribelli alla santa Chiesa e sete come membri tagliati dal corpo, che subito imputridisce.

E’ vero che, mentre che avete il tempo, vi potete levare dalla puzza del peccato col vero pentimento e ricorrere ai miei ministri, i quali sono lavoratori che tengono le chiavi del vino, cioè del sangue, uscito di questa vite; il quale sangue è sì fatto e di tanta perfezione, che per alcun difetto del ministro non vi può essere tolto il frutto d’esso sangue. Il legame della carità è quello che li lega con vera umiltà, acquistata nel conoscimento di sé e di me. Sì che vedi che tutti vi ho messi per lavoratori. Ed ora di nuovo v’invito, perché il mondo già viene meno, tanto sono multiplicate le spine che hanno affogato il seme, (Lc 8,7) in tanto che nessuno frutto di grazia vogliono fare.

Voglio dunque che siate lavoratori veri, che con molta sollicitudine aiutiate a lavorare l’anime nel corpo mistico della santa Chiesa. A questo vi scelgo, perché Io voglio fare misericordia al mondo, per mezzo del quale tu tanto mi preghi”

(dal “Dialogo della divina Provvidenza” di Santa Caterina da Siena”)

Rivelazioni di Dio Padre a Santa Caterina da Siena: “Molto è piacevole a me il desiderio di volere portare ogni pena e fatica fino alla morte per la salvezza delle anime. Quanto l’uomo più sostiene, più dimostra che mi ama; amandomi più conosce della mia verità e quanto più conosce più sente pena e dolore intollerabile per le offese fattemi”

“Dal Dialogo della divina Provvidenza: le rivelazioni di Dio Padre a Santa Caterina da Siena”

Levandosi un’anima ricolma di grandissimo desiderio per l’onore di Dio e la salvezza delle anime, esercitatasi per uno spazio di tempo nella virtù, abituata e abitata nella cella del conoscimento di sé, per meglio conoscere la bontà di Dio in sé, perché al conoscimento segue l’amore, amando cerca di seguire e vestirsi della verità. E perché in alcun modo gusta tanto ed è illuminata da questa verità quanto col mezzo dell’orazione umile e continua, fondata nel conoscimento di sé e di Dio, poiché l’orazione, esercitandola nel modo detto, unisce l’anima in Dio seguendo le vestigia di Cristo crocifisso, e così per desiderio, affetto e unione d’amore ne fa un altro sé. Questo parve che dicesse Cristo quando disse: «Chi mi amerà e conserverà la parola mia, Io manifesterò me medesimo a lui, e sarà una cosa con me ed Io con lui» (Gv 14,21-23 Gv 17,2); ed in più luoghi troviamo simili parole, per le quali possiamo vedere che egli è la verità che per affetto d’amore l’anima diventa un altro lui e per vederlo più chiaramente.

Dio tra l’altre cose diceva: “Apri l’occhio dell’intelletto e mira in me, e vedrai la dignità e bellezza della mia creatura che ha in sé ragione. E tra la bellezza che Io ho data all’anima creandola all’immagine e similitudine mia, guarda costoro che son vestiti del vestimento nunziale della carità, adornato di molte vere virtù: uniti sono con me per amore. E però ti dico che se tu domandassi a me chi son costoro, risponderei – diceva lo dolce e amoroso Verbo – sono un altro me; perché hanno perduta e annegata la volontà loro propria, e vestitisi e unitisi e conformatisi con la mia”.………

Allora la Verità eterna, rapendo e tirando a sé più forte il desiderio suo, facendo come faceva nel Testamento vecchio, che quando facevano sacrificio a Dio veniva un fuoco e tirava a sé il sacrificio che era accetto a lui, così faceva la dolce Verità a quella anima, ché mandava il fuoco della clemenza dello Spirito santo e rapiva il sacrificio del desiderio che ella faceva di sé a lui dicendo:

 “Non sai tu figlia mia, che tutte le pene che sostiene, o può sostenere l’anima in questa vita, non sono sufficienti a punire una minima colpa? Poiché l’offesa che è fatta a me, che sono Bene infinito, richiede soddisfazione infinita. E però Io voglio che tu sappia, che non tutte le pene che si danno in questa vita son date per punizione, ma per correzione, per castigare il figlio quando egli offende. Ma è vero questo: che col desiderio dell’anima si soddisfa, cioè con la vera contrizione e pentimento del peccato. La vera contrizione soddisfa alla colpa e alla pena, non per pena finita che sostenga, ma per lo desiderio infinito; perché Dio, che è infinito, infinito amore e infinito dolore vuole.

Infinito dolore vuole in due modi. L’uno è della propria offesa, la quale ha commessa contro al suo Creatore. L’altro è dell’offesa che vede fare al prossimo suo. Di questi cotali, perché hanno desiderio infinito, cioè che sono uniti per affetto d’amore in me – e però si dolgono quando offendono o vedono offendere – ogni loro pena che sostengono, spirituale o corporale, da qualunque lato ella viene, riceve infinito merito e soddisfa alla colpa che meritava infinita pena; poniamo che siano state opere finite, fatte in tempo finito. Ma perché fu adoperata la virtù e sostenuta la pena con desiderio e contrizione e pentimento infinito della colpa, però valse.

Questo dimostrò Paolo quando disse: «Se io avesse lingua angelica, sapessi le cose future, dessi lo mio ai poveri, e dessi il corpo mio ad ardere e non avessi carità, nulla mi varrebbe» (1Co 13,1-3). Mostra il glorioso apostolo che le opere finite non sono sufficienti, né a punire né a remunerare, senza lo condimento de l’affetto della carità.

Ti ho mostrato, carissima figlia, come la colpa non si punisce in questo tempo finito per veruna pena che si sostenga, puramente pur pena. E dico che si punisce con la pena che si sostiene col desiderio, amore e contrizione del cuore, non per virtù della pena, ma per la virtù del desiderio dell’anima, sì come il desiderio ed ogni virtù vale ed ha in sé vita per Cristo crocifisso unigenito mio Figlio, in quanto l’anima ha tratto l’amore da lui (Mt 1,21) e con virtù segue le vestigia sue. Per questo modo (3v) valgono e non per altro; e così le pene soddisfanno alla colpa col dolce e unitivo amore, acquistato nel conoscimento dolce della mia bontà, e amarezza e contrizione di cuore, conoscendo se medesimo e le proprie colpe sue. Il quale conoscimento genera odio e pentimento del peccato e della propria sensualità, così egli si reputa degno delle pene e indegno del frutto. Sì che – diceva la dolce Verità – vedi che per la contrizione del cuore, con l’amore della vera pazienza e con vera umiltà, reputandosi degni della pena e indegni del frutto per umiltà, portano con pazienza; sì che vedi che soddisfa nel modo detto.

Tu mi chiedi pene, affinché si soddisfi alle offese che sono fatte a me dalle mie creature, e domandi di volere conoscere e amare me che sono somma Verità. Questa è la via a volere venire a perfetto conoscimento e gustare me, Vita eterna: che tu non esca mai del conoscimento di te, e abbassata che tu sei nella valle dell’umiltà, e tu conosca me in te, del quale conoscimento trarrai quello che ti bisogna ed è necessario.

Nessuna virtù può avere in sé vita se non dalla carità; e l’umiltà è balia e nutrice della carità. Nel conoscimento di te ti umilierai, vedendo te per te non essere, e l’essere tuo conoscerai da me, che vi ho amati prima che voi fuste. E per l’amore ineffabile che Io v’ebbi, volendovi ricreare a grazia, vi ho lavati e ricreati nel sangue de l’unigenito mio Figlio, sparto con tanto fuoco d’amore.

Questo sangue fa conoscere la verità a colui che s’ha levata la nuvola de l’amore proprio per lo conoscimento di sé, ché in altro modo non la conoscerebbe. Allora l’anima s’accenderà in questo conoscimento di me con un amore ineffabile, per mezzo del quale amore sta in continua pena, non pena affliggitiva, che affligga né disecchi l’anima, anco la ingrassa; ma perché ha conosciuta la mia verità e la propria colpa sua e la ingratitudine e cecità del prossimo, ha pena intollerabile; e però si duole perché m’ama, che se ella non m’amasse non si dorrebbe.

Subito che tu e gli altri servi miei avrete nel modo detto conosciuta la mia verità, vi converrà sostenere fino alla morte le molte tribolazioni, ingiurie e rimproveri in detto e in fatto, per gloria e loda del nome mio (Mt 24,9), sì che tu porterai e patirai pene.

Tu dunque, e gli altri miei servi, portate con vera (4r) pazienza, con dolore della colpa e con amore della virtù per gloria e loda del nome mio. Facendo così, soddisfarò le colpe tue e degli altri servi miei, sì che le pene che sosterrete saranno sufficienti per la virtù della carità a soddisfare e remunerare in voi e in altrui. In voi ne riceverete frutto di vita, spente le macchie delle vostre ignoranze, ed Io non mi ricorderò che voi m’offendeste mai (Is 43,25 Ez 18,21-22 He 10,17 Jr 31,34). In altrui soddisfarò per la carità e affetto vostro, e donerò secondo la disposizione loro con la quale riceveranno.

In particolare, a coloro che si dispongono umilmente e con deferenza a ricevere la dottrina dei servi miei, lo’ perdonerò la colpa e la pena. Come? Che per questo verranno a questo vero conoscimento e contrizione dei peccati loro, sì che con lo strumento dell’orazione e desiderio dei servi miei riceveranno frutto di grazia, ricevendoli umilmente come detto è; e meno e più secondo che vorranno esercitare con virtù la grazia. In generale dico che per li desideri vostri ricevaranno remissione e donazione. Guarda già che non sia tanta la loro ostinazione, che essi vogliano essere riprovati da me per disperazione, spregiando il sangue del quale con tanta dolcezza son ricomperati (1P 1,18-19).

Che frutto ricevono? Il frutto è che Io gli aspetto, costretto dall’orazione dei servi miei, e do loro lume e fo loro destare il cane della coscienza; fo loro sentire l’odore della virtù e dilettarsi della conversazione dei servi miei. Ed alcune volte permetto che il mondo lo’ mostri quello che egli è, sentendovi diverse e variate passioni, affinché conoscano la poca fermezza del mondo e levino il desiderio a cercare la patria loro di vita eterna. E così per questi e molti altri modi, i quali l’occhio non è sufficiente a vedere, né la lingua a narrare, né il cuore a pensare (1Co 2,9 Is 64,4) quante sono le vie e modi che Io tengo, solo per amore e per ridurgli a grazia, affinché la mia verità sia compita in loro.

Costretto sono di farlo dalla inestimabile carità mia con la quale Io li creai, e dall’orazione e desideri e dolore dei servi miei, perché non sono spregiatore della lacrime, sudori e umile orazione loro, anco gli accetto poiché Io sono colui che gli fo amare e dolere del danno delle anime, ma non lo’ dà soddisfazione di pena, a questi cotali generali, ma sì di colpa. Perché non sono disposti dalla parte loro a pigliare con perfetto amore l’amore mio e dei miei servi né non pigliano il loro dolore con amarezza e perfetta contrizione della (4v) colpa commessa, ma con amore e contrizione imperfetta, però non hanno né ricevono soddisfazione di pena come gli altri, ma sì di colpa, perché richiede disposizione dall’una parte e dall’altra cioè di chi dà e di chi riceve; e perché sono imperfetti, imperfettamente ricevono la perfezione dei desideri di coloro che con pena li offerano dinanzi da me per loro.

Perché ti dissi che ricevevano soddisfazione e anco l’era donato? Cosí è la verità, che nel modo che lo ti ho detto, per gli strumenti che di sopra contiammo del lume della coscienza e dell’altre cose, l’è soddisfatto la colpa, cioè cominciandosi a riconoscere vomitano lo fracidume dei peccati loro, e cosí ne ricevono dono di grazia.

Questi sono coloro che stanno nella carità comune. Se essi hanno ricevuto per correzione quello che hanno avuto, e non hanno fatta resistenza alla clemenza dello Spirito santo, ne ricevono vita di grazia uscendo della colpa.

Ma se essi, come ignoranti, sono ingrati e irriconoscenti verso di me e verso le fatiche dei miei servi, esso fatto lo’ torna in ruina e a giudizio quello che era dato per misericordia; non per difetto della misericordia, né di colui che impetrava la misericordia per l’ingrato, ma solo per la miseria e durezza sua, il quale ha posta con la mano del libero arbitrio in sul cuore la pietra del diamante che, se non si rompe col sangue, non si può rompere.

Anco ti dico che, nonostante la durezza sua, mentre che egli ha il tempo e può usare il libero arbitrio, chiedendo il sangue del mio Figlio, e con essa medesima mano lo ponga sopra la durezza del cuore suo, lo spezzerà e riceverà il frutto del sangue che è pagato per lui. Ma se egli s’indugia, passato il tempo non ha remedio alcun, perché non ha riportata la dota che gli fu data da me, dandogli la memoria perché ritenesse i benefici miei, e l’intelletto perché vedesse e conoscesse la verità, e l’affetto perché egli amasse me, Verità eterna, la quale l’intelletto cognobbe.

Questa è la dota che io vi diei, la quale debba ritornare a me Padre. Avendola venduta e sbarattata al demonio, il demonio con esso lui ne va e portane quello che in questa vita acquistò, empiendo la memoria delle delizie e ricordo di disonestà, superbia, avarizia e amore proprio di sé, odio e pentimento del prossimo; ed è perseguetore dei servi miei. In queste miserie, offuscato l’intelletto per la disordinata voluntà, così ricevono con le puzze loro pena (5r) eternale, infinita pena, perché non satisfecero la colpa con la contrizione e pentimento del peccato.

Sì che hai come la pena soddisfa a la colpa per la perfetta contrizione del cuore, non per le pene finite, e non tanto la colpa, ma la pena che segue dopo la colpa, a quegli che hanno questa perfezione; ed ai generali, come detto è, soddisfa la colpa, cioè che privati del peccato mortale ricevono la grazia, e non avendo sufficente contrizione e amore a soddisfare alla pena, vanno alle pene del purgatorio, passati dal secondo e ultimo mezzo.

Sì che vedi che soddisfa per lo desiderio dell’anima unito in me che sono infinito bene, poco e assai, secondo la misura del perfetto amore di colui che dà l’orazione e il desiderio, e di colui che riceve. Con quella medesima misura che egli dà a me, e colui riceve in sé, con quella l’è misurato dalla mia bontà (Mt 7,2 Mc 4,24 Lc 6,38). Sì che cresce il fuoco del desiderio tuo, e non lasciare passare punto di tempo che tu non gridi con voce umile e continua orazione dinanzi a me per loro. Così dico a te e al padre dell’anima tua, il quale Io ti ho dato in terra, che virilmente portiate, e morto sia ad ogni propria sensualità.

Molto è piacevole a me il desiderio di volere portare ogni pena e fatica fino alla morte per la salvezza delle anime. Quanto l’uomo più sostiene, più dimostra che mi ama; amandomi più conosce della mia verità e quanto più conosce più sente pena e dolore intollerabile per le offese fattemi..

Tu domandavi di sostenere e di punire i difetti altrui sopra di te, e tu non ti accorgevi che tu domandavi amore, lume e conoscimento della verità, perché già ti dissi che quant’era maggiore l’amore, tanto cresce il dolore e la pena: a cui cresce amore cresce dolore. Perciò Io vi dico che voi domandiate e vi sarà dato: Io non respingerò chi mi domanderà in verità (Mt 7,7 Lc 11,9). Pensa che l’amore della divina carità che è nell’anima è tanto unito con la perfetta pazienza, che non si può partire l’una che non si parta l’altra. E però debba l’anima, come sceglie d’amare me, cosí scegliere di portare per me pene in qualunque modo e di qualunque cosa Io le concedo. La pazienza non si prova se non nelle pene, la quale pazienza è unita con la carità, come detto è. Perciò sopportate virilmente, altrimenti non dimostrereste d’essere, né sareste, sposi fedeli (5v) e figli della mia Verità, né che voi siete gustatori del mio onore e della salvezza delle anime.”

(dal “Dialogo della divina Provvidenza” di Santa Caterina da Siena”)

Dio Padre rivela a Santa Caterina da Siena: “La gloria dei Beati e dei Santi in Paradiso!” “Oh, quanto diletto provano nel vedere me, che sono ogni bene!”

Tratto dal Dialogo della divina Provvidenza: le rivelazioni di Dio Padre a Santa Caterina da Siena

 

CAPITOLO 41

La gloria dei beati.

Parla Dio Padre:

“Anche l’anima giusta che finisce la vita in affetto di carità ed è legata a Dio nell’amore, non può crescere in virtù, poiché viene a mancare il tempo di quaggiù, ma può sempre amare con quella dilezione che la porta a Me, e con tale misura le viene misurato il premio. Sempre mi desidera e sempre mi ama, onde il suo desiderio non è vuoto; ma sebbene abbia fame, è saziato, e saziato ha fame; e tuttavia è lungi il fastidio della sazietà, come è lungi la pena della fame.

Nell’amore i beati godono dell’eterna mia visione, partecipando ognuno, secondo la sua misura, di quel bene, che io ho in me medesimo. Con quella misura d’amore con la quale sono venuti a me, con essa viene loro misurato. Essi sono rimasti nella mia carità ed in quella del prossimo; sono stati insieme uniti nella carità comune ed in quella particolare, che esce pure da una medesima carità.

Godono ed esultano, partecipando l’uno del bene dell’altro con l’affetto della carità, oltre al bene universale, che essi hanno tutti insieme. Godono ed esultano cogli angeli, coi quali sono collocati i santi, secondo le diverse e varie virtù, che principalmente ebbero nel mondo, essendo tutti legati nel legame della carità. Hanno poi una partecipazione singolare di bene con coloro coi quali si amavano strettamente d’amore speciale nel mondo, col quale amore crescevano in grazia, aumentando la virtù. L’uno era cagione all’altro di manifestare la gloria e lode del mio nome, in sé e nel prossimo. Nella vita eterna non hanno perduto questo affetto, ma l’hanno aggiunto al bene generale, partecipando più strettamente e con più abbondanza l’uno del bene dell’altro.

Non vorrei però che tu credessi che questo bene partico­lare, di cui ti ho parlato, l’avessero solo per sé: non è così, ma esso è partecipato da tutti quanti i gustatori, che sono i cittadini del cielo, i miei figli diletti, e da tutte le creature angeliche. Quando l’anima giunge a vita eterna, tutti parteci­pano del bene di quell’anima, e l’anima del bene loro. Non è che il vaso di ciascuno possa crescere, né che abbia bisogno di empirsi, poiché è pieno e quindi non può crescere; ma hanno un’esultanza, una giocondità, un giubilo, un’allegrezza, che si ravvivano in loro, per quanto sono venuti a conoscere di quell’anima. Vedono che per mia misericordia ella è tolta alla terra con la pienezza della grazia, e così esultano in me per il bene che quell’anima ha ricevuto dalla mia bontà.

E quell’anima gode pure in me, nelle altre anime, e negli spiriti beati, vedendo e gustando in loro la bellezza e dolcez­za della mia carità. I loro desideri gridano sempre dinanzi a me per la salvezza di tutto quanto il mondo. Poiché la loro vita finì nella carità dei prossimo, non hanno lasciata questa carità, ma sono passati con essa per la porta del mio Unige­nito Figliuolo, nel modo che ti dirò più sotto. Vedi dunque che essi restano con quel legame dell’amore, col quale finì la loro vita: esso resta e dura per tutta l’eternità.

Sono tanto conformi alla mia volontà, che non possono volere se non quello che io voglio; poiché il loro libero arbi­trio è legato per siffatto modo col legame della carità che, quando viene meno il tempo di questa vita alla creatura, che ha in sé ragione e che muore in stato di grazia, essa non può più peccare. Ed è tanto unita la sua volontà alla mia che, se il padre o la madre vedessero il figliolo nell’inferno, o il figlio ci vedesse la madre, non se ne curerebbero; anzi sono contenti di vederli puniti come miei nemici. In nessuna cosa si scordano di me; i loro desideri sono appagati. Desiderio dei beati è di vedere trionfare il mio onore in voi viandanti, che siete pellegrini in questa terra e sempre correte verso il termine della morte. Nel desiderio del mio onore bramano la vostra salute, e perciò sempre mi pregano per voi. Un tale desiderio è sempre adempiuto per parte mia, se voi ignoranti non recalcitraste contro la mia misericordia.

Hanno ancora il desiderio di riavere la dote della loro anima, che è il corpo; questo desiderio non li affligge al presente, ma godono per la certezza che hanno di vederlo appagato: non li affligge, perché, sebbene ancora non abbiano il corpo, tuttavia non manca loro la beatitudine, e perciò non risentono pena. Non pensare che la beatitudine del corpo, dopo la resurre­zione, dia maggiore beatitudine all’anima. Se fosse così, ne ver­rebbe che i beati avrebbero una beatitudine imperfetta, fino a che non riprendessero il corpo; cosa impossibile, perché in loro non manca perfezione alcuna. Non è il corpo che dia beatitudine all’anima, ma sarà l’anima a dare beatitudine al corpo; darà della sua abbondanza, rivestendo nel dì del giudizio la propria carne, che aveva lasciato in terra.

Come l’anima è resa immortale, ferma e stabilita in me, così il corpo in quella unione diventa immortale; perduta la gravezza della materia, diviene sottile e leggero. Sappi che il corpo glorificato passerebbe di mezzo a un muro. Né il fuoco né l’acqua potrebbero nuocergli, non per virtù sua ma per virtù dell’anima, la quale virtù è mia, ed è stata data a lei per grazia e per quell’amore ineffabile col quale la creai a mia immagine e somiglianza. L’occhio del tuo intelletto non è sufficiente a ve­dere, né l’orecchio a udire, né la lingua a narrare, né il cuore a pensare, il bene loro.

Oh, quanto diletto provano nel vedere me, che sono ogni bene! Oh, quanto diletto avranno, allorché il loro corpo sarà glorificato! E sebbene manchino di questo bene fino al giorno del giudizio universale, non hanno pena, perché l’anima è piena di felicità in se stessa. Una tale beatitudine sarà poi partecipata al corpo, come ti ho spiegato.

Ti parlavo del bene, che ritrarrebbe il corpo glorificato nell’Umanità glorificata del mio Figlio Unigenito, la quale dà a voi certezza della vostra resurrezione. Esultano i beati nelle sue piaghe, che sono rimaste fresche; sono conservate nel suo corpo le cicatrici, che continuamente gridano a me, sommo ed eterno Padre, misericordia. Tutti si conformano a lui in gaudio e giocondità, occhio con occhio, mano con mano, e con tutto il corpo del dolce Verbo, mio Figlio. Stando in me, starete in lui, poiché egli è una cosa sola con me; ma l’occhio del vostro corpo si diletterà nell’Umanità glorificata del Verbo Unigenito mio Figlio. Perché questo? Perché la loro vita finì nella dilezione della mia carità, e perciò dura loro eternamente.

Non possono guadagnare alcun nuovo bene, ma si godono quello che si sono portato, non potendo fare alcun atto meritorio, perché solo in vita si merita e si pecca, secondo che piace al libero arbitrio della vostra volontà. Essi non aspettano con timore, ma con allegrezza, il giudizio divino; e la faccia del mio Figlio non parrà loro terribile, né piena d’odio, perché sono morti nella carità, nella dilezione di me e nella benevolenza del prossimo. Così tu comprendi come la mutazione della faccia non sarà in lui, quando verrà a giudicare con la mia maestà, ma in coloro che saranno giudicati da lui. Ai dannati apparirà con odio e con giustizia; ai salvati, con amore e misericordia.”

(Dal Dialogo della divina provvidenza, Santa Caterina da Siena)

Dialogo tra Santa Caterina da Siena e il Signore Gesù: “Signore mio, dov’eri quando il mio cuore era tribolato da tante tentazioni?. E il Signore: «Stavo nel tuo cuore».”

 

 

Dialogo tra Santa Caterina da Siena e il Signore Gesù:

 

Signore mio, dov’eri quando il mio cuore era tribolato da tante tentazioni?. E il Signore: «Stavo nel tuo cuore».

E lei: «Sia salva sempre la tua verità, o Signore, e ogni riverenza verso la tua Maestà; ma come posso credere che tu abitassi nel mio cuore, mentre era ripieno di immondi e brutti pensieri?». E il Signore: «Quei pensieri e quelle tentazioni causavano al tuo cuore contento o dolore? diletto o dispiacere?».

E lei: «Dolore grande e gran dispiacere!».

E il Signore: «Chi era che ti faceva provare il dispiacere se non io, che stavo nascosto nel centro del tuo cuore? Se io non fossi stato lì presente, quei pensieri sarebbero penetrati nel tuo cuore e ne avresti sentito piacere ma la presenza mia nel tuo cuore era causa di dispiacere e mentre così tentavi inutilmente di cacciarli via, perchè ti affiggevano, ti rattristavi e soffrivi. Ma io che difendevo il tuo cuore dai nemici standovi nascosto, e permettevo che di fuori tu fossi travagliata, non lasciavo di fare quanto era necessario alla tua salute. Trascorso poi il tempo stabilito da me per il combattimento, mandai fuori la mia luce, e sul momento fuggirono e si dissiparono le tenebre infernali, perché esse non possono stare con quella. Ora, chi t’ha insegnato se non la mia luce, che quelle pene ti erano giovevoli per acquistare la fortezza, e che dovevi portarle volentieri quanto piaceva a me? E poiché ti sei offerta a sopportarle con tutto il cuore, appena rivelai la mia presenza, subito furono allontanate da te. Il mio godimento non sta nelle pene, ma nella volontà di chi fortemente le sostiene»

(B. Raimondo da Capua, Santa Caterina da Siena, n. 110).

Per l’anno della fede consiglio la lettura di Santa Caterina da Siena (Il dialogo della divina provvidenza) e Santa Ildegarda di Bingen (Il libro delle opere divine). Due libri che sono il frutto dei colloqui che Caterina e Ildegarda ebbero con l’Eterno Padre.

 

I libri, dato il costo elevato, si possono anche trovare nelle biblioteche dei seminari. A mio parere sono due libri fondamentali per noi cattolici, da leggere assolutamente! In questi scritti è la voce di Dio che si fa sentire, è la sua Grazia che passa attraverso queste splendide Sante e dottori della chiesa! Buona lettura!

 

 

Caterina da Siena

DIALOGO DELLA DIVINA PROVVIDENZA

Versione in italiano corrente – Terza edizione

ISBN: 978887094-711-3 dimensioni: 140×210 mm rilegatura: cartonato collana: Domenicani pagine: 480 anno: 2008

http://www.bol.it/libri/Dialogo-divina-provvidenza/Caterina-da-Siena-santa/ea978887094711/

Prezzo di copertina: € 29,00
Prezzo BOL: € 24,65
Risparmio: € 4,35

È il capolavoro della letteratura mistica, frutto dei colloqui che Caterina ebbe con l’Eterno Padre durante le estasi. Nonostante fosse illetterata, anzi analfabeta, si preoccupò di dettare il Dialogo ai suoi discepoli. Molteplici sono i temi trattati: il peccato, i vizi e le virtù, il desiderio e l’amore, la discrezione e la misericordia, la preghiera, la meditazione interiore e la ricerca della verità. Particolarmente appassionata sono i capitoli dedicati alla misericordia del Padre che si manifesta nell’incarnazione di Gesù Cristo, il quale è chiamato da Caterina «ponte» tra Dio e l’umanità intera. Paolo VI ha proclamato santa Caterina da Siena «Dottore della Chiesa»: i suoi scritti sono insegnamento autorevole della fede cristiana. Successivamente è stata proclamata Patrona d´Italia e d´Europa. Presentazione di Raimondo Spiazzi. Premessa di Maria Adelaide Raschini. Versione in italiano corrente di Maria Adelaide Raschini. Terza edizione.

 

 

 

Il libro delle opere divine. Testo latino a fronte

di Ildegarda di Bingen (santa)

 

Nel Liber divinorum operum (Libro delle opere divine), scritto fra il 1163 e il 1174, l’autrice sintetizza i concetti teologici, le conoscenze scientifiche, le speculazioni relative al funzionamento della mente dell’uomo ed della struttura del cosmo. Un testo davvero impressionante per la completezza dell’esposizione e per le sue conclusioni. Il punto di partenza e di arrivo delle sue analisi antropologiche e cosmologiche è l’attività creatrice di Dio. Fede e ragione, in santa Ildegarda, combaciano perfettamente: «L’uomo, in effetti, Egli lo creò a sua immagine e somiglianza; in esso Egli iscrisse, con fermezza e misura, la totalità delle creature. Da tutta l’eternità la creazione di questa opera, la creazione dell’uomo, era prevista nel suo consiglio. […] Attraverso di me in effetti ogni vita si infiamma. Senza origine, senza termine, io sono quella vita che persiste identica, eterna. Quella vita è Dio. Essa è perpetuo movimento, perpetua operazione, e la sua unità si mostra in una triplice energia. L’eternità è il Padre; il Verbo è il Figlio; il soffio che collega i due è lo Spirito Santo» e il perpetuo movimento è intriso di ineffabile e incommensurabile amore. È in questo libro che Ildegarda anticipa la raffigurazione celeberrima dell’uomo al centro di un cerchio (la perfezione), che realizzerà Leonardo da Vinci (1452-1519) quattro secoli più tardi. Le  opere scritte della «Sibilla del Reno» riguardano anche il futuro del mondo e della Chiesa. Le sue visioni sugli ultimi tempi hanno avuto un grande influsso sul pensiero escatologico medioevale. Ildegarda parlò degli errori e dei peccati del clero, parlò della crisi della Fede, alla quale Benedetto XVI dedica, a partire dall’11 ottobre 2012 un anno intero. Nello Scivias ella afferma, per bocca di Dio: «[…] si prevede ancora la terribile prova dei suoi [di Cristo] membri [del Corpo mistico, ovvero la Chiesa] […]. La figura di donna che prima avevi visto accanto all’altare, è la sposa del Figlio di Dio… Le macchie che coprono il suo ventre, sono le numerose sofferenze sopportate da lei nella sua lotta contro il figlio della perdizione, cioè contro Satana. Questi però viene colpito potentemente dalla mano di Dio. […]. È la rivelazione della potenza di Dio, sulla quale si appoggia la sposa di mio Figlio. Si manifesterà nel candido splendore della fede, quando dopo la caduta del figlio della perdizione molti torneranno verso la verità, in tutta la bellezza che splenderà sulla terra». L’esistenza e gli scritti di questo Dottore sono un mirabile impasto di terra e di Cielo: Ildegarda, con linguaggio talvolta virile e talaltra sinfonico, costituito da potenza e grazia insieme, affrontò i temi della teologia con sicurezza e prontezza, forte dell’assistenza dello Spirito Santo. Il suo dire coraggioso e la sua azione determinata e ricca di autorità possiedono l’impeto e la forza di chi è stato direttamente incaricato da Dio di contribuire alla costruzione delle mura della Città Celeste.

Dio rivela a Santa Caterina da Siena: “La gloria dei Beati e Santi in Paradiso! Con quella misura d’amore con la quale sono venuti a me, con essa viene loro misurato”

 

Tratto dal Dialogo della divina Provvidenza di Santa Caterina da Siena

 

CAPITOLO 41

 

La gloria dei beati.

 

Anche l’anima giusta che finisce la vita in affetto di carità ed è legata a Dio nell’amore, non può crescere in virtù, poiché viene a mancare il tempo di quaggiù, ma può sempre amare con quella dilezione che la porta a Me, e con tale misura le viene misurato il premio. Sempre mi desidera e sempre mi ama, onde il suo desiderio non è vuoto; ma sebbene abbia fame, è saziato, e saziato ha fame; e tuttavia è lungi il fastidio della sazietà, come è lungi la pena della fame.

Nell’amore i beati godono dell’eterna mia visione, partecipando ognuno, secondo la sua misura, di quel bene, che io ho in me medesimo. Con quella misura d’amore con la quale sono venuti a me, con essa viene loro misurato. Essi sono rimasti nella mia carità ed in quella del prossimo; sono stati insieme uniti nella carità comune ed in quella particolare, che esce pure da una medesima carità.

Godono ed esultano, partecipando l’uno del bene dell’altro con l’affetto della carità, oltre al bene universale, che essi hanno tutti insieme. Godono ed esultano cogli angeli, coi quali sono collocati i santi, secondo le diverse e varie virtù, che principalmente ebbero nel mondo, essendo tutti legati nel legame della carità. Hanno poi una partecipazione singolare di bene con coloro coi quali si amavano strettamente d’amore speciale nel mondo, col quale amore crescevano in grazia, aumentando la virtù. L’uno era cagione all’altro di manifestare la gloria e lode del mio nome, in sé e nel prossimo. Nella vita eterna non hanno perduto questo affetto, ma l’hanno aggiunto al bene generale, partecipando più strettamente e con più abbondanza l’uno del bene dell’altro.

Non vorrei però che tu credessi che questo bene partico­lare, di cui ti ho parlato, l’avessero solo per sé: non è così, ma esso è partecipato da tutti quanti i gustatori, che sono i cittadini del cielo, i miei figli diletti, e da tutte le creature angeliche. Quando l’anima giunge a vita eterna, tutti parteci­pano del bene di quell’anima, e l’anima del bene loro. Non è che il vaso di ciascuno possa crescere, né che abbia bisogno di empirsi, poiché è pieno e quindi non può crescere; ma hanno un’esultanza, una giocondità, un giubilo, un’allegrezza, che si ravvivano in loro, per quanto sono venuti a conoscere di quell’anima. Vedono che per mia misericordia ella è tolta alla terra con la pienezza della grazia, e così esultano in me per il bene che quell’anima ha ricevuto dalla mia bontà.

E quell’anima gode pure in me, nelle altre anime, e negli spiriti beati, vedendo e gustando in loro la bellezza e dolcez­za della mia carità. I loro desideri gridano sempre dinanzi a me per la salvezza di tutto quanto il mondo. Poiché la loro vita finì nella carità dei prossimo, non hanno lasciata questa carità, ma sono passati con essa per la porta del mio Unige­nito Figliuolo, nel modo che ti dirò più sotto. Vedi dunque che essi restano con quel legame dell’amore, col quale finì la loro vita: esso resta e dura per tutta l’eternità.

Sono tanto conformi alla mia volontà, che non possono volere se non quello che io voglio; poiché il loro libero arbi­trio è legato per siffatto modo col legame della carità che, quando viene meno il tempo di questa vita alla creatura, che ha in sé ragione e che muore in stato di grazia, essa non può più peccare. Ed è tanto unita la sua volontà alla mia che, se il padre o la madre vedessero il figliolo nell’inferno, o il figlio ci vedesse la madre, non se ne curerebbero; anzi sono contenti di vederli puniti come miei nemici. In nessuna cosa si scordano di me; i loro desideri sono appagati. Desiderio dei beati è di vedere trionfare il mio onore in voi viandanti, che siete pellegrini in questa terra e sempre correte verso il termine della morte. Nel desiderio del mio onore bramano la vostra salute, e perciò sempre mi pregano per voi. Un tale desiderio è sempre adempiuto per parte mia, se voi ignoranti non recalcitraste contro la mia misericordia.

Hanno ancora il desiderio di riavere la dote della loro anima, che è il corpo; questo desiderio non li affligge al presente, ma godono per la certezza che hanno di vederlo appagato: non li affligge, perché, sebbene ancora non abbiano il corpo, tuttavia non manca loro la beatitudine, e perciò non risentono pena. Non pensare che la beatitudine del corpo, dopo la resurre­zione, dia maggiore beatitudine all’anima. Se fosse così, ne ver­rebbe che i beati avrebbero una beatitudine imperfetta, fino a che non riprendessero il corpo; cosa impossibile, perché in loro non manca perfezione alcuna. Non è il corpo che dia beatitudine all’anima, ma sarà l’anima a dare beatitudine al corpo; darà della sua abbondanza, rivestendo nel dì del giudizio la propria carne, che aveva lasciato in terra.

Come l’anima è resa immortale, ferma e stabilita in me, così il corpo in quella unione diventa immortale; perduta la gravezza della materia, diviene sottile e leggero. Sappi che il corpo glorificato passerebbe di mezzo a un muro. Né il fuoco né l’acqua potrebbero nuocergli, non per virtù sua ma per virtù dell’anima, la quale virtù è mia, ed è stata data a lei per grazia e per quell’amore ineffabile col quale la creai a mia immagine e somiglianza. L’occhio del tuo intelletto non è sufficiente a ve­dere, né l’orecchio a udire, né la lingua a narrare, né il cuore a pensare, il bene loro.

Oh, quanto diletto provano nel vedere me, che seno ogni bene! Oh, quanto diletto avranno, allorché il loro corpo sarà glorificato! E sebbene manchino di questo bene fino al giorno del giudizio universale, non hanno pena, perché l’anima è piena di felicità in se stessa. Una tale beatitudine sarà poi partecipata al corpo, come ti ho spiegato.

Ti parlavo del bene, che ritrarrebbe il corpo glorificato nell’Umanità glorificata del mio Figlio Unigenito, la quale dà a voi certezza della vostra resurrezione. Esultano i beati nelle sue piaghe, che sono rimaste fresche; sono conservate nel suo corpo le cicatrici, che continuamente gridano a me, sommo ed eterno Padre, misericordia. Tutti si conformano a lui in gaudio e giocondità, occhio con occhio, mano con mano, e con tutto il corpo del dolce Verbo, mio Figlio. Stando in me, starete in lui, poiché egli è una cosa sola con me; ma l’occhio del vostro corpo si diletterà nell’Umanità glorificata del Verbo Unigenito mio Figlio. Perché questo? Perché la loro vita finì nella dilezione della mia carità, e perciò dura loro eternamente.

Non possono guadagnare alcun nuovo bene, ma si godono quello che si sono portato, non potendo fare alcun atto meritorio, perché solo in vita si merita e si pecca, secondo che piace al libero arbitrio della vostra volontà. Essi non aspettano con timore, ma con allegrezza, il giudizio divino; e la faccia del mio Figlio non parrà loro terribile, né piena d’odio, perché sono morti nella carità, nella dilezione di me e nella benevolenza del prossimo. Così tu comprendi come la mutazione della faccia non sarà in lui, quando verrà a giudicare con la mia maestà, ma in coloro che saranno giudicati da lui. Ai dannati apparirà con odio e con giustizia; ai salvati, con amore e misericordia.

Dio rivela a Santa Caterina da Siena: “Come il demonio inganna le anime sempre sotto colore di bene e come quelli che passano non per il ponte, ma per il fiume, sono ingannati, perché vo­lendo fuggire le pene, vi cadono”

Tratto dal Dialogo della divina Provvidenza di Santa Caterina da Siena

CAPITOLO 44

Come il demonio inganna le anime sempre sotto colore di bene e come quelli che passano non per il ponte, ma per il fiume, sono ingannati, perché vo­lendo fuggire le pene, vi cadono. Si espone pure la visione di un albero, che una volta ebbe quest’anima.

Ti ho detto che il demonio invita gli uomini all’acqua mor­ta, cioè, a quella che egli ha per sé, accecandoli con le delizie e gli agi del mondo. Li piglia con l’amo del piacere, sotto colo­re di bene, non potendo prenderli in altro modo; perché essi non si lascerebbero prendere, se non vi trovassero qualche bene o diletto, dato che l’anima di sua natura appetisce sempre il bene.

È vero che l’anima, accecata dall’amor proprio, non cono­sce né discerne quale sia il vero bene che possa dare utilità a se stessa e al corpo. Poiché il demonio, da quell’iniquo che è, vedendo l’uomo accecato dall’amor proprio sensitivo, gli propo­ne diversi e vari peccati sotto colore di utilità o di bene, e a ciascuno li presenta secondo il suo stato e secondo quei vizi principali, ai quali lo vede più disposto. Altro presenta al seco­lare, altro al religioso; altro ai prelati, altro ai signori; a ciascu­no sempre secondo il suo stato particolare. Ti dico questo, perché ora voglio parlarti di quelli che s’annegano giù per il fiume; essi non hanno altro rispetto che a se stessi, amandosi fino ad offendermi.

Ti ho già parlato della loro fine; ma ora voglio mostrarti come essi si ingannano, poiché, mentre vogliono fuggire le pene, cadono nelle medesime. Pare loro che a seguire me, cioè a tenere la via del Verbo, Figlio mio, sia gran fatica; e perciò si ritraggono indietro, temendo le spine. Questo avviene, per­ché sono accecati e non vedono né conoscono la verità, come io ti mostrai nel principio della tua vita, quando tu mi pregavi che io facessi misericordia al mondo, togliendo i peccatori dalle tenebre del peccato mortale.

Tu sai che allora io ti mostrai me stesso sotto figura di un albero, del quale non vedevi né principio né fine, ma scorgevi che la radice era unita alla terra; era l’immagine della natura divina, unita con la terra della vostra umanità. Ai piedi dell’albero, se ben ricordi, vi erano delle spine dalle quali si allontanavano tutti coloro che amavano la propria sensualità e correvano ad un monte di loglio, nel quale ti raffigurai tutti i piaceri del mondo.

Quel loglio pareva grano e non era; perciò molte anime vi perivano dentro di fame, e molte, conoscendo l’inganno del mondo, ritornavano all’albero e passavano sulle spine cioè sulla deliberazione della volontà; la quale deliberazione, prima che sia fatta, è una spina che pare all’uomo di trovare nel seguire la via della verità. Sempre si combattono, la coscienza da un lato, dall’altro la sensualità. Ma appena la coscienza, con odio e dispiacimento di sé, delibera virilmente dicendo: Io voglio seguire Cristo crocifisso, rompe subito la spina e trova dolcezza inestimabile, come allora ti mostrai; e la trovano essi, chi più e chi meno, secondo la propria disposizione e sollecitudine.

Ti dissi pure: Io sono il vostro Dio immutabile, né mi sottraggo a veruna creatura, che voglia venire a me. Ho mo­strato agli uomini la verità, facendomi loro visibile, mentre io sono invisibile, ed ho mostrato loro che cosa sia amare una cosa senza di me. Ma essi, accecati dalla nuvola dell’amore disordinato, non conoscono né me né se stessi. Vedi come sono nell’inganno; vogliono prima morire di fame che passare un poco sulle spine!

Non possono fuggire, per liberarsi della pena, perché nessuno passa in questa vita senza croce, tolti quelli che ten­gono per la via di sopra; non è che essi passino senza pena, ma la pena è loro di refrigerio. E siccome per il peccato il mondo germinò spine e triboli, e si formò questo fiume e mare tempestoso, perciò vi diedi il ponte, affinché non anneghiate.

Così ti ho mostrato che essi si ingannano col timore disordinato, e che io sono loro Dio, che non muto e non sono accettatore di persone, ma del santo desiderio. E questo ti ho pure insegnato nella figura dell’albero.

Dio rivela a Santa Caterina da Siena: “Il timore servile non è sufficiente a dare la vita eterna; ma esercitandosi in que­sto timore si giunge all’amore della virtù.”

Tratto dal Dialogo della divina Provvidenza di Santa Caterina da Siena

 

CAPITOLO 49

Il timore servile non è sufficiente a dare la vita eterna; ma esercitandosi in que­sto timore si giunge all’amore della virtù.

 

Ora ti dico che vi sono alcuni, i quali si sentono spronare dalle tribolazioni del mondo, che lo do affinché l’anima cono­sca, non solo che il suo fine non consiste in questa vita, ma che le cose di questo mondo sono imperfette e transitorie, e così desideri me, vero suo fine, prendendo le cose sotto questo aspetto. Allora per mezzo di quella pena che già sentono, e di quella che si aspettano per via della colpa, cominciano a to­gliersi la nuvola del peccato. Con questo timore servile comin­ciano ad uscire dal fiume, vomitando il veleno, che era stato loro gettato dallo scorpione sotto figura di oro e che essi ricevettero senza discernimento. Ma appena lo conoscono, comin­ciano a levarselo, e ad indirizzarsi verso la riva, per attaccarsi al ponte.

Ma non basta camminare col solo timore servile, perché lo spazzare la casa dal peccato mortale senza empirla di virtù, fondate sull’amore e non sul solo timore, non è sufficiente a dare la vita eterna. L’uomo deve porre sul primo scalone del ponte ambedue i piedi, cioè, l’affetto e il desiderio, i quali sono i piedi che portano l’anima all’amore della mia Verità, della quale io vi ho fatto ponte per salvarvi.

Questo è il primo scalone, sul quale io ti dissi che vi con­veniva salire, quando ti spiegai come il mio Figlio avesse fatto del suo corpo una scala. È vero però che questo modo di sol­levarsi dal peccato, per timore della pena, è comune in genera­le ai servi del mondo. Siccome le tribolazioni del mondo fanno qualche volta venire loro a tedio se stessi, perciò cominciano a sentire dispiacere. Se si esercitano in questo timore col lume della fede, passeranno poi all’amore delle virtù.

Vi sono invece altri, i quali camminano con tanta tiepi­dezza, che spesse volte ritornano dentro il fiume; poiché, ar­rivati alla riva, e giungendo i venti contrari, vengono percossi dalle onde del mare tempestoso di questa tenebrosa vita. Se giunge il vento della prosperità, il tiepido volge indietro il capo alle delizie con diletto disordinato, poiché non è salito per sua negligenza sul primo scalone. E se viene il vento dell’avversità, si volge indietro per mancanza di pazienza, perché non ha in odio la sua colpa per l’offesa fatta a me, ma per il timore della propria pena, che vede seguirne, col quale timore si era sollevato dal vomito. Ogni pratica di virtù vuole perseveranza, senza la quale non va ad effetto il desi­derio di giungere al fine, per il quale egli cominciò a con­vertirsi; e così non lo raggiunge mai. Fa dunque bisogno la perseveranza, per adempiere quel desiderio.

Ti ho detto che costoro, secondo i diversi movimenti che loro vengono, si volgono: o in se medesimi, impugnando la propria sensualità contro lo spirito; o verso le creature, volgen­dosi ad esse con amore disordinato al di fuori di me, oppure con impazienza per le ingiurie che ricevono da quelle, o dai demoni, in molte e diverse battaglie. Qualche volta il demonio tenta di far venire la persona a confusione, dicendo: Questo bene che tu hai cominciato, non ti vale niente per i tuoi pecca­ti e difetti. E questo lo fa per farla tornare indietro, e farle tra­lasciare quel poco di esercizio virtuoso che ha intrapreso. Altra volta la tenta col diletto, cioè, con una speranza eccessiva della mia misericordia, dicendole: A che ti vuoi affaticare? Gòditi questa vita, e nell’estremo della morte, rientrando in te, riceve­rai misericordia. In tal modo il demonio fa loro perdere il ti­more santo col quale avevano cominciato la loro conversione.

Per tutti questi motivi, e molti altri, volgono il capo indie­tro e non sono costanti né perseveranti. Tutto avviene, perché la radice dell’amor proprio non è punto estirpata in essi; per questo non sono perseveranti, ma accolgono con grande pre­sunzione la misericordia insieme ad una speranza facile e smo­data. Presuntuosi come sono, sperano nella mia misericordia, che continuamente è da essi offesa.

Io non ho dato, né do la misericordia, perché con essa mi offendano, ma perché si difendano dalla malizia del demonio e dalla disordinata confusione della mente. Essi fanno tutto il contrario: col braccio della misericordia mi offendono. E que­sto avviene, perché non hanno continuato ad esercitarsi nella prima mutazione che fecero, quando si rialzarono dal peccato per il timore della pena, sentendosi punti dalle spine delle mol­te tribolazioni e dalla miseria del peccato mortale. Non facendo altri cambiamenti, non giungono all’amore delle virtù; e quindi mancano di perseveranza.

L’anima non può fare che non si muti in qualche maniera; se non va avanti, torna addietro. Così questi tali, è necessario che tornino indietro, perché non vanno avanti nella virtù, di­staccandosi dalla imperfezione del timore della pena per giun­gere all’amore.

Dio rivela a Santa Caterina da Siena: “Morte dei peccatori e loro pene in punto di morte” “Questo è quel peccato che non è perdonato né di qua né di là”

 

Tratto dal Dialogo della divina Provvidenza di Santa Caterina da Siena

 

CAPITOLO 132

Morte dei peccatori e loro pene in punto di morte.

 

O carissima figliuola, non è tanta l’eccellenza dei buoni, che non abbiano più miseria gli infelici, dei quali io ti ho parlato. Quanto è terribile e scura la loro morte! In punto di morte i demoni li accusano con tanto terrore e oscurità, e si mo­strano nella loro figura, che sai essere tanto orribile, che la creatura sceglierebbe ogni pena di questa vita, piuttosto che vederli nella loro immagine.

Inoltre gli si rinfresca lo stimolo della coscienza, che lo rode miseramente nell’intimo. Le disordinate delizie e la sen­sualità che egli si fece signora, mentre fece serva la ragione, l’accusano terribilmente, perché allora conosce la verità di quel­lo che prima non conosceva. Onde viene a grande confusione per il suo errore, essendo vissuto in vita come infedele a me, poiché l’amor proprio gli aveva velato la pupilla del lume della santissima fede. Il demonio lo tenta d’infedeltà, per farlo venire a disperazione.

Oh quanto gli è dura questa battaglia, che lo trova disar­mato, senza l’arma dell’affetto della carità. Questi peccatori, come membri del diavolo, ne sono del tutto privati. Non hanno il lume soprannaturale, né quello della scienza: non lo compresero, poiché le corna della superbia non lasciarono loro intendere la dolcezza del suo midollo; ed ora nelle grandi battaglie non sanno che si debba fare. Non sono nu­triti nella speranza, poiché non hanno sperato in me e nel Sangue, del quale li feci ministri, ma solo in se stessi e nelle dignità e delizie del mondo.

Questo misero demonio incarnato non vedeva che ogni cosa gli stava a usura, e come debitore gli toccava un giorno rendere ragione a me. Ora si trova ignudo e senza alcuna vir­tù; da qualunque lato si volga, non ode altro che rimproveri, con grande sua confusione.

L’ingiustizia, che ha esercitata in vita, l’accusa alla coscien­za, onde non s’ardisce di domandare altro che giustizia. E ti dico che tanta è quella vergogna e confusione, che essi già si dispererebbero. Se non che nella loro vita nutrono una grande presunzione, per cagione dei loro difetti: perché si può dire che vi sia più presunzione che speranza di misericordia, in colui il quale offende col braccio stesso della misericordia che gli uso. Giungendo dunque all’estremo della morte, se egli riconosce il suo peccato e scarica la coscienza nella santa confessione, vie­ne ad esser tolta la presunzione colpevole, e rimane la miseri­cordia.

Con questa misericordia possono attaccarsi alla speranza, se lo vogliono. Ché se non vi fosse questo, non vi sarebbe nes­suno che non si disperasse, e nella disperazione giungerebbe coi demoni all’eterna dannazione.

La mia misericordia questo fa: di farli sperare durante la vita nella misericordia, benché io non lo conceda perché offen­dano la misericordia, ma perché si dilatino nella carità e nella considerazione della mia bontà. Putroppo l’usano tutta in con­trario, perché con la speranza, che hanno concepita della mia misericordia, m’offendono. E nondimeno io li conservo in que­sta speranza della misericordia, perché in punto di morte ab­biano a che attaccarsi, non vengano del tutto meno nella ri­prensione che sarà loro fatta, e non giungano così a dispera­zione.

Quest’ultimo peccato della disperazione è molto più spiace­vole a me e dannoso a loro, che tutti gli altri peccati che han­no commessi. Infatti gli altri peccati li fanno con qualche dilet­to della sensualità, e talvolta se ne dolgono fino al punto che, per quel dolore, ricevono misericordia. Ma al peccato della di­sperazione non ve li muove fragilità, poiché non vi trovano al­cun piacere, ma niente altro che pena intollerabile. Nella dispe­razione l’infelice spregia la mia misericordia, stimando il suo difetto maggiore della misericordia e bontà mia. Caduto che sia in questo peccato, non si pente né ha dolore della mia offesa come dovrebbe; si duole sì del suo danno, ma non si duole dell’offesa che ha fatta a me; e così riceve l’eterna dannazione. Così tu vedi che solo questo peccato lo conduce all’inferno, e nell’inferno è tormentato da questo e da tutti gli altri difetti, che ha commessi. Se si fosse doluto e pentito dell’offesa fatta a me, e avesse sperato nella misericordia, l’avrebbe trovata; poi­ché, senza paragone alcuno, la mia misericordia è maggiore di tutti i peccati che potesse commettere qualunque creatura. Per­ciò mi dispiace molto che essi stimino maggiori i loro difetti. Questo è quel peccato che non è perdonato né di qua né di là. E poiché molto mi dispiace la disperazione, vorrei che nel punto di morte, dopo che la loro vita è passata disordinata­mente e scelleratamente, pigliassero speranza nella mia miseri­cordia. Ecco perché nella loro vita io uso il dolce inganno, di farli sperare largamente nella mia misericordia, perché, quando sono nutriti in questa speranza, se giungono alla morte, non sono così portati a lasciarla per le dure riprensioni che odono, come farebbero se non se ne fossero nutriti.

Tutto questo è dato loro dal fuoco e dall’abisso della mia inestimabile carità. Ma perché essi hanno usata la misericordia nelle tenebre dell’amor proprio, da cui è proceduto ogni loro difetto, non l’hanno conosciuta in verità; perciò è loro reputata a grande presunzione la dolcezza della misericordia, per quanto sta nel loro affetto. E questa è un’altra riprensione che dà loro la coscienza alla presenza dei demoni, rimproverando loro che il tempo e la larghezza della misericordia, nella quale sperava­no, dovevano dilatarsi in carità, in amore delle virtù, e con vir­tù spendere il tempo che io diedi loro per amore. Essi invece, mi offendevano miseramente col tempo stesso e con la speran­za larga della misericordia.

O cieco, e più che cieco! Tu sotterravi la perla e il talento che io ti misi nelle mani per guadagnare; e tu, presuntuoso come eri, non volesti fare la mia volontà, ma li nascondesti sotto la terra del disordinato amor proprio che ti rende ora frutto di morte. Oh, misero te! Quanto è grande la pena, che tu ricevi ora nell’estremo. Non ti sono occultate le tue miserie, poiché il verme della coscienza ora non dorme, ma rode. I de­moni ti gridano e ti rendono il compenso che essi usano di rendere ai loro servi: confusione e rimprovero. Vogliono che tu giunga alla disperazione, affinché tu nel punto della morte non esca loro dalle mani, e perciò ti dànno la confusione; così ti renderanno poi quello che essi hanno per sé.

Oh misero! La dignità, nella quale ti posi, ti si presenta lu­cida come ella è. E per tua vergogna, conoscendo che tu hai tenuti e usati in tanta tenebra di colpa i beni della santa Chie­sa, ti presenta come un ladro e un debitore, poiché dovevi ren­dere il dovuto ai poveri e alla santa Chiesa. Allora la coscienza ti mette avanti quel che hai speso e dato alle pubbliche meretri­ci, quello con cui hai allevato i figliuoli, arricchiti i parenti, o te lo sei cacciato giù per la gola, procurando l’ornamento della casa e i molti vasi d’argento, mentre dovevi vivere in povertà volontaria.

La tua coscienza ti presenta l’ufficio divino, che lasciavi senza curartene, sebbene cadessi in colpa di peccato mortale; oppure, se lo dicevi con la bocca, il tuo cuore era lungi da me. Verso i sudditi dovevi avere la carità e la fame nutrendoli di virtù, dando loro esempio di vita, battendoli con la mano della misericordia e con la verga della giustizia; ma perché tu facesti il contrario, la coscienza te ne rimprovera al cospetto orribile dei demoni. E se tu, prelato, hai dato ingiustamente le prela­zioni o la cura d’anime a qualche tuo suddito, senza badare a chi e come abbia dato tali uffici, ti si presenta alla coscienza il pensiero che tu dovevi darli non per parole lusinghevoli, né per piacere alle creature, né per doni, ma solo con riguardo alla virtù, al mio onore e alla salute delle anime. E poiché non l’hai fatto, ne sei ripreso: così, a maggiore tua pena e confusione hai dinnanzi alla coscienza e al lume dell’intelletto quello che hai fatto e non dovevi fare, e quello che dovevi fare e non hai fatto.

Sappi, carissima figliuola, che il bianco si conosce meglio se si pone allato al nero, e il nero allato al bianco, che separati l’uno dall’altro. Così avviene a questi miseri in particolare e a tutti gli altri in generale, che si vedono presentata la loro vita scellerata nel punto della morte, in cui l’anima comincia a ve­dere di più i suoi guai, e il giusto la sua beatitudine.

Non vi è bisogno che alcuno la ponga dinanzi al misero peccatore, perché la sua coscienza da se stessa si pone dinanzi i peccati commessi, e le virtù che doveva esercitare. Perché le virtù? Per maggiore sua vergogna; perché essendo allato il vi­zio e la virtù, per la virtù conosce meglio il vizio, e quanto più lo conosce, maggiore è la vergogna che ne ha. Parimente, per il suo difetto, conosce meglio la perfezione della virtù, onde ha maggiore dolore, vedendo che nella sua vita è stato fuori d’o­gni virtù. E devi sapere che nel conoscere la virtù e il vizio, essi vedono davvero il bene che segue all’uomo virtuoso dalla virtù, e la pena che segue a chi è giaciuto nelle tenebre del peccato mortale.

Io do questo conoscimento, perché egli venga non alla di­sperazione, ma al perfetto conoscimento di sé e alla vergogna del suo difetto, unita alla speranza; affinché con la vergogna e con questo conoscimento sconti i suoi difetti e plachi l’ira mia, dimandando umilmente misericordia. Il virtuoso cresce nel gau­dio e nel conoscimento della mia carità, perché riporta a me, non a sé, la grazia d’aver seguito le virtù, e d’essere andato per la dottrina della mia Verità; perciò esulta in me. Con que­sto vero lume e conoscimento gusta e riceve il dolce fine suo, nel modo che io ti ho detto in altro luogo. Sicché l’uno, che è vissuto con ardentissima carità, esulta in gaudio, e l’iniquo te­nebroso si confonde in pena.

A1 giusto non nuocciono le tenebre e la vista dei demoni, né egli teme, poiché solo il peccato è quello che teme e gli dà nocumento. Ma quelli che hanno menata la loro vita lasciva­mente e con molte miserie, ricevono danno e timore al vedere i demoni. Non il danno che proviene dalla disperazione, a meno che essi stessi lo vogliano, ma quello che proviene dalla pena della riprensione, dal rinfrescamento della coscienza, dalla pau­ra e timore al loro aspetto orribile.

Or vedi, carissima figliuola, quanto siano differenti la pena e la battaglia che ricevono nella morte il giusto e il peccatore; e quanto sia differente la loro fine. Una piccola particella te ne ho narrato e mostrato all’occhio dell’intelletto; ed è sì piccola per rispetto a quella che è veramente, cioè alla pena che riceve l’uno e al bene che riceve l’altro, che è quasi un niente.

Vedi quanta sia la cecità dell’uomo, e specialmente di que­sti miserabili, poiché quanto più hanno ricevuto da me e più sono illuminati dalla santa Scrittura, tanto maggiormente mi sono obbligati e maggiore è la pena intollerabile che ricevono. E siccome ebbero maggiore conoscenza della santa Scrittura nella loro vita, conoscono di più in morte i grandi difetti commessi, e sono collocati in maggiori tormenti che gli altri, come pure i buoni sono posti in maggiore eccellenza.

A costoro avviene come al falso cristiano, che nell’inferno è posto in maggiore tormento che un pagano, perché egli ebbe il lume della fede e vi rinunziò, mentre l’altro non l’ebbe. Così questi miseri avranno più pena d’una medesima colpa che gli altri cristiani, per il ministero che io loro affidai, dando loro ad amministrare il Sole del santo Sacramento, e perché ebbero il lume della scienza, per poter discernere la verità per sé e per gli altri, se avessero voluto. E perciò giustamente ricevono maggiori pene.

Ma i miseri non lo conoscono; ché, se avessero un minimo di considerazione del loro stato, non verrebbero in tanti mali, ma sarebbero quello che devono essere, e non sono. È vero: tutto il mondo è corrotto, ma essi fanno peggio che i secolari nel loro grado. Onde con le loro immondezze lordano la faccia delle loro anime, corrompono i sudditi e succhiano il sangue alla Sposa mia, che è la santa Chiesa. Per i loro difetti la im­pallidiscono, poiché l’amore e l’affetto della carità, che dovreb­bero avere a questa Sposa, l’hanno posto in se stessi, e non at­tendono ad altro che a piluccarla e a trarne le prelazioni e le grandi rendite, mentre dovrebbero cercare anime. Così, per la loro malavita, i secolari giungono alla irriverenza e disobbe­dienza alla santa Chiesa, benché non dovrebbero farlo. Né il loro difetto è scusato dal difetto dei ministri.