LA SALVEZZA NON È UN PASSATEMPO CON CUI OCCUPARE IL TEMPO LIBERO! IL CASTIGO PER LA NEGLIGENZA: “LA PARABOLA DEI TALENTI” 👇

PERCHÉ DIO HA CREATO QUESTO MONDO? PERCHÉ PERMETTE IL MALE? “La nostra scelta è quella di obbedire o di ribellarci alla Legge divina” 👇

Perché l’uomo moderno non trova Dio? “Il Divino è sempre dove meno ti aspetti di trovarlo”

DAL NUOVO LIBRO DI FULTON SHEEN: LA GRANDE LEZIONE DEL GIORNO DI PASQUA. “Il mondo ebbe torto e Cristo ebbe ragione…E’ meglio essere sconfitti agli occhi del mondo”

“IL REGNO DI DIO È UNA SFIDA” UN NUOVO LIBRO CAPOLAVORO DI FULTON SHEEN

Ringraziamo le suore della casa editrice Mimep di Milano, per la nuova pubblicazione di un testo inedito di Fulton Sheen, tradotto per la prima volta in italiano: “Il Regno di Dio è una sfida. Una guida per il Cielo”.

Il libro uscirà nelle librerie il 10 Aprile, ma si può già acquistare sul sito della casa editrice Mimep delle suore, dove si trova anche l’anteprima scaricabile in PDF. Qui il link per l’acquisto 👇

La Prefazione è di Padre Angelo Bellon, sacerdote domenicano, curatore del sito Amici Domenicani e della famosa rubrica “Un sacerdote risponde”.

Dalle prime righe della prefazione:

“Iniziando la lettura dei 15 capitoli che compongono questo libro di Mons. Fulton Sheen, si avverte subito una sensazione particolare: è come se si venisse introdotti in un corso di esercizi spirituali. Ogni capitolo costituisce una meditazione che mette a fuoco alcune verità fondamentali della nostra esistenza. Dall’inizio alla fine, in maniera più o meno intensa, si avverte la consapevolezza di non trovarsi solo di fronte a verità pur importanti per la vita di ogni uomo, ma dinanzi a Dio stesso che parla all’anima. Proseguire nella lettura di queste pagine è come fermarsi e mettersi in ascolto di Dio che getta luce nella profondità della nostra esistenza, per illuminarla e orientarla. Non si è abituati alla lettura di un testo come questo. Ma si avverte subito che è una grazia averlo tra le mani. Non di rado capita di dire a se stessi: devo rileggere questo capitolo perché è troppo prezioso per la mia vita.” (Padre Angelo Bellon)

Dalla quarta di copertina:

Una nuova traduzione delle meditazioni del grande arcivescovo americano Fulton Sheen. In questo volume l’autore sviluppa il tema del Regno di Dio attraverso gli elementi essenziali del cristianesimo e della vita morale. Di fronte alla chiamata di Dio, siamo invitati ad accettare la sfida e a rinunciare a tutto ciò che ci allontana dal Regno.
I temi trattati: Dio come fondamento della moralità, la necessità della mortificazione, la bellezza della vita religiosa, la santità del matrimonio, la realtà del peccato, la necessità della Redenzione, il giudizio di Dio dopo la morte, l’esistenza dell’inferno e del purgatorio.

“Il Divino è sempre dove meno ti aspetti di trovarlo. È venuto nel mondo come un Bambino bisognoso in una mangiatoia, ed ha lasciato il mondo come un Uomo indifeso sulla Croce. Se vogliamo perciò trovare Dio, dobbiamo cercarlo nella debolezza e nella sconfitta, ma una debolezza che nasconde in sé la potenza e una sconfitta che si manifesterà come vittoria”. (Fulton Sheen)

INDICE:

PREFAZIONE – 1. UN SENZATETTO A CASA SUA: GESÙ BAMBINO – 2. IL SINAI INTERIORE: LA COSCIENZA – 3. L’EMERGENZA: IL GRANDE DRAMMA DELLA MORALE – 4. IL CASTIGO PER LA NEGLIGENZA: LA PARABOLA DEI TALENTI – 5. MORIRE PER VIVERE: LA MORTIFICAZIONE – 6. ROSE NEL GIARDINO DI DIO: LA VITA RELIGIOSA – 7. FINCHÉ MORTE NON CI SEPARI: LA VITA MATRIMONIALE – 8. I LEGAMI DI ADAMO: DIFFICOLTÀ E RIMEDI NEL MATRIMONIO – 9. IL FRUTTO DELL’AMORE: I FIGLI – 10. LA MORTE DELLA VITA: IL PECCATO – 11. LA RESA DEI CONTI: IL GIUDIZIO DI DIO – 12. LE FIAMME PURIFICATRICI: IL PURGATORIO – 13. IL RIFIUTO DELL’AMORE: L’INFERNO ETERNO – 14. IL PARADOSSO DELLA SALVEZZA: IL SACRIFICIO – 15. L’INNO DEI VINTI: IL GRIDO DI BATTAGLIA DEL CRISTIANO.

Il libro uscirà nelle librerie il 10 Aprile, ma si può già acquistare sul sito della casa editrice Mimep delle suore, dove si trova anche l’anteprima scaricabile in PDF. Qui il link per l’acquisto: https://www.mimep.it/catalogo/fede-vita/il-regno-di-dio-e-una-sfida/

I CATTOLICI TIEPIDI CHE CERCANO COMPROMESSI CON IL MONDO E NEGANO LA FEDE: “I veri discepoli di Cristo sono agli antipodi della mentalità del mondo” 👇

“Perché il dolore? Quando mai me lo sono meritato?” LE RAGIONI DEL DOLORE, LA SOFFERENZA E LA PAZIENZA

LA PASSIONE DELL’IRA E IL PERDONO: “Dimmi chi è il tuo nemico e ti dirò chi sei. Dimmi chi è l’oggetto del tuo odio, e io ti dirò com’è il tuo carattere. Odi il peccato? Allora ami Dio!”

UN ESTRATTO DAL NUOVO LIBRO DI FULTON SHEEN “IL PIANTO DEL CRISTO”

Il libro è appena uscito e si può acquistare sul sito della casa editrice Mimep delle suore. Qui il link: 👇

Il pianto del Cristo

La passione che nell’uomo affonda più profondamente le sue radici nella sua natura razionale è quella dell’ira. L’ira può essere perfettamente compatibile con la ragione, perché la rabbia si basa sulla ragione, che soppesa il torto subito e la soddisfazione da pretendere. Se ci adiriamo è perché qualcuno ci ha ferito in qualche modo o perché ci sentiamo tali. Ma non sempre l’ira è un peccato: esiste quella che si definisce “la giusta rabbia”. Un esempio è quando nostro Signore si infuria contro i mercanti nel tempio. Varcata la soglia, durante le feste della Pasqua, trovò il cortile del tempio ingombro di commercianti che assillavano i fedeli, cercando di vender loro qualche colomba o un agnello per il sacrificio. Fatta una frusta con alcune cordicelle, Gesù avanzò nel mezzo delle bancarelle, con un’espressione severa, ancor più minacciosa della frusta che aveva in mano. Cacciò i buoi e le pecore con la frusta, mentre con le mani rovesciava i banchi dei cambiavalute, in una pioggia di monetine che rotolavano sul pavimento; si rivolse ai venditori di colombe, ingiungendo loro di lasciarle libere; in tutto questo egli diceva: “Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!” (Gv 2, 16). In questo si adempì il comandamento delle Scritture, “Adiratevi ma non peccate” (Ef 4, 26) perché la rabbia non è un peccato, in questi tre casi:

1.Se ci si adira per una giusta causa, ad esempio la difesa dell’onore di Dio.

2. Se l’ira non è spropositata rispetto alla sua causa, cioè se la si tiene sotto controllo.

3. Se è subito domata: “Non tramonti il sole sulla vostra ira” (Ef 4, 26).

Qui però non parliamo di “giusta ira”, ma ingiusta, senza un valido motivo – una rabbia eccessiva, vendicativa, accanita: il tipo di rabbia che molti provano in odio verso Dio; la rabbia che vuole l’annientamento della religione su un sesto della superficie terrestre e che in Spagna ha incendiato venticinquemila chiese e cappelle e ucciso dodicimila servi di Dio; il tipo di odio che è diretto non solo contro Dio, ma contro un altro uomo e che viene alimentato dai discepoli della lotta di classe che parlano di pace ma si compiacciono della guerra: la rabbia rossa, che infiamma il volto di furia, e la rabbia bianca, che lo sbianca di livore; la rabbia che cerca “la parità”, che ripaga della stessa moneta, colpo per colpo, pugno per pugno, occhio per occhio, menzogna per menzogna, la rabbia del pugno chiuso pronto a colpire, non in difesa di ciò che si ama, ma all’attacco di ciò che si odia: in una parola la rabbia che distruggerà la nostra civiltà, a meno che la soffochiamo con l’amore.

Nostro Signore è venuto per liberarci dal peccato della rabbia, in primo luogo insegnandoci una preghiera: “Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”; e poi lasciandoci un comandamento: “Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano”, (Mt 5, 44) e, più concretamente: “Se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due… Se qualcuno ti chiede il mantello, tu dagli anche la tunica” (Mt 5, 40–41). Non sono ammesse vendetta e ritorsione: “Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente. … ma io vi dico amate i vostri nemici” (Mt 5, 38, 44). Questi precetti sono ancor più impressionanti perché Gesù stesso li ha messi in pratica. Quando i Geraseni si arrabbiarono con lui perché egli attribuì un peso maggiore alla vita di un povero uomo, piuttosto che ad una mandria di maiali, la Scrittura non riporta nessuna rimostranza da parte sua: “Salito sulla barca, passò dall’altra parte” (Mt 9, 1), al soldato che l’aveva colpito con il pugno di ferro, la sua risposta mite fu: “Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male. Ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?” (Gv 18, 23). La rabbia fu completamente riparata sul Calvario. Fu l’odio e la rabbia a trascinare nostro Signore su quella collina. I suoi concittadini lo odiavano e reclamavano la sua crocifissione; la legge lo odiava, tanto da rinnegare la giustizia pur di condannare la Giustizia; i gentili lo odiavano, perché hanno permesso che venisse ucciso; i boschi lo odiavano perché fu su uno dei loro alberi che venne inchiodato; i fiori lo odiavano perché fornirono le spine con cui venne incoronato; le viscere della terra lo odiavano e fornirono l’acciaio e il ferro per il martello e i chiodi. E poi, per rendere più personale tutto quest’odio, si è vista la prima generazione del pugno chiuso che sia mai apparsa nella storia: erano quelli che lo minacciavano sotto la croce. Quel giorno hanno dilaniato il suo corpo, come oggi distruggono e mandano in frantumi il suo tabernacolo. I loro figli e le loro figlie calpestano le croci in Spagna e in Russia, come un tempo hanno percosso il crocifisso sul Calvario.

Non crediate che il pugno chiuso sia un fenomeno del ventesimo secolo: coloro che oggi raggelano i loro cuori in un pugno, sono i diretti eredi di coloro che sotto la croce levavano le mani contro l’Amore e con le loro voci roche cantavano la prima Internazionale dell’odio. Davanti a quei pugni chiusi, vien naturale pensare che se c’è una volta che la rabbia potrebbe dirsi giustificata, se c’è una volta in cui la Giustizia poteva essere applicata correttamente, una volta in cui il Potere poteva essere degnamente esercitato o l’Innocenza rivendicata a ragion veduta, una volta in cui Dio avrebbe avuto tutte le ragioni di punire l’uomo, ebbene quel momento era proprio quello sul Calvario. E tuttavia, proprio in quell’istante in cui una falce e un martello hanno tagliato l’erba sul Calvario per far posto alla croce, e i chiodi hanno immobilizzato le mani impedendo loro di impartire la benedizione dell’Amore Incarnato, egli, come un legno profumato che inonda del suo aroma l’ascia che lo stronca, ha pronunciato con le sue labbra la prima preghiera che sia mai calata sulla terra, la preghiera perfetta che sana la rabbia e l’odio. Una preghiera per l’esercito dei pugni chiusi, la prima parola pronunciata sulla croce: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”.

Anche il peggior peccatore adesso può essere salvato; il peccato più nero può essere cancellato; i pugni chiusi possono aprirsi; ciò che era imperdonabile ora può essere perdonato. Anche se loro credevano di sapere quello che stavano facendo, Cristo fa appello a quell’unica attenuante per il loro crimine e la adduce davanti al Padre Celeste, con tutto l’ardore del suo Cuore misericordioso: l’ignoranza – “non sanno quello che fanno”. Se avessero saputo quello che stavano facendo, inchiodando l’Amore alla croce, e pur sapendolo avessero continuato a farlo, non ci sarebbe stata redenzione per loro. Sarebbero stati dannati. È solo perché i pugni si chiudono nell’ignoranza, che è possibile ancora aprirli in mani che si congiungono, è perché le lingue blasfeme sono ignoranti, che esse possono ancora sciogliersi in preghiera. Non è la loro consapevolezza che li salva: ma la loro ignoranza inconsapevole.

Questa parola sulla croce ci insegna due cose: (1) l’ignoranza può scusare, (2) non c’è limite al perdono. Un motivo per perdonare è l’ignoranza. L’Innocenza divina ha trovato questa scusa per perdonare. Sicuramente la colpa non può essere inferiore. Nel suo primo sermone, S. Pietro ha usato la medesima scusa dell’ignoranza per la crocefissione, ancora fresca nella sua memoria: “Avete ucciso l’autore della vita … Ora, fratelli, io so che voi avete agito per ignoranza, come pure i vostri capi.” (At 3, 15; 17) Se il male fosse stato fatto in piena consapevolezza, deliberatamente, sapendo quali erano le conseguenze degli atti compiuti, allora non poteva esserci perdono. Ecco perché non è stata possibile una redenzione nel caso degli angeli caduti. Loro sapevano che cosa stavano facendo. Noi no. Noi siamo ignoranti, ignoranti su noi stessi e ignoranti sugli altri. Ignoranti sugli altri. Quanto poco sappiamo dei loro motivi, della loro buona fede, delle circostanze che li hanno portati ad agire in un certo modo. Quando gli altri ci usano violenza, spesso ci dimentichiamo di quanto poco conosciamo i loro cuori e diciamo “Non mi sembra proprio che ci siano scusanti, neanche minime, sapevano benissimo quello che stavano facendo”. Eppure, nelle stesse circostanze, Gesù ha saputo dire “Non sanno quello che fanno”. Non sappiamo nulla di quello che c’è nel cuore del nostro prossimo e per questo ci rifiutiamo di perdonare. Gesù conosceva bene i cuori, dentro e fuori, e per questo ha perdonato. Prendete un fatto qualsiasi, chiedete a cinque persone di giudicarlo: avrete cinque interpretazioni diverse di quello che è successo. Nessuno di loro può conoscere tutti i fattori in ballo. Nostro Signore sì, ed è per questo che perdona. Perché noi troviamo mille scuse per giustificare la nostra rabbia verso il prossimo e non vogliamo ammettere alcuna giustificazione per la rabbia degli altri verso di noi? Diciamo che gli altri ci perdonerebbero se solo ci capissero meglio e che il solo motivo della loro rabbia è che “Non ci capiscono”. Perché l’ignoranza non è reversibile? Non può darsi che noi non capiamo le motivazioni degli altri, così come loro non capiscono le nostre? Il fatto che noi ci rifiutiamo di giustificare il loro odio, non può voler dire, implicitamente, che anche noi, nelle stesse circostanze, ci saremmo comportati in un modo imperdonabile?

Ignoranti su come siamo: un’altra ragione per perdonare gli altri. Purtroppo, non conosciamo noi stessi: sappiamo vedere con chiarezza i peccati, le debolezze e le mancanze del nostro prossimo, almeno mille volte meglio di quanto vediamo le nostre colpe. Criticare gli altri non è una buona cosa, ma la mancanza di autocritica è anche peggio. Forse sarebbe meno grave criticare gli altri se, prima, sapessimo vedere i nostri difetti: dopo aver perlustrato con cura la nostra anima, allora forse saremmo meno certi del nostro diritto di indagare le anime degli altri. È solo perché non sappiamo nulla delle nostre condizioni, che non capiamo quanto noi, per primi, abbiamo bisogno di perdono. Abbiamo mai offeso Dio? Ha dei motivi per essere irato con noi? Allora perché noi, che abbiamo così tanto bisogno di essere perdonati, non dovremmo riscattarci perdonando a nostra volta gli altri? La risposta è che non facciamo mai seriamente un esame di coscienza. Siamo così inconsapevoli della nostra vera condizione che tutto quello che di certo possiamo dire di noi è giusto il nome, l’indirizzo e che cosa possediamo; del nostro egoismo, invidia, deviazioni, peccati invece non sappiamo nulla. Infatti, per evitare di guardarci dentro, evitiamo il silenzio e la solitudine. Per evitare che la nostra coscienza si faccia troppo sentire, affoghiamo la sua voce nei divertimenti, nelle distrazioni e nel rumore. Odiamo tutto ciò che vediamo riflesso di noi negli altri. Se conoscessimo meglio noi stessi, sapremmo perdonare di più gli altri. Più siamo severi con noi stessi, più saremo indulgenti con gli altri: un uomo che non ha mai obbedito, non sa come si fa a comandare, e l’uomo che non conosce l’autodisciplina, non può usare misericordia con gli altri. È l’egoista il più spietato con gli altri; chi è duro con se stesso sa essere gentile con gli altri: l’insegnante che non conosce bene la sua materia è il più intollerante con i suoi studenti. Solo il Signore, che si riteneva così poca cosa da abbassarsi a farsi uomo e morire come un criminale, poteva perdonare le colpe di coloro che l’hanno crocifisso.

Non è l’odio che è sbagliato: ma è odiare per il motivo sbagliato che è un errore. Non è la rabbia che è sbagliata: ma l’essere adirati con la cosa sbagliata che non va bene. Dimmi chi è il tuo nemico e ti dirò chi sei. Dimmi chi è l’oggetto del tuo odio, e io ti dirò com’è il tuo carattere. Odi la religione? Allora ti rimorde la coscienza. Odi i capitalisti? Allora sei un avaro, che brama le ricchezze. Odi gli operai? Allora sei un egoista e uno snob. Odi il peccato? Allora ami Dio. Odi il tuo odio, il tuo egoismo, il tuo carattere avventato e la tua cattiveria? Allora sei un’anima buona, perché “Se uno viene a me… e non odia la sua vita, non può essere mio discepolo.” (Lc 14, 26).

La seconda lezione che ci arriva dalla prima parola di Cristo sulla croce è che non c’è limite al perdono. Nostro Signore ha perdonato pur essendo innocente, quindi non perché qualcuno aveva perdonato lui. Per questo non basta perdonare gli altri perché siamo stati perdonati, ma dobbiamo perdonarli anche se siamo innocenti. Il problema è capire quali sono i limiti del perdono. Una volta Pietro ha chiesto al Signore “Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?” (Mt 18, 21). Pietro pensava di aver esagerato con il suo “sette volte”, perché era già quattro volte di più di quanto prevedevano i Dottori della legge. Pietro aveva proposto un limite, oltre il quale non c’era più perdono. Pensava che il diritto ad essere perdonati sarebbe automaticamente scaduto dopo sette offese. Sarebbe come dire “Rinuncio al mio diritto a riscuotere i miei crediti verso di te, fintanto che la somma che mi devi rimane sotto i sette dollari. Ma se vai sopra questa somma, allora la mia rinuncia non è più valida e posso strozzarti già per otto dollari.” Nostro Signore, rispondendo a Pietro, dice che il perdono non ha limiti; il perdono è la rinuncia a qualsiasi diritto, è la negazione di un limite. “Ti dico non sette volte, ma settanta volte sette.” (Mt 18, 22). Il che significa, non 490 volte, ma all’infinito. Il Salvatore ha allora proseguito con la parabola del servo infedele che, subito dopo aver visto condonare il suo debito di diecimila talenti, si avventa sull’altro servo che gli doveva pochi spiccioli. Il servo spietato, rifiutando di avere misericordia del suo debitore, ha visto revocare la misericordia che gli era stata usata. La sua colpa non era tanto la sua implacabilità verso gli altri, pur essendo lui per primo bisognoso di perdono, quanto il fatto che, malgrado fosse stato perdonato, non aveva perdonato a sua volta. “Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello”. (Mt 18, 35).

Perdonate, e sarete perdonati; allontanate la vostra ira e Dio allontanerà la sua. Il Giudizio è come la mietitura: raccoglieremo ciò che abbiamo seminato. Se abbiamo seminato la rabbia contro i fratelli durante la vita, non raccoglieremo altro che la rabbia di Dio. Non giudicate, e non sarete giudicati. Se nella nostra vita perdoneremo agli altri di cuore, il Giorno del Giudizio Dio, nella sua saggezza, farà qualcosa di non abituale per lui: dimenticherà di metterci in conto qualcosa, e si limiterà a sottrarre invece di aggiungere. Lui che si ricorda ogni cosa dall’eternità, dimenticherà i nostri peccati. E così ci salveremo ancora una volta, grazie alla divina “ignoranza”. Se perdoniamo gli altri sulla base del fatto che non sapevano cosa facevano, Nostro Signore ci perdonerà sulla base del fatto che non si ricorda più quello che abbiamo fatto. Può anche darsi che, vedendo ora una mano che benedice un nemico dopo aver ascoltato la prima parola sulla croce, Dio arrivi a scordarsi persino che quella mano era un tempo un pugno chiuso, macchiato dal sangue del martirio cristiano.

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“BEATI I PURI DI CUORE PERCHÉ VEDRANNO DIO” UN ESTRATTO DAL NUOVO LIBRO IMPERDIBILE DI FULTON SHEEN

Il libro uscirà nelle librerie il 20 Febbraio ma si può già pre-ordinare e prenotare sul sito della casa editrice Mimep delle suore.

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Sulla montagna delle Beatitudini, all’inizio della sua vita pubblica, nostro Signore ha predicato: “Beati i puri di cuore perché vedranno Dio” (Mt 5,8). Ora, alla fine della sua vita, sul Calvario, Cristo si rivolge ai puri di cuore: “Figlio, ecco tua madre, Donna, ecco tuo figlio”. (Gv 19, 26–27). Certo, questa non è una beatitudine del mondo. Oggi il mondo vive quella che potremmo definire “l’età della carnalità”, dove si inneggia al sesso, si rifugge da ogni restrizione, la purezza viene presa per freddezza, l’innocenza per ignoranza e gli uomini e le donne si atteggiano a piccoli Budda che, con gli occhi chiusi e le braccia incrociate sul petto, si soffermano a guardarsi nell’intimo e finiscono per pensare solo a se stessi. Contro l’esaltazione del sesso e il conseguente egocentrismo, nostro Signore ben sottolinea la terza beatitudine: “Beati i puri di cuore”. La terza beatitudine e la terza parola sulla croce sono strettamente legate, l’una è la teoria, l’altra l’esempio pratico che ne deriva, perché è la purezza di nostro Signore che ha reso possibile il dono di sua Madre. Questa è la prima lezione che ci viene da questa terza parola: Maria è diventata nostra Madre perché suo Figlio è la purezza fatta persona. In nessun altro caso egli avrebbe potuto consegnarcela così totalmente e di tutto cuore.

Per capire come Maria ha potuto diventare nostra Madre attraverso la purezza è sufficiente soffermarci un momento a pensare a che cos’è la carne. Anche nei suoi momenti di soddisfazione legittima, la carne implica fondamentalmente l’egoismo. I piaceri della carne mirano alla propria soddisfazione, prima che a quella di un altro. Anche la legge dell’autoconservazione implica, lo dice la stessa parola, una sorta di egoismo. Se l’oggetto del desiderio, poi, non è legittimo, la carne porta ad un egoismo estremo perché, per la propria soddisfazione, arriva a tiranneggiare l’altro, a consumarlo solo per mantenere ardente il fuoco del proprio desiderio. Ma Dio nella sua saggezza ha istituito due vie di salvezza dall’egoismo della carne: il sacramento del Matrimonio e il voto di Castità. Ciascuno di questi due istituti non solo rompe il circolo vizioso dell’egoismo, ma apre ad un orizzonte più vasto di servizio all’altro. O, per dirla in altri termini: chi è più puro di cuore, è meno egoista. La prima via d’uscita dall’egoismo della carne, istituita da Dio stesso, è il Matrimonio. Il matrimonio annienta l’egoismo, prima di tutto perché fonde due individui, in una vita di collaborazione, dove entrambi non vivono più per se stessi ma per l’altro; inoltre il matrimonio annienta l’egoismo perché, nella vita di coppia, distrugge l’infatuazione passeggera che in un istante nasce e muore; inoltre distrugge l’egoismo perché l’amore reciproco tra marito e moglie obbliga la coppia ad uscire da sé, ad incarnarsi in una nuova creatura, nei figli, per la cui cura si devono affrontare sacrifici, senza i quali, come fiori senza acqua, i due rischierebbero di appassire e morire.

Questi però sono solo gli aspetti negativi del Matrimonio rispetto alla carne. Infatti quello che più conta è che il matrimonio cura dall’egoismo usando la carne, mettendola al servizio degli altri. Si aprono così nuovi scenari e nuove prospettive dove l’affetto e il sacrificio si rendono disponibili alla carne; gli altri diventano più importanti di noi stessi; l’ego non è più qualcosa di circoscritto ma si spalanca agli altri, può persino arrivare a dimenticare se stesso. Ciò è così vero che spesso si osserva che le famiglie numerose sono meno egoiste delle piccole. Un marito e una moglie possono vivere l’uno per l’altra, ma un padre e una madre devono morire a se stessi perché vivano i loro figli. Nella loro vita non c’è più posto per qualsiasi attaccamento egoista o sregolato. Dove è il loro cuore, là è anche il loro tesoro. Hanno sacrificato la carne perché altri possano vivere, è questo il punto da cui parte l’amore.

Dio però ha pensato ad un’altra via d’uscita dall’egoismo della carne, qualcosa di ancora più completo del Matrimonio: il voto di Castità. Gli uomini e le donne che scelgono questa via non lo fanno per evitare i sacrifici implicati dal matrimonio, ma per liberarsi dalla schiavitù della carne ed essere liberi di dedicarsi ad un compito più grande. Come dice san Paolo: “chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore; chi è sposato invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie, e si trova diviso”. (1Cor 7,32–33). I voti di castità sono una forma più alta di sacrificio rispetto al Matrimonio, semplicemente perché assicurano un maggior distacco dai piaceri della carne. Maggiore è la purezza, minore è l’egoismo. Chi sceglie la via dei voti è libero di servire ed amare non un solo uomo o una sola donna, o i suoi figli, ma tutti gli uomini e tutte le donne, e tutti i bambini, nel vincolo della carità in Cristo Gesù, nostro Signore.

Il Matrimonio libera la carne dall’egoismo individualista per il servizio della famiglia; il voto di castità libera la carne non solo per quanto riguarda il cerchio ristretto della famiglia, dove l’egoismo può non essere vinto del tutto, ma la spalanca a tutta la grande famiglia dell’umanità. Ecco perché la Chiesa chiede a chi si consacra per la redenzione del mondo di pronunciare il voto di rinunciare ad ogni egoismo per appartenere non ad una famiglia, ma a tutte. Ecco perché nella grande famiglia del regno di Dio, il sacerdote viene chiamato “Padre”, perché molti sono i suoi figli, non generati nella carne, ma nello spirito. Ed ecco perché nelle comunità religiose femminili, viene chiamata “Madre” colei che guida il piccolo gregge in Cristo. Ed ecco perché in molti ordini maschili, gli uomini si chiamano fra loro “Fratelli”, e le donne di uno stesso ordine si chiamano “Sorelle”. Sono tutti membri di una sola nuova famiglia, nella quale i legami sono definiti non dalla nascita nella carne ma dalla nascita in Cristo, tutti alla ricerca disinteressata della gloria di Dio e della salvezza dei peccatori, nell’obbedienza a colui che amano più di ogni altro al mondo: il Santo Padre, il successore di Pietro e vicario di Cristo.

Ora, se il Matrimonio e il voto di castità liberano dall’egoismo della carne, e se una maggior purezza è la premessa necessaria per un servizio più esteso agli altri, che cosa ci dobbiamo aspettare quando incontriamo la purezza perfetta? Se una persona diventa sempre meno egoista, man mano che progredisce nella purezza, che cos’è allora la perfezione, la totale assenza di peccato e la purezza perfetta? Se crescendo la purezza, cresce l’altruismo e l’abnegazione, che cosa ci possiamo aspettare dall’innocenza? La risposta è il sacrificio perfetto. Se una persona è totalmente libera dall’egoismo, non cerca il proprio comodo, né si cura della propria vita, ecco che in lei si ripete il sacrificio della Croce. “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici”. (Gv 15,13). Al di là di ogni legame o vincolo di sangue, nella sua purezza assoluta, Cristo ci ha detto “chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è per me fratello, sorella e madre”. (Mt 12,50)

Nostro Signore sulla croce era così distaccato dal proprio tornaconto, così estraneo ad ogni egoismo, così disinteressato alla carne, che ha potuto guardare a sua Madre, non come se fosse solo sua, ma facendone la Madre di tutti. La purezza perfetta è abnegazione perfetta. Ecco perché Cristo dona sua Madre a noi, rappresentati da Giovanni: “Ecco tua madre”. Non voleva essere egoista, non voleva tenere tutta per sé la più bella ed amabile delle madri: era pronto a condividere sua Madre con tutti noi. E così, ai piedi della croce, ha donato a noi la Madre di Dio, la Madre di tutti gli uomini. Nessuno avrebbe potuto fare una cosa simile, i vincoli della carne e dell’egoismo avrebbero prevalso. I legami della carne sono troppo stringenti perché chiunque di noi possa condividere sua madre con un’altra persona. Ma la purezza assoluta può farlo. Ecco perché la beatitudine sui puri di cuore ben si abbina alla terza parola: l’altruismo ha toccato l’apice, la purezza assoluta, non solo Cristo ha dato la vita per la nostra salvezza, ma ci ha anche dato sua Madre perché non restassimo orfani. La purezza dunque non è qualcosa di negativo; non è solo un bocciolo che non si è dischiuso; non è qualcosa di freddo, non è l’ignoranza della vita. Forse che la giustizia è solo l’assenza di disonestà? E la misericordia coincide con l’assenza della crudeltà? La fede è solo la mancanza di dubbi? La purezza non è solo la mancanza di sensualità, è altruismo che nasce dall’amore, dall’amore più elevato di tutti. Chiunque ha fatto un voto è innamorato, non di un amore che muore, ma dell’amore eterno: l’amore per Dio. La castità è appassionata, Francis Thompson dice di lei che è “la passione senza passione, un’impetuosa serenità”. La castità non è una virtù impossibile. Anche chi non la possiede può esserlo di fatto. Sant’Agostino chiama Maria Maddalena “l’archetipo delle vergini”. Pensateci! Lei un esempio di verginità! Quanto a verginità sant’Agostino la equipara alla Beata Madre di Dio, Maddalena, una semplice prostituta. Questa donna ha riacquistato la sua purezza ricevendo l’anticipo dell’Eucaristia, la sera che ha lavato con le sue lacrime i piedi di Cristo. Quello è stato il suo contatto con la purezza, che ha segnato così profondamente la sua vita da portarla, poco tempo dopo, ai piedi della croce, quel venerdì santo. E chi era con lei allora? Proprio la Beatissima Madre. Che coppia: una donna il cui nome, solo pochi mesi prima, era sinonimo di peccato accanto alla Santissima Vergine! Se Maria ha voluto bene alla Maddalena, perché non potrebbe amare anche noi? Se c’è speranza per la Maddalena, allora c’è speranza anche per noi. Se lei ha ritrovato la purezza, allora anche noi possiamo riacquistarla. E come potremmo se non attraverso Maria, perché altrimenti chiamarla Purissima Madre, se non fosse perché rende puri anche noi?

Chiunque può rivolgersi a Maria, non solo i peccatori pentiti come la Maddalena, ma anche i vergini o le brave madri, perché lei è sia Vergine che Madre. La Verginità da sola potrebbe mancare di qualcosa. C’è come qualcosa di incompleto, una facoltà non utilizzata. La maternità da sola potrebbe mancar di qualcosa. Nella maternità si rinuncia a qualcosa. Ma in Maria “nulla manca e nulla è perduto” (Sheila Kay Smith). C’è verginità anche nella maternità – “la primavera di un maggio che non finisce mai”. La purezza, allora, non è egoismo. È resa, è altruismo, è sacrificio. Raggiunge il suo massimo quando la Madre di Gesù diventa nostra Madre. Basta con quegli stupidi modi di dire del mondo: “l’amore è cieco”. Non può essere cieco! Nostro Signore ci ha detto espressamente “Beati i puri di cuore, perché vedranno” – vedranno addirittura Dio! Maria, apri i nostri occhi!

Il libro uscirà nelle librerie il 20 Febbraio ma si può già pre-ordinare e prenotare sul sito della casa editrice Mimep delle suore.

Qui il link: 👇
https://www.mimep.it/catalogo/pastorale/riflessioni-pastorali/il-pianto-del-cristo/

IL PIANTO DEL CRISTO: UN NUOVO LIBRO DI FULTON SHEEN CHE RAPPRESENTA UN’AUTENTICA CHIAMATA ALLA SANTITÀ!

Il libro uscirà nelle librerie il 20 Febbraio ma si può già pre-ordinare e prenotare sul sito della casa editrice Mimep delle suore.

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Per la prima volta, i sette testi del Vescovo americano Fulton Sheen sulle “Ultime Sette Parole” sono stati raccolti in questo volume. L’autore mostra come le parole del Crocifisso siano, in realtà, un catechismo completo sulla vita spirituale. Guidato dal suo carisma eccezionale il lettore scopre i segreti per praticare le beatitudini, evitare i vizi capitali, coltivare le virtù e vivere in Grazia di Dio. E’ condotto all’ombra della Croce, per entrare in un rapporto sempre più profondo con il Salvatore. Pochi libri esprimono una tale forza spirituale: questa antologia rappresenta un’autentica chiamata alla santità!

Fulton Sheen scrisse questi sette testi tra il 1933 e il 1945:

  1. Le ultime sette parole (1933)
  2. La croce e le beatitudini (1937)
  3. L’arcobaleno del dolore (1938)
  4. La vittoria sul vizio (1940)
  5. Le sette virtù (1939)
  6. Le sette parole alla croce (1944)
  7. Le sette parole di Gesù e Maria (1945)

La presente antologia si compone di sette parti, ciascuna delle quali tratta di una delle sette parole pronunciate da Cristo sulla croce. In ciascuna di queste parti è stato poi inserito un passo tratto da uno dei libri summenzionati, così da ampliare e completare gli spunti offerti per la meditazione e lo studio delle seguenti tematiche:

  1. Le parole di Cristo dalla Croce
  2. Le beatitudini
  3. Dolore e sofferenza
  4. I sette peccati mortali
  5. Le sette virtù
  6. I gruppi che rifiutano la Chiesa e i suoi insegnamenti
  7. L’unità di Gesù e Maria