Beato Giovanni Paolo II: “Lo Spirito Santo, divino ospite nell’anima del giusto” “L’azione dello Spirito Santo penetra nell’intimo dell’uomo, nel cuore dei fedeli, e vi riversa la luce e la grazia che dà vita”

Sull’inabitazione dello Spirito Santo nell’uomo

GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 20 marzo 1991

Possiamo dire che, alla base di una vita cristiana caratterizzata dall’interiorità, dall’orazione e dall’unione con Dio, vi è una verità che – come tutta la teologia e la catechesi pneumatologica – deriva dai testi della Sacra Scrittura e specialmente dalle parole di Cristo e degli Apostoli: quella sull’inabitazione dello Spirito Santo, come Ospite divino, nell’anima del giusto.

Chiede l’apostolo Paolo nella sua prima lettera ai Corinzi (1 Cor 3, 16). “Non sapete che . . . lo Spirito di Dio abita in voi?”. Certo, lo Spirito Santo è presente e opera in tutta la Chiesa, come abbiamo visto nelle precedenti catechesi: ma l’attuazione concreta della sua presenza e azione avviene nel rapporto con la persona umana, con l’anima del giusto in cui Egli stabilisce la sua dimora ed effonde il dono ottenuto da Cristo con la Redenzione. L’azione dello Spirito Santo penetra nell’intimo dell’uomo, nel cuore dei fedeli, e vi riversa la luce e la grazia che dà vita. È ciò che chiediamo nella Sequenza della Messa di Pentecoste: “O luce beatissima, invadi nell’intimo il cuore dei tuoi fedeli”.

3. L’apostolo Pietro, a sua volta nel discorso del giorno di Pentecoste, dopo aver esortato gli ascoltatori alla conversione e al battesimo, aggiunge la promessa: “Riceverete il dono dello Spirito Santo” (At 2, 38). Dal contesto risulta che la promessa riguarda personalmente ogni convertito e battezzato. Pietro, infatti, si rivolge espressamente a “ciascuno” dei presenti (At 2, 38). Più tardi, quando Simon mago chiederà agli Apostoli di comunicargli il loro potere sacramentale, dirà: “Date anche a me questo potere, perché a chiunque io imponga le mani, egli riceva lo Spirito Santo” (At 8, 19). Il dono dello Spirito viene capito come dono concesso alle singole persone. La stessa constatazione si verifica nell’episodio della conversione di Cornelio e della sua casa: mentre Pietro spiega loro il mistero di Cristo, “lo Spirito Santo scese sopra tutti coloro che ascoltavano” (At 10, 44). L’Apostolo riconosce quindi: “Dio ha dato a loro lo stesso dono che a noi” (At 11, 17). Secondo Pietro, la discesa dello Spirito Santo significa la sua presenza in coloro ai quali Egli si comunica.

4. A proposito di questa presenza dello Spirito Santo nell’uomo, occorre ricordare i modi successivi di divina presenza nella storia della salvezza. Nell’Antica Alleanza, Dio è presente e manifesta questa presenza prima nella “tenda” del deserto, più tardi nel “Santo dei Santi” del tempio di Gerusalemme. Nella Nuova Alleanza, la presenza si attua e si identifica con l’Incarnazione del Verbo: Dio è presente in mezzo agli uomini nel suo eterno Figlio, mediante l’umanità da Lui assunta in unità di persona con la sua natura divina. Con questa visibile presenza in Cristo, Dio prepara per mezzo di Lui una nuova presenza, invisibile, che si attua con la venuta dello Spirito Santo.

Sì, la presenza di Cristo “in mezzo” agli uomini apre la strada alla presenza dello Spirito Santo, che è una presenza interiore, una presenza nei cuori umani. Così si compie la profezia di Ezechiele: “Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo . . . Porrò il mio spirito dentro di voi” (Ez 36, 26-27).

5. Gesù stesso, alla vigilia della sua dipartita da questo mondo per tornare al Padre mediante la Croce e l’Ascensione al cielo, annuncia agli Apostoli la venuta dello Spirito Santo: “Io pregherò il Padre che Egli vi dia un altro Paraclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità . . . Egli sarà in voi” (Gv 14, 16-17). Ma egli stesso dice che tale presenza dello Spirito Santo, la sua inabitazione nel cuore umano, che comporta anche quella del Padre e del Figlio, è condizionata dall’amore: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14, 23).

Il riferimento al Padre e al Figlio, nel discorso di Gesù, include lo Spirito Santo, al quale viene attribuita l’inabitazione trinitaria da San Paolo e dalla tradizione patristica e teologica, perché è la Persona-Amore, e d’altra parte la presenza interiore è necessariamente spirituale. La presenza del Padre e del Figlio si attua mediante l’Amore, e dunque nello Spirito Santo. È nello Spirito Santo che Dio, nella sua unità trinitaria, si comunica allo spirito dell’uomo.

San Tommaso d’Aquino dirà che solo nello spirito dell’uomo (e dell’angelo) è possibile questo modo di divina presenza – per inabitazione – perché solo la creatura razionale è capace di essere elevata alla conoscenza, all’amore consapevole e al godimento di Dio come Ospite interiore: e questo avviene per mezzo dello Spirito Santo, che perciò è il primo e fondamentale Dono (San Tommaso, Summa theologiae, I, q. 38, a. 1).

6. Ma per questa inabitazione gli uomini diventano “tempio di Dio” – di Dio-Trinità – perché è “lo spirito di Dio (che) abita in loro”, come ricorda l’Apostolo ai Corinzi (1 Cor 3, 16). E Dio è santo e santificante. Anzi lo stesso Apostolo specifica poco dopo: “O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio?” (1 Cor 6, 19). Dunque l’inabitazione dello Spirito Santo comporta una particolare consacrazione dell’intera persona umana (di cui Paolo sottolinea la dimensione corporea) a somiglianza del tempio. Questa consacrazione è santificatrice. Essa costituisce l’essenza stessa della grazia salvifica, mediante la quale l’uomo accede alla partecipazione della vita trinitaria di Dio. Si apre così nell’uomo una fonte interiore di santità, dalla quale deriva la vita “secondo lo Spirito”, come avverte Paolo nella lettera ai Romani: “Voi . . . non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi” (Rm 8, 9). E qui si fonda la speranza della risurrezione dei corpi, perché, “se lo Spirito di Colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, Colui che ha risuscitato Cristo (Gesù) dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi” (Rm 8, 11).

7. Occorre notare che l’inabitazione dello Spirito Santo – che santifica tutto l’uomo, anima e corpo – conferisce una superiore dignità alla persona umana, e dà nuovo valore alle relazioni interpersonali, anche corporali, come fa notare San Paolo nel testo poc’anzi citato della Prima Lettera ai Corinzi (1 Cor 6, 19).

Ecco, l’uomo cristiano, mediante l’inabitazione dello Spirito Santo, viene a trovarsi in una particolare relazione con Dio, che si estende anche a tutte le relazioni interpersonali, nell’ambito familiare e in quello sociale. Quando l’Apostolo raccomanda di “non rattristare lo Spirito Santo” (Ef 4, 30), parla sulla base di questa verità rivelata: la presenza personale di un Ospite interiore, che può essere “rattristato” a causa del peccato – mediante ogni peccato – giacché questo è sempre contrario all’amore. Egli stesso, infatti, come Persona-Amore, dimorando nell’uomo, crea nell’anima come un’esigenza interiore di vivere nell’amore. Lo suggerisce San Paolo quando scrive ai Romani che “l’amore di Dio” (cioè: la potente corrente di amore che viene da Dio) “è stato riversato nei vostri cuori per opera dello Spirito Santo che ci è stato dato”.

BEATO PAPA GIOVANNI PAOLO II

 

“Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo” (Sal 51 [50], 12)

GIOVANNI PAOLO II

ANGELUS

Domenica, 2 marzo 1986

1. Quando noi ci riuniamo per l’Angelus nelle domeniche di Quaresima, le nostre meditazioni si dirigono verso quell’interiore “itinerarium”, mediante il quale l’uomo si avvicina a Dio nell’atto della conversione. Esame di coscienza, atto di dolore, proposito, confessione e penitenza. Così si chiamano le singole tappe di tale “itinerarium” nella tradizione della Chiesa, nella catechesi, nella pratica del sacramento della Penitenza. Lo ha ricordato il Sinodo dei vescovi nel 1983, mediante il quale la Chiesa cercava – a seconda dei bisogni del nostro tempo – di rispondere all’invito di Cristo “paenitemini”: convertitevi! “Convertitevi e credete al Vangelo!” (Mc 1, 15; cf. Mt 4, 17)

2. Quando il re penitente dell’antica alleanza confessa: “Contro di te ho peccato . . . il mio peccato mi sta sempre dinanzi” (Sal 51 [50], 5-6), mette in evidenza quel momento, che nell’“itinerarium” interiore ci avvicina di più alla conversione. L’uomo riconosce nella sua coscienza la verità del peccato, e in pari tempo nasce il bisogno di finirla con esso. Voltarsi dal male che è il peccato. È un momento decisivo. È un momento pure difficile. A volte è doloroso. Tanto più doloroso, quanto più il peccato si è radicato nell’uomo. Quanto più è entrato nella sua vita. Quanto più l’uomo si è abituato a vivere con esso.

Giustamente si avverte in questo momento decisivo la somiglianza alla croce di Cristo. La passione di Cristo contiene in sé tutta la pienezza della fatica salvifica; della fatica della redenzione, che porta in sé la vittoria assoluta sul peccato, a prezzo della passione e della morte in croce. Nel corso dell’“itinerarium” interiore, che deve pure condurre alla vittoria sul peccato, ognuno di noi è chiamato ad attingere a questa pienezza.

“Tibi soli peccavi”: Contro di te, contro di te solo ho peccato. Ed ecco: tu e solo tu sei con me nel momento in cui devo convertirmi, rompendo con il peccato nella profondità del mio “io” con l’atto della mia libera volontà. In questo modo, per opera della croce di Cristo, si uniscono la grazia della conversione e il libero atto della volontà dell’uomo.

3. Il salmista prega poi: “Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo” (Sal 51 [50], 12). Quando l’uomo, sotto l’influsso della grazia della conversione, si volta dal male, ritrova di nuovo se stesso dinanzi a Dio, che è la sorgente inesauribile del bene. Ecco, nel momento della conversione l’uomo desidera il bene con tutto il cuore. Vuole il bene: e in questo consiste il proposito. Vuole un’altra vita, un cambiamento della condotta. In questo modo si sviluppa l’“itinerarium” interiore della riconciliazione con Dio.

Unendoci nella nostra meditazione alla Madre che sta sotto la croce, preghiamo che questo “itinerarium” si sviluppi nel tempo di Quaresima in ognuno di noi. Che ella, Ausiliatrice, preghi insieme con noi il suo Figlio: “Crea in ciascuno un cuore puro, rinnova uno spirito saldo”. Questo “spirito saldo” è necessario, perché la conversione sia efficace; perché nel sacramento della Penitenza nasca “un uomo nuovo”.

Il nostro “uomo interiore”, non dev’essere assorbito soltanto da ciò che passa, ma “radicarsi e fondarsi” in quell’“Amore” che non passa.

GIOVANNI PAOLO II

ANGELUS

Domenica, 8 giugno 1986

 

 

1. “Io piego le ginocchia davanti al Padre . . . perché vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere potentemente rafforzati dal suo Spirito nell’uomo interiore” (Ef 3, 14-16). Così prega l’apostolo di Cristo con le parole della Lettera agli Efesini. Queste parole dell’apostolo desidero oggi introdurre nella nostra preghiera, mentre siamo qui riuniti per l’Angelus domenicale. Mentre siamo insieme con Maria, Madre di Cristo.

2. Venerdì scorso la Chiesa ha celebrato la solennità del Sacro Cuore di Gesù. Al mistero di questo Cuore divino essa dedica pure tutto il mese di giugno. E chi potrà essere più vicino al Cuore del Figlio, se non la Madre? Quindi insieme con lei “noi pieghiamo le ginocchia davanti al Padre”. E insieme con lei preghiamo, affinché la devozione al Cuore del Redentore del mondo realizzi per noi tutti, mediante lo Spirito Santo, il rafforzamento dell’uomo interiore. Sì. Mediante lo Spirito Santo.

3. E il significato di quel “potente rafforzamento nell’uomo interiore” – il quale è opera dello Spirito Santo, che agisce nei nostri cuori – ce lo spiega il seguito della Lettera agli Efesini, ove leggiamo: “Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere . . . e conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio” (Ef 3, 17-19).

4. Questo può compiere soltanto lo Spirito Santo nel nostro spirito umano. Solo lo Spirito Santo può aprire dinanzi a noi questa pienezza dell’“uomo interiore”, che si trova nel Cuore di Cristo. Solo lui può far sì che da questa pienezza attingano forza, gradatamente, anche i nostri cuori umani, il nostro “uomo interiore”, che non dev’essere assorbito soltanto da ciò che passa, ma “radicarsi e fondarsi” in quell’“amore” che non passa.

5. Che l’umile Serva del Signore presieda alla nostra preghiera, affinché i nostri cuori umani sappiano “radicarsi e fondarsi” in Dio, il quale, solo, è l’amore che non passa. Quest’amore si rivela nel cuore umano del suo Figlio.